Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se sia esatta l'enumerazione dei sette doni dello Spirito Santo

II-II, q. 8, a. 6; In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 2; In Is., c. 11

Pare che non sia esatta l'enumerazione dei sette doni dello Spirito Santo.

Infatti:

1. In questa enumerazione troviamo quattro doni riguardanti le virtù intellettuali, cioè la sapienza, l'intelletto, la scienza e il consiglio, il quale ultimo appartiene alla prudenza, ma non troviamo nulla che riguardi l'arte, che pure è la quinta virtù intellettuale.

Parimenti vi si trova un dono che appartiene alla giustizia, cioè la pietà, e uno che riguarda la fortezza, ossia il dono della fortezza, ma non troviamo nulla che riguardi la temperanza.

Quindi l'enumerazione dei doni è insufficiente.

2. La pietà è una parte della giustizia.

Ma per la fortezza non troviamo una sua parte, bensì la fortezza medesima.

Quindi non si doveva porre la pietà, bensì la giustizia medesima.

3. Le virtù teologali sono quelle che più ci ordinano a Dio.

Siccome dunque i doni predispongono l'uomo alla mozione di Dio, non doveva mancare nell'elenco qualche dono appartenente alle virtù teologali.

4. Dio non solo è temuto, ma è anche oggetto di amore, di speranza e di godimento.

Ora l'amore, la speranza e il godimento sono passioni che rientrano con il timore in un'unica suddivisione.

Perciò anche queste tre cose dovevano essere enumerate fra i doni, come il timore.

5. All'intelletto viene affiancata la sapienza, che lo dirige, alla fortezza il consiglio, alla pietà la scienza.

Quindi anche al timore bisognava affiancare un dono direttivo.

Perciò l'enumerazione dei sette doni dello Spirito Santo non è esatta.

In contrario:

Sta l'autorità della Sacra Scrittura [ Is 11,2s ].

Dimostrazione:

I doni sono abiti che predispongono l'uomo a seguire prontamente le ispirazioni dello Spirito Santo, come le virtù morali predispongono le potenze appetitive a obbedire alla ragione.

Ora, come le potenze appetitive sono fatte per essere guidate dal comando della ragione, così tutte le facoltà umane sono fatte per essere guidate dall'impulso di Dio come da una facoltà superiore.

Perciò anche i doni, come le virtù, sono in tutte le facoltà dell'uomo che possono essere princìpi di atti umani: cioè nella ragione e nella facoltà appetitiva.

Ma la ragione è speculativa e pratica: e in entrambe l'apprensione della verità, che fa parte della ricerca, è distinta dal giudizio sulla verità.

Quindi per apprendere la verità la ragione speculativa viene predisposta dall'intelletto, e la ragione pratica dal consiglio.

Per poi giudicare rettamente la ragione speculativa viene perfezionata dalla sapienza, e quella pratica dalla scienza.

- La facoltà appetitiva invece viene predisposta dalla pietà a compiere i doveri verso gli altri, mentre rispetto ai doveri verso se stessi viene premunita dalla fortezza contro la paura dei pericoli, e dal timore contro la concupiscenza disordinata dei piaceri.

Leggiamo infatti nei Proverbi [ Pr 15,27 Vg ]: « Col timore del Signore ognuno evita il male »; e nei Salmi [ Sal 119,120 ]: « Tu fai fremere di spavento la mia carne, io temo i tuoi giudizi ».

E così è evidente che i doni indicati hanno tutta l'estensione delle virtù, sia intellettuali che morali.

Analisi delle obiezioni:

1. I doni dello Spirito Santo attuano la perfezione dell'uomo in ciò che riguarda il ben vivere, mentre l'arte non è ordinata a questo, ma alle opere esterne: infatti l'arte è la retta ragione non delle azioni da compiere, ma delle cose da farsi, come insegna Aristotele [ Ethic. 6,4 ].

Tuttavia si potrebbe rispondere che nell'infusione dei doni l'arte appartiene allo Spirito Santo, che è l'agente principale, e non già all'uomo, che è come uno strumento quando è mosso da lui.

- Alla temperanza, poi, corrisponde in qualche modo il dono del timore.

Come infatti spetta alla virtù della temperanza far sì che uno si astenga dai piaceri cattivi per il bene di ordine razionale, così spetta al dono del timore far sì che uno si astenga dai piaceri cattivi per il timore di Dio.

2. Il termine giustizia deriva dalla rettitudine della ragione: perciò è più adatto a denominare una virtù che un dono.

Invece il termine pietà indica la riverenza che abbiamo verso il padre e verso la patria.

E poiché Dio è il padre di tutti gli esseri, anche il culto di Dio viene denominato pietà, come dice S. Agostino [ De civ. Dei 10,1 ].

Perciò è conveniente che sia denominato pietà il dono mediante il quale in ossequio a Dio uno fa del bene al prossimo.

3. L'anima umana non viene mossa dallo Spirito Santo senza unirsi in qualche modo con lui: come lo strumento non è mosso dall'artigiano senza un contatto, o una qualsiasi altra unione.

Ora, la prima unione dell'uomo [ con Dio ] avviene mediante la fede, la speranza e la carità.

Per cui queste virtù sono presupposte ai doni, come loro radici.

E così tutti i doni appartengono a queste tre virtù come loro derivazioni.

4. L'amore, la speranza e il godimento hanno per oggetto il bene.

Ma il sommo bene è Dio: quindi i nomi di queste tre passioni sono usati per le virtù teologali, che uniscono l'anima con Dio.

Invece il timore ha per oggetto il male, che in nessun modo può essere attribuito a Dio: esso perciò non implica l'unione con Dio, ma piuttosto la fuga da certe cose per rispetto verso Dio.

Perciò non è il nome di una virtù teologale, ma di un dono, il quale distoglie dal male meglio delle virtù morali.

5. La sapienza regola sia l'intelletto che l'affetto dell'uomo.

Quindi sono enumerati due doni come sottoposti alla sua direzione: dalla parte dell'intelletto il dono dell'intelletto e dalla parte dell'affetto il dono del timore.

Il motivo infatti che suggerisce di temere Dio viene desunto dalla considerazione della divina grandezza, che spetta alla sapienza.

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