L'adultera

Tutti gli esegeti ritengono che il racconto dell'adultera, benché presente in Giovanni, non possa essere a lui attribuito.

Si tratta, infatti, di un testo in cui ritroviamo lo stile dei sinottici, in particolare di Luca, il cantore della misericordia, al cui vangelo bene si adatterebbe il brano in questione.

Si tratta di un testo che potremmo definire "visivo": esso, infatti, ci offre uno scenario da contemplare, scenario ricco di movimento in cui la gestualità, e non solo i dialoghi, ci aprono al suo senso profondo.

Il racconto può essere suddiviso in due parti: la prima ci presenta la controversia con scribi e farisei e proposito dell'adultera; nella seconda, invece, troviamo Gesù solo con la donna non più accusata, ma invitata a non peccare più.

Nel gioco delle intenzioni implicite, come quelle dei farisei che fingono di difendere la legge ma in realtà vogliono accusare il Maestro, o esplicite, quali quelle della donna forse infedele, Gesù si pone come colui che fa la verità.

Tale verità, però, ha una caratteristica particolare: essa non è "schierata" da una parte contro l'altra.

Alla fine del racconto, infatti, sarà impossibile separare i giusti dai peccatori e il lettore si sentirà "obbligato" a identificarsi sia con i farisei, accusatori costretti a riconoscere il proprio peccato, sia con la donna, appassionata amante in una relazione peccaminosa e sbagliata.

La verità fatta da Gesù non può che essere così: una verità impregnata di bontà e di amore.

Essa nasce dal suo sguardo misericordioso, che non si pone mai a fianco dell'uno contro l'altro e non divide il mondo in giusti e peccatori.

È piuttosto una verità guidata dalla volontà di bene, che svela in ognuno di noi le zone oscurate dal peccato, ma solo per sanarle e riportarle alla luce; in questo modo si potrà bloccare il gioco perverso, che fa sentire "a posto" e nello stesso tempo invita ad attribuire agli altri il ruolo di colpevoli.

L'atteggiamento di scribi e farisei si pone invece in netto contrasto rispetto a quello di Gesù.

All'apparenza essi vogliono difendere la Legge, ma i loro atteggiamenti rivelano un'intenzione diversa.

Il modo in cui agiscono mostra, infatti, che essi sono mossi da motivazioni fortemente utilitariste e aggressive; la donna è un oggetto che essi usano, per ottenere lo scopo prefisso: accusare Gesù.

Non stupiscono, di conseguenza, i loro atteggiamenti carichi di aggressività e completamente privi di empatia: la donna viene esposta, al centro della scena, privata della sua dignità.

É circondata dalla schiera minacciosa dei suoi accusatori, che subito progettano di lapidarla, insensibile di fronte alla possibilità di spargere il suo sangue.

Nessuno si interroga in merito a lei, nessuno si domanda dove sia l'uomo e come mai la donna sia giunta a compiere quest'atto.

É un giudizio senza appello, quello che le viene riservato; un giudizio in apparenza finalizzato a difendere la Legge, ma in realtà orientato verso l'uccisione della vera vittima: Gesù.

In questo testo la durezza di cuore, di cui spesso parla la Scrittura, si fa corpo, voce, domanda.

Per contrasto, Gesù tace.

La misericordia non ha bisogno di molte parole, la verità si manifesta nel silenzio che rivela i segreti dei cuori.

L'assenza di risposta da parte di Gesù è più eloquente di ogni insegnamento, di ogni linguaggio umano.

La sordità, l'incapacità di accogliere la Parola affligge tuttavia l'uomo che, accusando l'altro, distoglie lo sguardo dal proprio peccato.

Per questo scribi e farisei insistono, costringendo Gesù a parlare.

Essi si attendono uno schierarsi da parte sua, una verità che prenda posizione "contro"o una difesa della donna, che lo renderebbe automaticamente colpevole.

Le parole di Gesù li costringono invece a esaminare se stessi e a prendere coscienza di una verità che ha sempre attraversato la Scrittura, quella stessa Scrittura di cui, accusando la donna, essi si proclamano difensori.

"Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei": la frase semplice e lapidaria li costringe a rientrare in se stessi e a scoprire la verità che la Parola ha sempre proclamato: "davanti a te nessun vivente è giusto" ( Sal 143,2 ).

Dinanzi a Dio, alla sua Legge, nessun uomo può illudersi di avere ragione e relegare l'altro nel ruolo di colpevole.

Toccati dalle parole di Gesù, scribi e farisei, "cominciando dai più anziani" che forse più a lungo avevano avuto contatto con la Parola, non possono fare a meno di andarsene.

Il brano descrive dettagliatamente i movimenti di Gesù e per ben due volte afferma che egli si china per poi rialzarsi.

É raro che le ripetizioni nel testo scritturistico siano senza significato.

Così alcuni esegeti sostengono che tale sottolineatura costituisce un richiamo a un abbassarsi e rialzarsi ben più ricchi di significato, quali l'abbassamento e l'elevazione di Gesù, avvenuti nella sua morte e risurrezione.

