Supplemento alla III parte

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Articolo 6 - Se compiere l'atto coniugale senza proporsi uno dei beni del matrimonio, ma per il solo piacere, sia sempre un peccato grave

Pare che compiere l'atto coniugale senza proporsi uno dei beni del matrimonio, ma per il solo piacere, sia sempre un peccato grave.

Infatti:

1. S. Girolamo [ In Eph. 3, su 5,25; cf. P. Lomb., Sent. 4,31,5 ] afferma: « I piaceri che si godono tra le braccia delle meretrici sono condannabili anche se presi con la propria moglie ».

Ma non si dice condannabile se non il peccato mortale.

Quindi unirsi al coniuge per il solo piacere è sempre peccato mortale.

2. Acconsentire al piacere è peccato mortale, come si è visto sopra [ cf. I-II, q. 74, a. 8 ].

Ma chi usa del matrimonio per il solo godimento acconsente al piacere.

Quindi pecca mortalmente.

3. Chi nel fare uso della creatura non la riferisce a Dio, la fa oggetto di fruizione: e questo è un peccato mortale.

Ora, chi compie l'atto coniugale per il solo piacere non riferisce a Dio l'uso della creatura.

Perciò fa peccato mortale.

4. Nessuno può essere scomunicato se non per un peccato mortale.

Ma chi compie l'atto coniugale solo per il piacere non viene ammesso in chiesa, alla maniera degli scomunicati, come riferisce il libro delle Sentenze [ 4,31,8 ].

Quindi costui pecca mortalmente.

In contrario:

1. S. Agostino [ De bono coniug. 6,6; cf. Sent., l. cit. nell'ob. 1 ] pone tali rapporti tra i peccati quotidiani per i quali si chiede perdono nel Padre Nostro.

Ma questi non sono peccati mortali.

Quindi ecc.

2. Chi mangia solo per il piacere non fa peccato mortale.

Così non può farlo chi compie l'atto coniugale solo per sfogare la concupiscenza.

Dimostrazione:

Secondo alcuni tutte le volte che nell'atto coniugale il piacere è il movente principale, si ha un peccato mortale; quando invece è solo un movente concomitante, si ha un peccato veniale; quando infine si respinge del tutto il piacere e se ne prova rammarico, allora l'atto è del tutto senza peccato veniale.

Per cui cercare in quell'atto il piacere è peccato mortale, acconsentire al piacere connesso è peccato veniale, detestarlo è perfezione.

Ma ciò non può essere.

Poiché, come insegna il Filosofo [ Ethic. 10,2 ], l'identico giudizio vale per il piacere e per l'azione che lo produce, per cui il piacere di un'azione buona è buono e quello di un'azione cattiva è cattivo.

Non essendo quindi l'atto matrimoniale essenzialmente cattivo, cercarne il piacere non può essere sempre peccato mortale.

Si deve perciò concludere che se uno cerca il piacere trasgredendo la legge del matrimonio, nel senso che nella moglie non vede che la donna, essendo disposto a compiere quell'atto anche se non fosse sua moglie, allora l'atto è un peccato mortale.

E costui può essere detto « l'amante eccessivo di sua moglie » [ Sent. 4,31,5 ]: poiché la passione lo porta fuori dei beni del matrimonio.

Se invece il piacere è contenuto entro i limiti del matrimonio, nel senso cioè che quei piaceri vengono perseguiti solo col proprio coniuge, allora è un peccato veniale.

Analisi delle obiezioni:

1. Il marito cerca nella moglie i piaceri del meretricio se considera in essa solo quanto si aspetterebbe da una meretrice.

2. Il consenso al piacere di un rapporto sessuale che è peccato mortale, è peccato mortale.

Ma tale non è il piacere dell'atto matrimoniale.

3. Sebbene chi agisce così non riferisca attualmente a Dio il proprio piacere, tuttavia non pone in esso il suo fine ultimo: altrimenti lo cercherebbe ovunque indifferentemente.

Non rende quindi necessariamente la creatura oggetto di fruizione, ma ne fa uso per se stesso, mentre ordina se stesso a Dio abitualmente, sebbene non attualmente.

4. Il testo non dice che l'uomo per questo merita di essere scomunicato, ma che si rende inadatto ai beni spirituali, poiché con quell'atto l'uomo diventa « totalmente carnale » [ Agost., Serm. 162 ].

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