Un Santo visto da uno scrittore che ha girato tutto il mondo

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Si parlerà molto di Fratel Teodoreto, in questo 1984 che segna il trentesimo anniversario della scomparsa di una di quelle grandi figure religiose di cui la terra piemontese è stata così feconda tra Ottocento e Novecento.

Si parlerà di fratel Teodoreto perché ne è stata avviata la causa di beatificazione e perché la sua opera è più attuale che mai: basta ricordare i continui progressi della scuola professionale, la « Casa di Carità Arti e Mestieri » e la « Messa del Povero ».

Intanto un punto di riferimento d'obbligo è rappresentato da un bel libro di Elio D'Aurora intitolato « La santità è un'utopia? », edito da Città Armoniosa, la piccola coraggiosa casa editrice di Reggio Emilia che, purtroppo, proprio recentemente si è scontrata con grosse difficoltà, come accade di solito a chi compie un lavoro culturale controcorrente.

« La santità è un'utopia? » è una appassionata biografia di Fratel Teodoreto, scritta da Elio D'Aurora con lo stile scintillante di immagini e smaltato di citazioni che è solo suo.

Giornalista, inviato speciale che ha girato tutto il mondo dalla Lapponia ai Tropici, autore di decine di libri di narrativa o di cultura religiosa, tradotto in molte lingue, già corrispondente all'estero, D'Aurora nella sua vita turbinosa, tra le molte altre cose, è anche riuscito a conoscere da vicino Fratel Teodoreto, ad assimilarne l'umile e insieme altissima lezione.

Difficile, quindi, immaginare un autore più giusto per scrivere di Fratel Teodoreto.

Detto questo, devo, però, aggiungere che io non posso essere un lettore distaccato e obiettivo.

Sono troppo coinvolto.

D'Aurora è un vecchio collega e amico: abbiamo diviso 15 anni di « Gazzetta del Popolo » nella buona e cattiva sorte.

Quasi ogni giorno sulla mia vecchia Remington trovavo un suo foglietto scherzoso: due rime ironiche, una battuta di spirito, una strizzata d'occhio.

Spesso erano biglietti anonimi.

Ma che solo lui poteva aver scritto.

Facevano parte dei giochi di redazione.

Lui filava via veloce tra telescriventi e tipografia.

Io leggevo la battuta del giorno e ci scambiavamo un sorriso di complicità.

Solo un sorriso, il più delle volte, perché Elio è un uomo di poche parole, timido e modesto, convinto che nella vita contano più le azioni che le chiacchiere.

Come si può non leggere con commozione un libro scritto da un uomo così?

Ma c'è un altro motivo di commozione, ed è legato proprio al tema del libro, perché la « Casa di Carità Arti e Mestieri » è stata, durante gli anni dell'Università, il mio primo posto di lavoro e devo dire che sono stati tempi molto belli per me: era una sfida eccitante insegnare un po' di letteratura italiana e un po' di storia a quei ragazzi che nelle altre ore di scuola si dedicavano a torni e frese, e già con l'occhio al mondo della produzione, precocemente maturi e adulti.

Quei tempi della « Casa di Carità » sono per me ormai lontani di una ventina d'anni, ma sempre ben presenti mi sono le persone che incontrai in quella straordinaria scuola di corso Benedetto Brin: da don Mario Cuniberto a Domenico Conti, dal prof. Fonti ad altri insegnanti che si chiamavano Gianni Vattimo, Claudio Vicentini, Ennio Innaurato ( ora tutti e tre felicemente in cattedra in varie Università ), da Donilo Frassetto, che lavorava all'Ufficio Studi, al vicedirettore Brusa, prematuramente scomparso.

Da allora quella scuola, creatura di Fratel Teodoreto, è ancora cresciuta: nuove aule si sono aggiunte, i docenti sono saliti a 145, più di diecimila allievi sono stati diplomati, industrie e Ministero del Lavoro continuano a sostenere con la loro fiducia una scuola che è passala indenne attraverso tutte le tempeste abbottatesi sul nostro sistema educativo.

Nella biografia scritta da D'Aurora, naturalmente, non mancano tutti i dati concreti dell'attività svolta da Fratel Teodoreto, ma altrettanto importante è la parte dedicata agli aspetti strettamente spirituali.

D'Aurora sa di raccontare l'avventura di un uomo, ma più ancora l'impalpabile storia di un'anima, e lo fa con tutto il suo brio, e se necessario con la sua disinvolta polemica.

L'arco della vita di Fratel Teodoreto, al secolo Giovanni Garberoglio, si estende dal 9 febbraio 1871, quando nasce a Vinchio d'Asti da una famiglia contadina di forte sensibilità religiosa, al 13 maggio 1954, quando si spegno a 83 anni in seguito a un'emorragia cerebrale.

Tutto questo tempo Fratel Teodoreto lo vive all'insegna del servizio ai più umili, ai diseredati, ai ragazzi alla ricerca di una loro strada nella vita, affiancato talvolta nel suo lavoro da un'altra figura indimenticabile, quella di Fra Leopoldo.

Dopo aver fondato l'Unione Catechisti, due sono le tappe fondamentali di questo servizio: la Casa di Carità Arti e Mestieri e la « Messa del Povero ».

Questa, ricorda D'Aurora, « vede la domenica radunarsi presso l'Opera Pia Lotteri in via Colombini e in via Cibrario i dimenticati della società, i senzatetto, i senza lavoro, i malati cronici, gli abbandonati, i paria della strada, gli usciti dal carcere o dal neuro ».

La prima, è una iniziativa che punta, invece, a prevenire con l'istruzione e l'educazione quei mali sociali che la « Messa del Povero » poteva ormai solo alleviare.

A distanza di tanti anni, quei due miracoli continuano.

E ci dicono che Fratel Teodoreto è ben vivo.

Chi vuoi saperne di più, legga il libro di D'Aurora.

Certo non se ne pentirà, e forse sarà contagiato dalla Grazia del Fratel Teodoreto di Vinchio d'Asti.

Piero Bianucci


In occasione del trentennio della santa morte del venerato fratel Teodoreto, è per me doverosa testimonianza di gratitudine segnalare l'esaudimento delle preghiere a Lui rivolte in numerose circostanze e necessità.

In attesa che la Santa Chiesa voglia onorarne la memoria: Viva sempre Gesù nei nostri cuori.

Obbl.mo catechista

Pietro Valetti