CEI/Adulti/0101/0101.txt Catechismo degli Adulti Parte 1 - Per il nostro Signore Gesù Cristo Introduzione Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. ( Mt 11,27-28 ) 101 Gesù di Nàzaret, con il suo messaggio e con la sua azione, con il dono di sé fino alla croce e con la sua risurrezione, rivela che Dio è amore e sta attuando nella storia un meraviglioso disegno di salvezza. Introduzione Sezione prima - Il Messaggio di Gesù 102 Gesù di Nàzaret passa attraverso i villaggi e le città della Galilea, della Samarìa e della Giudea per circa tre anni, come un maestro itinerante, accompagnato da un gruppo di discepoli. Insegna negli ambienti e nelle situazioni più diverse, con immediatezza e autorità, ricorrendo a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e polemiche. Appare però assai diverso dagli altri maestri del suo tempo e di sempre. Le grandi personalità religiose sono testimoni e guide dell'umanità nella faticosa ricerca dell'Infinito; gli scienziati, gli artisti, i filosofi, i politici parlano il linguaggio dello sforzo umano per edificare un mondo più giusto e più libero; Gesù, invece, annuncia un'iniziativa gratuita, che viene dall'alto e che gli uomini devono accogliere con gioia: il regno di Dio. 103 "Profeta potente in opere e in parole" ( Lc 24,19 ), messaggero e protagonista nello stesso tempo, non solo proclama il Regno, ma comincia ad attuarlo. La sua parola è strettamente legata alla sua azione. La prende veramente sul serio solo chi la mette in pratica. Soltanto così si costruisce qualcosa di solido: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma la casa non crolla, perché è "fondata sopra la roccia" ( Mt 7,25 ). 104 La buona notizia, proclamata da Gesù, incontra difficoltà, perché sconvolge il comune modo di pensare e di agire; nello stesso tempo riempie di gioia, perché risponde all'attesa fondamentale di essere amati e di amare. L'avvenimento al quale si riferisce, il regno di Dio, non ha un carattere spettacolare, comincia a realizzarsi nella semplicità della vita quotidiana: solo gli umili sono capaci di riconoscerlo e accoglierlo ( capitolo 3 ). A quanti però vi aderiscono con una decisione ferma e generosa viene concesso il dono dell'autentica libertà nella comunione, un rapporto nuovo con le cose, con gli altri e soprattutto con Dio, sperimentato come Padre ( capitolo 4 ). Capitolo 3 La buona notizia Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. ( Mc 1,15 ) 105 Gesù di Nàzaret annuncia l'intervento definitivo di Dio nella storia, come re e salvatore. La regalità divina si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria; si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori. Chi l'accoglie con umiltà e fede, fa esperienza della beatitudine già tra le angustie della vita presente; cammina con coraggio verso un futuro pieno di speranza. Lieto annuncio Viene il regno di Dio 106 Capita spesso di leggere o ascoltare una pagina dei Vangeli. Forse ricordiamo qualche parabola e qualche detto, che ci hanno profondamente colpito. Rischiamo però di non coglierne esattamente il significato e la portata, se non li collochiamo nella prospettiva originaria. È importante, allora, scoprire qual era l'obiettivo fondamentale di Gesù, qual era il tema centrale della sua predicazione. 107 Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il regno di Dio! Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la sua predicazione: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo" ( Mc 1,15 ). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene. Messaggero e protagonista 108 I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. ( Is 35,1-10; Is 40,1-11; Is 52,7-12 ) Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, "messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"" ( Is 52,7 ); messaggero "mandato a portare il lieto annunzio ai miseri … per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere" ( Is 61,1.3 ). 109 Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia. ( Mc 10,15 ) 110 Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l'inaugurazione del regno di Dio: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" ( Lc 4,21 ). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l'intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le "pecore perdute della casa di Israele" ( Mt 15,24 ), in modo da attirare anche le nazioni "dall'oriente e dall'occidente" ( Mt 8,11 ). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell'umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: "I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" ( Mt 11,5 ). Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un'esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battista. ( Mt 11,11 ) I discepoli devono rendersi conto che stanno partecipando a un avvenimento di importanza unica, al vertice della storia: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non lo udirono" ( Lc 10,23-24 ). 111 Gesù è il messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si può riassumere in questo annuncio e appello: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo" ( Mc 1,15 ). Si compiono le attese Una aspirazione diffusa 112 Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell'aria, come fa intuire l'evangelista Luca con sobrie annotazioni: "il popolo era in attesa" ( Lc 3,15 ); "credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro" ( Lc 19,11 ). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall'esodo. La regalità di Dio nell'Antico Testamento 113 Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall'Egitto il popolo ebraico; ( Es 15,18 ) gli fece dono della sua alleanza e della sua legge; gli procurò il possesso di una terra fertile, dove scorreva latte e miele. Il suo disegno era quello di costituire una comunità, governata dalla sua legge e depositaria delle sue promesse, dove fosse riconosciuta la sua sovranità: "Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa" ( Es 19,4-6 ). 114 Israele vide nell'esodo dall'Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: "Il Signore regna!" ( Sal 96,10; Sal 47,1; Sal 93,1; Sal 97,1; Sal 98,1; Sal 99,1; Sal 145,1; Sal 146,1 ). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l'attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra. ( Is 2,2-5 ) Arrivò invece un'altra sciagura nazionale, l'esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell'ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. ( Ez 34,11-27; Ez 36,22-28; Ez 37,1-14 ) Mentre l'esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il "secondo Isaia", portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell'esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme. ( Is 35; Is 40,1-3.9-10; Is 52,7-10 ) Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; "Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome" ( Zc 14,9 ); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli; ( Is 60,1-22; Is 61,1-11 ) stabilirà il suo regno per sempre, affidandolo a un personaggio misterioso, "simile ad un figlio di uomo", e "al popolo dei santi dell'Altissimo" ( Dn 7,13.27 ). L'ambiente contemporaneo 115 I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l'appassionata invocazione: "Sii presto re sopra di noi". Tutti i gruppi e i movimenti religiosi del tempo, eccettuati forse i sadducei, si aspettavano a breve scadenza qualcosa di grande da parte di Dio a vantaggio di Israele. Ognuno poi si raffigurava a modo suo quello che Dio avrebbe fatto: i farisei e gli esseni pensavano a un trionfo della legge mosaica e si preparavano con l'osservanza scrupolosa e l'ascesi personale; gli zeloti e gran parte della gente comune miravano a una restaurazione politica contro il dominio di Roma; i circoli apocalittici erano protesi verso un rivolgimento di dimensioni cosmiche con cieli nuovi e terra nuova. Il ministero di Giovanni Battista 116 Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l'intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: "La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco" ( Lc 3,9 ). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli. ( Mc 2,18; Lc 11,1 ) La posizione di Gesù 117 Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. ( Mt 7,28; Mt 8,27; Mt 9,8.33; Mc 1,22-27; Mc 2,12; Mc 4,41; Mc 5,42; Lc 4,36; Lc 8,37 ) Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno. Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell'uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. ( Mt 11,2-6; Mt 14,14-21 ) Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l'esodo dall'Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all'amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali. ( Mt 6,33 ) Tempo di Avvento 118 È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell'Avvento ripropone l'attesa dell'Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all'incontro con Dio. 119 Allo scopo di preparare la venuta del suo regno nel mondo, Dio ha riunito e ha educato pazientemente, con un cammino di secoli, un popolo, che potesse accoglierlo e manifestarlo a tutte le genti: il popolo di Israele. L'incontro con Dio rimane comunque carico di novità e di sorpresa. Già e non ancora Difficoltà a credere 120 Il regno di Dio, che Gesù annuncia e inaugura, desta interesse; ma rischia anche di lasciare sconcertati e delusi. Il Maestro se ne rende conto e afferma: "Beato colui che non si scandalizza di me" ( Mt 11,6 ). Perché questa difficoltà a credere, nonostante la lunga preparazione e la viva attesa? Deriva dalla mentalità dell'ambiente o dalla natura stessa del Regno? Riguarda anche noi? Sono domande da considerare con attenzione. Il futuro 121 Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: "Venga il tuo regno" ( Mt 6,10 ). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza" ( Mc 9,1 ). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo intero. ( Mt 19,28; Mt 25,31-32 ) Il presente 122 D'altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi" ( Lc 17,21 ); "Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio" ( Mt 12,28 ). Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta. ( Mc 4,26-29; Mt 13,31-32.33 ) 123 Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale, destinata a compiersi perfettamente solo nell'eternità. Il vissuto quotidiano 124 Il Regno è più semplice e umano di quanto gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura nella debolezza, nell'apparente fallimento. Non a caso Gesù, per le sue parabole, prende lo spunto dall'esperienza comune di tutti i giorni: il seminatore che esce a seminare, gli operai che lavorano nella vigna, il lievito che la donna mette nella pasta, il figlio che scappa di casa, il pastore che smarrisce una pecora. Le parabole 125 Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell'Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ( 2 Sam 12,1-7 )ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all'opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l'imprevedibile, l'insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. ( Mt 20,1-15 ) È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile. Gesù fa appello all'esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante. 126 Il regno di Dio è presente e futuro, umile e nascosto; non sconvolge, ma valorizza la realtà quotidiana; sviluppa la sua efficacia silenziosamente, come un piccolo seme o un pugno di lievito; esige da noi il coraggio della fede e una paziente cooperazione. Il Regno è per i poveri Una proclamazione di felicità 127 Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l'esperienza. Senz'altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un'offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca, ( Mt 5,3-12; Lc 6,20-23 ) non vogliono essere soltanto una promessa, ma una proclamazione. A motivo del futuro che comincia a venire, assicurano già nel presente gioia e bellezza di vita, come un anticipo. Però è paradossale che ne siano destinatari i poveri e i sofferenti. Perché proprio loro? Dio difensore degli oppressi 128 Nella Bibbia troviamo delineata con tratti impressionanti la condizione dei poveri: duramente sfruttati nei lavori occasionali; derubati del bue, dell'asino e delle pecore; curvati dalle fatiche e dalle umiliazioni; si nutrono di erbe trovate nei campi e di qualche grappolo rimasto nelle vigne dopo la vendemmia; passano la notte nudi e indifesi dal freddo, bagnati di pioggia, quando non trovano neppure una grotta dove rifugiarsi. ( Gb 24,2-11 ) Più in generale però vengono considerati poveri tutti coloro che per la loro debolezza non riescono a far valere i propri diritti e quanti subiscono in un modo o nell'altro l'oppressione dei prepotenti. ( Is 1,10-28; Am 2,6-8; Mi 3,1-12 ) 129 Secondo la Bibbia, un re è giusto quando si fa difensore dei poveri, degli orfani e delle vedove, di quanti non sono in grado di farsi rispettare. ( Sal 72; Sal 82,1-4; Is 11,1-9; Is 61,1-3 ) A maggior ragione, la giustizia regale di Dio si manifesta a favore degli oppressi: "Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi. Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione" ( Sal 146,5-10 ). Liberazione dalla sofferenza 130 Dando compimento all'attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova e definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli. ( Mt 10,7-8; Mt 11,4-6; Lc 4,18-21; Lc 6,20-22 ) Rendendo visibile con il suo comportamento l'agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui. Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; ( Lc 9,1-6; Lc 10,1-9 ) esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale. ( Mt 25,35-40 ) Beati gli ultimi 131 Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l'indigenza, né l'emarginazione, né la malattia, né l'insuccesso, né l'umiliazione, né la persecuzione, né alcun'altra avversità. Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall'amore che il Padre ha per loro. Così "passano avanti nel regno di Dio" ( Mt 21,31 ). Per farne però l'esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni. ( Lc 6,22-23 ) La gioia di Gesù 132 Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre. ( Lc 10,21 ) Gli basta essere amato come Figlio. È lieto di ricevere tutto dal Padre e di essere nulla senza di lui. La sua povertà non si riduce a una condizione esteriore; è innanzitutto un atteggiamento spirituale, è umiltà: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore" ( Mt 11, 29 ). Egli vuole comunicare la sua gioia: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" ( Mt 11,28 ); "La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" ( Gv 15,11 ); "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi" ( Gv 14,27 ). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza. È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, "poveri in spirito" ( Mt 5,3 ), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri. Le beatitudini 133 Gli atteggiamenti per accogliere il Regno sono ben esplicitati nella redazione delle beatitudini fissata dall'evangelista Matteo. Rimandando alla lettura del testo, ( Mt 5,3-10 ) qui viene presentata una interpretazione in prospettiva catechistica: "Beati gli umili che confidano solo in Dio, perché ad essi è riservato il suo regno. Beati coloro che si affliggono per il male presente nel mondo e in loro stessi, perché Dio li consolerà. Beati i miti, coloro che sono accoglienti, cordiali, pazienti e rinunciano a imporsi agli altri con la forza, perché Dio concederà loro di conquistare il mondo. Beati quelli che desiderano ardentemente la volontà di Dio per sé e per gli altri, perché Dio li sazierà alla sua mensa. Beati i misericordiosi, che sanno perdonare e compiere opere di carità, perché Dio sarà misericordioso con loro. Beati i puri di cuore, che hanno una coscienza retta, perché Dio li ammetterà alla sua presenza nella liturgia celeste. Beati quelli che costruiscono una convivenza pacifica, giusta e fraterna, perché Dio li accoglierà come figli. Beati i perseguitati a motivo della nuova giustizia evangelica, perché Dio, re giusto, li salverà". Illusoria autosufficienza 134 L'attenzione preferenziale agli ultimi non significa esclusione degli altri. Gesù frequenta anche i "ricchi" e i "giusti", coloro che nella società sono in vista per il benessere materiale o per la devota osservanza della Legge. Verso di loro però usa generalmente un linguaggio severo, perché li vede soddisfatti di sé, chiusi verso Dio e senza misericordia per il prossimo. Questi ricchi ripongono nei beni materiali la sicurezza e lo scopo della vita, come il facoltoso proprietario terriero della parabola, che, dopo un abbondante raccolto, si illude di aver raggiunto una sistemazione felice e duratura. ( Lc 12,13-21 ) Il richiamo di Gesù è deciso: "Guai a voi, ricchi… Guai a voi che ora siete sazi… Guai a voi che ora ridete" ( Lc 6,24-25 ); "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!