Immacolata - Io - sono

B218-A3

Nell'Antico Testamento predomina l'Assoluto di Dio la cui gloria inesprimibile sovrasta l'uomo e il creato pur apparendo creatore affezionato della sua creatura, di essa innamorato senza misura, scatenato nell'ira più terribile contro chi osasse sfidare la sua gelosia.

É subito la storia della creazione, della condanna di Adamo ed Eva, della promessa restaurazione.

É ancora il patto di alleanza stretto con Noè dopo il diluvio, sotto l'arco dell'iride distesa sul cielo ridiventato azzurro; è la nuova Alleanza sigillata con Abramo, nella famosa scena notturna in cui Dio scende come una « fornace fumante e una fiaccola ardente » tra i sacrifici di Abramo; è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe da cui nascerà il Messia, è il Dio della Legge e dei Profeti.

Israele non osa neppure nominare o scrivere il nome di Dio, nonostante che Dio parli con Israele come un uomo, un amico, un padre, uno sposo.

Da questo Dio Israele attende la restaurazione del regno dell'uomo che via via è l'Eden, la Terra Promessa, il Regno d'Israele, la Gerusalemme celeste, ma sempre « sotto » la gloria di Dio, sovrastante certamente come benefica ma sola degna di profonda adorazione, e tuttavia inaccessibile.

Di Dio, Israele vedrà soltanto la sua gloria nell'uomo, nella donna, nel creato universo che Dio gli ha donato.

É emblematica la scena della vocazione di Mosè il grande legislatore e il più grande profeta di Israele.

Mentre stava pascolando il gregge, al di là del deserto, ai piedi dell'Horeb, Mosè vide un cespuglio che ardeva e che non consumava ardendo.

Incuriosito, diresse i suoi passi verso quel prodigio.

Ma subito udì la voce di Dio che dal cespuglio lo chiamava: « Mosè! Mosè! ».

Essendo profondamente credente, riconobbe subito la voce del suo Dio, e ingenuamente rispose al richiamo affettuoso: « Eccomi! ».

E Dio gli si manifestò nella sua gloria: « Non accostarti, togliti i sandali, questa terra è sacra, lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ».

E temendo di incontrarsi con lo sguardo di Dio, Mosè si nascose il volto tra le mani.

Dopo avere fatto un preciso riassunto della situazione di Israele ridotto in schiavitù sotto i Faraoni, come farebbe chiunque si appresti a beneficare totalmente il suo prossimo.

Dio elesse Mosè a suo inviato per redimere e guidare il Popolo eletto verso la libertà e la felicità, per cui Dio aveva creato l'uomo.

E Mosè, incerto e trepidante, poiché era pure balbuziente, chiese, sperando di trovare la scusa buona per un rifiuto: « Se mi chiedono il tuo nome, che cosa dirò? ».

Sapeva che la gloria di Dio non aveva un nome.

Ma Dio lo annullò con la sua gloria, e disse: « Io sono Colui che sono ».

E precisò: « Ai figli di Israele dirai: lo-sono mi ha mandato a voi » ( Es 3,1-14, riassunto ).

Dunque Dio nella sua gloria è l'Essere, Colui che unicamente non è causato da nessuno, è sempre stato e sempre sarà: Infinito perché senza limiti, Eterno perché senza tempo, Semplicissimo perché senza condizioni.

Ogni creatura è il non-essere che Dio riveste dell'essere con la sua essenza, presenza e potenza.

Ma questo Dio di gloria non è un concetto astratto, vago e sfuggente, per quanto reale; è Persona, e di una Natura così perfetta da essere in tre Persone, per le operazioni immanenti del suo intelletto di Luce e della sua volontà di Amore.

Questo vuoi dire lo-sono.

É una formula che la ragione raziocinante dell'uomo non riuscirà mai a capire fino in fondo, massimamente quando quella natura personale di Dio si rivela Una e Trina.

Ma in ogni tempo e soprattutto fuori del tempo, la grazia renderà l'uomo capace di comprendere per intelletto e approfondire per connaturalità d'amore il mistero di « Colui che è ».

Il Messia promesso e che ristabilirà il vincolo con la gloria di Dio, non sarà concepito da Israele se non come uno strumento di Dio, come il restauratore del creato, che siederà sul trono di Davide per instaurare il dominio di Israele sul mondo e fare regnare tra gli uomini la gloria di Dio.

A poco a poco il Messia viene concepito come un capo carismatico a uso della potenza della classe dominante in Israele; con assonanza pagana, sarebbe stato come il demiurgo ellenico, di cui Dio si sarebbe servito per trasfigurare il creato come di altro o del medesimo s'era servito per creare il mondo.

