Francesco Fonti

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La libertà d'azione concessa da un'azienda umanamente e professionalmente solida

Francesco Fonti possedeva in misura straordinaria una dote intellettuale che gli permetteva di condurre parallelamente e senza intoppi il doppio impegno Casa di Carità / azienda: potremmo parlare di una spiccata attitudine al distacco e alla concentrazione "settoriale".

Per quanto fossero urgenti gli affari in corso, riusciva a sospenderli di colpo con la massima naturalezza, per buttarsi a capofitto nelle pratiche della Casa di Carità.

Mentre in fabbrica procedeva il via-vai di tecnici ed operai in tutt'altre faccende affaccendati, Fonti afferrava l'apposita cartellina, ne tirava fuori i documenti e i rendiconti intestati col caratteristico sigillo dell'incudine e della croce e, come d'incanto, si trasformava da amministratore aziendale in Presidente dell'Opera.

Poteva estraniarsi completamente da tutte le altre occupazioni ( scadenze, contratti ecc. ) per concentrarsi solo sui problemi dei ragazzi e degli insegnanti di Corso Brin.

Spesso portava il lavoro di scuola nell'ufficio di via Lorenzini e chi lavorava accanto alla sua scrivania, gli invidiava questo distacco professionale.

Se infatti sono preso da qualche problema, non riesco a togliermelo dalla testa finché non l'ho risolto.

Ho enormi difficoltà a lasciare a metà un lavoro per affrontare serenamente altre faccende; il solo pensiero mi angustia.

Francesco, invece, passava senza esitazioni dai problemi inerenti a spedizioni od ordinativi, alle riunioni del corpo docenti. ( Obialero )

Il Catechista dedicava tre ore della mattinata alla scuola - dove si recava di solito per firmare pile di circolari e … assegni - ed il resto della giornata all'azienda.

Talvolta il fratello Giovanni si lagnava un po', perché in alcuni momenti critici ( telefonate importanti, contratti da definire ) l'ufficio amministrativo rimaneva "scoperto".

Tuttavia, la conduzione parallela delle due attività, procedeva speditamente e, pur essendo un Presidente "dimezzato", Francesco Fonti fece un ottimo lavoro.

La sua capacità di conciliare il lavoro in fabbrica con quello della scuola era favorita da una situazione aziendale molto solida: fin dagli anni '40 aveva selezionato un gruppo di tecnici ed operai dotati di un forte senso di responsabilità.

Funzionando bene la ditta, Fonti poteva dedicarsi alla Casa di Carità con metodo e continuità.

In caso contrario avrebbe dovuto sacrificare ogni minuto del suo tempo prezioso all'amministrazione dell'azienda e agli eventuali interventi di risanamento.

Ma quello messo in piedi nel 1951 in via Lorenzini era un meccanismo ben oliato che funzionava in buona parte "da sé" ( grazie all'affidabilità dei dipendenti e al loro attaccamento al "marchio Fonti" ) e non necessitava di una costante e poliziesca vigilanza.

In situazioni di questo genere - a giudizio del fratello Pietro - è relativamente facile tenere il polso della situazione, basta verificare i profitti.

Se questi iniziano progressivamente a decrescere significa che qualcosa non funziona a dovere: può essere colpa del cliente che ritarda il pagamento, oppure, e qui la cosa si complica, può dipendere da qualche reparto che non lavora nei termini previsti.

In questi casi il titolare deve studiare attentamente i consuntivi ed intervenire con energia razionalizzando le spese, snellendo le procedure, riassettando quei settori ( spedizioni, officine, relazioni esterne ) dove gli ingranaggi girano a vuoto.

Una volta messo al riparo dalle crisi aziendali ( la più grave venne superata con successo a metà degli anni '60, quella degli anni '90 non lo interessò in quanto fu di poco successiva alla cessione dell'azienda ), Fonti dovette risolvere alcune "questioni di coscienza" che toccavano da vicino la natura ed i fini della Casa di Carità, sulla quale, come Presidente e Catechista avrebbe dovuto rispondere … al "Principale" del Creato.

Nel corso delle assemblee degli anni '90 mio fratello ha lanciato una serie di moniti contro l'ipotesi di fondare la principale Opera dell'Unione Catechisti sulla mera rendita finanziaria, cosa che avrebbe snaturato lo spirito della Casa di Carità.

Più in generale, temeva che sulla lunga distanza si potesse verificare un disorientamento ideale della scuola, che, cioè, si perdessero di vista quelli che erano stati gli intendimenti di Fr. Teodoreto. ( P. Fonti )

Francesco Fonti, pur essendo poco portato ai panegirici roboanti, ha sempre nutrito una grande venerazione per Fr. Teodoreto5 ed un fervido zelo per il suo carisma fondativo, che ha cercato di difendere in tutti i modi, specie quando gli appariva minacciato da un malinteso senso della modernità.

Negli anni '90, gli interventi scritti e verbali a favore di una "restaurazione" ideale dell'Unione e di una maggiore attenzione alle finalità ultime delle sue Opere ( senza le quali, a suo giudizio, sarebbe immancabilmente svanito l'aiuto della Provvidenza ) si fecero insistenti e preoccupati.

