Adorazione al Crocifisso come stile di vita

N° 20 - Settembre 2002

Per la festa dell'esaltazione della Croce del 2002, è stata ristampata ( agosto 2002 ) un'antica e sempre attuale formula di "Adorazione al Crocifisso", già approvata dal Papa Benedetto XV nel 1915.

Essa presenta prima di tutto un'immagine del Crocifisso con un'anima avvinta a Lui - quale è stata vista in visione da Luigi Musso ( 1850 - 1922 ), il futuro fra Leopoldo, a Viale d'Asti nel 1893, e fatta dipingere dal Venerabile Fr. Teodoreto Garberoglio ( 1871 _ 1954 ) delle Scuole Cristiane.

Ben lungi dall'essere soltanto un'immagine pia e sentimentale, essa esprime visivamente - come un'icona - il dramma dell'umanità che ha soluzione solo nella redenzione operata da Cristo immolato per noi:

"Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" ( Gv 12,32 ).

La preghiera di adorazione al Crocifisso che accompagna questa immagine, è stata da Gesù stesso ispirata al medesimo fra Leopoldo Musso, umile francescano laico nella Torino d'inizio secolo XX, ed è simile alla grande intercessione che la Chiesa innalza il venerdì santo nella celebrazione della Passione del Signore, coinvolgendo tutta l'umanità nella supplica universale.

Adorarlo: perché?

Gesù è invocato come "amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso", proprio a riconoscere il suo amore infinito, immenso ed eterno, che, consapevole dei nostri peccati, lo ha spinto a immolarsi in adorazione al Padre e in loro espiazione, al posto nostro, soffrendo l'indicibile.

Gesù è dunque l'amabilissimo Amico, il più grande Amico, che attende da noi di essere riamato: la vita come contraccambio di amore ( "redamatio" ) a Lui.

Si sente la voce autorevole dell'apostolo Giovanni, il prediletto, ( "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati", 1 Gv 4,10 ) e dell'apostolo Paolo ( "Gesù Cristo mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me", Gal 2,20 ).

La vita - che davanti a Lui - può essere solo "pratica di amare Gesù" - diventa dunque, anzi deve diventare, una storia di amore a Lui e con Lui, l'Uomo-Dio, che si è svenato per noi, dunque "il mio Signore", "il mio Gesù".

Per questo, la prima parola che gli diciamo è "ti adoro, in ciascuna delle tue piaghe in cui il tuo Corpo è stato trapassato".

Lo adoriamo, perché?

Innanzi tutto perché Egli è il Creatore e il Signore dell'uomo e dell'universo - è Dio! - e per di più questo Dio è stato umiliato nel sommo ed estremo supplizio della croce, riservato agli schiavi malfattori.

Lo adoriamo, perché è stato crocifisso e noi vogliamo esaltarlo e proclamarlo, al di sopra di tutto e di tutti, anche come uomo.

Come ha scritto S. Paolo: "Si è fatto obbediente fino alla morte di croce … e ogni ginocchio si pieghi davanti a Lui, in cielo, sulla terra e negli inferi e ogni lingua proclami che Gesù e il Signore" ( Fil 2,8-11 ).

Questo Gesù ( che ancora oggi è profanato nella sua presenza reale della SS. ma Eucarestia, è disprezzato nel suo Sacrificio di amore, è tolto di mezzo nella sua immagine dolorante quasi fosse un disturbo e non più il massimo segno dell'amore di Dio, è eliminato dalle anime, dalle famiglie, dalla società, proprio là dove Egli deve regnare ) noi lo adoriamo e lo proclamiamo, oggi, al di sopra di ogni altro nome, di ogni altra potenza, di ogni altra sapienza, come il Primo e l'Ultimo, l'Unico, come la Soluzione totale e definitiva di ogni problema.