Ne verrà la superbia, la vana gloria, l'invidia dei Farisei.

Invece Gesù si rivela a poco a poco come il Figlio di Dio, cancellando progressivamente la frontiera che la religione israelitica aveva posto tra la gloria di Dio e gli interessi degli uomini.

Ma Gesù, il nuovo Adamo, va alla radice dell'essere di Dio e del non essere delle cose.

Illustrando il suo rapporto con Dio rivelato come Padre e come Persona, Gesù rivela la propria di Verbo del Padre, che è la seconda Persona della SS. Trinità.

In Gesù inabita tutta la pienezza della divinità corporalmente, perché la sua Persona è il Verbo di Dio; perciò al culmine l'espressione Figlio di Dio vuoi dire Dio, e Gesù può dire di se stesso di essere l'Io-sono.

Perciò Gesù rinfaccia ai farisei il loro peccato più grave, quello contro lo Spirito di Verità, dicendo: « Voi morirete nei vostri peccati, perché non riconoscete che lo-sono » ( Gv 8,24 ).

La ragione pura è giunta a concludere, nel secolo XX, che l'uomo perfetto è quello che si riconosce in Cristo; onde i razionalisti più sensibili al richiamo della coscienza, si chiedono perché non possano dirsi cristiani.

La risposta è questa: perché non riconoscono che Gesù è l'Io-sono.

Anche molti credenti d'altronde stentano su questo punto.

Gesù Cristo è « l'immagine di Dio invisibile » ( Col 1,15 ), non solo in quanto causa esemplare d'ogni essere e compendio della creazione, ma come Verbo del Padre, come causa efficente e finale d'ogni creatura, irradiazione permanente della gloria di Dio.

Così lo rivelò il Padre medesimo nel giorno del battesimo di Gesù e della trasfigurazione del Tabor: « Questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo ».

E lo diceva dai cieli aperti, vale a dire dalla sua gloria che avvolgeva il Cristo.

Concludendo il discorso dell'ultima cena, Gesù monologa con il Padre dicendogli di avere dato agli uomini la medesima gloria che il Padre gli ha dato, ossia la gloria della sua filiazione divina che è la stessa gloria di Dio ( Gv 17,22 ).

Siamo oltre il Messia puro strumento condottiero-demiurgo.

Il raggio della gloria è ricondotto da Cristo alla sua sorgente e qui vi si identifica per tornare ad irradiarsi nel nuovo eone.

L'errore gnostico che si ripete nel razionalismo moderno, vuoi idealista ( Hegel ), vuoi naturalista ( Darwin ), vuoi sociologico ( Marx ), vuoi clinico ( Freud ) è che il divino è nell'uomo, prigioniero del male.

La liberazione dal male significherebbe il ricupero del divino che è nell'uomo fino a negare Dio perché alfine l'uomo è Dio.

Gesù Cristo pone nel non-essere dell'uomo l'essere di Dio, e la progressiva liberazione dal male consiste nel portare il non-essere dell'uomo a ritrovarsi nell'essere di Dio per essere Dio in Dio, per Cristo.

L'errore dell'uomo è profondo, e perciò Satana lo può illudere ancora più a fondo, così insieme andranno in perdizione.

Nell'episodio evangelico del cieco nato, che simboleggia l'umanità del peccato originale, Gesù dice che questo è affinché nella sua guarigione si manifestino le opere di Dio, ossia la sua gloria.

Quando il cieco nato, dopo avere ricuperato la vista e patito la prima grande contraddizione dei farisei, trova Gesù, questi gli chiede: « Credi tu nel Figlio dell'uomo? », e quello risponde: « Chi è, Signore, affinché io creda in lui? ».

E Gesù: « L'hai visto, è colui che ti parla ».

E colui che aveva ottenuto la vista che prima non aveva si prostrò, lo adorò, perché quello era l'Io-sono.

Tutto il piano della restaurazione del creato fino alla sua deificazione in Cristo ( 1 Cor 15,28 ) e conseguente conferma del progetto di Dio fissato in Adamo ed Eva ed ora rilanciato « per la vita del mondo che verrà » ( Credo degli Apostoli ) è rivelato nel segno della Donna che schiaccia con il suo calcagno la testa del serpente incantatore ( Gen 3,15 ).

Questa Donna è l'Immacolata.

La vittoria su Satana è propriamente di Cristo, ma tutto quello che è di Cristo passa da Maria.

