Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se negli atti umani ci sia la volontarietà

De Verit., q. 23, a. 1

Pare che negli atti umani non ci sia la volontarietà.

Infatti:

1. Volontario è « ciò che possiede in se stesso il proprio principio », come dimostrano S. Gregorio Nisseno [ Nemesio, De nat. hom. 32 ], il Damasceno [ De fide orth. 2,24 ] e Aristotele [ Ethic. 3,1 ].

Ora, il principio degli atti umani non è nell'uomo, ma fuori di esso: infatti l'appetito dell'uomo viene mosso ad agire dall'oggetto appetibile esterno che, secondo Aristotele [ De anima 3,10 ], è come un « motore immobile ».

Quindi negli atti umani non c'è volontarietà.

2. Il Filosofo [ Phys. 8,2 ] dimostra che non c'è moto nuovo negli animali che non sia preceduto da un moto dall'esterno.

Ma tutti gli atti umani sono nuovi: poiché nessun atto dell'uomo è eterno.

Quindi il principio di tutti gli atti umani viene dall'esterno.

Quindi in essi non c'è volontarietà.

3. Chi agisce volontariamente può agire da se stesso.

Ma questo l'uomo non è in grado di farlo, poiché sta scritto [ Gv 15,5 ]: « Senza di me non potete far nulla ».

Quindi negli atti umani non c'è volontarietà.

In contrario:

Il Damasceno [ l. cit. ] insegna che « la volontarietà si concreta in un atto che è un'operazione razionale ».

Ma tali sono gli atti umani.

Quindi negli atti umani c'è la volontarietà.

Dimostrazione:

Negli atti umani ci deve essere la volontarietà.

Per averne la dimostrazione bisogna considerare che alcuni atti o moti hanno il loro principio o causa nell'agente, cioè nel soggetto in movimento, e altri moti od operazioni hanno invece una causa estrinseca: quando infatti una pietra si muove verso l'alto il principio del suo movimento è esterno alla pietra; quando invece si muove verso il basso il principio del moto è nella pietra stessa.

Ora, tra le cose che sono mosse da un principio intrinseco alcune muovono se stesse e altre no: se è vero infatti, come si è dimostrato [ q. 1, a. 2 ], che ogni agente muove o agisce per un fine, saranno mosse perfettamente da un principio intrinseco quelle cose che ottengono da quel principio non solo di potersi muovere, ma anche di potersi muovere verso il fine.

Ma perché un'azione sia fatta per un fine si richiede una certa conoscenza del fine: perciò ogni essere che agisce o viene mosso da un principio intrinseco, avendo una certa conoscenza del fine, ha in se stesso il principio della sua operazione non solo per poter agire, ma anche per agire in vista di un fine.

L'essere invece che non ha alcuna conoscenza del fine, anche se è in possesso del principio intrinseco del suo agire o del suo movimento, non ha il principio del suo agire e del suo moto verso il fine in se stesso, ma in qualcos'altro dal quale gli viene impresso il principio della sua mozione verso il fine: per cui non si dice che tali esseri muovono se stessi, ma che sono mossi da altri.

Invece gli esseri che hanno la conoscenza del fine si dice che muovono se stessi, poiché si trova in essi il principio non soltanto dell'agire, ma anche dell'agire per un fine.

Siccome dunque le due cose, agire e agire per un fine, dipendono da un principio intrinseco, questi atti e questi moti si dicono volontari: la volontarietà infatti comporta precisamente che il moto, o l'agire, dipenda dalla propria inclinazione.

Per questo, secondo la definizione di Aristotele, di S. Gregorio Nisseno e del Damasceno [ ll. cit. nell'ob. 1 ], la volontarietà denomina non solo la derivazione da un principio intrinseco, ma anche l'aggiunta della conoscenza.

- E poiché soprattutto l'uomo conosce il fine del suo operare e muove se stesso, soprattutto nei suoi atti si deve trovare la volontarietà.

Analisi delle obiezioni:

1. Non ogni principio è il primo principio: sebbene quindi la volontarietà richieda che il principio dell'atto sia intrinseco, non è detto che tale principio non possa essere causato o mosso da un principio estrinseco: poiché non è essenziale per la volontarietà che il principio intrinseco sia il primo principio.

D'altra parte bisogna ricordare che un principio di moto può essere primo nel suo genere senza essere primo in senso assoluto: come nel genere dei princìpi dell'alterazione il primo alterante è il corpo celeste, che però non è il primo motore in senso assoluto, ma è mosso di moto locale da un movente superiore.

Così dunque i princìpi intrinseci dell'atto volontario, che sono le facoltà conoscitive e appetitive, sono il primo principio nel genere del moto appetitivo, sebbene siano mossi da cause estrinseche secondo altre specie di moto.

2. Il moto dell'animale può essere preceduto da un moto esterno in due modi.

Primo, perché un moto esterno può presentare al senso dell'animale un oggetto sensibile la cui percezione muove l'appetito: come il leone, vedendo il cervo che si avvicina, inizia a muoversi verso di esso.

Secondo, perché un'azione esterna, p. es. quella del freddo o del caldo, può determinare una mutazione naturale nel corpo dell'animale; e una volta che il corpo è posto in movimento dal moto del corpo esterno, indirettamente viene mosso anche l'appetito sensitivo, che è una facoltà legata a un organo corporeo: come quando un'alterazione del corpo spinge l'appetito a desiderare qualcosa.

Ma come si è detto [ ad 1 ] ciò non infirma la volontarietà: infatti tali mozioni estrinseche sono di altro genere.

3. Dio muove l'uomo ad agire non solo presentando ai sensi l'oggetto, o trasmutando il corpo, ma muovendo la stessa volontà: poiché ogni moto, sia della volontà che della natura, deriva da lui come dal primo motore.

E come non distrugge la nozione di natura il fatto che il moto naturale derivi da Dio come dal primo motore, essendo la natura come uno strumento che Dio muove, così non distrugge la nozione di atto volontario la sua derivazione da Dio, essendo la volontà sotto la mozione di Dio.

E tuttavia sia il moto naturale che quello volontario hanno in comune la caratteristica di derivare da un principio intrinseco.

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