… È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio" ( Mc 10,23.25 ). I giusti sono tali solo in apparenza, quando disprezzano "gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri" ( Lc 18,11 ) e si presentano a Dio a testa alta, confidando nelle proprie opere buone, come il fariseo al tempio. ( Lc 18,9-14 ) Nessuno è giusto da sé; per questo Gesù dichiara: "Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori" ( Mc 2,17 ). Dietro alle singole azioni disordinate, egli vede un profondo traviamento del cuore, da cui "provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie" ( Mt 15,19 ). Se anche fosse possibile eliminare qualche comportamento malvagio, non è possibile darsi un cuore nuovo. Bisogna riconoscere la propria impotenza a salvarsi da soli. ( Mc 10,26-27 ) Chi si gloria della propria giustizia, si esclude dalla misericordia di Dio. La falsa autosufficienza, quella materiale dei "ricchi" come quella morale dei "giusti", è il peccato fondamentale, che impedisce di accogliere il regno di Dio come dono. È necessario farsi piccoli come bambini; ( Mt 18,3; Mc 10,13-16 ) assumere un atteggiamento umile, fiducioso, grato e obbediente; non certo rimanere passivi, perché la fede implica anche impegno e creatività morale, ma come risposta all'iniziativa di Dio, come energia nuova risvegliata dall'amore del Padre, che rende dolce il giogo e il carico leggero. ( Mt 11,28-30; Mc 4,3-8.13-20 ) Possiamo amare solo perché prima siamo stati amati. La nostra risposta, in definitiva, è accoglienza. 135 Beati i poveri, perché Dio li ama, si impegna a liberarli dalla sofferenza e fin d'ora conferisce loro la dignità di suoi figli, che nessuna circostanza esteriore può compromettere. Chi vive consapevolmente la comunione filiale con Dio, fa esperienza di gioia anche in mezzo alle tribolazioni, come Gesù. È necessario però condividere l'atteggiamento del Maestro "mite e umile di cuore" ( Mt 11,29 ) e vivere secondo lo spirito delle beatitudini. Confidare nella ricchezza, gloriarsi della propria giustizia, considerarsi autosufficienti: ecco ciò che impedisce di accogliere il regno di Dio, che è dono gratuito. "Seguitemi" ( Mt 4,19 ) Presunzione e pessimismo 136 Nella mentalità del nostro tempo, condizionato dal mito del progresso, è forte la presunzione di costruire da soli il proprio destino. Malgrado numerose esperienze fallimentari, rimangono in auge l'ottimismo etico di matrice illuminista e l'idolatria della scienza, della tecnica, dell'economia e della politica. D'altra parte cresce un certo scetticismo, una diffidenza per le grandi affermazioni, le grandi speranze, i grandi progetti. Ci si rassegna a vivere alla giornata; ci si contenta di risultati frammentari e provvisori. Un cammino di fede 137 Gesù, con il suo messaggio, scuote sia la presunzione sia il pessimismo; suscita il coraggio audace dell'umiltà. Il suo è un invito a camminare dietro a lui, verso un futuro misterioso, dono gratuito e certo di Dio, non conquista solitaria e problematica dell'uomo. Dio è già all'opera nella storia per preparare un mondo nuovo. Il fascino della buona notizia fa uscire dalle illusorie sicurezze e dalle paure; attrae i nostri passi su una strada difficile e imprevedibile, ma senz'altro carica di promesse, come quella dei primi discepoli. Come i primi discepoli 138 Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" ( Mt 4,19 ). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall'immaginare dove andranno ad approdare. 139 Credere al vangelo del Regno e seguire Gesù comporta il rifiuto di due opposti atteggiamenti: la presunzione e il pessimismo. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Anche in una società fortemente secolarizzata, dove Dio e la fede cristiana sembrano avere minore accoglienza e rilevanza, non mancano domande religiose e una certa ricerca del sacro. Non mancano, soprattutto, attese di salvezza e desiderio di un senso nuovo nel vivere quotidiano. Il regno di Dio, annunciato e inaugurato da Gesù, è presente anche in questo nostro tempo e in questa nostra storia, come fermento di novità, di speranza e di salvezza. Per noi, oggi, il vangelo di Gesù è la "buona notizia" che Dio ci ama e ci salva. - Cos'è per te il cristianesimo? Soltanto una dottrina o, anzitutto, una "buona notizia"? - A quali attese e aspirazioni più profonde, presenti oggi nel cuore della gente, risponde il vangelo di Gesù? Nelle situazioni anche più faticose e misteriose dell'esistenza, quale luce viene dalla presenza del regno di Dio, annunciato e inaugurato per noi da Gesù? - Come poter vivere lo spirito delle beatitudini evangeliche nella società attuale? Ascoltare e meditare la Parola Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. ( Mt 5,3-12 ) Si può leggere anche: ( Mt 13,31-32 ) Il granello di senape. ( Mt 18,1-5 ) Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. ( Lc 4,16-21 ) Un lieto messaggio ai poveri. ( Sal 146,1 ) Il Signore regna… rende giustizia agli oppressi. Tu apristi gli occhi del nostro cuore, affinché conoscessimo te, il solo, Altissimo nei cieli altissimi, il Santo che riposi tra i santi, che umilii l'insolenza dei superbi, che annienti i progetti dei popoli, che esalti gli umili e umilii i superbi. Tu che arricchisci e impoverisci, che uccidi e dai la vita, il solo benefattore degli spiriti, e Dio di ogni carne, che scruti gli abissi, che osservi le opere umane, che soccorri i pericolanti, salvatore dei disperati, creatore e custode di ogni spirito, che moltiplichi le genti sulla terra, che fra tutti scegliesti quelli che ti amano, per mezzo di Gesù Cristo, il diletto tuo servo, per mezzo del quale ci educasti, santificasti e onorasti. ( San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 59,3 ) Pregare e celebrare Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre. ( Sal 131,1 ) O Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo regno hai inviato il tuo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell'eterna gloria. ( Messale Romano, Colletta della I domenica di Avvento, anno A ) Professare la fede - "Tutta la vita di Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l'uomo, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l'accettazione del sacrificio totale sulla croce per la redenzione del mondo, la sua risurrezione sono l'attuazione della sua parola e il compimento della rivelazione" ( Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 9 ) - Gesù di Nàzaret è il vangelo di Dio incarnato, colui che porta a tutti, a cominciare dagli ultimi, la "bella notizia" del Regno: Dio ci ama, viene a salvarci, a renderci veramente felici. - A ciascuno di noi è richiesto di "seguire" Gesù, di fidarci e di affidarci a lui, senza riserve, in ogni momento della vita. Capitolo 4 Dono di libertà e comunione Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. ( Mt 13,44 ) 140 Il regno di Dio è vita nuova per l'uomo. Provoca la nostra conversione; ci libera da avidità, ambizioni, affetti disordinati, paure e pregiudizi; al seguito di Gesù ci introduce nella comunione con il Padre e con i fratelli. Convertitevi e credete La nostra cooperazione 141 In Gesù, Dio padre inaugura la sua nuova presenza nella storia e offre a noi la possibilità di entrare in un rapporto di comunione con lui. Il suo regno non ha un carattere spettacolare; ama nascondersi nella semplicità delle cose ordinarie. E tuttavia possiamo farne l'esperienza subito, se lo accogliamo liberamente e attivamente. Per avere un raccolto soddisfacente, non basta che il seminatore getti il seme con abbondanza; occorre che il terreno sia buono. ( Mt 11,28-30; Mc 4,3-8.13-20 ) Il Regno è interamente dono, ma ha bisogno della nostra cooperazione: la esige e la provoca nello stesso tempo. Dio non solo rispetta, ma suscita la libertà; non salva l'uomo dall'esterno, come fosse un oggetto, ma lo rigenera interiormente, e poi attraverso di lui rinnova la società e il mondo. La lieta notizia del regno di Dio che viene implica un appello: "Convertitevi e credete al vangelo" ( Mc 1,15 ). La nuova prossimità di Dio mediante Gesù rende possibile una radicale conversione. Un nuovo modo di pensare e di agire 142 Convertirsi significa assumere un diverso modo di pensare e di agire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, ( Ger 3,12-13; Ez 18,30-32 ) pronti all'occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere. ( Mt 6,33 ) Significa liberarsi dagli idoli che ci siamo creati e che legano il cuore: benessere, prestigio sociale, affetti disordinati, pregiudizi culturali e religiosi. La decisione deve essere netta, senza riserve: "Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te … E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te" ( Mt 5,29.30 ). Tuttavia Gesù conosce la fragilità umana e sa essere paziente. Lo rivela narrando di un padrone, il quale aveva nel campo un magnifico albero, che da tre anni però non gli dava frutti; ordinò al contadino di tagliarlo; ma questi gli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai" ( Lc 13,8-9 ). Una vita più bella 143 Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l'armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: "Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" ( Lc 19,8 ). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli. ( Lc 19,1-10 ) La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare. ( Mt 13,44-46 ) Il discepolo, che ha preso su di sé il "giogo" di Gesù, lo porta agevolmente, come un "carico leggero" ( Mt 11,29-30 ). Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna. ( Mc 10,29-30 ) 144 Il regno di Dio viene come dono, ma chiede la nostra libera cooperazione; la buona notizia diventa per noi realtà vissuta, se accogliamo l'appello di Gesù: "Convertitevi e credete al vangelo" ( Mc 1,15 ). Convertirsi significa assumere un nuovo modo di pensare e di agire; comporta anche rinunce, ma dischiude una vita più vera e più bella, di comunione con Dio e con gli altri. Liberi dagli interessi e dalle paure Liberi dalla schiavitù della ricchezza 145 La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere. Gesù non è un asceta alla maniera di Giovanni Battista: "mangia e beve" ( Mt 11,19 ), vive in mezzo alla gente, ha simpatia per il mondo. Però vive per il Padre, ancorato al suo amore, disponibile alla sua volontà. Per testimoniare la fiducia assoluta in lui e dedicarsi totalmente al suo regno, assume una vita povera e itinerante: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" ( Lc 9,58 ). Vuole che anche i discepoli vadano a portare la lieta notizia alleggeriti da ogni zavorra: "Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno" ( Lc 9,3 ). Ammonisce la gente a non lasciarsi suggestionare dalla ricchezza: "Nessuno può servire a due padroni …: non potete servire a Dio e al denaro" ( Mt 6,24 ). 146 La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni" ( Lc 12,15 ). Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste. ( Mt 19,16-22 ) Il ricco della parabola è senza cuore verso Lazzaro, il mendicante affamato e coperto di piaghe; e i suoi cinque fratelli continuano a gozzovigliare spensierati, al punto che nemmeno un morto risuscitato potrebbe scuoterli. ( Lc 16,19-31 ) Le folle, che seguono Gesù, si aspettano da Dio facile abbondanza di beni materiali e, invece di accogliere nella fede lui e la sua volontà, lo strumentalizzano ai propri desideri e interessi. ( Gv 6,26 ) 147 La preoccupazione del benessere va ridimensionata. Ci sono valori più importanti e decisivi che non il cibo e il vestito: "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" ( Mt 6,26-33 ). Occorre certo seminare e mietere, filare e tessere, progettare e lavorare, ma senza ansia per il domani. ( Mt 6,19-21 ) Bisogna possedere senza essere posseduti, senza preferire il benessere alla solidarietà. Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: "Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma" ( Lc 12,33 ). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la povertà materiale. Lo conferma l'esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i credenti avevano "un cuore solo e un'anima sola" ( At 4,32 ), mettevano le loro cose in comune e così "nessuno tra loro era bisognoso" ( At 4,34 ). Liberi dalla sete del potere 148 Oltre che dalla ricchezza, la vicinanza di Dio libera anche dalla tentazione di dominare sugli altri. Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire; ( Mc 10,45 ) e di fatto, a differenza dei maestri religiosi del suo tempo che di solito si lasciano accudire dagli allievi nelle necessità quotidiane, si comporta come un servitore: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" ( Lc 22,27 ). I discepoli dovranno seguire il suo esempio e servirsi l'un l'altro, comportandosi tra loro come fratelli di pari dignità e riconoscendo sopra di sé l'unico Padre. ( Mt 23,8-9 ) L'autorità, nella comunità cristiana, dovrà essere esercitata come un servizio, e non come un dominio oppressivo alla maniera dei re delle nazioni, che sfruttano la gente e si fanno chiamare benefattori: "Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti" ( Mc 10,44 ). 149 Il regno di Dio non ha niente a che fare con uno stato teocratico: non impone il diritto e la giustizia con la forza; non si difende con le armi; non fa concorrenza ai regni di questo mondo. ( Gv 18,36 ) Tuttavia non rimane indifferente neppure nei loro confronti: li giudica e ne denuncia le pretese totalitarie. Si deve dare "a Cesare ciò che è di Cesare", rispettando le autorità e osservando le leggi, perché hanno il compito di assicurare la pacifica convivenza e il progresso dei cittadini. Prima ancora però bisogna dare "a Dio ciò che è di Dio" ( Mc 12,17 ), mettendo la sua volontà e la dignità dell'uomo al di sopra delle istituzioni, rimuovendo ogni soggezione falsamente religiosa verso il potere politico. Liberi negli affetti 150 La liberazione dal possesso egoistico e dall'ambizione non è sufficiente. Il regno di Dio trasforma anche gli affetti familiari e li apre a valori più alti ed universali. ( Mt 10,37; Lc 14,26 ) Gesù, con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe, ( Lc 2,51 ) riconosce il valore della famiglia come luogo dei rapporti umani fondamentali, ordinati alla crescita delle persone; eppure non esita a dichiarare che la sua famiglia più vera è quella formata dai discepoli che compiono la volontà del Padre. ( Mc 3,35 ) Insegna la fedeltà irrevocabile all'amore coniugale, contro ogni tentazione di adulterio e di divorzio; ( Mt 5,27-28.31-32 ) ma ad alcuni chiede di lasciare famiglia e lavoro, senza indugiare oltre. ( Lc 9,59-62; Lc 10,4 ) Liberi dall'angoscia 151 Infine, il regno di Dio libera dalla paura di essere messi al bando dalla società e perfino dal timore di perdere la vita. Gesù, quando sente dire che Erode Antipa vuole ucciderlo, come ha già fatto con Giovanni Battista, non cambia strada: "Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada" ( Lc 13,32-33 ). I discepoli sono chiamati a dar prova dello stesso coraggio. Non temano di essere anticonformisti e diversi dagli altri, di essere insultati e perseguitati; ( Mt 5,11 ) non si lascino sedurre dalla strada larga, dove cammina la maggioranza, o dai falsi maestri, che spacciano dottrine alla moda. ( Mt 7,13-20 ) Rinuncino all'idolatria del proprio io; mettano da parte le paure e gli interessi immediati, diano la loro vita e prendano la croce, come il condannato che esce dal tribunale e si avvia al luogo del supplizio, in mezzo alla folla che lo schernisce e lo maledice: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" ( Mc 8,34-35; Lc 9,23-24 ). 