Questo è l'eterno consiglio di Dio, sicché la teologia di Cristo, non ripensata in Maria, rimane come la Legge antica, scritta su pietra: buona per una lapide mortuaria, non per una dottrina di vita.

Meditino questo i tetragoni teologi protestanti e quelli cattolici tentati di fariseismo.

A Lourdes la Madonna disse: « Io sono l'Immacolata Concezione ».

Quel soggetto « lo-sono » fa balzare il cuore perché porta di colpo a Chi se lo attribuì per primo dicendo: « Io sono Colui che sono ».

Sapevamo dai tempi di Efeso che Maria è vera Madre di Dio, ma soltanto recentemente è stato affermato dogmaticamente che Maria è l'Immacolata Concezione.

Con quella sua formula, « Io sono l'Immacolata Concezione », la Madre di Dio ci forza evangelicamente ad entrare nel mistero della gloria di Dio che per essa così si dischiude.

Il regno dei cieli patisce violenza.

Dicendo lo-sono l'Immacolata Concezione, si direbbe che Maria sia « la Concezione » personificata, quasi fosse la concezione di se stessa, come Dio è « Colui che è ».

E tale « Concezione » così si prospetta perché è « Immacolata »: cioè il termine « Immacolata » non è aggettivo qualificativo, ma parte costitutiva della definizione dell'Io-sono dell'Immacolata Concezione.

Se Santa Bernadetta Soubirous avesse riferito al parroco e il parroco al vescovo, che la Bella Signora aveva detto: « Io sono concepita immacolata », nessuno avrebbe posto gravi difficoltà alle apparizioni di cui Bernadetta dava notizia.

Ma dicendo: « Io sono l'Immacolata Concezione », la Bella Signora riproponeva il mistero del cespuglio ardente che aveva attirato e istruito Mosè.

Difatti, la Chiesa riferisce tale figura biblica anche all'Immacolata Concezione, in quanto è da quella fiamma che è nata la Parola di Dio incarnata.

E l'Immacolata stessa confermò quando il buon Parroco ( di cui è istruita la causa di beatificazione ) disse a Bernadetta: « Di' alla tua Signora che faccia fiorire il cespuglio che sta ai suoi piedi ».

Era febbraio, un febbraio di montagna. E le rose fiorirono.

Non diciamo che l'Io-sono dell'Immacolata è come l'Io-sono di Dio secondo natura, ma è pur come Dio per grazia e adozione.

Come ogni figlio di Dio.

Essere « una lode della gloria di Dio », significa essere un « lo-sono » in Dio ( vedi la nostra Istruzione di quest'anno, n. 25, II Consiglio Supremo ).

Tra tutti i figli di Dio per grazia, Maria è la prima.

E Immacolata vuole dire proprio questo: essere in immediato contatto con il Verbo di Dio il quale, passando come il raggio della Luce bianca attraverso il cristallo dell'essere di Lei, si rifrange nell'iride dei sette colori della sua umanità.

E anche se uomo, è pur sempre il Verbo di Dio: l'Io-sono.

Dio concepisce Maria nel suo Verbo, come ogni altra creatura possibile, ma la concepisce Immacolata perché predestinata Madre del Verbo incarnato, cioè di Dio.

Noi non adoriamo la Vergine, ma sì in Lei gli articoli di fede di Dio rivelato e che in Lei si ripresentano nella concretezza di Colui al quale, per ordine dell'Altissimo, darà il nome di Gesù.

Il sole di Cristo non può sorgere e compiere il suo percorso, se non nel cielo azzurro di Maria: l'Io-sono dell'Immacolata Concezione.

Teologi cattolici e protestanti avranno modo di approfondire questo mistero durante tutto il terzo millennio cristiano che sta per nascere, avvicinandosi tra loro per nuove scoperte sapienziali più che per moltiplicati dialoghi e confronti.

Qui riveleremo soltanto un punto che ci è particolarmente caro.

Fu il Papa che, conclusisi secoli di contesa teologica intorno all'Immacolata Concezione, formulò il dogma che Maria era l'Immacolata Concezione « in previsione dei meriti di Cristo ».

Ma l'approfondimento del dogma rimaneva un sogno.

La via da seguire fu indicato dall'Immacolata in persona.

Però non a quella che un tempo si chiamava la Chiesa docente ( Magistero e teologi ), bensì alla Chiesa discente, cioè al Popolo di Dio.

E fu a una pastorella dei Pirenei, che poi il Papa, impetrando Vescovi e Teologi unanimi, pose sugli altari, perché risplendesse costante nei riti e nella pietà, quella maggior gloria di Dio.

P. Giacinto Arturo Scaltriti o.p.