Da Lui, ogni grazia

Sappiamo che da Lui, trafitto mani, piedi e cuore, ci è dato il perdono dei peccati e la vita divina della grazia e ogni grazia per vivere di Lui e per Lui, per rinnovare noi stessi e il mondo a sua immagine: "dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia" ( Gv 1,16 ).

Di qui, sboccia la preghiera.

"Concedi alla Chiesa la vittoria sui suoi nemici".

La Chiesa non considera nessuno come nemico, ma è pur vero purtroppo che esistono anche oggi coloro che la odiano e la combattono.

La vittoria che chiediamo è la loro conversione, nella mirabile scoperta che pur essi sono chiamati alla salvezza.

La vittoria di Gesù e della sua Chiesa segnerà non la loro umiliazione, ma la loro stessa vittoria più vera: mai nessuno è tanto uomo come quando, prostrato, adora Gesù Cristo, lo ama e vive per Lui.

"Ti domando grazia per i poveri peccatori".

È la grazia somma, perché Gesù Cristo stesso è venuto e si è immolato per togliere il peccato, per convertire i peccatori ( Mt 9,13 ).

Né si può dire che siamo tutti peccatori allo stesso modo, perché chi è bestemmiatore, lussurioso, violento, ladro, omicida, apostata, lo è di più - peccatore - di chi porta con sé solo le miserie della vita - da cui pure deve emendarsi - affinché siano vinti dalla Verità, dall'amore e dalla pace di Dio.

Negarlo è negare il Cattolicesimo nella sua verità - il suo dogma centrale - la Redenzione.

"Ti chiedo la grazia che nel clero e tra i consacrati fioriscano molti santi".

Tutti, è vero, siamo chiamati alla santità, ma chi dubita che più di tutti e in primo luogo sono chiamati a farsi santi i sacerdoti e i religiosi?

Perché se sono santi essi, lo sarà pure il popolo cristiano e il mondo vedrà risplendere la luce che essi per primi sono chiamati a donare.

Tutti i santi hanno offerto la vita per la conversione dei peccatori e la santificazione dei sacerdoti.

Chi non ricorda, nel nostro tempo, l'immolazione silenziosa e ardente di S. Teresa di Gesù Bambino, entrata al Carmelo a quindici anni, per convertire i peccatori e far santi i sacerdoti?

"Ti chiedo la liberazione delle anime del Purgatorio".

Questo è atto di fede nel dogma del Purgatorio, là dove le anime, secondo la Sacra Scrittura ( 2 Mac 12,38 ss.; Mt 5,26; 1 Cor 3,11-15 ) e l'ininterrotta tradizione dei Padri e di tutta la Chiesa, compiono la loro purificazione per essere degne di vedere Dio che soltanto i totalmente puri di cuore possono vedere.

Il Sangue del Crocifisso è giustamente invocato a loro purificazione e suffragio nel suo sacrificio del Calvario ripresentato sull'altare nella S. Messa, e poi nella preghiera e nei sacrifici personali.

È atto di raffinata carità perché se può essere facile ricordare coloro che vediamo ancora in questa esistenza terrena, è molto più difficile farlo per chi a questa esistenza è trapassato.

Ed è pure gioia grande sapere che invocando la mediazione del Crocifisso, affrettiamo l'incontro di queste anime con Dio.

Infine "alla piaga del Costato di Gesù affidiamo tutte le persone che si raccomandano alle nostre preghiere".

Il Cuore trafitto di Gesù è immenso e contiene tutti, e tutti avvolge del suo amore.

A questo punto, la nostra preghiera per i Fratelli - che è la settima opera di misericordia spirituale - raccoglie tutti e diventa carità universale, proprio a immagine di quel Cuore che non è solo grande come il mondo, ma è immenso come Dio.

Lo sguardo al Trafitto

Meditazione, adorazione, preghiera al Crocifisso.

Sì, è possibile, è efficacissimo, perché il Crocifisso è Tutto e da Lui ci è dato di avere tutto per noi e per i nostri Fratelli.

