Il Beato Giovanni Gabriele Perboyre e il Crocifisso

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A tutti è noto quanto fosse divoto del Crocifisso il caro Beato Giovanni Perboyre, prete della Congregazione della Missione, martirizzato in Cina nel 1840, di 38 anni, e come nel martirio venisse per tante circostanze ad essere simile al suo amato Signore Crocifisso.

Dalla sua Vita ( abbiamo sottocchi quella edita dal Collegio degli Artigianelli, Torino, 1890 ) toglieremo qualche tratto riguardante appunto il Crocifisso.

« Egli mi ha amato, diceva spesso con S. Paolo, ed egli ha dato se stesso per amor mio », questo pensiero era come un tizzo di fuoco, che veniva a infiammare il suo cuore.

Preparandosi ogni mattina al santo sacrificio della Messa, pensava che non è diverso da quello della Croce; e vestendo i paramenti sacerdotali si rappresentava Gesù Cristo legato, ghermito dai suoi nemici e coperto a dileggio di bianca veste.

Incamminandosi all'altare, si figurava Gesù che va incontro ai suoi nemici o che sale al Calvario.

La vista del Crocifisso gli rinfocava l'amore, perciò pigliava gran diletto a riguardarlo.

Confessando, lo prendeva in mano e non ne distaccava mai gli occhi.

Lo teneva sul suo tavolino di studio e spesso sospendeva il lavoro o per gettargli uno sguardo affettuoso o per stringerselo al cuore e bagnarlo di lacrime.

Di rado s'entrava in camera sua senza coglierlo al genuflessorio e cogli occhi infiammati e molli.

Qualche volta fu sorpreso così inabissato nei gemiti della meditazione che non s'accorgeva affatto di chi entrava.

Consacrava il venerdì a più speciale memoria della Passione, digiunando, meditando i dolori di Gesù, di cui a ore tre della sera raccoglieva gli ultimi sospiri.

Potendo, non lasciava mai di fare la Via Crucis.

Il giovedì e venerdì santo poteva dirsi estatico lunghe ore e gran parte della notte presso il Santo Sepolcro.

E di vedere offeso Dio pei peccati del mondo, quanto non pativa!

Specialmente nella stagione del Carnevale, si rappresentava questo divino Salvatore nell'agonia dell'Orto in atto di cercare cogli occhi chi volesse consolarlo e di volgere specialmente ai suoi ministri questo lamento: « L'anima mia è affannata, anche voi volete abbandonarmi?

Non potrete vegliare meco nemmeno un'ora? »

E cosi perseverava in orazione fino a gran notte e a volte fino al sorger del sole.

Era sempre a raccomandare la meditazione della Passione di Gesù: « Chi si lamenta, diceva, di non saper meditare, basta che soli cinque minuti riguardi con occhi di fede il Crocifisso, Né può mancare che egli non si senta tutto mosso a riconoscenza e amore per Gesù e disposto a meglio servirlo.

Chi tenesse fedelmente questa pratica ogni giorno, offrendo a Dio qualche mortificazione in riconoscenza di ciò che Egli ha sofferto per lui, farebbe gran passi nella perfezione.

Sì, non si richiede altro che di guardare con fede il Crocifisso per far bene.

Non importa né saper leggere, né aver bei libri: il Crocifisso val meglio che mille libri affettuosi e divoti ».

E un'altra volta diceva: « E perché cambiare così spesso, soggetto di meditazione? basta un solo », e mostrava il Crocifisso.

Disse ancora a un ecclesiastico: « Per me non so meditare che una cosa sola », e additava il Crocifisso.

Ne bastava al Beato di compatire ai dolori di Gesù, ma voleva essere con lui crocifisso, affine di poter dire con S. Paolo: Christo confixus sum cruci: io sono confitto con Cristo sopra la Croce.

Perciò riceveva con gioia tutte le croci che a Dio piaceva di mandargli: se era infermo. si rallegrava, pensando che così somigliava meglio a Cristo addolorato; se pativa qualche umiliazione, godeva pensando che Gesù era stato saturato di obbrobrii: se provava contradizione dagli uomini si confortava nel pensiero delle contraddizioni di Nostro Signore.

Dovendo predicare si preparava soprattutto coll'orazione: « Io non biasimo, diceva, coloro che squadernano libri, ma mi pare che il primo e l'ultimo libro da consultare sia il Crocifisso: quivi si trovano i veri lumi e s'attinge l'unzione necessaria a muovere i cuori.

Chi avesse cura di prepararsi così, ogni sua parola sarebbe un carbone ardente che abbrucerebbe i cuori ».

« Prima di montare in pulpito bisogna essere padroni della scienza che s'ha da insegnare e soprattutto bisogna pregare e meditare; il tempo che si passa appiè del Crocifisso è il meglio usato e il più utile.

San Paolo non voleva sapere se non Gesù e Gesù Crocifisso; non predicava altro.

Parimente appiè della croce si preparavano i santi e da essa attingevano le parole di fuoco che dovevano mettere in fiamme i cuori.

Se altrettanto facessero i predicatori otterrebbero gli stessi risultati »

E quando si recava in quella Cina, dove avrebbe colta la palma del martirio, scriveva: « Non sono stato mai più contento!

Non so che cosa mi sia riserbato nella carriera che si apre dinanzi a me: certo molte croci; ché tale é il pane quotidiano del Missionario.

E che cosa può desiderarsi di meglio, quando si va a predicare un Dio Crocifisso?

Possa Egli farmi gustare la dolcezza del suo calice amaro! »

E il Sommo Pontefice Leone XIII nel Breve di beatificazione del 9 novembre 1889 ebbe a dire, parlando del martirio del nostro Beato: « La divina bontà gli serbava questo singolare onore e celeste conforto, che nei fierissimi tormenti sofferti, ei dovesse avere non pochi tratti di singolare somiglianza col Divin Redentore, al quale vivamente rassomigliando pel tempo, pel genere e per quasi tutte le circostanze della morte, nessuno dubiterà che il nostro Giovanni Gabriele vada annoverato tra coloro che Dio preconobbe e predestinò ad essere conformi all'immagine del suo Unigenito Figliuolo »

E nella Colletta della Messa del Beato la Chiesa lo dice reso mirabile dal Signore per una meravigliosa partecipazione della sua Croce.