Il Crocifisso e il Giudizio Universale

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Avrebbe avuto sapore di particolare attualità e di vera primizia l'argomento, se si fosse potuto presentarlo subito ai nostri lettori, dopo che l'Osservatore Romano ebbe pubblicato, nell'agosto del 1951 ( mi pare il 23 ), una doppia fotografia del michelangiolesco Giudizio Universale con un favorevole commento di misura.

Intendo alludere al sorprendente studio intitolato: Quello che ho visto nel Giudizio Universale di Michelangelo e pubblicato fuori commercio in edizione distinta, anzi signorile, con parecchie tavole dimostrative, a cura dell'Autore, l'Eccellenza del Prof. Joaquin Diaz Gonzales, Ambasciatore del Venezuela presso la Santa Sede e Ordinario di Storia dell'Anatomia presso l'Università di Caracas ( Roma, luglio 1951 ).

Non so quale accoglienza sia stata fatta nel frattempo a questa pubblicazione.

Ma dico subito che il suo esame e la sua meditazione mi hanno profondamente scosso ed emozionato come cultore d'arte, come italiano e come cattolico.

Gli aspetti artistico e patrio non saprebbero trovar posto in queste pagine se non di scorcio.

Ma l'aspetto cattolico, sì, al quale mi atterrò brevemente.

* * *

L'Ambasciatore Venezuelano è un insigne studioso di anatomia.

Nessuna meraviglia dunque se, dopo il suo accreditamento diplomatico presso la Santa Sede, dal 1947 in poi, egli sostasse lungamente, ed in media almeno una volta alla settimana, davanti alla parete frontale della Cappella Sistina che espone l'insuperabile affresco del Giudizio Universale.

Interessava all'Eccellenza in sommo grado quello svariato e perfetto prodigio di proporzioni di corpi, nei più dissimili atteggiamenti ed espressioni.

Non solo. Ma più ancora le si affacciava insistente l'interrogazione del perché ognuno di quei corpi fosse disposto in un modo piuttosto che in un altro, e se l'insieme mirabile di quell'opera titanica non si reggesse ed incentrasse in un motivo, sostanziale e non apparente, determinatore della sua viva e possente unità.

Passò così del tempo, senza risposta.

Finché la mattina del 12 marzo 1951, attraversando l'Eccellenza la Cappella Sistina per recarsi ad una cerimonia ed osservando per l'ennesima volta quell'affresco, ne vide come emergere luminosamente nitido un grande profilo di Dante, volto verso la destra di chi guarda e di proporzione tale da occupare più della metà della parete.

La dimostrazione che l'Eccellenza ne ha dato, è irrefutabile ed esauriente: convincentissima.

Basti riferirsi alla delimitazione anteriore del profilo ( che è la più evidente ), seguendo il contorno destro ( sempre per chi guarda ) della

figura di S. Pietro, che costituisce la fronte del divino Poeta e dal quale scende l'ombra delimitatrice del naso e della rientranza della bocca, così come si vede nei celebri ritratti di Giotto e di Raffaello.

E più l'occhio si abitua a fissare attentamente il profilo, cogliendone sempre più precisi particolari, e più si avvede con crescente meraviglia che « linee, ombre, nubi, macchie di colore, rilievi corporei, corpi e parte di essi » stabiliscono una profondità prospettica di piani tale da far emergere il profilo dipinto come se fosse modellatamente scolpito.

Tuttavia codesta innegabile scoperta gettò lo studioso Ambasciatore Venezuelano in un implacabile turbamento.

Al Cattolico credente non poteva che ripugnare l'idea, secondo la quale Michelangelo avrebbe posto in così grande rilievo il profilo dantesco in confronto di tutte le altre figure dirette, una delle quali è nientemeno che Cristo Giudice.

Il Buonarroti, nella solitudine fatta dall'incomprensione dei contemporanei, si era rifugiato, si, nell'amicizia fraterna di Dante, con un culto che lo condusse a stimare la Commedia come il più gran libro dopo la Bibbia ed a saperne le Cantiche a memoria.

Ma, nonostante codesto devotissimo affetto, dal quale fu confortato fino alla morte, il sommo Artista, cattolico credente ed equilibratore inimitabile di valori e di proporzioni nelle masse e nei volumi, non poteva attribuire nella sua opera ricreatrice una preminenza ad altri che a Dio.

Tale facile, elementare, inevitabile conclusione spinse oltre, nella via dell'instancabile ricerca insonne, l'eccellente Diplomatico.