L'ex Presidente della Casa di Carità, animato com'era da una grande fiducia nel futuro, pensava alle nuove generazioni, a coloro che avrebbero ricevuto la sua pesante eredità.

Anche questa è carità … ma per i posteri.

Inoltre, alcune soluzioni strategiche, prospettate in seno all'Unione e miranti ad accorpare l'Istituto in realtà più grandi, quasi si trattasse di attuare una joint-venture aziendale, erano da lui giudicate esiziali per l'identità stessa dei Catechisti e della Casa di Carità.

Nel complesso, il disegno di assimilare l'Unione alle finalità di altre grandi famiglie religiose non lo convinceva affatto, perché comportava la rinuncia ad una forma originale di apostolato che solo i Catechisti potevano intraprendere.

Gli ultimi anni: le ansie per la Casa di Carità e il congedo finale

I Fonti hanno impresso alla Casa di Carità un carattere profondamente umano.

Francesco era una figura patriarcale.

I vecchi allievi, specie quelli passati alle dipendenze della ditta, hanno sempre considerato la scuola come una grande famiglia.

Tuttavia, la recente modernizzazione delle strutture ed il loro ampliamento hanno un po' snaturato l'aria di casa che si respirava in Corso Brin.

A mio avviso, c'è il pericolo di disperdere questo patrimonio affettivo nei meandri della burocrazia scolastica.

Forse è un processo inevitabile: qualcosa del genere su scala diversa è capitato ai salesiani.

"Salesiano" oggi evoca un'organizzazione solida e moderna diffusa in tutto il mondo, ma senza dubbio la "famiglia" salesiana impressa nella mia mente è un 'altra cosa. ( Boccaccio )

I problemi economici, che resero necessaria la trasformazione in chiave manageriale della scuola, hanno certamente influito sul modo di gestire alunni ed insegnanti.

È da vedere fino a che punto possano continuare a coesistere educazione cristiana e "alta finanza".

Su questo punto si giocava, a giudizio di Fonti, la credibilità della missione affidata ai discepoli di Fratel Teodoreto.

Una volta mi ha invitato a visitare il capannone che ospita le macchine a controllo numerico ( uno dei suoi grandi successi ) e, visitando passo a passo tutta la scuola mi ha fatto notare due cose contraddittorie: da una parte macchinari modernissimi e sicuramente molto costosi ( ma coperti dai finanziamenti della Regione ) e dall'altra un edificio che avrebbe bisogno urgente di un radicale restauro ( che però non rientra nei finanziamenti ).

Gli infissi delle finestre hanno l'aria di non essere stati riverniciati dal lontano 1952.

Il divario fa capire come gli spazi di manovra siano limitati: ma in queste condizioni si finisce con l'indirizzare gli sforzi solo dove arrivano i soldi. ( Boccaccio )

Un altro problema rilevato da Fonti era costituito dalla selezione degli insegnant.6

Nei primi tempi il gruppo di riferimento era costituito dai Catechisti, oggi non è più così, anche perché la complessità e la varietà delle nuove professioni ha complicato e di molto il quadro della situazione.

Era Pietro Fonti a selezionare il personale docente.

Le sue indagini erano accurate, ma non rivolgeva mai domande troppo dirette.

Lasciava che fossero i candidati a parlare.

Francesco si riservava il discorso di presentazione.

Non aveva alcuna soggezione a dire che l'Opera era ispirata dal Crocifisso.

Pronunciata dal Presidente in persona, questa dichiarazione assumeva una grande autorevolezza.

Francesco non faceva dei lunghi discorsi, ma, contrariamente a quello che si potrebbe credere, la sua asciuttezza conferiva un taglio più solenne alle parole, che restavano scolpite nella mente degli uditori.

Nella vicenda dei computer Apollo, però, il personale fu scelto dalle ditte interessate: era un segno dei tempi.

In genere, la posizione del Catechista consacrato, specie di figure come Francesco Fonti, è più difficile rispetto a quella di un religioso o di un prete.

Si è costretti, infatti, a mantenere salde le proprie posizioni ideali, pur non potendo fare a meno della collaborazione ( specie con le rivoluzioni tecnologiche del recente passato ) di persone che spesso sono molto lontane dalla spiritualità cristiana.

È questa la dura realtà con la quale devono fare i conti i laici consacrati impegnati nella formazione professionale. ( Boccaccio )

Aldilà dei problemi economici e didattici sopra accennati, l'assillo che più tormentava Francesco Fonti riguardava la formazione "umana e cristiana" degli alunni.

Un Catechista "d'assalto" come Brusa, grazie all'esperienza condotta nel "Centro spirituale" di Baldissero, dov'era rimasto a stretto contatto con i giovani, aveva seguito la cosiddetta crisi dei valori più da vicino, mentre il Presidente aveva mantenuto le distanze.

I due personaggi hanno reagito in maniera differente alle nuove sfide, ma entrambi, anche se in diversa misura, hanno conosciuto le lunghe notti insonni provocate da questo genere di problemi, indizio questo di una reale difficoltà di soluzione.