152 Chi ha Dio come Padre non può sentirsi mai solo: "Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri" ( Lc 12,6-7 ). La sofferenza, anche quella umanamente più inquietante e difficile da accettare, acquista un alto valore e una misteriosa fecondità. Gesù lo afferma con due immagini delicate e suggestive: il chicco di grano cade in terra e muore, ma rinasce moltiplicato; ( Gv 12,24 ) la donna al momento del parto geme e grida, ma poi dimentica completamente il dolore per la gioia di avere un bambino. ( Gv 16,21 ) Chi aderisce a Cristo con fede viva e salda, non è più ossessionato dall'ansia di trovare sicurezze e piaceri, per sentirsi vivo; è disponibile al servizio degli altri; sperimenta personalmente che il Figlio di Dio è venuto a liberare "quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" ( Eb 2,15 ). 153 Accogliere il regno di Dio libera dal possesso egoistico, dal dominio sugli altri, dagli affetti disordinati e dalle paure. Liberi dal legalismo 154 Il regno di Dio è il regno della libertà o della legge? Gesù abolisce o irrigidisce le prescrizioni dell'Antico Testamento? In che senso perfeziona la Legge e la porta a compimento? Sono domande importanti per capire Gesù e la sua opera. Centralità della Legge La Legge è essenziale nell'esperienza storico-religiosa di Israele. "Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date? tu risponderai a tuo figlio: … Il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi … così da essere sempre felici ed essere conservati in vita … La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato" ( Dt 6,20-21.24-25 ). Al tempo di Gesù gli ebrei, per quanto divisi in vari movimenti e tendenze, sono tutti d'accordo sulla centralità della legge mosaica e del tempio. I farisei, più degli altri, urgono l'osservanza minuziosa delle regole in ogni settore della vita personale e sociale. Per loro le prescrizioni legali e la volontà di Dio sono senz'altro la stessa cosa e prendere su di sé il giogo della Legge è senz'altro prendere su di sé la sovranità di Dio. Contro il giovane rabbì venuto da Nàzaret sollevano frequenti controversie e lo accusano di disprezzare e violare la Legge. Gesù perfeziona la Legge 155 La posizione di Gesù è molto originale e non può essere affatto qualificata come permissivismo; anzi, per certi aspetti, è assai più esigente di qualsiasi altra: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" ( Mt 5,17 ). Per accogliere il regno di Dio occorre una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei. ( Mt 5,20 ) Ben sei volte nel discorso della montagna ritorna la formula "Ma io vi dico", per radicalizzare le prescrizioni della legge antica d'Israele e rivelare le esigenze di perfezione contenute nella volontà di Dio: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere … Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio" ( Mt 5,21.22 ); "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ( Mt 5,27 ); "Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio" ( Mt 5,31-32 ); "Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare …; ma io vi dico: non giurate affatto … Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no" ( Mt 5,33.34.37 ); "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra" ( Mt 5,38-39 ); "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" ( Mt 5,43-45 ). Gesù condanna non solo l'omicidio e l'adulterio, ma anche l'atteggiamento interiore che sta alla loro radice; dichiara che il divorzio è fuori del progetto di Dio e ristabilisce l'indissolubilità del matrimonio; comanda la limpida veracità nel parlare e l'amore attivo verso i nemici, cercando di vincere il male con il bene. Tanto esigente, forte e autorevole è il suo insegnamento, da lasciare la gente sbalordita. ( Mt 7,28-29 ) Però, chi accoglie nella fede la paternità di Dio, rivelata da Gesù, non si trova davanti un ideale irrealizzabile, ma il dono di una nuova grandiosa possibilità: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" ( Mt 5,48 ). 156 Del resto, la sua severità non ha niente a che fare con il legalismo. Se è vero che egli non abolisce la legge antica, è anche vero che non si preoccupa di ripeterla con esattezza e chiaramente la modifica in qualche punto. ( Mc 7,14-23; Mc 10,2-12 ) Vuole piuttosto perfezionarla. Nelle sei antitesi del discorso della montagna, illustrate con riferimenti concreti alla vita quotidiana, offre alcune indicazioni esemplificative di questo perfezionamento. Il disegno della nuova giustizia, così tratteggiato, ha il volto della carità, che evita il male e fa il bene verso tutti, compresi i nemici. Urgenti per lui sono soltanto le implicazioni necessarie dell'amore; e la Legge va portata a perfezione risalendo al suo significato originario, al principio ispiratore che è l'amore stesso. ( Lv 19,18; Dt 6,5 ) Gesù riprende e concentra tutta la Legge nei due comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, tra loro intimamente congiunti: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti" ( Mt 22,37-40 ). Le norme particolari sono più o meno importanti secondo che più o meno si avvicinano al cuore della Legge. "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!" ( Mt 23,23-24 ). Su alcune cose Gesù è estremamente severo, su altre è sorprendentemente libero, condiscendente. Ma non c'è in lui nessuna incoerenza: la volontà di Dio è il bene vero e concreto, non un sistema intangibile di regole astratte; le norme cessano di avere valore, quando non favoriscono più la crescita autentica dell'uomo. Colui che inasprisce la condanna dell'adulterio è lo stesso che rifiuta la pena di morte, prevista dalla legge, per la donna adultera; ( Dt 22,22-24; Gv 8,11 ) colui che, come un pio giudeo osservante, frequenta la sinagoga ogni sabato è lo stesso che non esita a trasgredire il riposo del sabato, ( Mc 3,1-5; Lc 13,10-17 ) senza tener conto delle sottili distinzioni casistiche, quando si tratta di curare e guarire i malati: "È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?" ( Mc 3,4 ). Il criterio che segue è questo: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!" ( Mc 2,27; Dt 5,12-15 ). Critico verso il formalismo religioso 157 Nella stessa direzione vanno le "trasgressioni" della purità legale. ( Lv 11,1; Lv 16,1 ) Gesù prova compassione per il dolore e l'umiliazione che pesano sui lebbrosi; non solo li guarisce, ma, passando sopra alla prescrizione che li relega in uno stato di isolamento e di maledizione, ( Lv 13,45-46 ) si avvicina e li prende per mano, li conforta e li rimette in piedi: ( Mc 1,40-45 ) li ristabilisce nella loro dignità davanti a Dio e alla comunità. Contesta le esteriorità religiose, come le abluzioni prima dei pasti e la distinzione tra cibi puri e impuri, ( Mc 7,1-23 ) o alcune forme di digiuno. ( Mt 6,16-18 ) Niente è profano, se non le azioni cattive che provengono dal cuore malvagio: "Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo" ( Mc 7,20 ). Viceversa, tutto diventa adorazione di Dio "in spirito e verità" ( Gv 4,23 ), se è compiuto in obbedienza alla sua volontà. 158 In questa prospettiva Gesù ridimensiona lo stesso culto incentrato sul tempio di Gerusalemme, ( Gv 4,21 ) simbolo dell'unità e dell'identità di Israele. Più volte all'anno, in occasione delle grandi feste, sale in pellegrinaggio alla città santa, con esemplare devozione. Eppure dice parole e compie gesti, che inequivocabilmente relativizzano il ruolo del tempio. Dichiara più necessario riconciliarsi con il fratello che non portare offerte sacrificali all'altare, ( Mt 5,23-24 ) rispettare i genitori che non consacrare doni votivi. ( Mt 15,3-6 ) Si ritiene esente dal dovere di pagare la tassa annuale al tempio. ( Mt 17,24-27 ) Considera se stesso più grande del tempio ( Mt 12,6 ) e si rende protagonista di un'azione simbolica, la cacciata dei venditori, con cui intende significare non tanto la purificazione, quanto il superamento del culto tradizionale. ( Mc 11,15-19; Gv 2,14-16 ) Infine preannuncia la distruzione dell'edificio stesso: "Non rimarrà qui pietra su pietra" ( Mc 13,2 ). È facile capire perché a Gerusalemme tra i sacerdoti e i notabili della setta dei sadducei ci si metta in allarme e si cerchi di farlo morire. ( Lc 19,47 ) La loro ostilità va ad aggiungersi a quella di una parte dei farisei, che lo incalza già dai primi giorni della predicazione in Galilea. Ai loro occhi Gesù di Nàzaret appare un falso profeta, perché non restaura, ma sovverte la religione tradizionale. 159 La novità di Gesù è profonda. Lo riconosce lui stesso: "Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio … Né si mette vino nuovo in otri vecchi … Ma si versa vino nuovo in otri nuovi" ( Mt 9,16-17 ). Tuttavia Gesù si trova in continuità con l'ispirazione fondamentale dei profeti ( Ger 4,4; Os 6,6; Mi 6,8 ) e opera una liberazione che non ha niente a che fare con il permissivismo: egli responsabilizza al massimo nella concretezza e creatività dell'amore, per la totale fedeltà alla volontà di Dio e al bene dell'uomo. 160 Gesù non abolisce la Legge, ma la perfeziona, riconducendola alle esigenze della carità, supremo principio ispiratore. Subordina all'autentico bene dell'uomo le regole della convivenza civile e contesta il formalismo religioso. Liberati per essere fratelli Convivenza fraterna 161 Se Gesù di Nàzaret dona e nello stesso tempo esige il distacco dalle ricchezze, dall'ambizione, dagli affetti disordinati, dai pregiudizi culturali e religiosi, lo fa in nome di una libertà che si attua nella comunione con i fratelli e con Dio. Quelli che si convertono al regno di Dio e obbediscono alla sua volontà, costituiscono una famiglia più salda che non la parentela fondata sui legami di sangue. ( Mc 3,35 ) Quanti tra loro sono chiamati a lasciare il lavoro, la casa e la condizione ordinaria di vita, non finiscono per rimanere soli, ma trovano una famiglia più grande, la comunità dei discepoli. Questa è la promessa di Gesù: "Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna" ( Mc 10,29-30 ). Neppure tra i seguaci di Gesù mancano egoismi e tensioni, ma la legge che regola i rapporti è quella della carità. Chi decide di seguirlo, sa che deve impegnarsi seriamente per una forma di vita, che prevede servizio scambievole, correzione fraterna, perdono, riconciliazione, attenzione ai più deboli. Premura per tutti 162 Questo atteggiamento deve valere verso tutti, anche verso gli estranei: lo insegna con mirabile efficacia la parabola del samaritano. ( Lc 10,30-37 ) Un uomo viene aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto lungo la strada. Lo vedono due passanti della sua stessa religione e nazionalità, ma tirano via senza curarsi di lui. Giunge un samaritano, uno straniero, per di più considerato eretico: si ferma, si avvicina, carica il ferito sulla cavalcatura, lo porta alla locanda, lo fa curare a proprie spese. È necessario farsi carico di ogni uomo che incontriamo, al di là di qualsiasi differenza razziale, sociale e religiosa. È sbagliato chiedersi chi sia prossimo a noi; siamo noi che dobbiamo farci prossimi di chiunque, anche di chi è estraneo, perfino dei nostri nemici. Il modello è l'amore stesso di Dio: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro" ( Lc 6,36 ). Amare concretamente 163 Che cosa voglia dire amare, Gesù lo esemplifica nelle parole del giudizio finale: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi" ( Mt 25,35-36 ); e lo riassume formulando in termini positivi la cosiddetta "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti" ( Mt 7,12 ). Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività. La misura è Gesù stesso: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" ( Gv 13,34 ). 164 I discepoli di Gesù vivono in comunione tra loro come fratelli e sono attivamente solidali con tutti, come il samaritano della parabola evangelica. "Perché siate figli del Padre" ( Mt 5,45 ) Nuova rivelazione del Padre 165 L'esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: "E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo" ( Mt 23,9 ). Egli è pieno di premura per i suoi figli. ( Mt 6,31-33 ) A lui possono abbandonarsi con totale fiducia e obbedienza, rese possibili dalla nuova rivelazione della sua paternità e vicinanza. 166 Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l'aramaico, chiamandolo abitualmente "Abbà" ( Mc 14,36 ), che significa "papà". "Abbà" è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: "Non appena egli sente il sapore della culla ( cioè quando è divezzato ), dice "abbà", "immà" ( papà, mamma )", si legge nella tradizione ebraica. Anche divenuti adulti, i figli continuano a usare questa parola con atteggiamento di confidenza e di rispetto, in un clima affettuosamente familiare. Chiamare Dio familiarmente "papà", come fa Gesù, appare cosa insolita e audace. 167 Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi confronti e l'aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: "Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio … Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano … Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare" ( Os 11,1.3-4 ). Tuttavia, l'Antico Testamento accentuava l'infinita trascendenza di Dio, l'Unico, l'Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: "Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l'oscurità della notte … Signore è il suo nome" ( Am 5,8 ). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo. 168 Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" ( Mt 11,25-27 ). Paternità universale 169 Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il "Padre mio" ( Mt 7,21 ) da il "Padre vostro" ( Mt 7,11 ), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli. Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere "Abbà" anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l'apostolo Paolo: "Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!"" ( Rm 8,15 ). Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall'eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa. ( Lc 15,11-32 ) 170 Non è affatto semplice per l'uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell'ambiente, l'esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l'uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l'esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. 171 Gesù vive un'intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente "Abbà" ( Mc 14,36 ). Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia. "Pregate così" ( Mt 6,9 ) Gesù prega 172 Come si vive e si esprime il rapporto filiale con il Padre? Bastano l'obbedienza, il lavoro, la dedizione al prossimo? Oppure è necessario anche il dialogo della preghiera?Gesù prega, partecipando assiduamente alla liturgia di Israele. Invoca il Padre in pubblico, nel mezzo della sua stessa attività. ( Mt 11,25-27; Gv 11,41-42 ) Soprattutto si ritira lunghe ore in solitudine, nel deserto o sui monti, di notte o di buon mattino. ( Mc 1,35-38; Mc 6,46; Lc 5,16 ) La sua preghiera è stare di fronte al Padre come Figlio, in perfetta reciprocità, ( Mt 11,27 ) nella gioia dello Spirito Santo. ( Lc 10,21 ) Da questo intimo dialogo trae energia ed ispirazione per la sua missione, soprattutto nei momenti decisivi. ( Lc 3,22; Lc 6,12; Lc 9,18.28-29 ) "Padre nostro" 173 Il Maestro trasmette ai discepoli il suo atteggiamento filiale verso Dio. Insegna loro la preghiera del "Padre nostro", come espressione della nuova comunione con Dio e segno distintivo della loro identità. ( Mt 6,9-13; Lc 11,1-4 ) La preghiera comprende sette domande nella redazione di Matteo e cinque in quella, forse più antica, di Luca; ma in realtà sotto diversi aspetti si chiede una sola cosa, l'unica necessaria: la venuta del regno di Dio in noi e nel mondo. È la preghiera dei figli, che fanno proprio il progetto del Padre e si abbandonano totalmente a lui; è la preghiera degli umili di cuore, protesi verso una salvezza più grande di quella che si può programmare e costruire con le proprie mani. 174 Nelle parole del "Padre nostro" si può avvertire l'eco della preghiera ebraica, in cui si esprime l'anelito verso il futuro intervento di Dio: "Esaltato e santificato sia il suo grande nome, nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà; venga il suo regno durante la vostra vita …". Ma la preghiera di Gesù si presenta come una proposta di fede nuova e originale. Qui di seguito ne viene offerta una parafrasi, utile per ritrovarne il senso originario: "Padre nostro, che sei al di sopra di tutto come il cielo, fa' che il tuo nome sia glorificato e riconosciuto santo. Mostra davanti a tutti che tu solo sei Dio, radunando definitivamente il tuo popolo disperso e purificandolo dai suoi peccati con il dono del tuo Spirito. ( Ez 36,22-28 ) Venga in pienezza la tua regalità, che porta libertà, giustizia e pace. Si compia il tuo disegno di salvezza in cielo e in terra. Donaci fin d'ora il nostro pane futuro, un anticipo del convito del Regno; ( Lc 14,15 ) donaci il pane necessario per vivere oggi, come agli ebrei nel deserto davi la manna giorno per giorno: confidiamo in te e non vogliamo affannarci per il domani, per quello che mangeremo o per come ci vestiremo. ( Mt 6,31 ) Nella tua misericordia perdona i nostri peccati: anche noi siamo pronti a perdonare a chi ci ha fatto del male. Non lasciarci soccombere nella tentazione; fa' che mai perdiamo la fiducia in te, così da non avvertire più la tua presenza e sentirci abbandonati. Liberaci dal potere del maligno, che si oppone al tuo regno e ci dà la morte". Pregare il Padre ci fa sperimentare che siamo figli e ci sollecita a vivere da figli: "Leva, dunque, gli occhi tuoi al Padre … che ti ha redento per mezzo del Figlio e dì: Padre nostro! … Dì anche tu per grazia: Padre nostro, per meritare di essere suo figlio". 