Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se la tentazione di Dio si contrapponga alla virtù della religione

In Hebr., c. 3, lect. 2

Pare che la tentazione di Dio non si contrapponga alla virtù della religione.

Infatti:

1. La tentazione di Dio ha natura di peccato, come sopra [ a. prec. ] si è detto, perché si dubita di Dio.

Ma dubitare delle cose di Dio rientra nel peccato di incredulità, il quale si contrappone alla fede.

Quindi la tentazione di Dio si contrappone più alla fede che alla religione.

2. Sta scritto [ Sir 18,23 ]: « Prima della preghiera prepara te stesso, non fare come un uomo che tenta il Signore ».

E la Glossa [ interlin. ] commenta: « Costui », cioè chi tenta Dio, « domanda come è stato insegnato, ma non agisce come Dio ha comandato ».

Ora, questo è un atto di presunzione, che si contrappone alla speranza.

Quindi la tentazione di Dio pare un peccato contrario alla speranza.

3. A proposito di quelle parole del Salmo [ Sal 78,18 ]: « Nel loro cuore tentarono Dio », la Glossa [ interlin. ] nota che « tentare Dio è chiedere con inganno: avendo cioè la semplicità nelle parole mentre nel cuore c'è la malizia ».

Ma l'inganno si contrappone alla virtù della veracità.

Quindi la tentazione di Dio non è il contrapposto della religione, bensì della veracità.

In contrario:

Come si è visto dalla Glossa [ cf. ob. 2,3 ], tentare Dio è pregarlo in maniera sregolata.

Ora, pregare nel debito modo è un atto di religione, come si è visto sopra [ q. 83, a. 15 ].

Quindi tentare Dio è un peccato contrario alla virtù della religione.

Dimostrazione:

Il fine della religione, come si è notato [ q. 81, a. 5 ], consiste nel rendere a Dio l'onore dovuto.

Perciò tutti gli atti che direttamente costituiscono una mancanza di rispetto verso Dio si contrappongono alla religione.

Ora, è evidente che tentare una persona è mancarle di rispetto: nessuno infatti osa tentare una persona di cui conosce con certezza l'eccellenza.

È quindi evidente che tentare Dio è un peccato contrario alla virtù della religione.

Analisi delle obiezioni:

1. Come si è visto [ q. 81 a. 7 ], è compito della religione protestare la fede con dei segni di onore e di rispetto verso Dio.

Quindi è proprio dell'irreligiosità il far sì che un uomo, per l'incertezza della fede, compia atti di irriverenza verso il Signore, tra i quali vi è il tentare Dio.

E così tale tentazione è una specie dell'irreligiosità.

2. Chi prima della preghiera non prepara la sua anima, « perdonando se ha qualcosa verso qualcuno » [ Mc 11,25 ], oppure non disponendosi altrimenti alla devozione, non fa quanto sta in lui per essere esaudito da Dio.

Egli perciò implicitamente tenta Dio.

E sebbene tale tentazione implicita derivi da presunzione o da indiscrezione, tuttavia l'atto stesso di trattare con presunzione e senza la debita diligenza le cose che riguardano Dio è un'irriverenza verso la Divinità; poiché sta scritto [ 1 Pt 5,6 ]: « Umiliatevi sotto la potente mano di Dio »; e altrove [ 2 Tm 2,15 ]: « Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione ».

Perciò anche questo modo di tentare Dio è una specie dell'irreligiosità.

3. Si dice che uno domanda con inganno non in rapporto a Dio, il quale conosce i segreti dei cuori, ma in rapporto agli uomini.

Perciò l'inganno è un fatto accidentale nella tentazione di Dio.

E così non ne segue che la tentazione suddetta si opponga direttamente alla veracità.

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