Don Giuseppe Maria Visetti

B40-A1

Sacerdote Missionario del Patriarcato Latino di Gerusalemme

Amante ferventissimo di Gesù Crocifisso e gloria purissima dell'Unione merita di essere collocato fra i nostri modelli nell'amore a Gesù Crocifisso e nello zelo per la salute delle anime.

Nacque a Torino il 12 settembre 1902; la sua fanciullezza vivace e irrequieta passò circondata dalle cure premurose d'una Mamma piissima che presto l'addestrò a gustare le dolcezze del Signore.

E corrispose il piccolo Giuseppe; dai suoi scritti rileviamo la gioia del primo abbraccio col suo Gesù, che avvenne: nella Cappella di N. S. del Cenacolo in Torino, dove si accostò per la prima volta a ricevere Gesù Eucaristico.

Fu felice in quel giorno Giuseppino, perché senti nel cuore il suo Gesù che aveva desiderato tanto ricevere e che nella semplice generosità del suo animo infantile chiamò coi più dolci nomi per assicurarsi che da lui non si fosse partito.

Altri particolari della sua fanciullezza non possiamo qui ricordare per la brevità di questo sunto, ma sorvolando su molti fatti belli ed edificanti diremo di lui, appropriatamente alla sua natura vivace ed intelligente, che cresceva in sapienza e in grazia presso Dio e gli uomini.

Colla esteriore sua ruvidezza nascondeva molte virtù che a noi si palesarono solo il giorno in cui cominciò a frequentare l'Unione, dove si accese nell'amore al suo Dio appassionato ed ebbe la prima spinta alla generosa vocazione di Missionario di Gesù Crocifisso.

Ecco come lui stesso rivela le gioie di quei giorni santi che sono i Ritiri mensili regolarmente tenuti dalla nostra Pia Unione.

« Già dissi che portai molto affetto ai ritiri mensili che frequentavo all'Unione, e ciò è vero, perché da essi, come da fiamma viva; ritraevo sempre maggior ardore e coraggio.

Il giorno 12 ottobre 1919 ebbi la fortuna grandissima di essere ammesso a fare la consacrazione a Gesù Crocifisso in qualità di Socio Aspirante.

Ero commosso nel leggere l'atto di consacrazione ai piedi di Gesù Sacramentato e persino nella voce tremavo.

Questo spirito di raccoglimento e di unione col mio Dio che tutto mi animava, molto spesso mi consolò nelle prove dolorose della vita e mi circondò di gioia anche nei momenti più oscuri ».

Cosi Gesù lo lavorava preparandolo ai più ardui cimenti.

Puntuale alle adunanze dell'Unione, faceva sua ogni più ardita proposta di bene, pel quale non diceva mai basta, manifestando così la divina chiamata, che l'aveva fatto piangere di gioia il 3 giugno 1919, giorno della solennità di Pentecoste, quando, nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, assistendo alla funzione di saluto ai Missionari Salesiani partenti, sentì nel cuore che la Vergine SS. gli additava in modo chiarissimo la sua via.

Sempre però, Maria SS. porta le anime a Gesù; ed ecco che dalla Unione si fa il giorno 7 luglio 1920 un pellegrinaggio alla grotta di N. S. di Lourdes a Castelvecchio presso Moncalieri.

« Là il mio animo - scrive Don Giuseppe - attinse novella energia nella lotta per conseguire l'ideale e vicino alla buona Mammina mi parve di avere più speranza nel suo vicino effettuamento … e quindi là feci uno di quei propositi seri, arditi, generosi, quali pochi feci in vita mia ».

E qui cominciarono per il buon Giuseppe le croci, le contrarietà, le contraddizioni, che furono il mezzo col quale Gesù Crocifisso gli fece conoscere che lo voleva tutto suo, missionario in Terra Santa.

Lotte, contraddizioni, croci che seppe portare con adamantino coraggio fino al giorno della vittoria.

Consultate persone di rara prudenza, fra cui il Venerando nostro Fra Leopoldo, partì per la meta del suo Ideale il 6 novembre 1920 e da quel giorno, come insegna, fece sempre più suo il motto: « Deus meus et omnia Semper! ».

