Gli ultimi giorni del Fratel Teodoreto

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Nell'agosto 1949 il Fratel Teodoreto fu colpito da emorragia cerebrale.

Ne guarì, rimanendone tuttavia offeso l'uso della parola. Difatti egli parlò poi con difficoltà.

Dopo alcuni malesseri più o meno facilmente superati, nell'ultimo gennaio fu nuovamente colpito da un attacco emorragico cerebrale.

Ne ebbe per più d'un mese. Ma anche questa volta il male fu scongiurato.

Prese l'abitudine allora di recarsi dopo pranzo in infermeria.

La suora addetta si chiese che cosa vi facesse.

Lo sorprese, ritto, in piedi, davanti al letto dov'era stato degente.

« Fratel Teodoreto, vuol bene Lei, a quel letto! ».

« Oh sì. Mi ha beneficato. Mi ha insegnato molte cose, quando ero lì! ».

E lo rioccupò, quel letto di croce, il 5 maggio.

Non se ne alzò che per qualche ora. Questa volta il male non perdonò più.

L'8 maggio, quando col cuore in festa si disponeva a partecipare nel giorno seguente alla celebrazione del quarantennio della fondazione della sua Unione, fu costretto a letto da paralisi, che gli immobilizzò il lato destro del corpo.

Non parlò più. Era mezzogiorno, l'ora nella quale i suoi Catechisti recitavano la preghiera alla Madonna di Pompei.

Press'a poco, cinque giorni dopo, non era più.

Spirò il 13 maggio, alle tre del mattino, nel suo ottantaquattresimo anno di età.

Dovette soffrire. Moralmente, perché non poté più rivolgere alcuna parola né ai suoi cari Fratelli né ai suoi figli dell'Unione.

Li vedeva succedersi tutti, ansiosamente, accanto al letto, sospesi, addolorati in volto.

Fisicamente, perché - essendosi chiuse le mascelle - appena qualche goccia, in tutta una giornata, poteva raggiungere e rinfrescare la gola sempre più riarsa anche per il respiro fattosi spesso grosso ed affannoso.

Il tormento penoso del respiro si attenuava come per incanto fino a non farsi quasi più avvertire, quando si pregava, sopra tutto se ad alta voce, recitando la Divozione a Gesù, Crocifisso ed il rosario.

Sembrava codesto l'unico sollievo che gli uomini gli potessero offrire.

Si capiva che egli procurava di seguire quelle preghiere.

Nel pomeriggio del 12 maggio quell'unione orante si fece evidente con un gesto inequivocabile.

Alcuni Catechisti recitavano il rosario ad alta voce.

Il Fratel Teodoreto ne accompagnava la recita con due movimenti del braccio sinistro, l'unico che potesse muovere.

« Ave Maria ! » - ed il braccio si stendeva lungo il corpo.

« … Jesus! » - ed il braccio si piegava, posando la mano sul petto, sul piccolo Crocifisso nascosto.

Tali movimenti furono press'a poco regolari per la durata di due decine.

Lo furono sempre meno, ad intervalli sempre più lunghi, fino alla fine del rosario.

Ad eccezione delle ore di coma, fu in cognizione, sopra tutto dopo il 10 maggio.

La maschera del Fratel Teodoreto rilevata dallo scultore Stefano Vigna.

Si sarebbe detto che stesse sempre in guardia.

Come un soldato che attende, con l'arma al piede, il nemico.

Come un passante che di notte sta sempre all'erta, pronto a rintuzzare ogni sorpresa.

Come un allievo che si è preparato bene. durante tutto il periodo della scuola, puntando Io sforzo di tutti quegli anni su un'ora, rivolgendo l'attenzione di tutti quegli anni - un soffio ! - sull'esame definitivo.

L'attimo della morte!

Tutte quelle difficoltà, tutte quelle lotte, tutte quelle prove, tutti quei dolori, tutte quelle ferite, più spesso piccole che grandi, d'ogni giorno, di molti momenti di ogni giorno, avevano formato del tutto il candidato all'eternità.

Il quale si presentava ben ferrato.

L'allievo era diventato un maestro.

Gli occhi socchiusi, egli allontanava ogni ricordo del mondo.

Poteva finalmente essere soltanto di Dio.

Grato della sofferenza che l'avrebbe presto avvicinato a lui.

Si stendeva, nobilmente raccolto ( sarebbe troppo dire: augusto? ), su quel letto di morte come su una croce.

L'amico di Fra Leopoldo, il fratello-apostolo di Gesù Crocifisso, viveva la propria crocifissione, con la sua Madre e Regina.

Non un lamento. Non un gemito. Come se non soffrisse affatto.

Tutto era normale. Tutto era ordinario. Tutto era la regola.

Ma era proprio quella normalità fino a quel punto che appariva anormale.

Era proprio quel comportamento ordinario fino a quel livello che appariva, straordinario.

Era proprio quella regola, osservata fino a quella perfezione, fino a quel vertice che diventava un'eccezione.

Si può piangere d'ammirazione di fronte a tale grandezza : d'un essere nascosto che si rivela nella sua giusta luce soltanto quando depone le armi, perché non ne ha più bisogno; soltanto quando l'apparenza dilegua, perché sfolgora la realtà; soltanto quando il corpo cade, perché si svincola, aprendo l'ali, libera, l'anima!

Ed il braccio ha rallentato a poco a poco i movimenti, il respiro si è fatto a poco a poco sempre più superficiale, a poco a poco la mano s'è raffreddata.

* * *

All'ingresso del camposanto di Klagenfurt splende questa iscrizione: Quel che amiamo - ci è rimasto.

Quel che guasto - nascondiamo. Nella cassa - è soltanto ciò che passa.

I bambini l'hanno capito benissimo. Si sono avvicinati senza timore alla bara.

L'hanno toccata, sicuri e fiduciosi, come l'abito d'un essere che non ha tramonto.

dis.