Summa Teologica - II-II

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Articolo 12 - Se si debbano amare di più i benefattori o i beneficati

In 3 Sent., d. 29, q. 1, a. 7, ad 2; In 9 Ethic., lect. 7

Pare che si debbano amare più i benefattori che i beneficati.

Infatti:

1. Come dice S. Agostino [ De cat. rud. 4.7 ], « nessuna spinta ad amare è così forte come il prevenire con la benevolenza: è davvero duro infatti quell'animo che, non volendo amare per primo, si rifiuta di riamare ».

Ora, i benefattori ci prevengono con i benefici della loro carità.

Quindi li dobbiamo amare più degli altri.

2. Tanto più uno merita di essere amato quanto più gravemente si pecca nel cessare di amarlo, o nell'agire contro di lui.

Ma chi non ama il suo benefattore, o agisce contro di lui, pecca più gravemente di chi cessa di amare colui che finora ha beneficato.

Perciò i benefattori devono essere amati più di quelli che benefichiamo.

3. Fra tutti gli esseri da amare Dio è quello che deve essere amato di più, e dopo di lui il padre, come dice S. Girolamo [ In Ez 13, su 44,25 ].

Ora, questi sono i nostri massimi benefattori.

Quindi i benefattori vanno amati di più.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 9,7 ] fa notare che « i benefattori mostrano di amare di più i beneficati che viceversa ».

Dimostrazione:

Come si è già notato [ aa. 7,9,11 ], una cosa può essere maggiormente amata per due motivi: primo, perché si presenta come un bene superiore; secondo, a motivo di un legame più stretto.

In base al primo motivo, dunque, deve essere amato di più il benefattore: perché essendo questi causa o principio del bene nel beneficato, si presenta come un bene superiore, stando al rilievo già fatto [ a. 9 ] a proposito del padre.

Invece in base al secondo motivo noi amiamo di più i beneficati per quattro ragioni, come dimostra il Filosofo [ l. cit. ].

Primo, perché il beneficato in qualche modo è opera del benefattore: infatti si usa dire: « Costui è una creatura del tale ».

Ora, è naturale per ciascuno amare l'opera propria: vediamo infatti che i poeti amano le loro poesie.

E questo perché ogni cosa ama il proprio essere e il proprio vivere, il quale si manifesta specialmente nell'operare.

- Secondo, perché ogni essere per natura ama ciò in cui vede il proprio bene.

Ora, il benefattore vede il proprio bene nel beneficato, e viceversa; ma mentre il benefattore scorge nel beneficato un suo bene onesto, il beneficato vede nel benefattore un suo bene utile.

Ora, il bene onesto viene considerato con maggior piacere del bene utile: sia perché è più duraturo - infatti un'utilità passa presto, e il piacere del suo ricordo non è come il godimento di una cosa presente -, sia perché ricordiamo con più piacere i beni onesti che non i vantaggi procuratici da altri.

- Terzo, perché chi ama tende ad agire, volendo procurare il bene della persona amata, mentre quest'ultima è passiva.

Perciò amare è un segno di superiorità.

E così spetta al benefattore amare di più.

- Quarto, perché è più difficile distribuire dei benefici che riceverli.

Ora, le cose che ci costano di più le amiamo maggiormente, mentre disprezziamo in un certo senso quelle che raggiungiamo con facilità.

Analisi delle obiezioni:

1. Sta al benefattore provocare alla benevolenza verso di sé il beneficato.

Il benefattore invece ama il beneficato non come provocato da lui, ma mosso da se stesso.

Ora, chi agisce da sé è superiore a chi agisce sotto la spinta di altri.

2. L'amore del beneficato verso il benefattore è più doveroso: quindi gli atti contrari sono più peccaminosi.

Però l'amore del benefattore per il beneficato è più spontaneo: quindi ha una maggiore prontezza.

3. Dio stesso ci ama più di quanto noi lo amiamo; e così pure i genitori amano i figli più di quanto siano amati da loro.

Non ne segue però che noi amiamo qualsiasi beneficato più di tutti i nostri benefattori.

Infatti i benefattori dai quali abbiamo ricevuto i massimi benefici, cioè Dio e i genitori, li preferiamo a coloro a cui abbiamo procurato benefici meno importanti.

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