E tenne fede a questo programma e tutta la sua vita apostolica fu ad esso ispirata.

Arrivato in Palestina venne ricevuto da S. B. Mons. Luigi Barlassina nel Seminario Latino di Gerusalemme, circostanza che gli permise di visitare i Luoghi Santi, il Cenacolo, il Getsemani, il Sepolcro, e di questi pii pellegrinaggi il nostro Giuseppe fa cenno in una sua lettera alla famiglia, dove, fra l'altro, con commoventi parole scrive le sue impressioni nel recitare la prima volta la « Divozione a Gesù Crocifissio » sul Monte Calvario.

« Da principio - cosi scrive - la cosa pareva naturalissima, anzi parlando in francese, mi misi a distribuirla fra i presenti, nelle due lingue, e ciò fece molto piacere.

Fatto sta che la preghiera la dissi per un pezzo, ripeto, credendo la cosa naturalissima.

Ma … ci vuol altro, ad un tratto un sudor freddo mi rizzò i capelli, quasi quasi mi parve di non aver più sangue che circolasse in me.

La preghiera, che recitavo, si spense sul labbro, e rimasi come assorto senza saper neppure io il perché ».

Poi pianse …

Era il Crocifisso che si rivelava alla sua anima amante e l'avvicinava tutto a sé.

Anima squisitamente e cristianamente poetica sapeva trarre dai magnifici paesaggi orientali bellissimi pensieri che lo trasportavano a fissarsi in profonde meditazioni sul Divin Salvatore, che beneficava ovunque passava.

Ma il pensiero dominante del giovane Levita era di giungere al giorno della sua ordinazione sacerdotale!

Calmo e sereno, fidente nel suo Dio Crocifisso, il buon Chierico si disponeva al gran giorno con una intensa preparazione spirituale, e quasi a compenso della lunga attesa il Signore gli diede poi copiose le sue grazie.

Giunse finalmente il 10 ottobre 1920, in cui con suggestiva funzione S. Beatitudine Monis. Barlassina conferiva a lui solo l'ordine sacerdotale.

E qui cominciò a risplendere di luce tutta sua l'anima apostolica di Giuseppe.

Tutto dedito al suo zelante apostolato, era amatissimo dalla popolazione italiana e indigena, specialmente fra i giovani si distinse per le sue belle qualità di organizzatore e di missionario: fu Direttore del giornale sportivo dei giovani cattolici e venne inviato nelle missioni dei vari centri della Palestina per la sua conoscenza delle lingue e la facilità di apprendere i vari dialetti arabi.

Curò con somma diligenza la traduzione della « Divozione a Gesù Crocifisso » in lingua araba, che fece arricchire di un prezioso autografo nello stesso idioma da S. B. Mons. Barlassina, e che si adoperò di far conoscere e amare fra i cattolici della Palestina.

Ancora in questi ultimi tempi ricevemmo richieste di « Divozioni » da persone che risiedono a Gerusalemme e dintorni e tutte accompagnate da parole di elogio e di rimpianto per D. Giuseppe.

Ritornato in Patria a rivedere i suoi cari nel maggio 1927 frequentò un corso pratico di medicina, che gli giovò poi al suo ritorno in missione anche per battezzare un piccolo mussulmano, pel quale era stato chiamato di notte come medico.

Il piccolo mussulmano morì poco dopo ricevuta la grazia della Redenzione.

Venne in quei giorni di permanenza a Torino alla nostra Sede, ci parlò coll'entusiasmo, che tutto l'animava, delle sue care missioni e ricordiamo il fervorino che ci tenne prima della S. Comunione; fu un intreccio di santa e profonda poesia sulle parole del Salvatore: « Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e che voglio io se non che si accenda? ». ( Lc 12,49 )

E si restituì poco dopo in missione per non ritornare mai più.

Estote parati! - Ecco il savio ammonimento che come zelante patrocinatore dello scoutismo cattolico, ebbe sempre nella mente e più nel cuore.

Le sue ultime lettere alla famiglia, scritte quando la sua salute era ancora buona, lasciano trapelare il pensiero, anzi la convinzione che presto avrebbe lasciato la terra per il Cielo.

