Le vie della Divina Provvidenza  

B186-A8

Il 12 Novembre u.s. il Santo Padre Paolo VI ha presieduto nella Basilica di S. Pietro alla beatificazione di Suor Agostina Pietrantoni.

« Una certa suor Agostina » come la chiama il suo biografo, per sottolinearne la condizione umile, anonima, una delle tante.

Eppure il papa nel suo discorso ha di mostrato una commozione non consueta ed ha usato un linguaggio molto diverso dal suo modo pacato e misurato, quasi che non riuscisse ad esprimere tutta la pienezza dei suoi sentimenti: « Poesia dovrebbe essere il nostro discorso.

Parola che cede al silenzio la pienezza ineffabile del suo significato.

Poiché l'atto liturgico che abbiamo compiuto … ci riempie di ammirazione e di commozione, che superano la capacità espressiva del linguaggio ordinario, e narrano una storia, che pare pure leggenda, tanto è semplice, limpida, pura, amorosa, e alla fine tanto è dolorosa e tragica, anzi ancor più, tanto è simbolica, la parola vorrebbe farsi canzone, come quella che lascia intravedere il profilo di una fanciulla innocente, di una vergine candida e taciturna, di una sposa votata all'amore assoluto, di una donna forte che fa dono della propria vita alla carità dei poveri e degli infermi, d'una vittima inerme del proprio quotidiano, eroico servizio, paga che a soli trentanni si compia il suo intimo voto di fare della propria vita martirio a Gesù … ».

Di questa novella Beata vogliamo soltanto ricordare un piccolo gesto, piccolo ma tanto espressivo.

Nel momento di lasciare la casa per seguire la sua vocazione, con gran delusione di vari giovanotti e con molte lacrime dei suoi che non si saziavano di guardarla si voltò a baciare la porta di casa, tracciò su di essa un gran segno di croce e poi si allontanò in fretta …

Ecco, quel bacio di addio alla porta di casa è un poema.

È il poema di un amore tanto giusto, tanto tenero e profondo, tanto spontaneo e dolce, come quello del suo nido, dei suoi familiari, ma superato e quasi travolto da un amore più grande.

Perché l'amore di Dio è esigente, è superiore a tutto e può volere anche il sacrificio di tutto: « chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me … chi non rinunzia a tutto non può essere mio discepolo ».

L'amore ai propri cari è superato da un altro più forte, che non vuole limiti e condizioni, perché il suo oggetto non è una creatura, ma l'infinita perfezione, l'infinito amore, il principio e fine di tutto, Dio onnipotente ed eterno, Gesù Verbo di Dio fatto uomo.

Questo amore così immenso e sublime che in tutti ha diritto di precedenza vuole da alcuni l'esclusività e li sceglie per unirseli con un vincolo di intimità nuziale: è la celebrazione della trascendenza di Dio e del suo mistero ineffabile di amore.

Ma questo amore, se esige il superamento di tutto, non esige però il rinnegamento dei valori naturali, che sono stati creati da Dio stesso e perciò sono buoni.

L'anima che si consacra a Dio non diventa disumana, anzi fa rilevare maggiormente le cose buone della vita.

Il bacio di Suor Agostina alla porta di quella casa che lasciava per seguire la sua vocazione è come un'assunzione di tutti i suoi affetti di tutto ciò che aveva formato la sua vita di fanciulla per portarli con sé e consacrarli con sé a Dio.

E quando l'assassino colpì la giovane suora, morta « innocente come un agnello e pura come un angelo » secondo l'espressione del medico framassone che ne fece l'autopsia, colpì tutti questi valori, tutti questi affetti, che non ne rimasero mortificati, ma esaltati.