Ma questa "adorazione" ispirata da Gesù stesso non è soltanto una preghiera: indica una scelta di vita, uno stile di vita, la vita intesa come Dio la vuole, come adorazione a Gesù Crocifisso, al Figlio suo, supremo adoratore del Padre e Redentore dell'umanità, il Re dell'umanità redenta, al Quale è stato dato ogni potere il cielo e sulla terra, e nel cui nome deve essere predicato il Vangelo e la conversione di tutte le genti ( Mt 28,18-20 ).

E sia consentito di dire: la vita come adorazione a Gesù Crocifisso e Eucaristico, sull'altare della Messa e nel Tabernacolo, all'Ostia in cui Egli perpetua il suo sacrificio.

Proprio per questo spenderemo la vita: per "rialzare la Croce", affinché il mondo intero "volga lo sguardo a Colui che è stato trafitto" ( Gv 19,37 ), fino a quando "comparirà in cielo il Segno del figlio dell'uomo" ( Mt 24,30 ss. ) nell'ultimo giorno della storia, segno di perdizione per i suoi nemici, ma soprattutto segno del trionfo supremo e della gloria eterna dell'Agnello immolato, e dei suoi amici con Lui.

È l'esaltazione della Croce: il Crocifisso eternamente vittorioso.

Paolo

"Volgono duemila anni dacché venni sulla terra per far salvo il mondo; ora è in decadenza; susciterò anime che mi confesseranno, riempiendo il mondo della divozione alla Santa Croce, come fossi di fresco venuto a redimerlo!"

- Gesù nel SS. Sacramento ai piedi dell'altare ( Diario di Fra Leopoldo, 13 Novembre 1912, ore 9.30 ).

Mio divinissimo Gesù, quanto devo ringraziarti che Tu mi dai tanta grazia di trovarmi qui, alla divina Tua presenza, in queste prime ore, ai piedi della tua Santa Croce, e misericordiosamente mi dai a studiare la bellezza del Tuo prezioso amore e della Tua amabilissima e divinissima misericordia!

( Diario di Fra Leopoldo, 28 aprile 1915 )

Quando la parola conta

Parlando di cristianesimo si fa presto a dire "spirituale", una parola adatta a tutte le occasioni, specie quando non si ha nulla da dire; pochi vocaboli sono stati altrettanto inflazionati, al punto da significare tutto e niente.

Oggi, chiunque parli di spiritualità, corre il rischio di essere scambiato per un adepto della new age o peggio ancora per un millantatore, un venditore di fumo.

Eppure, il termine pneumatikòs che in greco ( lingua internazionale dell'antichità ) significa per l'appunto "spirituale", assume nel Nuovo Testamento un senso molto ben definito:

"Di queste cose noi parliamo non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali" ( 1 Cor 3,13 )

Dunque, anche San Paolo vendeva aria fritta?

Cirillo di Gerusalemme, santo e dottore della chiesa, insegna che è impossibile "riconoscere Dio con gli occhi del corpo" e neanche, aggiungiamo noi, capire e sezionare i misteri della fede con la pura razionalità.

Interviene così lo Spirito Santo che, come spesso capita di leggere nelle memorie dei grandi contemplativi, "apre gli occhi" del credente permettendogli di intuire ciò che prima era assolutamente oscuro.

Lo sguardo sulle cose dell'uomo spirituale ( 1 Cor 3,15 ) nulla ha da spartire con neuroni e nervi ottici.

Tuttavia, le "cose spirituali" che San Paolo, previo una severissimo discernimento, intuiva in questo modo non sono affatto sogni, ma realtà verissime.

Di contro, la moderna fenomenologia della religione preferisce parlare di simboli, sogni, allucinazioni, proiezioni e retroproiezioni: insomma, un coacervo di fumose astrazioni catalogate sotto l'etichetta di "spiritualità".

Così facendo i fenomeni soprannaturali vengono relegati nel mondo della fantasia.