Ed ecco come giunse alla Mamma la notizia della sua morte, per mezzo della seguente lettera di S. B. Mons. Luigi Barlassina, Patriarca di Gerusalemme che è nello stesso tempo il più bello e autorevole elogio con il quale noi possiamo chiudere questi brevi cenni biografici: « Egregia Signora, Da tre settimane il povero D. Giuseppe era stato colpito da febbre; attivo e disprezzatore: di sè, non ne fece caso, lo attribuì a un attacco di malaria, e per una settimana sì trascurò affatto.

Allorché io lo vidi, gli mandai subito il medico che ne ordinò, l'immediato trasporto all'Ospedale.

Ivi, giunto, fatta l'analisi del sangue, si scoprì essere vero tifo, e il malato d'un tratto si aggravò perdendo la conoscenza … rimanemmo in ansia penosa per oltre 10 giorni con alternative di miglioramenti e peggioramenti; tutti pregavano, noi, preti e Comunità che invitai a farlo, ma i disegni di Dio erano altri, ripeto, e noi dovemmo adorarli perché sempre emessi pel nostro bene; e noi con profondissimo dolore l'abbiamo visto lasciarci serenamente il giorno 13 settembre alle 17,30.

Erano i primi vespri della Esaltazione della S. Croce, e io sono certo sia andato a celebrare la solennità in cielo.

Il suo passaggio fu sereno: più volte aveva potuto Comunicare durante la malattia, e al momento di spirare ebbe ancora un'ultima assoluzione da un salesiano vicino, fatto venire d'urgenza.

L'ultima sua mossa fu uno sguardo al Crocifisso che aveva sulla parete prospiciente al letto, e si addormentò nel sonno dei giusti.

È la morte bella del Missionario, sul campo di sue fatiche, è l'incontro dell'operaio fedele col suo generoso Padrone …

« Io fui l'ultimo sacerdote del Patriarcato, accompagnato da un Confratello, che andai appunto mezz'ora prima a visitarlo e a confortarlo, ciò che mi richiamò tanti ricordi dell'infanzia del caro D. Giuseppe.

Tutti i nostri Confratelli del Clero Patriarcale si succedettero con frequenza a visitarlo di continuo durante la malattia; e quanto alle Suore del Cottolengo, addette all'Ospedale Italiano, mi creda, gli furono, con tutta l'esattezza del termine, vere madri, premurose, affezionate, che non lo lasciarono mai né giorno né notte.

I funerali furono solenni; feci venire di fuori il Seminario, vi parteciparono rappresentanti di tutte le Comunità, e dopo la Messa solenne di requiem cui intervenni io pure, la salma fu accompagnata da tutto il Clero e dalle Comunità presenti, all'estrema dimora che è sul Monte Sion, poco discosto dal Cenacolo.

« Tutto il Clero Patriarcale gli fa ora i suffragi di regola colla celebrazione di dieci Messe ciascuno, ma noi speriamo che tante non gli occorrano, perché era un buon prete, pio, laborioso, dimentico di sé per la Missione, perciò sarà piuttosto un nostro valido protettore in Cielo.

« La benedico con tutta la sua Famiglia, e mi raccomando alle loro orazioni.

15 settembre 1928.

Luigi Barlassina ».

La su estesa preziosa testimonianza di S. Beatitudine, ci dispensa dal riportare altre numerose lettere di condoglianza giunte alla Famiglia dalla Terra Santa, tutte piene di pensieri deferentissimi verso il valoroso missionario di Gesù Crocifisso che nei suoi brevi 26 anni seppe tessere di fiori olezzantissiimi di ogni forte virtù la sua corona.

Il suo fu l'olocausto di un giovane cuore, generoso e buono, che quando credeva di aver iniziato il volenteroso apostatato sulla terra, Gesù Crocifisso lo chiamò a compierlo in Cielo.

Questa la nostra fiducia di avere in Lui un potente intercessore che sia stimolo a tutti i membri dell'Unione a corrispondere con generosa prontezza ad ogni divina chiamata.