Non aspettare di pagare

B129-A4

( Continuazione )

Le frasi citate di fra Leopoldo, che ho trascritto nel numero precedente, sono note ed arcinote.

Ma fino a che non siano scese nel cuore di coloro ai quali furono e continuano ad essere dirette, possono, anzi debbono essere non solo ripetute, ma commentate.

Ce n'è un gran bisogno. Oggi ancora più di ieri, in questo nostro tempo orientato all'apparenza anche sfacciata.

Dai più, si sa bene che cos'è carità? Non elemosina: ma Carità?

Temo di no, se mi riferisco a fatti di ogni giorno, i quali - senza andar a cercare in prestito da altri - mi cadono, a me stesso, sott'occhio e ad alcuno dei quali accennerò, così a caso come capita, esemplificativamente.

Ad una serata di musica e poesia tenutasi a favore dei mutilatini fu notato un tale che, quando si cominciò a passare per raccogliere le offerte, estrasse ostentatamente dal portafoglio due biglietti da mille, agitandoli per aria press'a poco come in tempi meno positivi e più romantici avrebbe fatto con un fazzoletto una mamma o una fidanzata dalla banchina d'un treno in partenza.

Ma quel che fu notato soltanto da un mio familiare che gli sedeva accanto, è che a quel tale i due biglietti erano ad un tratto spariti come per incanto nel pugno e che effettivamente nella cassetta passata dinanzi erano stati deposti con l'altra mano due stiracchiatissimi biglietti da cinque, cadendo colui in colpa di tre veri e propri reati morali:

1) lo sbandieramento dell'offerta, che equivale ad un atto ricompensato e perciò privo del carattere essenziale che contraddistingue la carità, da doversi compiere senza contropartita d'interesse proprio ( e la vanità del gesto appariscente ne costituisce senz'altro una );

2) furto dell'offerta, sventolata, ma non versata;

3) meschinità degradante di obolo, sproporzionato sia alla causa che alle possibilità evidenti di quel colpevole.

Certo; che scendano fino ad un livello così basso, non sono molti.

Ma è abbastanza comune il caso di quel commerciante, e non dei minori, che richiesto di soccorso da una nobile iniziativa postbellica, le telefonò chiedendo la visita di un esattore per ricevere l'offerta di cinquanta lire!

Né sembra infrequente l'episodio milanese ( e qui, più ancora che alla carità, è offesa alla giustizia ) di quegl'inquilini di un noto palazzo in piazza del Duomo, i quali sollecitati con insistenza da uno d'essi ad una tangibile, adeguata manifestazione di riconoscenza per il custode che, solo, non aveva voluto abbandonare al tempo dei bombardamenti l'edificio per difenderlo dagl'incendi e dai ladri, cosicché gli sfollati rientrando trovarono perfettamente in ordine i lussuosi appartamenti, fecero lo sforzo di offrire a quel fedele mille lire ciascuno.

E se non così frequente, non è neppure eccezionalmente raro l'ozio fatuo del ricco erede, che si reca in campagna ad attendere per tre settimane il trasvolo d'uccelli migratori a novembre e dopo tre giorni di caccia ritorna in città a riposarsi.

Insensibilità, superficialità, assenza di spirito di osservazione.

Tavole ancora galleggianti su mare oggi mosso, domani in tempesta.

Inspiegabili relitti d'altri tempi.

Caricaturali stonature grottesche, destinate ad essere inevitabilmente sopraffatte e ridotte al silenzio nel concerto immenso che comporrà l'urto della massa sonora dei fiati con quella acuta degli archi, in placata armonia.

Se personalmente sono d'opinione che la nobiltà dello stato economico è la povertà ( povertà che non è miseria; povertà che significa avere, ogni giorno, poco di tutto; povertà che è misura e possesso del necessario ), implicitamente ammetto il possesso della ricchezza a condizione che non sia sterile e che il possessore, osservate le debite esigenze di stato, non sprechi, ma spenda con iniziative ordinate al benessere comune.

Capisco. Il ricco non ha patito. Non sa che cosa voglia dire tirar di cinghia.

Non sa che cosa significhi svegliarsi battendo i denti a notte d'inverno.

Non sa che schiaffo sia la mortificazione e l'avvilimento per un uscio chiuso, quando si cerchi lavoro.

Tuttavia, il tempo di capire gli è stato dato.

É ora che si guardi attorno.

Capisco. Un buon sessanta per cento dei ricchi d'anteguerra è decaduto tra gli stenti, anche se mal celati tra superstiti dorature.

Codesta lacuna è stata occupata dagli arrivati, dai borsari neri, dai comunque arricchiti. I quali sfuggono al fisco; non sono ancora ufficialmente catalogati tra i cresi di ogni città: ma spendono e spandono.

Per sé. Per rifarsi. E perciò le richieste, le invocazioni d'aiuto piovono a rovesci da ogni parte sulle spalle del restante quaranta per cento.

Il quale risponde frazionando la proporzione ( è tutto quello che può dare? ) che distribuiva già prima, mentre il numero dei bisognosi è iperbolicamente aumentato.

Capisco tutto questo. Ma capisco pure che non è più tempo di chiacchiere, ma d'esame severo di coscienza per ciascuno di noi, nessuno escluso, nel limite delle proprie capacità; tempo di rovesciarsi le maniche all'insù e le saccocce all'ingiù; tempo di svegliarsi domattina, oggi stesso, col proposito radicatamente fermo della Carità ( con la ci maiuscola ).

Che non è elemosina, ma comprensione, ma fratellanza, ma concordia.

Di quei così ridestati basterebbe nel mondo un dieci per cento.

Quel risveglio produrrebbe finalmente l'effetto, dopo tanto parlarne, della bomba atomica.

Non quella dell'odio, ma dell'amore. Non in distruzione, ma in costruzione.

Non verso morte, ma verso vita.

( Continua )

Voce estranea