Erano in atto mutamenti sociali di portata epocale, fuori da ogni controllo, ma non per questo accettabili.

Una o due volte mi ha detto: "Questi ragazzi … stanotte non ho dormito pensando ai problemi che mi danno".

Credo ne abbia viste di tutti i colori, anche se non posso riferire episodi precisi.

Si rendeva perfettamente conto che la prima causa delle loro malefatte era da ricercare in un contesto familiare assolutamente disastroso.

La famiglia tradizionale, un tempo, faceva opera di formazione.

Oggi invece questi ragazzi sono abbandonati a se stessi: i genitori latitano.

Poi, diciamoci la verità, gli alunni che vengono alla Casa di Carità hanno grossi problemi scolastici, o addirittura personalità "distorte".

Quindi non è facile gestirli. ( Bavero )

Sino a due mesi dal decesso, alla veneranda età di 90 anni, Francesco Fonti si recò regolarmente in ufficio ogni giorno, alle 8.30 di mattina.

Ceduta la Presidenza dell'Ente a Vito Moccia ( 1991 ) si era trasferito in un piccolo ufficio attiguo a quello del fratello, dove per risparmiare sui costi (!), pur essendo abituato a vagliare bilanci miliardari, decise di utilizzare un telefono in due.

Pietro tuttavia, dopo il ricovero al Cottolengo, seguito ad una grave infezione, si muoveva a fatica e perciò il sig. Bovero, un ex dipendente della ditta Fonti, si offrì di fissare un altro apparecchio in parallelo.

In quel periodo lo stile di vita dell'ex Presidente, spartano e regolare come sempre, era caratterizzato da un'attenzione maggiore ai problemi spirituali dell'Unione ( e alle relative conseguenze sulla gestione della Casa di Carità ).

In tutte le cose esteriori era sobrio; da questo punto di vista si dimostrò assai ligio al voto di povertà.

Aveva un'espressione caratteristica per definire questo suo approccio ai beni materiali: "il soldo deve essere un mezzo e non un fine".

Infarto di vestiario non ha mai "folleggiato "', l'ho sempre visto con un vestito invernale ed uno estivo.

Ogni settimana preparava dei "commenti alle letture bibliche " che il sottoscritto, occasionalmente autista-factotum di Fonti, faceva avere alla segretaria della Casa di Carità perché fossero battuti a macchina.

All'epoca del rinnovo delle Costituzioni lo vedevo passare spesso con in mano un libretto che conteneva i suoi appunti personali.

Ci ha lavorato molto sopra, ma io, non essendo Catechista, non posso esprimere giudizi di merito.

Mi limito a ripetere le sue parole: "non bisogna perdere di vista le finalità per cui è sorta la Casa di Carità, se vengono meno queste, cessa l'aiuto della Provvidenza ". ( Bovero )

Nell'ultimo anno di vita, Francesco Fonti avvertiva con maggiore frequenza una serie di gravi scompensi cardiaci che, con cadenze sempre più ravvicinate, lo sorprendevano mentre camminava per strada obbligandolo a fermarsi per riprendere fiato.

Nell'autunno 1999, arrivò puntuale un infarto che per due settimane lo bloccò in un letto dell'ospedale Gradenigo.

Chi gli fece visita in quei giorni lo trovò presto rinfrancato; i medici parlavano addirittura di dimetterlo.

Sennonché Francesco, istintivamente, sentiva che la sua ora era ormai prossima.

Nel salutarlo si aveva l'impressione di assistere ad un congedo definitivo.

Quando sono andato a trovarlo al Gradenigo, mi disse in tono confidenziale "sun tanto strac" ( "sono molto stanco" ), pregandomi di invitare Obialero a pagare subito tutti i conti in sospeso con l'ospedale.

Quell'espressione in dialetto piemontese mi diede da pensare.

Era sereno per la morte imminente, ma allo stesso tempo preoccupato per delle banali spesucce …e questo a due giorni dal decesso! Era fatto così. ( Bavero )

Il 16 ottobre 1999, un nuovo infarto pose fine al suo pellegrinaggio terreno.

Il presentimento di morte, come spesso capita ai giusti, non era infondato.

La notizia colse parenti e collaboratori in modo inaspettato, tanto che ancora oggi qualcuno si rammarica di non avergli potuto esprimere in modo adeguato il proprio sentimento di gratitudine.

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5 "È profonda la gioia di poter venerare Fr. Teodoreto quale modello e … patrono di quanti si dedicano alla formazione professionale con impegno apostolico" ( cfr. Notiziario della Casa di Carità Arti e Mestieri, aprile 1990, F. Fonti, "Fr. Teodoreto e la Casa di Carità arti e Mestieri", pagg. 1 e 2 ).
6 "Non è detto che un laureato in Filosofia o in Ingegneria Elettrotecnica per il solo fatto di essere tale, riesca a far bene alla Casa di Carità.
Qui si richiede una vocazione al servizio che non si trova facilmente in tutti i soggetti." ( P. Fonti )