175 Gesù prega a lungo e con intensità; rende i discepoli partecipi della sua vita di Figlio e lascia loro in consegna la preghiera del "Padre nostro". Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La tentazione di vivere nella mediocrità e nell'appiattimento può essere forte. Anche la vita cristiana può essere vissuta stancamente e senza slancio, come semplice abitudine, in modo formale e superficiale, perfino con una accettata incoerenza. Per tutti la fede cristiana è chiamata a libertà, a una continua conversione, alla novità del vangelo, alla gioia di sapersi in una relazione di figli con Dio, Padre che ci ama; è chiamata all'impegno di riconoscerci tutti fratelli, alla speranza sostenuta dalla preghiera. - Quale conversione fondamentale è richiesta a chi vuole accogliere il regno di Dio? - Quali difficoltà e resistenze avvertiamo dentro di noi e nell'ambiente per una più piena conversione al vangelo? - Che cosa comporta in concreto essere liberi per vivere il vangelo di Gesù? - Qual è la nostra relazione effettiva con Dio? - Perché e come pregare? Ascoltare e meditare la Parola I farisei, udito che [ Gesù ] aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?". Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti". ( Mt 22,34-40 ) Si può leggere anche: ( Mc 7,14-23 ) Ciò che contamina l'uomo. ( Lc 14,25-35 ) Essere liberi dagli affetti, dagli averi e da se stessi. ( Sal 63,1 ) Di te ha sete l'anima mia. Il termine della legge è Cristo. Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancor più di quanto ci libera dalla lettera della legge. In lui si trova tutta la perfezione della legge, perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapitolando tutto in se stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio con una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà. In questo modo noi non siamo più schiavi, come dice l'Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta. ( Sant'Andrea di Creta, Discorsi, 1 ) Pregare e celebrare La legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi. Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti, più preziosi dell'oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. ( Sal 19,8-11 ) Dio dei viventi, suscita in noi il desiderio di una vera conversione, perché rinnovati dal tuo Santo Spirito sappiamo attuare in ogni rapporto umano la giustizia, la mitezza e la pace, che l'incarnazione del tuo Verbo ha fatto germogliare sulla nostra terra. ( Messale Romano, Colletta della II domenica di Avvento, anno A ) Professare la fede - In Gesù l'amore a Dio, il Padre suo, è intimamente unito all'amore per noi e ne è la ragione profonda: l'amore che egli nutre per noi è la testimonianza straordinaria e indimenticabile del suo amore al Padre. - Tutti gli uomini sono chiamati a vivere in comunione con Gesù e, in lui, con il Padre come figli. - Tutti siamo invitati ad operare una sincera conversione interiore, a cambiare mentalità ed accettare di essere liberi secondo Cristo. - La preghiera a Dio come Padre, così come ha insegnato Gesù, dona alle persone la grazia di vivere veramente da figli di Dio e di trovare ogni giorno speranza nella vita. Introduzione Sezione seconda: Il servizio di Gesù 176 La predicazione è solo una parte del ministero di Gesù. Alla parola si aggiunge l'azione. Così comincia a realizzarsi il regno di Dio. Le opere che egli compie, non sono soltanto sue; sono anche del Padre, che agisce per mezzo di lui nella potenza dello Spirito Santo: "Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio" ( Mt 12,28 ); "Il Padre che è con me compie le sue opere" ( Gv 14,10 ). Per mezzo di lui Dio vince Satana, guarisce i malati, perdona i peccatori, convoca la comunità. Gesù insegnando opera e operando insegna. Le sue parole sono efficaci e i suoi gesti sono pieni di significato. Parole e gesti insieme costituiscono il suo ministero, che è servizio e dono di sé, e culmina coerentemente nel mistero pasquale. "Dio è amore" ( 1 Gv 4,16 ): solo mediante il dono di sé possono essere rivelati il suo volto, la sua gloria, il suo regno. 177 Abbiamo parlato, nella sezione precedente, della predicazione di Gesù. Ora presenteremo la sua azione, i suoi gesti, come segni della regalità misericordiosa di Dio ( capitolo 5 ) e poi il mistero della Pasqua, vertice del suo servizio per la nostra salvezza, nei due grandi momenti: la passione e la morte in croce ( capitolo 6 ) e la gloriosa risurrezione ( capitolo 7 ). Capitolo 5 I segni del Regno Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. ( At 10,38 ) 178 Il regno di Dio si rivela nell'agire di Gesù come potere benevolo e misericordioso, che libera dal dominio di Satana, opera guarigioni e conversioni, raduna definitivamente il suo popolo. Lodiamo il Signore, perché compie meraviglie, e rendiamoci disponibili perché possa compierle ancora attraverso di noi. Il battesimo di Gesù e la tentazione nel deserto Solidale con i peccatori 179 Con il battesimo al fiume Giordano Gesù compie il suo primo gesto profetico pubblico e si rivela come Messia-Servo. ( Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Gv 1,31-34 ) Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza. Il senso di questa scelta si lascia comunque intravedere abbastanza chiaramente nei loro racconti intessuti di immagini simboliche. 180 Gesù è il Figlio amato del Padre; ma l'intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: Dio è vicino a chi si riconosce povero e bisognoso di essere salvato. Il Padre si compiace del suo Figlio e gli affida la missione di salvezza; gli comunica la potenza dello Spirito per attuarla. Gesù è il Messia, il Servo fedele del Signore, preannunciato da Isaia, ( Is 42,1; Is 53,4-6 ) che si fa carico dei peccati degli uomini, per ricondurli alla comunione con Dio. Rivelerà la vera natura del regno di Dio, il suo volto di misericordia, accogliendo i peccatori durante la vita pubblica e morendo in croce per loro. Alla luce dei successivi avvenimenti della Pasqua, l'immersione nel fiume Giordano appare quasi un preludio del supremo "battesimo" nelle acque della morte per i nostri peccati, ( Mc 10,38-39; Lc 12,50; At 13,38 ) mentre la prima pubblica presentazione come Messia preannuncia l'intronizzazione nella gloria della risurrezione. ( Rm 1,4 ) Come il nostro battesimo ci configura al mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, ( Rm 6,4 ) così il suo battesimo lo anticipa. Tentato come noi 181 Il carattere proprio del regno di Dio e del messianismo di Gesù viene ribadito dal racconto della tentazione. ( Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13 ) Guidato dallo Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso "principe di questo mondo" ( Gv 12,31 ), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall'alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. Gesù respinge decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare "prima il regno di Dio e la sua giustizia" ( Mt 6,33 ); no all'ambigua popolarità ottenuta con il miracolo spettacolare, ( Gv 6,26-27 ) perché non si deve strumentalizzare Dio ai propri bisogni di sicurezza; no all'ambizione del potere temporale, perché la vera liberazione dell'uomo nasce dal cuore. Il suo essere Figlio di Dio si manifesterà non nel possesso, nell'esibizione di potenza e nel dominio, ma nell'umile servizio, nel dono di sé, nella croce. 182 Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le aspettative dell'ambiente; ( Mt 12,38-40; Mc 8,31-33; Gv 6,15 ) corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente debole; ma "ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" ( 1 Cor 1,25 ). 183 La tentazione è stata reale per Gesù: fu "provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato" ( Eb 4,15 ). Anche più tardi sperimenterà la violenza della tentazione nell'ora della passione, ( Lc 4,13 ) quando sarà assalito dall'angoscia dell'uomo debole e solo di fronte alla morte, ( Mc 14,32-39; Lc 22,40-46 ) e sarà provocato a scendere dalla croce per esibire la propria potenza. ( Mc 15,29-32 ) Gesù si consegna alla misteriosa fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà, ( Eb 5,8 ) senza alcuna esitazione; vince Satana con la forza dello Spirito Santo; e ritrova l'armonia originaria con tutta la creazione, dagli angeli agli animali, ( Mc 1,13 ) come Adamo nel giardino paradisiaco. Tempo di Quaresima 184 Il cristiano è chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si impegna a respingere le medesime tentazioni del benessere, del successo e del dominio. La Chiesa glielo ricorda ogni anno con la celebrazione della Quaresima. È un cammino di essenzialità, in cui l'adesione a Dio scaturisce da scelte di sacrificio. 185 Gesù si fa battezzare da Giovanni Battista, per affermare la sua solidarietà con i peccatori e assumere la missione di Messia-Servo. Respingendo la triplice tentazione della ricchezza, del successo e del dominio sugli altri, conferma la scelta di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé. Contro il potere di Satana Liberatore vittorioso 186 Come la scelta iniziale, così tutto il servizio messianico di Gesù si sviluppa in conflitto con "l'impero delle tenebre" ( Lc 22,53 ), fino all'ora decisiva della passione. ( Gv 12,31 ) Dove passa Gesù di Nàzaret, si manifesta una potenza di liberazione, di guarigione e di riconciliazione. ( At 10,38 ) Poveri e malati, peccatori e ossessi vengono sollevati con l'energia dello Spirito di Dio. Il dominio del nemico arretra inesorabilmente: ( Mt 12,25-32 ) "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore" ( Lc 10,18 ). "Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo" ( 1 Gv 3,8 ), perché gli uomini "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" ( Gv 10,10 ). La vittoria di Gesù e dei suoi discepoli sul peccato e la morte, sulla sofferenza, la malattia e il disordine della natura, ( Mt 10,7-8 ) è la vittoria del regno di Dio su quello del diavolo, ( Mt 12,28 ) perché, almeno indirettamente, le varie forme di male sono connesse al suo influsso nefasto. Gli esorcismi di Gesù 187 A volte la lotta di Gesù contro il male assume la forma di uno scontro diretto, di un esorcismo con l'ordine di lasciare liberi gli indemoniati. Come interpretare questi episodi? Alcune situazioni che i Vangeli, considerando il legame tra malattia e regno delle tenebre e seguendo la mentalità popolare del tempo, qualificano come possessione diabolica, possono essere ritenute normali malattie fisiche o psichiche, come sembra essere il caso della donna curva da diciotto anni, incapace di raddrizzarsi, che si riteneva "legata" da satana. ( Lc 13,10-17 ) Tuttavia ci sono anche episodi, come quello dell'uomo di Gerasa, ( Mc 5,1-20 ) che non rientrano negli schemi della patologia medica e presentano la fenomenologia tipica della possessione diabolica. 188 Il servizio messianico di Gesù è una dura lotta contro tutte le potenze nemiche della vita per la piena liberazione dell'uomo. I miracoli di Gesù Segni di Dio 189 I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C'è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell'uomo moderno. È essenziale coglierne il significato. Nell'Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell'esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. ( Es 7,3; Dt 6,22; Sal 105,26-27 ) Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati "miracoli ( opere potenti ), prodigi e segni" ( At 2,22 ): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l'ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l'ultimo. I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene. Umiltà e autorità di Gesù 190 Gesù di Nàzaret mostra il suo stile inconfondibile anche nel fare miracoli. Coerente con la sua missione di Messia-Servo, fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete, stanchezza. Rifiuta le richieste di miracoli spettacolari, che costringano a credere. ( Mc 8,11-13; Gv 6,30 ) Proibisce ai malati, che ha risanato, di fare pubblicità. ( Mc 1,44; Mc 5,43; Mc 7,36 ) Rimprovera chi con il miracolo vorrebbe punire i recalcitranti e i ribelli, ( Lc 9,54-55 ) come talvolta era avvenuto nell'Antico Testamento. ( Nm 16,31-35; 2 Re 1,10 ) Si difende alla maniera dei deboli, nascondendosi davanti ai nemici. ( Gv 10,39; Gv 11,54 ) Non scende dalla croce, quando nell'ora suprema gli avversari lo sfidano con ingiuriosa ironia: "Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo" ( Mc 15,31-32 ). Gesù come insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: "Io ti dico" ( Mc 5,41 ); "Ti ordino" ( Mc 2,11 ). Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una semplice parola. ( Mc 1,40-42; Mc 3,5; Mc 4,39; Lc 18,43; Gv 11,44 ) Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti; moltiplicazione di pani e pesci, trasformazione dell'acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata. Alla singolarissima autorità si unisce una sorprendente umanità e tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; ( Mc 8,2; Lc 7,13 ) a volte non esita a infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i morti. ( Mc 1,41; Mc 3,1-5; Mc 5,41 ) Significato dei miracoli 191 I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, "predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo" ( Mt 4,23; Mt 9,35 ). Affida ai discepoli la stessa duplice missione: "Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi" ( Lc 9,2 ). Predicazione e miracoli attestano e attuano la nuova venuta salvifica di Dio nella storia. La sua parola converte; la sua parola risana. Il messaggio è centrato sul regno di Dio; i miracoli ne lasciano intravedere la presenza, ne sono i segni trasparenti. Il loro significato è molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, ( Mt 12,28; Lc 11,20 ) per vincere il peccato, la malattia, la morte e ogni forma di male, per dare all'uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo "nuove tutte le cose" ( Ap 21,5 ). Gesù è il Messia, "colui che deve venire" ( Mt 11,3; Lc 7,20-22 ). Il popolo, davanti a questi gesti divini è chiamato a credere e convertirsi. ( Mt 11,20-24 ) La stessa riluttanza a compiere miracoli, che Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi Dio ai propri interessi immediati. ( Gv 6,26 ) Per chi non cerca la comunione con Dio, ma unicamente i suoi benefici, il miracolo diventa fuorviante. Gesù esige almeno una fede iniziale, un'apertura al mistero. Alla folla curiosa e avida di prodigi si sottrae volentieri, appena capita l'occasione favorevole. ( Mc 1,36-38 ) Storicità dei miracoli 192 Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del vangelo e sostengono l'attività missionaria. ( Rm 15,18-19; 1 Cor 2,4; 2 Cor 12,12; Gal 3,5; 1 Ts 1,5 ) Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai antiche e attendibili, che menzionano l'attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; ( Mt 11,20-24; Mc 3,22-30; Lc 7,18-23 ) le varie controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; ( Mc 3,1-6; Lc 14,1-6 ) le manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili; ( Mc 1,21-45 ) l'elevato numero di miracoli ricordati nei quattro Vangeli, globalmente nei sommari ( Mc 1,32-34; Mc 6,56; Lc 7,21; Gv 20,30 ) e distintamente in una trentina di episodi. Tutta la narrazione evangelica viene meno se si tolgono i racconti dei miracoli. Perfino una fonte ebraica menziona l'attività taumaturgica di Gesù, ricordando che fu giustiziato perché "ha praticato magia e ha sedotto Israele". Il miracolo e la scienza 193 Del resto, miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena. Molti nostri contemporanei ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute. Una così radicale diffidenza non appare giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una ricomposizione dell'ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo. Quanto alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile. Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura inanimata. È sempre possibile ipotizzare l'intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti della nostra osservazione. L'interpretazione rimane aperta. Ma se l'evento straordinario avviene in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita. ( Lc 11,15-20 ) Aiuto alla fede 194 Essendo "segni certissimi della divina rivelazione", i miracoli aiutano a credere in modo ragionevole. Lo suggerisce Gesù stesso: "Se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre" ( Gv 10,38 ). Tuttavia non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l'attrazione interiore del Padre che la suscita. ( Gv 6,44 ) Né sono i miracoli gli eventi salvifici principali: il vero pane non è quello moltiplicato, ma quello eucaristico; ( Gv 6,26-58 ) la vera luce non è quella restituita al cieco nato, ma quella della fede battesimale. ( Gv 9,1-41 ) I sacramenti, prefigurati dai miracoli, sono una comunicazione di salvezza più alta. 195 I miracoli, in quanto eventi straordinari, scientificamente inspiegabili, e situati in un contesto cristiano, sono segni della presenza salvifica di Dio nella storia, parte integrante della missione di Cristo e poi di quella della Chiesa. La festa dei peccatori riconciliati Vicino ai peccatori 196 Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli. L'annuncio dei profeti e l'esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. ( Sal 51; Ger 31,34 ) Ora Gesù indica così il senso della sua missione: "Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" ( Lc 19,10 ). Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, ( Lc 7,39; Lc 15,2; Lc 19,7 ) dicono di lui: "Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori" ( Mt 11,19 ). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: "Va' e d'ora in poi non peccare più" ( Gv 8,11 ); addita come norma la santità di Dio: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" ( Mt 5,48 ). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: ""Simone, ho una cosa da dirti … Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?". Simone rispose: "Suppongo quello a cui ha condonato di più". Gli disse Gesù: "Hai giudicato bene"" ( Lc 7,40-43 ). Gesù rivela il Padre misericordioso 197 Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta" ( Lc 15,4-6 ). L'unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l'accusa di bestemmia: "Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua" ( Mc 2,9-11 ). Il convito del Regno 198 Nella parabola del padre misericordioso, la gioia del padre per il figlio perduto e ritrovato si esprime in un banchetto. ( Lc 15,11-32 ) Anche Gesù, malgrado lo scandalo dei benpensanti, siede spesso a mensa con i peccatori: cena a casa di Levi ( Mc 2,14-17 ) e chiede l'ospitalità di Zaccheo. ( Lc 19,1-10 ) Da sempre nella cultura e nella religione ebraica il banchetto era l'espressione fondamentale dell'amicizia, della festa e della pace: un banchetto alla presenza di Dio aveva concluso l'antica alleanza; ( Es 24,11 ) "un banchetto di grasse vivande" ( Is 25,6 ) sarebbe stata la festa escatologica. ( Is 25,6-8 ) Con il gesto di prendere parte ai conviti, Gesù intende celebrare la festa del Regno che viene nel mondo, come offerta di perdono, di amicizia e di gioia. È la festa della nuova alleanza tra Dio e il suo popolo, una festa di nozze, ( Mc 2,19 ) aperta a tutti gli uomini, nella quale però entrano solo coloro che riconoscono di aver bisogno della salvezza, i poveri, i peccatori e, più tardi, i pagani. ( Mt 8,11-12; Mt 22,1-14 ) È il trionfo della grazia e della misericordia. Desta sorpresa che Dio sia felice di ritrovare l'uomo, persino più felice di quanto lo è l'uomo di tornare a Dio. 199 Gesù risana i malati, ma più ancora converte i peccatori e celebra con loro il convito festoso del Regno, rivelando l'amore misericordioso del Padre. La comunità dei discepoli Numerosi discepoli 200 Mentre introduce nella storia il Regno, Gesù avvia il raduno definitivo del popolo di Dio: le due cose vanno insieme, perché il Regno, secondo le profezie, si deve rendere visibile in un popolo. Il Maestro prova compassione per le folle, che vagano "come pecore senza pastore" ( Mc 6,34 ), e per radunare Israele viaggia instancabile, predica e compie guarigioni. ( Mt 4,23; Mt 15,24 ) Ben presto riunisce una numerosa comunità di discepoli, come primizia e rappresentanza dei futuri credenti, come schiera di cooperatori per la raccolta della messe. ( Lc 10,2 ) Alcuni di essi aderiscono a lui rimanendo nelle proprie case e nella precedente condizione familiare e sociale, continuando il consueto lavoro: così Giuseppe di Arimatèa, ( Mc 15,43; Gv 19,38 ) Zaccheo di Gèrico, ( Lc 19,1-10 ) Lazzaro di Betània. ( Gv 11,1; Gv 12,1 ) Altri lasciano la famiglia, ( Mt 19,27-29 ) i beni, il lavoro, e lo seguono anche materialmente, formando un gruppo itinerante, in cui si fa esercizio quotidiano e concreto di comunione. Del gruppo, contro il costume tradizionale che le discrimina rigidamente, fanno parte anche alcune donne, che condividono l'esperienza della sequela e si rendono utili con l'assistenza domestica e il sostegno economico. ( Mc 15,40-41; Lc 8,1-3 ) I dodici 201 Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore. È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera. ( Lc 6,12-16 ) È un'iniziativa tutta sua: "chiamò a sé quelli che egli volle" ( Mc 3,13 ). Il numero è intenzionale: "Ne costituì Dodici" ( Mc 3,14 ). Si tratta di un'azione profetica simbolica, con la quale il Maestro dichiara la sua intenzione di radunare le dodici tribù disperse, di convocare l'Israele degli ultimi tempi, aperto anche ai pagani. Li scelse perché "stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni" ( Mc 3,14-15 ). Questo raduno e questo invio prefigurano la vocazione della Chiesa alla comunione e alla missione. Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; ( Mc 6,7-13.30-31; Lc 9,1-3 ) li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l'uso del tempo, con l'ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell'amore gratuito di Dio. "Partiti, predicavano che la gente si convertisse" ( Mc 6,12 ) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù "tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'"" ( Mc 6,30-31 ). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione. Una comunità come segno 202 Gesù è profondamente legato alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che vanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia; ( Mc 3,31-35 ) ne fa il segno pubblico del regno di Dio che comincia a venire; la chiama a manifestare in questo mondo la santità del Padre, con una vita di carità, conforme alla nuova giustizia prospettata nel discorso della montagna. Dovrà essere come una scorta di sale, pronta a dare sapore alla terra; come una città illuminata sul monte, che attrae con il suo fascino tutte le nazioni e le conduce a riconoscere Dio come Padre: ( Mt 5,13-14 ) "Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" ( Mt 8,11 ). L'orizzonte ultimo di Gesù e dei suoi discepoli è universale, sebbene l'orizzonte immediato resti circoscritto a Israele: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele" ( Mt 15,24 ); "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele" ( Mt 10,5-6 ). Comunità proiettata verso il futuro 203 Purtroppo, dopo un avvio promettente, il ministero di Gesù in mezzo al suo popolo va incontro a una crisi sempre più grave. Molti respingono l'invito al banchetto del Regno, con vari pretesti, ( Lc 14,16-24 ) come se la comunione con Dio avesse poco valore. Neppure le parole appassionate di rimprovero e di minaccia riescono a scuoterli. "Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza … E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe!" ( Mt 11,21.23 ); "Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!" ( Mt 12,41-42 ). 204 Col passare del tempo, il Maestro, constatando la refrattarietà delle folle curiose e superficiali, se ne tiene sempre più in disparte, per dedicarsi prevalentemente alla formazione del gruppo dei discepoli. Vuole prepararli in vista del successivo sviluppo della sua opera, non certo farne una cerchia elitaria, a somiglianza dei farisei o degli esseni. Malgrado il momentaneo insuccesso, rimane pieno di fiducia nel futuro. Incoraggia i pochi che ancora lo seguono: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" ( Lc 12,32 ). Garantisce che la comunità, da lui radunata, sarà solida per sempre "e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" ( Mt 16,18 ). Ne affiderà la guida a "Simone figlio di Giona" ( Mt 16,17 ), al quale fin d'ora dà significativamente il nuovo nome di Pietro, che vuol dire "roccia". Sarà lui il sostegno della futura costruzione. Intanto comincia a riconoscergli una certa preminenza tra i Dodici, come portavoce dei suoi compagni. 205 Come si vede, la comunità dei discepoli è intimamente legata alla venuta del regno di Dio fin dall'inizio.3 Da essa, dopo la morte e risurrezione del Signore, si svilupperà la Chiesa, compimento di Israele, segno visibile e strumento della salvezza in mezzo a tutte le genti, germe e profezia della nuova umanità. Non si può aderire a Cristo, senza aderire anche alla Chiesa, parte essenziale del suo progetto. La sequela è possibile solo nella comunità. 206 Gesù avvia il definitivo raduno del popolo di Dio, in cui rendere visibile il Regno: riunisce una comunità di discepoli, tra i quali sceglie i Dodici e li manda in missione; a uno di loro, Simone, cambia il nome in Pietro e promette di affidare in futuro il compito di guidare la comunità dei credenti. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La presenza del male nel mondo è grande e apre numerosi interrogativi. I mezzi di comunicazione vi dedicano un'attenzione quasi esclusiva. Può nascere una cultura della sfiducia, del fatalismo, della resa. È importante credere fortemente che Dio è più forte del male: con Gesù ha inaugurato il suo regno di misericordia e lo ha impiantato come germe di salvezza nella nostra storia. Ogni gesto di bene e di amore è segno del regno di Dio presente in mezzo a noi. Nella Chiesa siamo chiamati a impegnarci per vincere il male, accogliendo e portando nel mondo i segni del Regno, in cammino verso il suo pieno compimento. - Quali tentazioni e difficoltà avvertiamo nei confronti della fede? - Quali attese di liberazione dal male sono oggi più presenti? - Cosa comporta per la nostra vita l'agire vittorioso di Gesù contro il male, e qual è il senso dei miracoli da lui compiuti? - Nella nostra relazione con Dio, in quale misura ci riconosciamo peccatori bisognosi di perdono e come di fatto accogliamo la sua misericordia? - Perché Gesù ha voluto la comunità dei credenti? Quale luce viene a noi dalla nostra esperienza di comunità ecclesiale? Ascoltare e meditare la Parola Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". Gesù rispose: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me". ( Mt 11,2-6 ) Si può leggere anche: ( Mt 3,13-17; Mt 4,1-11 ) La scelta messianica di Gesù: battesimo e tentazione. ( Mc 2,13-17 ) A mensa con i peccatori. ( Mt 5,13-16 ) La comunità cristiana sale della terra, luce del mondo, città posta in alto. Tutto è per noi Cristo. Se desideri medicare le tue ferite, egli è medico. Se bruci di febbre, egli è la sorgente ristoratrice. Se sei oppresso dalla colpa, egli è la giustizia. Se hai bisogno di aiuto, egli è la forza. Se temi la morte, egli è la vita. Se desideri il cielo, egli è la via. Se fuggi le tenebre, egli è la luce. Se cerchi il cibo, egli è il nutrimento. Gustate, dunque, e vedete quanto è buono il Signore; felice l'uomo che spera in lui. ( Sant'Ambrogio, La verginità, 16 ) Pregare e celebrare È veramente giusto renderti grazie, Padre misericordioso: tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro fratello e redentore. In lui ci hai manifestato il tuo amore per i piccoli e i poveri, per gli ammalati e gli esclusi. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre e hai cura di tutti i tuoi figli. Per questi segni della tua benevolenza noi ti lodiamo e ti benediciamo. ( Messale Romano, Prefazio della Preghiera eucaristica V/c ) Preghiere dei poveri di Dio: Figlio di Davide, abbi pietà di noi ( Mt 9,27 ). Dì soltanto una parola ( Mt 8,8 ). Non t'importa che moriamo? ( Mc 4,38 ). Salvaci, Signore, siamo perduti! ( Mt 8,25 ). Dove possiamo comprare il pane? ( Gv 6,5 ). Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi ( Mt 8,2 ). Signore, che i nostri occhi si aprano ( Mt 20,33 ). Credo, aiutami nella mia incredulità ( Mc 9,24 ). Signore dammi la tua acqua, perché non abbia più sete ( Gv 4,15 ). Signore, dacci sempre il tuo pane ( Gv 6,34 ). Professare la fede - Gesù ha operato, in nome di Dio, segni singolari di verità e di amore verso le persone. I miracoli, in particolare, rivelano l'energia liberatrice del regno di Dio e insieme testimoniano che Gesù è il Figlio mandato dal Padre come Salvatore dell'uomo. - Vittorioso nella sua lotta contro Satana, che tiene l'uomo prigioniero del male, Gesù offre come segno della salvezza l'incontro di festa con i peccatori, che accogliendo la sua parola accettano di riconciliarsi con Dio. - Gesù costituisce una vera comunità con i suoi discepoli. Ricevendo da lui il dono del Regno, essi diventano il volto nuovo del popolo di Dio. Capitolo 6 Per noi obbediente fino alla morte di croce Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. ( Mc 10,45 ) 207 Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l'identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l'esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l'amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato. Il regno di Dio e la persona di Gesù Autorità e dedizione 208 Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua "ora" ( Gv 2,4; Gv 12,23; Gv 17,1 ). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c'è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù? 209 Esteriormente Gesù si presenta come un "rabbì", un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell'insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone "una dottrina nuova" ( Mc 1,27 ), con immediatezza e autorità; ( Mc 1,22 ) non usa neppure la formula dei profeti "oracolo di JHWH", ma la sostituisce con un audace: "Io vi dico" ( Mt 5,20 ), per di più in contrapposizione a: "Fu detto", cioè fu detto da Dio ( Mt 5,21 ); apre il discorso con un insolito: "Amen amen", che significa "In verità, in verità vi dico" ( Gv 1,51; Mt 5,18; Mt 6,2; Mc 3,28; Mc 10,15 ), per asserire che la sua parola è sicura e solida come la roccia. La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, ( Mc 2,5-7.15-17 ) verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni "ragionevole" misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio. ( Mc 1,41; Mc 2,1-12; Mc 5,41 ) Pretende di essere decisivo per la salvezza: "Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde" ( Mt 12,30 ); "Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" ( Mt 10,32-33 ). Esige di essere amato più dei genitori e dei figli e chiede che si lasci tutto per seguirlo. ( Mt 10,37; Mc 10,28 ) La sua persona, in definitiva, è più decisiva della sua dottrina e della sua azione. 