É nel mistero pasquale che Gesù ha riconciliato con Dio l'umanità segnata dal peccato, così come in questo momento egli vuole riconciliare tutti i presenti con colui che lo ha inviato: il Padre.

Dopo che gli accusatori abbandonano la scena, Gesù si ritrova solo con la donna; di questo momento intenso e drammatico Sant'Agostino dirà che la miseria si incontra con la Misericordia.

Gesù è il solo che avrebbe il diritto di condannare l'adultera, ma non lo fa.

Le sue parole non giudicano, non condannano né offendono, come invece era avvenuto da parte dei farisei.

Nello stesso tempo, però, sono parole che non sfuggono il problema ma, al contrario, mettono la donna di fronte alla sua realtà.

La misericordia, infatti, non è la vuota indulgenza di chi non sa distinguere bene e male o di coloro che, come avviene spesso attualmente, accettano ogni tipo di comportamento, purché la persona lo trovi utile per sé e le procuri un certo benessere.

Gesù non è una guida permissiva, che concede tutto e afferma che tutto è bene.

Egli non condanna, ma non si esime dal definire "peccato" il gesto della donna.

La fragilità umana e le fatiche della vita non giustificano le nostre azioni sbagliate.

Gesù desidera che la donna cambi, ma cambiare significa orientare la vita diversamente, vuol dire "non peccare più".

La donna qui assurge allora a simbolo di tutta l'umanità.

Spesso nella Bibbia l'adulterio è stato utilizzato come simbolo per esprimere la drammatica relazione tra l'uomo e Dio.

Già nell'Antico Testamento, pensiamo per esempio al profeta Osea, la dolorosa storia dell'umanità peccatrice e del suo Dio è stata descritta attraverso la metafora dell'adulterio.

Nella donna che tradisce il marito ritroviamo la storia di Israele, ma anche quella di ogni creatura, che preferisce rivolgersi ai propria idoli invece di trovare pace e sicurezza nel Signore.

Forse, affermano alcuni esegeti, è proprio questo il motivo per cui nel racconto dell'adultera non compaiono né l'amante né il marito; quest'assenza è richiamo a una realtà più profonda che rimanda a figure non rappresentabili: gli amanti, infatti, sono i Baal e il marito è Dio.

Risultano così ridicole le accuse di scribi e farisei, che tentano di mettersi al di fuori e al di sopra di una realtà – quella del peccato – in cui anche loro, come ogni altro essere umano, risultano completamente coinvolti.

Così avviene anche per il lettore.

Il racconto non dice nulla rispetto a ciò che succederà in seguito, quasi a invitare il lettore ad assumere ora il ruolo dei farisei ora quello della donna, per sentirsi anche lui peccatore, risanato dallo sguardo buono di Gesù.

Notiamo infine che, mentre scribi e farisei non solo condannano la donna ma – senza porre tra i due momenti nessuno spazio di riflessione – vorrebbero immediatamente passare all'atto, Gesù le dice apertamente che non la condanna.

A differenza però di ciò che avviene in altre scene evangeliche, Gesù, come aveva invece fatto con il paralitico guarito, non dichiara perdonati i suoi peccati.

Come interpretare tale atteggiamento, che sembra quasi contraddire ciò che Egli aveva detto di se stesso, annunciandosi come il Figlio dell'uomo, che "ha il potere sulla terra di perdonare i peccati" ( Mt 9,6 ).

Secondo gli esegeti, questo silenzio di Gesù può essere interpretato come un atto di deferenza nei confronti della Legge, di quella Legge che egli non è venuto ad abolire, ma per darle pieno compimento ( cf Mt 5,17 ).

La Legge condanna l'adulterio e, di conseguenza, anche Gesù lo condanna.

Il peccato però non coincide con il peccatore.

Se permane la percezione della gravità del gesto, la persona però deve essere salvata, aiutata a ritrovare la vita.

Gesù non condanna, invita, sollecita a un cambiamento.

In questo modo egli rivela qualcosa di sé e del suo modo di mettersi in relazione con coloro a cui è venuto a portare la vita ( cf Gv 10,10 ).

Esortando la donna a non peccare più, Gesù implicitamente manifesta il suo compito, la sua missione nei confronti dell'uomo: egli è il Salvatore, colui che è stato inviato dal Padre – come ripeterà di frequente l'evangelista Giovanni – per liberarci dal peccato e farci rientrare in comunione con Lui.

Il modo in cui Gesù si pone nei confronti della donna con quest'ultima sollecitazione rivela infine quello che potremmo definire "lo stile educativo" della misericordia.

Gesù non impone, non obbliga e tanto meno castiga.

Egli esorta, invita la donna a riappropriarsi di una libertà che ha abbandonato per seguire i suoi impulsi, per evadere dalle sue sofferenze.

Resa libera dalla parola e dall'azione di Colui che è misericordioso, l'adultera e, con lei, ognuno di noi, potrà riconquistare la dignità perduta e ricreare il legame con il suo Dio-Sposo.

Anna Bissi