Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se la virtù sia ben definita

In 2 Sent., d. 27, q. 1, a. 2; De Virt., q. 1, a. 2

Pare che non sia buona la definizione che si è soliti dare della virtù, cioè: « La virtù è una qualità buona della mente umana, con la quale si vive rettamente, di cui nessuno usa malamente, e che Dio produce in noi senza di noi » [ P. Lomb., Sent. 2,7 ].

Infatti:

1. La virtù è la bontà di un uomo: poiché « rende buono chi la possiede ».

Ma la bontà non può dirsi buona, come la bianchezza non è bianca.

Quindi non è corretta l'affermazione che la virtù è « una qualità buona ».

2 Una differenza non può essere più estesa del suo genere: essendo una suddivisione del genere.

Ora, la bontà è più estesa della qualità: infatti il bene coincide con l'ente.

Quindi la « bontà » non deve entrare nella definizione della virtù come differenza della qualità.

3. S. Agostino [ De Trin. 12,8.13 ] scrive: « Quando troviamo che un elemento non è comune a noi e alle bestie, esso appartiene all'anima ».

Ora, certe virtù appartengono anche alle facoltà inferiori, come dimostra il Filosofo [ Ethic. 3,10 ].

Perciò non tutte le virtù sono « buone qualità della mente ».

4. La rettitudine fa parte della giustizia: infatti le stesse persone sono dette insieme rette e giuste.

Ma la giustizia è una specie della virtù.

Non è dunque corretto mettere la rettitudine nella definizione della virtù con l'espressione: « con la quale si vive rettamente ».

5. Chiunque si insuperbisce di una cosa, ne usa male.

Ma sono molti quelli che si insuperbiscono della virtù: infatti S. Agostino [ Epist. 211,6 ] afferma che « la superbia tende insidie anche alle opere buone, per renderle vane ».

Quindi è falso che « della virtù nessuno usa malamente ».

6. L'uomo viene giustificato mediante la virtù.

Ora S. Agostino [ Serm. 169 ], spiegando quel passo evangelico [ Gv 14,12 ]: « Ne farà anche di maggiori », afferma: « Colui che ti ha creato senza di te non ti giustificherà senza di te ».

Perciò non è a proposito l'affermazione che « Dio produce in noi la virtù senza di noi ».

In contrario:

Sta l'autorità di S. Agostino, dalle cui parole questa definizione è stata tratta, e specialmente dal II libro del De Libero Arbitrio [ c. 19.51 ].

Dimostrazione:

Questa definizione abbraccia perfettamente tutto ciò che è essenziale alla virtù.

Infatti la perfetta nozione di una cosa è desunta dalle sue cause.

Ora, la suddetta definizione abbraccia tutte le cause della virtù.

Poiché dunque la causa formale della virtù, come di qualsiasi altra cosa, è desunta dal suo genere e dalla sua differenza, nell'espressione: « qualità buona » troviamo il genere della virtù nella qualità, e la differenza nella bontà.

Tuttavia la definizione sarebbe più conveniente se al posto di qualità si mettesse abito, che è il genere prossimo.

Si noti però che la virtù, come qualsiasi accidente, non ha una materia da cui deriva [ ex qua ], ma ha solo una materia che la interessa [ circa quam, cioè l'oggetto ], e una materia in cui risiede [ in qua ], vale a dire il soggetto.

Ora, la materia che la riguarda è l'oggetto della virtù; e non era possibile indicarlo nella suddetta definizione, poiché l'oggetto serve a determinare la specie della virtù, mentre qui si tratta di definire la virtù in generale.

Perciò come causa materiale viene indicato il soggetto, quando si afferma che la virtù è una buona qualità « della mente ».

Il fine poi della virtù, che è un abito operativo, è l'operazione stessa.

Si osservi però che tra gli abiti operativi alcuni sono sempre volti al male, cioè gli abiti viziosi, e altri sono indifferenti al bene e al male, come l'opinione, che può essere sia vera che falsa: la virtù invece è sempre ordinata al bene.

Per distinguere quindi la virtù dagli abiti che sono sempre cattivi si dice che « con essa si vive rettamente », e per distinguerla da quelli che possono essere sia buoni che cattivi si dice che « di essa nessuno usa malamente ».

Infine la causa efficiente della virtù infusa, che qui viene definita, è Dio.

Per cui si dice che « Dio la produce in noi senza di noi ».

Ma se togliamo quest'ultima parte, il resto della definizione è comune a tutte le virtù, sia acquisite che infuse.

Analisi delle obiezioni:

1. La prima nozione che viene appresa dall'intelletto è l'ente: infatti di qualsiasi cosa diciamo che è un ente; e per conseguenza diciamo che è uno e che è bene, nozioni queste che coincidono con l'ente.

Per cui possiamo affermare che l'essenza, come l'unità e la bontà, è ente, è una ed è buona.

Ma ciò non avviene per le forme particolari, quali sono la bianchezza e la salute: infatti non tutto ciò che conosciamo lo conosciamo sotto l'aspetto di bianco e di sano.

- Si deve però notare che come gli accidenti e le forme prive di sussistenza non vengono dette enti perché hanno l'essere in se stesse, ma perché alcune cose l'hanno in forza di esse, così si attribuisce loro la bontà e l'unità in forza della bontà o dell'unità stessa con la quale rendono buono o uno l'essere in cui si trovano.

Ed è in questo senso che viene detta buona la virtù, poiché in forza di essa una certa cosa è buona.

2. La bontà che è posta nella definizione della virtù non è il bene in generale, che coincide con l'ente, e che è più esteso della qualità, ma è il bene di ordine razionale, riferendosi al quale Dionigi [ De div. nom. 4 ] afferma che « il bene dell'anima è di essere secondo la ragione ».

3. La virtù non può trovarsi nelle parti irrazionali dell'anima se non in quanto esse partecipano della ragione, come nota Aristotele [ Ethic. 1,13 ].

Perciò la ragione, o mente, è il soggetto proprio delle virtù umane.

4. La rettitudine propria della giustizia si riferisce alle cose esterne deputate all'uso dell'uomo e che costituiscono la materia specifica della giustizia, come vedremo [ q. 60, a. 2; II-II, q. 58, a. 8 ], ma la rettitudine che dice ordine al debito fine e alla legge divina, e che secondo le spiegazioni già date [ q. 19, a. 4 ] forma la regola della volontà umana, è una qualità comune a tutte le virtù.

5. Si può fare un cattivo uso della virtù come oggetto, cioè nel senso che uno può non stimarla, odiarla, oppure insuperbirsi di essa; ma se la si considera come principio operativo nessuno può farne cattivo uso, nel senso di rendere cattivo l'atto stesso della virtù.

6. Le virtù infuse vengono causate in noi da Dio senza la nostra opera, non però senza il nostro consenso.

Ed è così che vanno intese le parole: « che Dio produce in noi senza di noi ».

Invece le operazioni che noi compiamo Dio le causa in noi non senza la nostra opera: poiché egli agisce in ogni volere e in ogni natura.

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