Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se la legge nuova sia distinta dalla legge antica

Supra, q. 91, a. 5; In Gal., c. 1, lect. 2

Pare che la legge nuova non sia distinta dall'antica.

Infatti:

1. Ambedue le leggi sono date a coloro che credono in Dio: poiché, secondo S. Paolo [ Eb 11,6 ], « senza la fede è impossibile piacere a Dio ».

Ora, la Glossa [ ord. su 2 Cor 4,13 ] afferma che la fede degli antichi è identica a quella di oggi.

Quindi è identica anche la legge.

2. S. Agostino [ Contra Adamant. 17 ] scrive che « tra la Legge e il Vangelo la distanza è breve, quella cioè che passa fra il timore e l'amore ».

Ma le due leggi ricordate non si possono distinguere su questo punto, poiché anche nell'antica legge troviamo i precetti della carità: « Amerai il tuo prossimo », e « Amerai il Signore tuo Dio » [ Lv 19,18; Dt 6,5 ].

- E così pure non si possono distinguere secondo l'altra differenza proposta da S. Agostino [ Contra Faustum 4,2 ], cioè per il fatto « che l'antico Testamento presentava promesse temporali, mentre il nuovo presenta promesse spirituali ed eterne ».

Infatti anche nel nuovo Testamento si fanno delle promesse temporali, come in quel passo di S. Marco [ Mc 10,30 ]: « Riceverà al presente cento volte tanto in case, fratelli », ecc., mentre anche nell'antico Testamento si aveva la speranza di cose spirituali ed eterne, come si rileva dalle parole di S. Paolo [ Eb 11,16 ]: « Essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste ».

E ciò viene detto degli antichi Patriarchi.

Quindi sembra che la legge nuova non si distingua dall'antica.

3. Sembra che l'Apostolo [ Rm 3,27 ] voglia distinguere le due leggi col chiamare l'antica « legge delle opere », e la nuova « legge della fede ».

Ma la legge antica fu anch'essa della fede, secondo l'espressione di S. Paolo [ Eb 11,39 ] che si riferisce agli antichi Padri: « Tutti costoro ebbero una buona testimonianza per la loro fede ».

E d'altra parte anche la legge nuova è una legge di opere, poiché si legge nel Vangelo [ Mt 5,44 ]: « Fate del bene a quelli che vi odiano »; e ancora [ Lc 22,19 ]: « Fate questo in memoria di me ».

Quindi la legge nuova non si distingue dall'antica.

In contrario:

L'Apostolo [ Eb 7,12 ] insegna: « Mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge ».

Ma il sacerdozio del nuovo Testamento, come S. Paolo dimostra nel brano citato, è distinto da quello dell'antico Testamento.

Quindi è distinta anche la legge.

Dobbiamo quindi concludere che la legge nuova non differisce dall'antica nel primo modo: essendo unico il fine di entrambe, cioè la sottomissione degli uomini a Dio; ed essendo d'altra parte unico il Dio del nuovo e dell'antico Testamento, secondo l'espressione dell'Apostolo [ Rm 3,30 ]: « Unico è il Dio che giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi ».

- La legge nuova si distingue invece dall'antica nell'altro modo.

Poiché la legge antica è come il pedagogo dei bambini, secondo le parole dell'Apostolo [ Gal 3,24 ], mentre la legge nuova è una legge di perfezione, in quanto legge della carità, di cui l'Apostolo afferma che è « il vincolo della perfezione » [ Col 3,14 ].

Analisi delle obiezioni:

1. L'unità della fede dei due Testamenti dimostra l'unità del fine: infatti sopra [ q. 62, a. 2 ] si è spiegato che l'oggetto delle virtù teologali, tra le quali c'è la fede, è il fine ultimo.

Tuttavia la fede ebbe stati diversi nell'antica e nella nuova legge: poiché quanto allora veniva creduto come cosa futura, oggi lo si crede come cosa avvenuta.

2. Tutte le differenze che si è soliti stabilire fra l'antica e la nuova legge sono concepite in base ai rapporti fra una cosa imperfetta e la sua perfezione.

Infatti i precetti di qualsiasi legge riguardano sempre gli atti delle virtù.

Ma a compiere tali atti non sono spinti allo stesso modo gli uomini imperfetti, che non hanno ancora l'abito della virtù, e quelli già perfetti grazie ai loro abiti virtuosi.

Poiché chi è privo dell'abito virtuoso è spinto ad agire virtuosamente da una causa estrinseca: p. es. dalla minaccia del castigo, o dalla promessa di un premio, come gli onori, le ricchezze o altro del genere.

E così la legge antica, che fu data a uomini imperfetti, cioè privi della grazia spirituale, veniva detta « legge del timore », poiché induceva all'osservanza dei precetti con la minaccia di determinati castighi.

E si dice che aveva delle promesse di beni temporali.

- Invece gli uomini provvisti di virtù sono spinti all'esercizio delle azioni virtuose dall'amore della virtù, e non da qualche castigo o premio estrinseco.

E così la legge nuova, che consiste principalmente nella grazia divina infusa nei cuori, viene chiamata « legge dell'amore ».

E si dice che ha promesse spirituali ed eterne, che sono l'oggetto stesso della virtù, specialmente della carità.

Perciò a queste le persone virtuose sono portate per se stesse, non come verso cose estranee, ma come verso il proprio oggetto.

- E per questo stesso motivo si dice [ P. Lomb., Sent. 3,40 ] che l'antica legge « tratteneva la mano, ma non l'animo »: poiché quando uno si astiene dal peccato per paura del castigo la sua volontà non desiste dalla colpa in senso assoluto, come fa invece la volontà di colui che se ne allontana per amore dell'onestà.

Per cui si dice [ ib. ] che la legge nuova, che è una legge di amore, « trattiene l'animo ».

Tuttavia nell'antico Testamento ci furono delle anime ripiene di carità e di grazia dello Spirito Santo, che guardavano principalmente alle promesse spirituali ed eterne.

E sotto tale aspetto costoro appartenevano alla legge nuova.

E così pure nel nuovo Testamento ci sono degli uomini carnali che non hanno ancora raggiunto la perfezione della legge nuova, e che bisogna indurre alle azioni virtuose con la paura del castigo, o con la promessa di beni temporali.

In ogni caso però la legge antica, anche se dava i precetti della carità, non era tuttavia in grado di offrire lo Spirito Santo, per mezzo del quale, come dice S. Paolo [ Rm 5,5 ], « l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori ».

3. Come sopra [ q. 106, aa. 1,2 ] si è detto, la legge nuova viene denominata « legge della fede » in quanto il suo elemento principale consiste nella grazia interiore concessa ai credenti: tanto che è denominata anche « grazia della fede ».

Come elemento secondario troviamo tuttavia in essa delle azioni sia morali che sacramentali; ma esse non costituivano l'aspetto principale della legge nuova, come invece lo costituiscono per quella antica.

Quelli però che nell'antico Testamento furono accetti a Dio per la fede, sotto questo aspetto appartenevano al nuovo Testamento: infatti essi non venivano giustificati se non dalla fede in Cristo, artefice del nuovo Testamento.

Per cui riguardo a Mosè così si esprime l'Apostolo [ Eb 11,26 ]: « Stimava l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto ».

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