Questo lento sgretolamento dei "segni" divini che percorrono la Sacra Scrittura e la storia della Chiesa intenderebbe combattere le suggestioni popolari che contaminano la purezza della fede.

In verità, l'eccesso di astrazione che da almeno mezzo secolo soffoca lo studio della Bibbia, più che onorare il falso dogma del razionalismo scientista, secondo il quale ciò che è soprannaturale per principio non può esistere, punta ad infiacchire lo zelo di quanti trovano ancora, nella preghiera e nella speranza cristiane, la forza per vivere.

È noto "l'inno di giubilo" rivolto da Gesù al Padre per ringraziarlo di aver riservato le verità di fede ai piccoli, nascondendole ai sapienti ( Lc 10,21 ).

Questo per dire che l'avvicinamento alla Sacra Scrittura esige un atto di grande umiltà che ai "piccoli" riesce spontaneo e naturale ed, invece, ai dotti può apparire alquanto arduo.

Quando uno di questi signori, magari vegliando al capezzale di qualche lontano parente di campagna, osserva stupito l'ardore col quale certi vecchi contadini ( abituati a superare prove durissime in assenza di sicurezze economiche ) recitano la preghiera del pubblicano, può percepire la spiacevolissima sensazione di sentirsi "superato" proprio in quella dimensione spirituale che i suoi studi dovrebbero permettergli di conoscere così bene.

La scoperta di questa debolezza interiore genera due reazioni: o l'intenzione umile e santa di imparare qualcosa anche dai "piccoli" giganti della fede, ovvero, al contrario, una profonda amarezza che sfocia nell'invidia e nel disprezzo.

Così la fede viene ridotta a fenomeno antropologico e la spiritualità ad un coacervo confuso di simboli, riti e sogni, bisognoso di un'urgente opera di razionalizzazione.

Non volendo praticare il comando dell'umiltà che permette l'illuminazione dello Spirito, si finisce coll'estendere la cecità intellettuale anche alle nuove generazioni.

E così principia quell'opera di sottile svuotamento dei momenti forti della Rivelazione che taluni chiamano "aggiornamento".

Si comincia sempre dalle parole, come ad esempio "spirituale", per giungere a mettere in dubbio episodi chiave del Vangelo.

Gli esempi non mancano.

Nei libri di noti teologi italiani il termine "spirituale" indica, in molti casi, ciò che è irreale e sfuggente; in Germania, invece, alcuni esegeti avanzano dubbi sulla scoperta del Sepolcro vuoto.

Nel primo caso uno sprovveduto potrebbe pensare che anche "le cose spirituali" ( 1 Cor 3,13 ) insegnate da San Paolo siano quanto meno vuote astrazioni, nel secondo viene, non certo casualmente, colpita la credibilità dell'evento che più strettamente si lega alla Sindone, la reliquia che tanto fa soffrire i modernisti per il fortissimo richiamo che esercita sui devoti della Croce.

Questo disincanto intellettuale allontana in modo impercettibile il credente da Gesù, secondo una prospettiva esattamente opposta a quella indicata da Fra Leopoldo.

Non intendiamo dare la caccia ai teologi eretici o fomentare stupidi fanatismi: bisogna però guardarsi dalla tentazione, molto moderna e molto radical-chic, di inflazionare o, addirittura, svilire parole, tradizioni e testimonianze bibliche al punto da ridurle a gusci vuoti e rinsecchiti, privi di qualunque sapore e consistenza.

Questa tendenza infatti impedisce l'intimità "amicale" con Cristo tante volte raccomandata da Fra Leopoldo.

L'abbraccio dell'anima al Crocifisso, in cui il francescano ha condensato il suo messaggio e il suo vivissimo rapporto con Gesù, si trasformerebbe in un asettico sguardo sui simboli della devozione popolare, impedendoci così di assimilare quella forza che Cristo, anche grazie alle esortazioni trascritte dal frate piemontese, trasmette a chi ha l'umiltà di inginocchiarsi ai piedi della Croce.

Stefano