E trascorsero così ancora venticinque giorni, esattamente fino al 5 aprile 1951, quando la soluzione dell'enigma gli fu offerta, quasi sul punto di desistere, da un'ultima occhiata alla grande fotografia dell'affresco che gli stava sempre davanti.

L'occhio gli cadde sulla nube che sta sotto i piedi del Cristo Giudice, e seguendo le proporzioni di essa verso l'alto, intravide come un volto allungato di cui la nube, tagliata da un'ombra per metà ( più sporgente quella superiore ), forma la bocca.

Fissato, quel volto assumeva lineamenti sempre più precisi: i lineamenti inconfondibili del Crocifisso, morto; quelli che richiamano più specialmente la Pietà di Palestrina, scolpita dallo stesso Michelangelo.

E scendendo verso il basso, l'occhio indescrivibilmente commosso del ricercatore non tardò a scoprire completa, fino al busto, l'immagine dolorosamente augusta, con le braccia orizzontalmente distese ed il petto sanguinante dal costato.

Chi la contempli soltanto un po', fissamente, s'accorge che la figura del Crocifisso che fa da sfondo all'affresco, lo occupa per altezza e larghezza tutto quanto, con proporzioni tali e con tale pietà che il profilo dantesco ne è come sommerso e cancellato.

L'occhio è letteralmente soggiogato dalla maestà di quel volto e di quell'atteggiamento, dai quali è totalmente attratto.

Vogliano i lettori seguire queste indicazioni sommarie, provvedendosi di una fotografia del Giudizio Universale, che non viene riprodotta qui, perché essa si può trovare con tanta facilità ed anche perché la qualità modesta della carta del Bollettino produrrebbe più macchia che rilievo.

* * *

E non sembri fuori luogo l'accenno che in queste pagine si fa, di sfuggita e per linee essenziali, alla scoperta sensazionale di cui l'Italia ed il mondo civile debbono essere grati all'Eccellenza del Prof. Joaquin Diaz Gonzalez.

Tutto ciò che riguarda il Crocifisso - arte non esclusa, naturalmente - interessa di proposito questo Bollettino che si insignisce ed onora del titolo L'Amore a Gesù Crocifisso.

Del quale anche Dante e Michelangelo furono accesi.

Per concludere, sarà sufficiente affermare che un'interdipendenza connettiva di pensiero e di affetto, dell'immagine dantesca da quella centrale del Crocifisso nell'impareggiabile affresco della Cappella Sistina, effettivamente c'è.

E mi pare di poterla spiegare così:

a ) La proscrizione di Dante da Firenze fu per il sommo Poeta dolore mortale come crocifissione.

Che egli superò per genio di fantasia, di arte, di espressione, evadendo nell'al di là, come morto anzi tempo al mondo ed anzi tempo come risuscitato nell'altro; entrandovi, non santo, con tutto il peso umano della sua invettiva e della sua lode, del suo odio e del suo amore, e facendo egli stesso giustizia dell'ingiustizia patita da sé e dagli altri.

Ucciso alla realtà del tempo e per fantasia compensatrice risorto come giudice sul tempo, Dante è per Michelangelo la più significativa espressione del genio umano ricreatore, cittadino di tutti i Paesi, uomo di tutti i tempi, già spettatore dell'eterno.

b ) La Crocifissione di Gesù Uomo-Dio è Patto unico, verso il quale si polarizza il tempo dalla creazione alla fine del mondo, ed è misura del tempo a confronto con l'eternità.

Tutto va all'eterno. Ma ciò che passa per la Crocifissione è gioia e luce.

Tutto ciò che non vi passa, è desolazione e tenebra. Senza fine.

Gesù è risorto ed è giudice, perché è Crocifisso.

Perciò è posto al centro, chiaramente intravedibile, ragione suprema, presente e reale dell'ultimo Giudizio.

Quell'effigie maestosamente tragica è l'anima, che richiama e da vita e moto a tutte le figure dell'opera colossale.

È sole, intorno al quale rotano - come a centro naturale - tutti i pianeti, i satelliti, le meteore eccentriche di quello stupendo incomparabile cielo.

Il Crocifisso e Dante sono gl'inseparabili amici di Michelangelo.

Il Divino e l'umano. Nel dolore e nella vittoriosa gloria.

G. Gaetano di Sales


( Da un Avviso Sacro del Vicariato di Roma ).

L'artista che dimentica Dio, non è più capace di esprimere il bello, il buono, il vero.

L'artista che onora Iddio, perviene a farci presentire un po' della bellezza, della bontà, della verità eterna.