Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se nel culto del vero Dio ci possa essere qualcosa di condannabile

I-II, q. 103, a. 4

Pare che nel culto del vero Dio non ci possa essere qualcosa di condannabile.

Infatti:

1. Sta scritto [ Gl 3,5 ]: « Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato ».

Ma chiunque presta un culto a Dio in qualsiasi maniera invoca il suo nome.

Quindi qualsiasi culto di Dio assicura la salvezza.

E così nessun culto è condannabile.

2. È lo stesso Dio che è venerato dai giusti in tutte le età del mondo.

Ma prima che fosse data la legge i giusti esercitavano il loro culto verso Dio come a loro piaceva: infatti anche Giacobbe col proprio voto si obbligò a un culto speciale, come si legge nella Genesi [ Gen 28,20ss ].

Perciò anche adesso nessun atto di culto verso Dio è condannabile.

3. Nella Chiesa non viene tollerato alcunché di condannabile.

Ma la Chiesa tollera riti diversi nel culto di Dio: infatti S. Gregorio [ Registr. 11, epist. 64 ] così scrive a S. Agostino vescovo d'Inghilterra, il quale gli prospettava le diverse consuetudini delle varie chiese nella celebrazione della Messa: « Io desidero che tu scelga con cura ciò che hai trovato di più gradito all'onnipotente Iddio, sia a Roma che nelle Gallie o in qualsiasi altra chiesa ».

Quindi nessun modo di prestare un culto a Dio può essere condannabile.

In contrario:

S. Agostino [ Epist. 82,2.18 ] afferma che le osservanze legali praticate dopo la divulgazione della verità del Vangelo sono mortifere [ cf. Glossa ord. di Girol. su Gal 2,14 ].

Eppure tali osservanze appartengono al culto di Dio.

Perciò negli atti del culto di Dio ci può essere qualcosa di mortifero.

Dimostrazione:

Come insegna S. Agostino [ Contra mendacium 3 ], la menzogna più dannosa è quella relativa alle cose che riguardano la religione cristiana.

Ora, è una menzogna esprimere con segni esterni il contrario della verità.

Ma come una cosa viene espressa con le parole, così può esserlo anche con dei gesti; e il culto esterno della religione, come si è visto [ q. 81, a. 7 ], consiste proprio in tali espressioni.

Perciò se dal culto esterno viene espresso qualcosa di falso, si tratta di un culto condannabile.

Ora, ciò può capitare in due modi.

Primo, per la discrepanza tra l'atto di culto e la realtà da esso significata.

Ed è così che risulta condannabile nel tempo della nuova legge, quando ormai i misteri di Cristo si sono compiuti, l'uso delle cerimonie dell'antica legge, nelle quali i misteri di Cristo sono significati come futuri: precisamente come sarebbe condannabile che uno dichiarasse con le parole che la passione di Cristo deve ancora avvenire.

Secondo, nel culto esterno la falsità può dipendere dalle disposizioni di chi lo esercita: e questo specialmente nel culto pubblico esercitato dai ministri a nome di tutta la Chiesa.

Come infatti sarebbe un falsario chi a nome di una persona facesse proposte diverse da quelle di cui è stato incaricato, così incorre nel peccato di falsità chi a nome della Chiesa offre a Dio un culto contrastante con le forme stabilite dalla Chiesa stessa con l'autorità di Dio e in essa consuete.

Da cui le parole di S. Ambrogio [ cf. Glossa P. Lomb. su 1 Cor 11,27 ]: « È indegno colui che celebra i divini misteri diversamente da come Cristo li ha istituiti ».

Ed è per questo che la Glossa [ P. Lomb. su Col 2,23 ] precisa che si ha superstizione « quando alle tradizioni umane si dà il nome di religione ».

Analisi delle obiezioni:

1. Dio, essendo la verità, è invocato da coloro che lo adorano « in spirito e verità », come dice il Vangelo [ Gv 4,24 ].

Perciò un atto di culto che contiene una falsità non rientra propriamente tra le salutari invocazioni di Dio.

2. Prima della promulgazione della legge i giusti erano istruiti sul modo di prestare il culto a Dio da un'ispirazione interiore, e gli altri li imitavano.

In seguito invece gli uomini furono istruiti in ciò da precetti formulati esternamente, che è peccaminoso trasgredire.

3. Le varie consuetudini esistenti nella Chiesa per il culto divino non ripugnano in alcun modo alla verità.

Esse perciò vanno conservate, ed è illecito trasgredirle.

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