Summa Teologica - I-II

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Articolo 5 - Se la divisione dei peccati secondo la pena comporti una diversità specifica

Infra, q. 88, a. 1; In 2 Sent., d. 42, q. 1, a. 3; De Malo, q. 7, a. 1

Pare che la divisione dei peccati secondo la pena ( la divisione, p. es., tra peccato veniale e mortale ) comporti una diversità specifica.

Infatti:

1. Cose che differiscono all'infinito non possono essere né di una sola specie, né di un unico genere.

Ma i peccati veniali e quelli mortali differiscono all'infinito: poiché il primo merita una pena temporale, il secondo invece una pena eterna.

D'altra parte la gravità della pena corrisponde alla gravità della colpa, poiché sta scritto [ Dt 25,2 ]: « Secondo la gravità del peccato sarà la misura della pena ».

Quindi il veniale e il mortale non possono essere di un unico genere, e molto meno di un'unica specie.

2. Certi peccati, come l'omicidio e l'adulterio, sono mortali per il loro genere; altri invece per il loro genere sono veniali, come le parole inutili e il ridere eccessivo.

Perciò i peccati veniali e mortali differiscono specificamente tra loro.

3. Il peccato sta alla sua punizione come l'atto virtuoso sta al premio.

Ora, il premio è il fine dell'atto virtuoso.

Quindi la pena è il fine del peccato.

Ma i peccati, come si è visto [ a. 3; cf. a. 1, ad 1 ], si distinguono specificamente tra loro secondo il fine.

Quindi si distinguono specificamente anche secondo la pena rispettiva.

In contrario:

I dati che costituiscono la specie, come le differenze specifiche, sono anteriori.

Invece la pena segue la colpa come suo effetto.

Perciò i peccati non differiscono specificamente tra loro secondo la pena rispettiva.

Dimostrazione:

Le cose che differiscono specificamente tra loro hanno due tipi di differenza.

Una che costituisce la diversità specifica: e questa differenza non si può trovare che tra cose di specie diversa, come ad es. la differenza tra razionale e irrazionale, tra animato e inanimato.

Invece la seconda differenza segue la diversità specifica; e tale differenza, sebbene in certi casi accompagni la diversità specifica, in altri può trovarsi anche in individui della medesima specie: il bianco e il nero, p. es., accompagnano la diversità specifica del corvo e del cigno, ma questa differenza può trovarsi anche dentro la stessa specie umana.

Perciò la differenza tra peccato veniale e mortale, e qualsiasi altra differenza desunta dalla punizione, non può essere costitutiva di una diversità specifica.

Infatti un elemento accidentale non può mai costituire la specie.

Ora, come dimostra Aristotele [ Phys. 2,5 ], ciò che è estraneo all'intenzione dell'agente è cosa accidentale.

D'altra parte è evidente che la pena non rientra nell'intenzione di chi pecca.

Per cui è un elemento accidentale al peccato dalla parte del peccatore medesimo.

- È invece ordinata al peccato dall'esterno, cioè dalla giustizia del giudice, il quale infligge pene diverse secondo le diverse proporzioni dei peccati.

Perciò le differenze che si verificano nella punibilità possono derivare dalla diversa specie dei peccati, ma non possono costituire tale diversità specifica.

La distinzione tra peccato veniale e mortale deriva invece dalla diversa gravità del disordine, che è un elemento integrante della nozione di peccato.

Il disordine infatti è di due specie: il primo è costituito dall'eliminazione del principio dell'ordine, mentre il secondo consiste nella distruzione di quanto deriva da tale principio, salvo però il principio stesso.

Come in un animale qualche volta il disordine della complessione giunge fino alla distruzione del principio vitale, ed è la morte; altre volte invece si verifica un disordine negli umori restando però salvo il principio vitale, ed è la malattia.

Ora, il principio di tutto l'ordine morale è il fine ultimo, che in campo pratico ha le stesse funzioni dei princìpi indimostrabili in campo speculativo, come spiega Aristotele [ Ethic. 7,8 ].

Perciò quando un'anima viene messa fuori dell'ordine dal peccato fino al distacco dall'ultimo fine, cioè da Dio, al quale si aderisce con la carità, allora si ha il peccato mortale.

Quando invece il disordine non raggiunge il distacco da Dio, allora il peccato è veniale.

Come infatti nel mondo corporeo il disordine della morte, provocato dall'eliminazione del principio vitale, è per natura irreparabile, mentre il disordine della malattia può essere riparato in forza di quanto rimane del principio vitale, così avviene nelle cose dell'anima.

In campo speculativo, p. es., chi sbaglia nei princìpi è incorreggibile; chi invece sbaglia salvando i princìpi può essere corretto mediante i princìpi stessi.

Così dunque, in campo pratico, chi col peccato si distacca dall'ultimo fine commette una caduta di per sé irreparabile, per cui si dice che pecca mortalmente, e merita una pena eterna.

Chi invece nel peccare non arriva al distacco da Dio, produce un disordine per sua natura riparabile, poiché è salvo il principio: per cui si dice che pecca venialmente, in quanto non pecca al punto di meritare una pena senza fine.

Analisi delle obiezioni:

1. Il peccato veniale e mortale differiscono all'infinito rispetto all'allontanamento [ da Dio ], ma non in rapporto alla conversione, o al volgersi verso le creature, sotto il quale aspetto il peccato riguarda il proprio oggetto, e riceve la specie.

Perciò nulla impedisce che nella medesima specie si trovino peccati veniali e mortali: i primi moti di adulterio, p. es., sono peccati veniali, mentre le parole oziose, che per lo più sono veniali, in certi casi possono essere peccato mortale.

2. Il fatto che esistano dei peccati mortali o veniali nel loro genere dimostra che questa differenza accompagna la differenza specifica di tali peccati, ma non prova che ne sia la causa.

Infatti la medesima differenza può riscontrarsi anche in peccati della medesima specie, come si è spiegato [ nel corpo ].

3. Mentre il premio rientra nell'intenzione di chi merita, cioè di chi agisce virtuosamente, la pena non rientra nell'intenzione di chi pecca, anzi, è contro la sua volontà.

Perciò il paragone non regge.

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