Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se nell'uomo i beni di natura possano essere distrutti totalmente dal peccato

I, q. 48, a. 4; In 2 Sent., d. 6, q. 1, a. 4, ad 3; d. 35, q. 1, a. 5; De Malo, q. 2, a. 12; C. G., III, c. 12

Pare che tutto il bene naturale dell'uomo possa essere distrutto dal peccato.

Infatti:

1. I beni naturali dell'uomo sono finiti, essendo finita la stessa natura umana.

Ma qualsiasi finito viene consumato totalmente da una sottrazione continua.

Quindi, potendo il peccato sminuire di continuo i beni di natura, sembra che alla fine possa giungere a consumarli del tutto.

2. Trattandosi di realtà di una stessa natura, la ragione che vale per la parte vale anche per il tutto: come è evidente nel caso dell'aria, dell'acqua, della carne, e di tutti i corpi formati di parti omogenee.

Ora, il bene di natura è del tutto uniforme.

Perciò dal fatto che il peccato può eliminarne una parte, ne segue che può eliminarlo del tutto.

3. Il bene di natura che il peccato sminuisce è la predisposizione alla virtù.

Ora, in alcuni tale predisposizione è completamente distrutta dal peccato: il che è evidente nei dannati, i quali sono irricuperabili alla virtù come i ciechi alla vista.

Quindi il peccato può togliere completamente il bene di natura.

In contrario:

S. Agostino [ Enchir. 14 ] afferma che « il male non può sussistere che nel bene ».

Ma il male della colpa non può risiedere nei beni della virtù e della grazia, che gli sono contrari.

Quindi esso deve trovarsi nel bene di natura.

Quindi non lo elimina completamente.

Dimostrazione:

Come si è visto [ a. prec. ], il bene di natura che il peccato può sminuire è l'inclinazione naturale alla virtù.

E questa appartiene all'uomo per il fatto stesso che è un essere razionale: infatti da ciò deriva il suo agire secondo ragione, che poi è un agire secondo la virtù.

Ora, il peccato non può togliere del tutto a un uomo la razionalità: perché egli allora non sarebbe più capace di peccare.

Non è quindi possibile che tale bene di natura sia del tutto eliminato.

Siccome però si riscontra che tale bene viene continuamente sminuito dal peccato, alcuni, per chiarire la cosa, si sono serviti di qualche esempio in cui si riscontra la diminuzione indefinita di un'entità finita senza che si arrivi al suo totale esaurimento.

Ora, il Filosofo [ Phys. 3,6 ] insegna che se da una quantità finita si toglie di continuo una parte sempre della stessa misura, p. es. un palmo, si arriva al suo esaurimento.

Se invece la sottrazione viene ripetuta sempre secondo una certa proporzione, e non secondo una stessa quantità, si potrà continuare all'infinito.

Se una quantità, p. es., viene divisa in due parti, e da ciascuna se ne sottrae la metà, si può ripetere all'infinito questa operazione; tuttavia la sottrazione successiva sarà sempre minore della precedente.

- Ora, ciò nel nostro caso non avviene: infatti il peccato successivo non sempre sminuisce il bene di natura meno del precedente, anzi forse lo sminuisce di più, se è più grave.

Seguendo dunque un'altra spiegazione, diremo che questa inclinazione è da ritenere intermedia fra due cose: è fondata infatti nella natura razionale come nella sua radice, e tende al bene della virtù come al suo termine o fine.

E così la sua menomazione può essere intesa in due maniere: dal lato della sua radice o dal lato del suo termine.

Nel primo senso dunque l'inclinazione non può essere menomata dal peccato: il peccato infatti, come si è visto [ a. prec. ], non sminuisce la natura.

Può essere invece menomata nel secondo senso, col frapporsi cioè di un ostacolo al raggiungimento del suo termine.

Ora, se venisse sminuita nel primo senso, a un certo punto dovrebbe essere del tutto esaurita, con l'esaurimento totale della natura umana.

Siccome invece viene menomata col frapporsi di un ostacolo al raggiungimento del suo termine, è chiaro che può essere menomata all'infinito, poiché si possono frapporre infiniti ostacoli, dato che l'uomo può aggiungere all'infinito peccato a peccato.

E tuttavia non si arriva mai a esaurirla del tutto, poiché rimane sempre la radice di tale inclinazione.

E la cosa viene chiarita dall'esempio dell'aria, che è un corpo diafano disposto per sua natura a ricevere la luce: questa predisposizione o attitudine infatti, sebbene diminuisca al sopraggiungere delle nuvole, tuttavia rimane sempre nella radice della sua natura.

Analisi delle obiezioni:

1. L'argomento è valido se si tratta di una diminuzione fatta per sottrazione.

Qui invece la diminuzione avviene per una sovrapposizione di ostacoli, la quale non può né togliere né menomare la radice, secondo le spiegazioni date [ nel corpo ].

2. L'inclinazione naturale è tutta uniforme; essa però dice relazione sia a un principio che a un termine, per cui da una parte ammette menomazioni e dall'altra non le ammette.

3. Anche nei dannati rimane l'inclinazione naturale alla virtù: altrimenti in essi non ci sarebbe il rimorso della coscienza.

Però non passa all'atto, poiché la divina giustizia sottrae loro la grazia.

E così anche nel cieco nato rimane l'attitudine radicale a vedere, in quanto è un animale che per natura ha la vista; ma non può passare all'atto perché manca una causa capace di condurvelo, producendo l'organo richiesto per vedere.

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