Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se sia ragionevole che alcuni per legge siano esclusi dall'ufficio di avvocato

Infra, q. 188, a. 3, ad 2

Pare che non sia ragionevole che alcuni per legge siano esclusi dall'ufficio di avvocato.

Infatti:

1. Nessuno deve essere distolto dalle opere di misericordia.

Ora, patrocinare delle cause è un'opera di misericordia, come si è detto [ a. prec. ].

Quindi nessuno deve essere escluso da questo incarico.

2. Pare che delle cause contrarie non possano avere un identico effetto.

Ma l'essere dediti alle cose divine e l'essere dediti al peccato sono cose contrarie.

Perciò non è ragionevole che alcuni siano esclusi dall'ufficio di avvocato per motivi religiosi, come i monaci e i chierici, e altri per delle colpe, come i pregiudicati e gli eretici.

3. Un uomo è tenuto ad amare il prossimo come se stesso.

Ma uno degli effetti della carità consiste nel difendere in qualità di avvocato le cause altrui.

Perciò è irragionevole che ad alcuni si conceda la facoltà di patrocinare le cause proprie e non si conceda quella di patrocinare le cause altrui.

In contrario:

Il Diritto Canonico [ Decr. di Graz. 2, 3, 7, 2 ] esclude molte persone dall'ufficio di avvocato.

Dimostrazione:

Si può essere impediti di compiere un atto per due motivi diversi: primo, per incapacità; secondo, per sconvenienza.

Ma l'incapacità esclude in modo assoluto dal compimento di un atto, mentre il difetto di convenienza non esclude del tutto, potendo essere eliminato dalla necessità.

Così dunque alcuni sono esclusi dall'ufficio di avvocato per incapacità, cioè per mancanza di senso interno, come i pazzi e gli impuberi, o di senso esterno, come i sordi e i muti.

Infatti l'avvocato ha bisogno di perizia interiore, per poter dimostrare efficacemente la giustizia della causa patrocinata, e inoltre ha bisogno della loquela e dell'udito, per parlare e per ascoltare quanto gli si dice.

Per cui coloro che mancano di queste qualità sono esclusi assolutamente dal compito di avvocato, sia per se stessi che per gli altri.

La convenienza poi richiesta dall'esercizio di questo compito può essere compromessa in due modi.

Primo, dal fatto che uno è tenuto a dei compiti più alti.

Per cui ai monaci e ai sacerdoti non si addice di essere avvocati in nessuna causa, e ai chierici non si addice di esserlo nei tribunali civili: poiché tali persone sono deputate alle cose divine.

- Secondo, per un difetto personale: o fisico, come nel caso dei ciechi, che non possono presentarsi come si conviene dinanzi a un giudice, o spirituale, non essendo decoroso che si presenti a patrocinare la giustizia per un altro chi l'ha disprezzata in se stesso.

Perciò i pregiudicati, i negatori della fede e i condannati per gravi delitti non possono compiere decorosamente l'ufficio di avvocato.

Tuttavia il bisogno passa sopra a una simile sconvenienza.

E così queste persone possono assolvere l'ufficio di avvocato per se stesse, oppure per chi loro appartiene.

Per cui anche i chierici possono patrocinare le cause delle loro chiese, e i monaci quelle dei loro monasteri, dietro il comando dell'abate.

Analisi delle obiezioni:

1. Dall'esercitare le opere di misericordia si può essere impediti sia per incapacità, sia per motivi di convenienza.

Infatti non tutte queste opere si addicono a tutti: agli stolti p. es. non si addice consigliare, e agli ignoranti insegnare.

2. Come la virtù può essere distrutta da un eccesso e da un difetto, così la sconvenienza può nascere dal più e dal meno.

E così alcuni, ossia i religiosi e i chierici, sono esclusi dal patrocinare le cause perché la loro dignità è superiore a questo ufficio; altri invece, come i pregiudicati e i miscredenti, perché sono impari ad assolverlo.

3. A nessuno incombe la necessità di patrocinare le cause altrui come la causa propria, poiché gli altri possono rimediare diversamente.

Per cui l'argomento non vale.

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