210 Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D'altra parte Gesù vive poveramente, al punto che "non ha dove posare il capo" ( Mt 8,20 ). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività; ( Lc 22,26-27; Mc 10,45 ) presto troveranno l'espressione suprema nella sua morte e risurrezione. In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l'esperienza di Dio come "Abbà": "Tutto mi è stato dato dal Padre mio" ( Mt 11,27 ). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare. Il Regno come amore 211 Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell'autorità, lo rivela, lo glorifica: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi" ( Gv 15,9 ). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l'amore stesso; ( 1 Gv 4,16 ) e il modo più appropriato di manifestarlo è amare, servire, dare se stesso. Ecco perché Gesù ha interpretato il suo messianismo come servizio fino alla morte in croce e alla risurrezione. Ecco perché il regno di Dio viene "con potenza" ( Mc 9,1 ) nella sua Pasqua. 212 Gesù rivela e attua nella storia la presenza salvifica di Dio-Amore, mediante il servizio e il dono di sé fino alla morte in croce e alla risurrezione. "Chi è costui?" ( Mc 4,41 ) Personaggio paradossale 213 Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all'uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell'esprimersi. Contemplativo e impegnato nell'azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all'amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell'autorità e nel dono di sé. Le opinioni della gente 214 Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell'operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest'uomo? ( Mc 6,2-3 ) I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: "Chi è dunque costui?" ( Mc 4,41 ). Presto "il suo nome era diventato famoso" ( Mc 6,14 ) e in Galilea si affermava sempre più, nell'opinione popolare, l'idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; ( Mc 6,15; Mc 8,28; Lc 7,16; Gv 6,14 ) tant'è vero che, in occasione dell'ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: "Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea" ( Mt 21,11 ). Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori. ( Mc 3,22-30; Gv 7,20; Gv 8,48-52 ) Riservatezza di Gesù 215 Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente" ( Gv 10,24 ). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: "Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? … Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?" ( Mc 12,35.37 ). Intuizione di Pietro 216 Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: "E voi chi dite che io sia?" ( Mc 8,29 ). A nome dei discepoli risponde Pietro: "Tu sei il Cristo". Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: "Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere … Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio … La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre" ( 2 Sam 7,12.14.16 ). Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" ( Mc 8,33 ). 217 Gli uomini avvertono il fascino di Gesù e si interrogano su di lui: è una ricerca decisiva, una domanda da porre con grande serietà e disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Messia Servo Più che profeta 218 La personalità di Gesù, soprattutto l'autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell'Antico Testamento. Gesù si pone senz'altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: "Ecco, ora qui c'è più di Giona!… c'è più di Salomone!" ( Mt 12,41-42 ). Del resto, se Giovanni Battista, l'ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio, ( Mt 11,11 ) incomparabilmente più elevata deve essere la posizione di colui che rende presente il Regno stesso. Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di "profeta", con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l'accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: "Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!" ( Lc 13,33-34 ). Servo 219 Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. ( Mc 8,31-36; Mc 9,31-35; Mc 10,33-45 ) La discussione culmina con un'affermazione importante: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" ( Mc 10,45 ). Sullo sfondo affiora la misteriosa figura del Servo di JHWH, delineata dal libro di Isaia: ( Is 42,1-9; Is 49,1-6; Is 50,4-9; Is 52,13-53,12 ) figura di profeta inviato a Israele e a tutti i popoli, obbediente a Dio, umiliato e perseguitato a motivo della sua fedeltà. Egli è solidale con i peccatori e mite come un agnello condotto al macello; è "schiacciato per le nostre iniquità" ( Is 53,5 ); porta il peccato di tutti e intercede per i malvagi; ma, "dopo il suo intimo tormento vedrà la luce", "vivrà a lungo", riceverà "in premio le moltitudini" e realizzerà il progetto del Signore ( Is 53,10-12 ). In riferimento a questa figura, Gesù si presenta come Messia-Servo. Ciò apparirà ancor meglio nella celebrazione dell'ultima cena. 220 Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" ( Mc 10,45 ). Il Figlio dell'uomo, umiliato e glorioso Titolo preferito 221 Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell'uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare "sulle nubi del cielo", riceve da Dio "potere, gloria e regno" su "tutti i popoli, nazioni e lingue", "un potere eterno, che non tramonta mai" ( Dn 7,13-14 ). Umiliato e glorioso 222 Denominandosi Figlio dell'uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. ( Mt 13,40-43; Mt 25,31; Mc 13,26-27; Mc 14,62 ) Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell'uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; ( Mc 2,10.28; Mc 8,38; Lc 12,8-9 ) soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato. ( Mc 8,31; Mc 9,31; Mc 10,33-34.45; Mc 14,21; Lc 7,34; Lc 9,58 ) Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell'uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: "Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza" ( Mc 9,1 ). La trasfigurazione 223 Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera "su un alto monte" ( Mt 17,1 ), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce. Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria. ( Lc 9,31 ) Mentre una nube luminosa avvolge i discepoli, risuona la voce del Padre, che lo proclama ancora Messia-Servo, come nel battesimo al fiume Giordano, ed esorta a seguirlo nel suo difficile cammino. ( Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36; 2 Pt 1,16-18 ) Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che "il Figlio dell'uomo dovrà soffrire" ( Mt 17,12 ), come ha sofferto Giovanni Battista. 224 Gesù è il Figlio dell'uomo, il salvatore che in futuro verrà nella gloria e ora subisce umiliazione e persecuzione. Minacce di morte Gli avversari 225 I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù. Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all'uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto, ( Gv 12,42 ) erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto. Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione. ( Gv 9,16 ) Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione. ( Es 31,14; Es 35,1-2; Lv 20,27; Nm 15,32-36 ) Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. ( Dt 13,6; Dt 18,20; Ger 26,8-11 ) Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l'ingresso messianico a Gerusalemme. I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell'assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un'autorità pari a quella di Dio. ( Mc 2,7; Gv 8,58-59; Gv 10,30-33 ) Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. ( Mt 26,3-5; Mc 14,1-2; Gv 11,47-50.57 ) Bisognava però arrestarlo senza dare nell'occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro. ( Mt 26,14; Mc 14,10 ) La consapevolezza di Gesù 226 Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. ( Mt 14,1-2; Mc 9,12-13; Lc 13,31 ) Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; ( Mt 23,29-32; Mc 10,38-39; Mc 12,1-8; Lc 11,48-51; Lc 12,49-50; Lc 13,32-34 ) tre sono piuttosto dettagliate, ( Mc 8,31; Mc 9,31; Mc 10,33-34 ) rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: "Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore" ( Mc 10,32 ). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi. 227 L'ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l'insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle. Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio. L'ultima cena Festa del Regno che viene 228 Al sopraggiungere della pasqua ebraica, ( Es 12,1-13,16 ) Gesù si mette a mensa con i Dodici, ( Mc 14,17 ) che rappresentano l'Israele degli ultimi tempi, e durante il banchetto manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte imminente. 229 Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà. ( Is 40,10-11; Is 66,18; Zc 9,9-10 ) La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall'Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell'esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio. Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l'ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo. ( Lc 14,16-24 ) Ora, di fronte alla incombente minaccia di morte, egli celebra il banchetto, nella ferma fiducia che il Regno sta venendo, nonostante l'apparente fallimento: "Da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio" ( Lc 22,18 ). I Dodici sederanno ancora a mensa con lui; le dodici tribù si raccoglieranno nell'unità intorno a lui: neppure la morte potrà impedirgli di offrire commensalità e comunione ai suoi amici. Dio infatti "non è un Dio dei morti ma dei viventi!" ( Mc 12,27 ) e non abbandona i giusti nella morte. Dono di se stesso 230 Gesto di speranza è dunque l'ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell'umanità. Mentre mangiavano, Gesù "preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi"" ( Lc 22,19-20; Mt 26,26-29; Mc 14,22-24; 1 Cor 11,23-26 ). Spezza il pane e versa il vino, come tra gli ebrei faceva qualsiasi padre di famiglia; ma con la sua parola trasforma il pane nel suo corpo "dato" e il vino nel suo sangue "versato"; trasforma questi elementi basilari del nutrimento dell'uomo nella sua stessa persona, che si dona per la salvezza degli uomini. Identificandosi con la figura del Servo di JHWH, si consegna alla morte per i Dodici e per il popolo da essi rappresentato; si offre perché il raduno di Israele si riapra, nonostante il rifiuto ostinato e omicida, e tutte le nazioni della terra siano chiamate alla salvezza. ( Is 52,15; Is 53,6-8.11-12 ) Per circa tre anni instancabilmente Gesù ha operato perché gli uomini riscoprissero Dio come Padre di tutti: dei poveri, dei discriminati, dei peccatori, dei nemici, di quelli che soffrono e di quelli che fanno soffrire. Per rivelare il volto misericordioso di lui, ha contestato il sistema religioso vigente e si è esposto alla morte. Ora fa della morte il compimento del suo servizio; va incontro ad essa in atteggiamento di solidarietà verso tutti, compresi i suoi persecutori; e così rimane fedele al suo Dio, compie la sua volontà e a lui si abbandona fiducioso, perché il Regno venga, come vittoria definitiva dell'amore e della vita, come nuova ed eterna alleanza, per Israele e per l'umanità intera. ( Gv 11,51-52 ) 231 Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli, ( Gv 13,1-15 ) e ha detto "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" ( Lc 22,27 ): un gesto e una parola che sintetizzano il senso della sua vita e della sua morte, come servizio a Dio a favore dell'umanità; un appello ai credenti perché seguano il suo esempio e diano testimonianza ogni giorno all'amore senza limiti con cui Dio ha amato il mondo. La cena viene ad essi consegnata come "memoriale", ricordo e attualizzazione, nel rito, della sua dedizione: "Fate questo in memoria di me" ( Lc 22,19 ). Dall'eucaristia, sacramento del suo sacrificio, riceveranno forza per fare di se stessi un dono al Padre e ai fratelli. 232 Nell'ultima cena Gesù manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte: ferma fiducia che il regno di Dio verrà in pienezza e consegna di se stesso per la salvezza di tutti. La passione Il processo 233 Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell'orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo. ( Mc 14,10.43 ) Dopo l'arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse. ( Mc 14,65; Lc 22,63-64 ) Al mattino seguente si riunisce il sinedrio e lo condanna a morte, quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio, e come bestemmiatore che usurpa prerogative divine. ( Mc 14,58.61-64; Lc 22,66-71 ) Ma la sentenza non può essere eseguita senza l'approvazione dell'autorità romana; allora il sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato, ( Mc 15,1 ) con la falsa accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico. 234 Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l'impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi. ( Mc 15,10; Gv 18,38; Gv 19,4 ) Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore. ( Lc 23,6-11 ) I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l'imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte. ( Mc 15,15 ) La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare sopra la croce, è: "Il re dei giudei" ( Mc 15,26 ), cioè un ribelle politico. La morte in croce 235 Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio. ( Dt 21,23 ) Il suo cadavere non finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova. ( Gv 19,41 ) 236 Gesù viene ingiustamente condannato a morte dal sinedrio, come falso profeta e bestemmiatore, e da Ponzio Pilato, come ribelle politico; viene flagellato, coronato di spine e crocifisso; muore nel dolore e nell'umiliazione, come uno scomunicato e un maledetto da Dio. L'angoscia e l'abbandono Al Getsemani 237 Qual è lo stato d'animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c'è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa. Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un'angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l'odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio. La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?" ( Mc 14,37 ). A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" ( Mc 14,36 ). Sul Calvario 238 Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall'alto della croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mc 15,34 ). È paradossale che faccia esperienza dell'assenza di Dio colui che ne ha proclamata l'assoluta vicinanza. Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio. ( Sal 22,1 ) Alla luce del salmo, l'assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma l'abisso dell'abbandono è ancora più profondo. 239 Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno" ( Gal 3,13 ). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" ( 2 Cor 5,21 ); "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce" ( 1 Pt 2,24 ). Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l'esperienza dell'abbandono da parte del Padre: "Non c'è pena tanto grave per l'anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio … L'anima prova molto al vivo l'ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell'inferno"; "Sono sprofondata in questa orribilissima tenebra, priva di Dio, dove pare sia venuta meno ogni speranza di bene … Dio mi è chiuso, del tutto nascosto, così che non posso ricordarlo, né ricordare il ricordo che ne ho avuto, né credere che sia lui a permettere ciò". Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l'abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" ( Lc 23,46; Sal 31,6 ). 240 Due preghiere, l'una nell'orto del Getsemani e l'altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!" ( Mc 14,36 ); "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mc 15,34 ). La discesa agli inferi Tra i morti 241 Secondo la fede della Chiesa, formulata nel "Credo apostolico", Gesù, morendo, "discese agli inferi". Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti. ( Gb 30,23 ) Al tempo di Gesù si riteneva che vi fossero sedi e condizioni diverse per i giusti e per i malvagi, mentre gli uni e gli altri attendevano la piena retribuzione nel giudizio finale. Vittoria sulla morte 242 Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. ( At 3,15; Rm 8,11 ) Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: "È stata annunziata la buona novella anche ai morti" ( 1 Pt 4,6 ). I giusti delle passate generazioni ottengono "la perfezione" ( Eb 12,23 ) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto. ( Eb 9,8; Eb 10,1; Eb 11,39-40 ) Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L'icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti. 243 Entrando nella morte, Gesù ha comunicato la pienezza della vita ai giusti che erano in attesa. Il mistero della redenzione Dio primo protagonista 244 Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l'immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione. Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive. Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l'hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: "Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture" ( 1 Cor 15,3 ). "Secondo le Scritture" significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell'Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c'è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama "mistero della redenzione". Come l'antico Israele fu liberato dalla schiavitù d'Egitto per ricevere il dono dell'alleanza e della terra promessa, ( Gs 24,1-28 ) così l'umanità intera viene redenta, cioè liberata dalla schiavitù del peccato e introdotta nel regno di Dio. Sorprendendo ogni umana aspettativa, Dio si rivela nella debolezza e nella stoltezza della croce ( 1 Cor 1,22-25 ) come amore senza misura; abbraccia mediante il Crocifisso coloro che sono lontani da lui; ( Rm 5,8 ) quindi finalizza la morte del suo Messia alla salvezza dei peccatori, mediante la gloriosa risurrezione. ( Rm 5,8 ) Mistero d'amore 245 Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell'amore gratuito. Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente. 246 L'uomo, creato libero, si chiude con il peccato all'amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: "Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia!" ( Gb 35,5-8 ). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: "Il peccato è una diminuzione per l'uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza". Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa "sofferenza", che, secondo la Bibbia, è amarezza e delusione, gelosia, ira e soprattutto compassione. ( Is 1,2-9; Is 5,1-7; Is 54,8; Ez 16,1-34 ) Al di là degli evidenti antropomorfismi, dobbiamo pensare che Dio viene offeso nel suo amore di Creatore e di Padre, con cui liberamente si rivolge all'uomo e si lega a lui; viene offeso nel suo voler donare e si oppone attivamente con la sua volontà santificatrice alla miseria dell'uomo come fosse la propria, per vincere il male con il bene. 247 Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" ( Gv 3,16 ). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori, lo ha consegnato nelle loro mani, donandolo incondizionatamente, nonostante il rifiuto ostinato e omicida. ( Mc 9,31 ) L'iniziativa è del Padre: "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo" ( 2 Cor 5,19 ). È lui che ama per primo; è lui che per primo "soffre una passione d'amore", "la passione dell'impassibile"; è lui che infonde nel Cristo la carità e suscita la sua mediazione redentrice, da cui derivano a noi tutti i benefici della salvezza. "Questo imperscrutabile e indicibile "dolore" di Padre" suscita "l'ammirabile economia dell'amore redentivo di Gesù Cristo". 248 Il Cristo accoglie liberamente l'iniziativa del Padre: "Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa" ( Gv 5,19 ). Condivide l'atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: "Ha dato se stesso per i nostri peccati …, secondo la volontà di Dio e Padre nostro" ( Gal 1,4 ). Si è donato agli uomini senza riserve, ( Gal 2,20; Fil 2,6-11 ) si è consegnato nelle loro mani, senza tirarsi indietro di fronte alla loro ostilità, prendendo su di sé il peso del loro peccato: "uno è morto per tutti" ( 2 Cor 5,14 ). Così ha vissuto e testimoniato nella sua carne la fedeltà incondizionata di Dio all'umanità peccatrice. Questa è la sua obbedienza e la sua offerta sacrificale a Dio: "Ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" ( Ef 5,2 ). 249 Si è offerto "con uno Spirito eterno" ( Eb 9,14 ). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così "lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo". Lo Spirito Santo era la forza divina della carità che il Padre ispirava nel Figlio e il Figlio accoglieva, offrendosi per noi. Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore 250 Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro "capo e salvatore" ( At 5,31 ). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: "È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" ( Rm 4,25 ). Nell'evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e "reso perfetto" ( Eb 5,9 ) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell'amore misericordioso e potente del Padre. "Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole … Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati". 251 Dopo l'evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova "viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione … Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro" ( 2 Cor 5,18.20 ). I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell'amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana. 252 Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: "Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" ( Gv 3,16 ). Gesù Cristo, condividendo l'amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l'amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato. Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l'esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione. Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l'amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato. Interpretazioni rituali, morali e giuridiche Diversi linguaggi 253 "Guarda se trovi in me altro che amore", sentì dirsi da Dio una grande mistica. La prospettiva dell'amore gratuito aiuta a capire correttamente altre forme di linguaggio, con cui la Chiesa ha interpretato fin dalle origini l'inesauribile ricchezza del mistero della croce: riscatto, sacrificio, espiazione, soddisfazione, merito. Riscatto 254 "Riscatto" "a caro prezzo" ( 1 Cor 6,20; 1 Cor 7,23; 1 Pt 1,18-19 ) significa che l'opera della liberazione è stata onerosa per Cristo; non che egli abbia pagato il prezzo a Dio come a un creditore esoso. Anzi l'iniziativa parte proprio dall'amore di Dio ed è assolutamente gratuita, come la liberazione di Israele dall'Egitto. Sacrificio 255 "Sacrificio" è la morte di Gesù in quanto porta a compimento "una volta per tutte" ( Eb 7,27 ) il senso dei riti sacrificali dell'Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l'olocausto, l'oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell'agnello pasquale. ( Gen 15; Es 12,1-28; Es 24,1-11; Lv 1-7 ) Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell'uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità. ( Mt 26,28; Gv 1,36; Gv 19,36; 1 Cor 5,7; Ef 5,2 ) Espiazione 256 "Espiazione" è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo. ( Eb 9,11-28; Eb 10,5-8 ) Cristo non è stato condannato da Dio al posto nostro, anche se ha sofferto al posto nostro e a vantaggio nostro. ( 2 Cor 5,14 ) Dio lo ha consegnato, non condannato; lo ha fatto diventare "maledizione per noi" ( Gal 3,13 ), ma non è stato lui a maledirlo. L'amore di Dio ha fatto di Cristo lo strumento di espiazione, ( Rm 3,25; 1 Gv 4,10 ) cioè di purificazione dei nostri peccati, di riconciliazione dei peccatori e di restaurazione dell'alleanza. La croce del Redentore non ci esime dal portare la nostra. Al contrario ci risana e ci rimette in piedi, perché camminiamo sulle sue orme. Siamo chiamati, come lui, a servire gli altri, accettando fatiche, rinunce e sofferenze. ( 1 Pt 2,21 ) Soddisfazione 257 "Soddisfazione" vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l'ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e l'intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono. Merito 258 "Merito" esprime il valore sommo davanti a Dio dell'offerta di sé, con cui il Cristo si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova per i peccatori. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell'indicare la compiacenza del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per tutti. 259 Le forme di linguaggio, con cui nella tradizione cristiana è stato presentato il mistero della redenzione, vengono interpretate correttamente nella prospettiva dell'amore prioritario e gratuito del Padre; fuori di essa rischiano di essere fraintese. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi L'annuncio di Gesù crocifisso può apparire anche oggi lontano dal modo di pensare comune. Una certa cultura dell'efficienza, che emargina la sofferenza, non aiuta immediatamente a comprendere, nella fede, il valore della croce come "potenza di Dio e sapienza di Dio" ( 1 Cor 1,24 ). Eppure solo in Cristo crocifisso e risorto si svela pienamente il mistero della sua persona e l'amore misericordioso di Dio per noi. È importante che il vangelo della croce sia annunciato, compreso e accolto nel suo autentico significato, per essere vissuto e testimoniato come dono di vita, di riconciliazione e di salvezza. - Quale rilevanza ha nella cultura attuale la domanda circa l'identità di Gesù? - Quale importanza assume nella nostra vita personale? - Qual è il significato dell'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli? - Perché Gesù ha sofferto ed è morto in croce? - Quale luce e quale speranza ne derivano per le situazioni della nostra esistenza? - In che senso nel mistero pasquale si compie la nostra redenzione? Ascoltare e meditare la Parola Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto … Quando ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi … Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri". ( Gv 13,1-5.12-15.34-35 ) Si può leggere anche: ( Is 52,13-53,12 ) È stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. ( Mt 10,34-42 ) Inaudite pretese e promesse di Gesù. ( Mc 10,35-45 ) Farsi servi per essere primi. ( Sal 22,1 ) Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? O croce, grande pietà di Dio; croce, gloria del cielo; croce, salvezza eterna degli uomini; croce, terrore degli ingiusti, potenza per i giusti e luce per i fedeli. O croce, che sulla terra desti a un Dio in carne di servire la salvezza e nei cieli desti a un uomo in Dio di regnare; per mezzo di te fu manifestata la luce della verità, fuggì la tenebra empia. Tu demolisti i templi distrutti dai popoli credenti, tu fibbia concorde della pace umana, che concilî l'uomo grazie al patto di Cristo mediatore. Sei divenuta la scala dell'uomo, con cui può arrivare al cielo. Tu sii sempre una colonna per i devoti e un'àncora per noi, perché si mantenga bene la nostra casa, sia ben guidata la flotta che si appoggia alla croce, ottenuta una corona per la fede e dalla croce. ( San Paolino di Nola, Carmi, 19, 717-730 ) Pregare e celebrare O mio liberatore, tu che sei santo e grande, accogli con benevolenza la mia lode. Ecco il mio amore, maestro; io spero soltanto di esserti gradito. Il tuo fianco trafitto dalla lancia e la passione che hai sopportato per me, mi dicono tutto il tuo amore. Tu mi hai ricondotto nella casa paterna da cui ero fuggito. Hai pregato per me povero, mi hai procurato del vino, hai mitigato con olio le mie ferite, hai spezzato il tuo pane per me. Solo Cristo si dona in cibo agli eletti, e versa il suo sangue per i figli della Chiesa. La sua croce è un trionfo, vittoria di salvezza per gli eletti. O amato, ricevi l'eterna lode, tu che col tuo proprio sangue hai chiesto la mano della sposa! ( Sant'Efrem Siro, Inni, Lo sposo della Chiesa ) Ascolta, o Padre, il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce; fa' che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tua messe nel regno dei cieli. ( Messale Romano, Colletta della V domenica di Quaresima, anno B ) Professare la fede - Gesù era del tutto innocente ed è stato condannato con un processo ingiusto; ma della sua morte ha fatto a Dio un sacrificio di amore per la nostra salvezza: egli "mi ha amato e ha dato se stesso per me" ( Gal 2,20 ). - Mediante la sua obbedienza di amore al Padre "fino alla morte e alla morte di croce" ( Fil 2,8 ), Gesù compie la missione redentrice del Servo sofferente che giustifica molti, addossandosi la loro iniquità. - Nella croce di Cristo si manifesta non soltanto la malvagità del peccato, ma anzitutto l'iniziativa di amore del Padre: "è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" ( 1 Gv 4,10 ). "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo" ( 2 Cor 5,19 ). Capitolo 7 Risorto per la nostra salvezza In lui morto è redenta la nostra morte, in lui risorto tutta la vita risorge. ( Messale Romano, Prefazio pasquale II ) 260 La storia di Gesù non finisce con la morte: numerosi segni manifestano che egli vive nella gloria della risurrezione, come Signore che dona lo Spirito. Per mezzo di lui anche noi risorgiamo a vita nuova; sperimentiamo la gioia di amare e di offrire noi stessi in sacrificio, la più limpida e duratura che ci sia. Al centro della fede La luce di Pasqua 261 La liturgia della veglia pasquale comincia con un rito suggestivo. La gente in chiesa attende al buio e in profondo silenzio; dal portale entra la fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante fiammelle, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all'assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione. La fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua di Cristo. "Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture" ( 1 Cor 15,3-4 ): questo è il vangelo che la Chiesa riceve, trasmette e mantiene fedelmente. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita? Oggi molti sono affascinati da Gesù di Nàzaret, uomo libero, fedele a Dio e a se stesso fino alla morte, uomo per gli altri, profeta di un mondo più giusto e fraterno; ma non ammettono la sua risurrezione. Se così fosse, egli non sarebbe il Salvatore, ma soltanto un martire in più; la speranza umana resterebbe una povera speranza e la morte continuerebbe a dominare inesorabile. ( 1 Cor 15,19 ) Senza la risurrezione, il Crocifisso non ci salva; e la Chiesa non ha più nulla da dire: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" ( 1 Cor 15,14 ). D'altra parte il Risorto, senza la croce e la concretezza storica di Gesù, sarebbe soltanto un mito facilmente manipolabile, una sterile proiezione delle nostre aspirazioni. Il regno di Dio in Cristo risorto 262 Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia. Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso. ( At 5,30-31 ) Mediante il Crocifisso risorto, egli si fa definitivamente vicino ai peccatori, ai poveri, ai malati, ai falliti della storia, ai morti inghiottiti dalla terra. Non c'è solitudine umana che non vada a raggiungere.Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, "costituito Signore e Cristo" ( At 2,36 ). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e "non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" ( At 4,12 ). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il "vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio" ( Mc 1,1 ); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti. ( At 11,20; Rm 10,9 ) 263 La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: "Cristo morì per i nostri peccati… ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture" ( 1 Cor 15,3-4 ), cioè secondo il disegno salvifico di Dio. Si è fatto vedere Cambiamento dei discepoli 264 Gesù di Nàzaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa. ( Gv 19,38-42 ) La storia sembrava finita. I discepoli erano paralizzati dalla paura e dalla vergogna. Ma qualche settimana dopo eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione, che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore dell'universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono "un cuore solo e un'anima sola" ( At 4,32 ). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d'ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa!I discepoli affermano con sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla loro incredulità con un'iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata. Incontri pasquali 265 L'apostolo Paolo, verso l'anno 55, riassume l'annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: "Cristo morì… fu sepolto… è risuscitato… apparve"; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: "apparve a Cefa ( Pietro ) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me" ( 1 Cor 15,3-8 ). Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: "Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti" ( At 10,40-41 ). 266 Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell'incontro. La struttura dei racconti è però costante: ( Mt 28,16-20; Lc 24,36-49; Gv 20,19-29 ) iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L'insistenza sull'oggettività dell'esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti. Il sepolcro vuoto 267 Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del sepolcro vuoto: ( Mt 28,1-15; Mc 16,1-8; Lc 24,1-12; Gv 20,1-10 ) un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio e coperti di ridicolo. Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione, costituisce però un'apertura verso il mistero e un segno dell'identità del Risorto con il Crocifisso. 268 Il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto e la radicale conversione dei discepoli convergono nell'indicare la realtà obiettiva della risurrezione. Il mistero della risurrezione Avvenimento diverso 269 La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? È questa una domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio, ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote. Con la risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono "come angeli nei cieli" ( Mc 12,25 ) e il loro corpo è un "corpo spirituale" ( 1 Cor 15,44 ), trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa dal seme. Oggetto di fede 270 I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa esperienza alla luce delle attese di salvezza dell'Antico Testamento e usano consapevolmente un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato, intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni. 271 La risurrezione di Gesù si manifesta nella storia, ma in se stessa trascende la storia. Costituito Messia e Salvatore L'Ascensione 272 Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare. ( At 1,9-11 ) L'ascensione visibile è segno della invisibile intronizzazione messianica del Risorto. Nella gloria trinitaria 273 Interpretando l'evento pasquale alla luce di alcuni testi dell'Antico Testamento, ( Sal 2,7; Sal 110,1 ) gli apostoli proclamano: Gesù è stato "costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti" ( Rm 1,4 ); "Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire … Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" ( At 2,32-33.36 ). Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce "capo e salvatore" ( At 5,31; Ef 1,20-23; Fil 3,20 ), per rinnovare tutte le cose. Completa così la generazione di suo Figlio nel mondo in virtù dello Spirito, iniziata con il concepimento nel seno della Vergine Maria: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato" ( At 13,33, citazione del Sal 2,7 ). Nella risurrezione si ha il compimento dell'incarnazione, l'intronizzazione del Messia, la definitiva effusione dello Spirito su di lui per la salvezza di tutti. Il Crocifisso risorto accoglie lo Spirito del Padre e lo comunica agli uomini come potenza di comunione, di guarigione e di risurrezione. "Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" ( Rm 8,11 ). Secondo una dinamica trinitaria, la sovranità del Padre sull'universo si realizza per mezzo di Gesù Messia e Signore nella forza dello Spirito. Per la salvezza del mondo 274 La risurrezione non costituisce semplicemente un trionfo per Gesù, ma è causa della nostra salvezza: "È stato risuscitato per la nostra giustificazione" ( Rm 4,25 ). Ha ricevuto la potenza divina di dare la vita ed è diventato il capostipite della nuova umanità, il nuovo Adamo, che ci fa rinascere come figli di Dio e conduce il mondo alla sua perfezione. ( 1 Cor 15,45 ) Egli regna con la forza dell'amore come Agnello immolato ( Ap 5,6 ) e come Servo obbediente: "Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo … facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" ( Fil 2,7-9 ). La sua mediazione salvifica, pur avendo molti aspetti, si riassume nella comunicazione dello Spirito Santo agli uomini, per renderli capaci di credere e di amare, unirli a sé e ricondurli al Padre. 275 Gesù, con la risurrezione, giunge alla perfezione della sua umanità e assume in pienezza la funzione di Messia e Salvatore, comunicando agli uomini lo Spirito Santo, per santificarli e ricondurli al Padre. Fondamento della risurrezione universale Primizia dei risuscitati 276 La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione generale al termine della storia. I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. ( 2 Mac 7; Sap 3,4; Dn 12,2 ) Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" ( 1 Cor 15,20-22 ). L'offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. ( Es 22,28-29; Lv 2,14; Dt 26,1-11 ) Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell'umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. ( Ef 2,5-6; Col 2,12 ) Tutto comincia a compiersi. Speranza certa 277 Per noi quest'uomo storico, che ha raggiunto la perfezione oltre la storia, è non solo la guida morale, ma il Signore vivente, che attraverso la morte ci apre un futuro definitivo di vita e di pace. La vittoria sul male è sicura; la storia va verso la salvezza; l'ultima parola appartiene alla grazia di Dio. Dobbiamo scrollarci di dosso la tristezza e la rassegnazione, per aprirci al coraggio della speranza. 278 Gesù è risorto come capo dell'umanità: "come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" ( 1 Cor 15,22 ). Nel cuore della storia Rimane presente 279 Durante il tempo di grazia dei quaranta giorni pasquali, Gesù si fa vedere a chi vuole e dove vuole. Con l'ascensione al cielo, cessa questo farsi vedere. Cessa anche la sua presenza? "Ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose" ( Ef 4,10 ), assicura la Scrittura. Il Risorto è più vicino a Dio e proprio per questo più vicino anche a noi; siede alla destra del Padre come Signore e proprio per questo continua più che mai a camminare sulle strade degli uomini: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni … Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" ( Mt 28,18-20 ). Nella Chiesa e nel mondo 280 Il Risorto continua con la potenza dello Spirito a operare in modo arcano nella storia, associando a sé la comunità dei credenti, suo "corpo" visibile. La Chiesa si riunisce nel suo nome, lo invoca, lo celebra, lo annuncia, gli dà testimonianza. È inviata per essere segno tangibile della fedeltà di Dio e del suo Messia agli uomini: perciò è destinata a durare indefettibile sino alla fine del mondo. 281 Tuttavia la presenza del Regno nella storia va ben oltre le frontiere visibili della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole. ( Gv 3,8 ) Ovunque c'è carità e si lavora per l'universale "civiltà dell'amore", lì c'è lo Spirito di Dio e del suo Cristo. La storia resta una drammatica lotta tra il bene e il male; ma Cristo vive in essa, per orientarla nel senso del compimento ultimo attraverso le molteplici attuazioni dei valori di verità, libertà, comunione, pace, bellezza. La sua sovranità si dispiega nel corso dei tempi, come servizio alla dignità e alla vocazione dell'uomo, con un'attenzione preferenziale agli ultimi. In coloro che soffrono vi è una sua particolare presenza. ( Mt 25,40 ) In questo senso anche "la passione di Cristo si prolunga sino alla fine dei secoli". 282 Gesù risorto è più vicino a Dio e perciò è più vicino agli uomini: siede alla destra del Padre e rimane con noi "tutti i giorni, fino alla fine del mondo" ( Mt 28,20 ). Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La fede cristiana segna un deciso superamento di una certa cultura di morte, senza apertura al futuro. Il Dio che Gesù ci ha manifestato è il Dio della vita: colui che ha risuscitato Gesù Cristo e risusciterà anche noi; colui che ci chiama a una fiducia totale in lui, anche quando tutto sembra crollare ( Rm 4,17.24 ). Nella risurrezione di Gesù trova luce la nostra fede e fondamento concreto la nostra speranza di una vita e di una storia pienamente realizzate. - Perché l'avvenimento e l'annuncio della risurrezione di Gesù costituiscono il cuore della fede cristiana? - Nella nostra esperienza umana e cristiana avvertiamo la risurrezione di Gesù, il mistero della sua Pasqua, come un avvenimento che ci riguarda da vicino e profondamente? - Cosa significa in concreto per la nostra vita e per la vita delle nostre comunità cristiane la risurrezione di Gesù? - Come possiamo testimoniare nella nostra cultura e nel nostro ambiente la risurrezione di Gesù? attraverso quali segni? Ascoltare e meditare la Parola Mentre [ i discepoli ] parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto". ( Lc 24,36-49 ) Si può leggere anche: ( Gv 20,19-29 ) Beati quelli che pur non avendo visto crederanno. ( Rm 10,9-17 ) Se confesserai che Gesù è il Signore e crederai che Dio lo ha risuscitato, sarai salvo. ( Sal 118,1 ) Celebrate il Signore perché è buono. Questo è il vero giorno di Dio, radioso di santa luce, nel quale il sangue divino lavò i turpi peccati del mondo, ridando fiducia ai peccatori, illuminando la vista dei ciechi. Chi non libera dal grave timore l'assoluzione del ladrone, il quale, con un breve atto di fede, conquistò Gesù, mutando la croce in premio e, con celere passo, precedette i giusti nel regno di Dio? Persino gli angeli rimangono stupiti davanti a quest'opera osservando il supplizio del corpo e vedendo il peccatore, con la sua adesione a Cristo, conquistare la vita beata. O mirabile portento: che a far sparire il contagio del mondo e a togliere i peccati di tutti, sia una carne che monda i vizi della carne! Può esserci prodigio più grande: che la colpa cerchi grazia, la carità liberi dal timore, la morte ridoni la vita nuova? La morte divori il suo pungiglione e si avvinca nei suoi lacci: muoia la vita di tutti, risorga la vita di tutti. Poiché la morte passa per tutti, tutti i morti risorgano; distrutta dal suo stesso morso, gema d'esser perita lei sola. ( Sant'Ambrogio, Inni, Per il giorno di Pasqua ) Pregare e celebrare Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode. L'Agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. "Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?". "La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea". Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza. ( Messale Romano, Sequenza della domenica di Pasqua ) O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto. ( Messale Romano, Colletta della domenica di Pasqua ) Professare la fede - "Davvero il Signore è risorto!" ( Lc 24,34 ): "Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" ( Rm 10,9 ). - Cristo risorto è principio della nostra risurrezione: fin d'ora siamo in lui giustificati, in attesa della glorificazione del nostro corpo alla fine dei tempi. - "Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell'universo, non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria" ( Messale Romano, Prefazio dell'Ascensione del Signore I ). Introduzione Sezione terza: Nella profondità del mistero di Cristo 283 La risurrezione, come una luce troppo abbagliante, non lascia comprendere, subito fino in fondo, il mistero di Gesù. La comunità cristiana, guidata dallo Spirito, comincia a ripensare l'intera vicenda, la ricorda con commozione e ne rivive le meraviglie; medita, cerca di capire. Alla luce della Pasqua, avanza in un cammino di graduale scoperta attraverso la preghiera e la vita quotidiana, la predicazione missionaria e la catechesi. Come un canto che inizia sommesso e a poco a poco diventa un coro potente, la fede e la ricerca si trasmettono da una comunità all'altra, da Gerusalemme ad Antiòchia, ad Efeso, a Corinto, a Roma, ovunque i credenti in Gesù si riuniscono attorno al vangelo e all'eucaristia; e poi ancora dalla prima generazione alle successive, nella varietà delle culture e delle esperienze. La storia di Gesù, risalendo indietro fino alla nascita, viene interpretata con idee, immagini e formule prese dall'Antico Testamento, perché tutto fin da principio parla di lui e si muove verso di lui. A partire dal suo stesso insegnamento, si professa la fede in lui con i titoli più elevati: Cristo, Signore, Figlio di Dio, Verbo fatto uomo, Dio. Ma nessun titolo può esaurire il mistero della sua persona, pur dicendo qualcosa di esso ( capitolo 8 ). Guardando alla storia di Gesù si aprono prospettive vertiginose sulla vita intima di Dio, come mistero d'amore, perfettissima unità di tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo ( capitolo 9 ). Nello stesso tempo si delinea il senso globale della creazione e della storia, come attuazione di un mirabile disegno di Dio, incentrato in Cristo ( capitolo 10 ). Capitolo 8 Gesù Cristo Figlio di Dio Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. ( Gv 3,16) 284 L'esperienza pasquale apre definitivamente l'accesso al mistero personale di Gesù. La fede della Chiesa vi penetra progressivamente e riconosce nel Crocifisso risorto il Cristo, il Signore, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, il vero Dio e vero uomo. In lui Dio ci ha dato se stesso per attirarci a sé; è disceso nella nostra miseria per sollevarci alla sua gloria. La divinità del Cristo indica la misura inaudita dell'amore di Dio per noi e la sublime audacia della nostra speranza. Il Cristo L'identità di Gesù 285 Le diverse opinioni sull'identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei ( Lc 9,7-9; Gv 10,20-21 ) e hanno continuato a dividere gli uomini di ogni epoca, fino alla nostra. Oggi gran parte della gente nel nostro paese riconosce in lui il Figlio di Dio fatto uomo. Tra le verità specificamente cristiane è la più condivisa. Non manca però chi considera Gesù soltanto un grande personaggio, un profeta o addirittura una figura mitica. Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità cristiane? Qual è l'autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù, a cominciare da quello che è diventato il suo secondo nome: "Cristo", cioè Messia. Discendente di David 286 Anticamente si chiamavano "messia" i re di Israele, in quanto consacrati con l'olio e investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre. ( 2 Sam 7,12-16 ) Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso un re-messia ideale, della stirpe di David. ( Is 7,14; Is 9,5-6; Ger 33,14-17; Ez 34,23-24; Ez 37,24 ) Il popolo manteneva desta questa speranza con la preghiera dei salmi. ( Sal 2,1; Sal 110,1 ) Al tempo di Gesù l'attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava, sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici. Da parte sua, Gesù rimane cauto e reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua. Messia glorificato 287 I primi credenti dell'ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia glorificato, consacrato con l'unzione di Spirito Santo, ( At 2,36; At 10,38 ) intronizzato alla destra del Padre. Quel titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha glorificato il suo Servo obbediente! ( At 3,13 ) La professione di fede: "Gesù è il Cristo", diventa a poco a poco un nome proprio, "Gesù Cristo", quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta ricevono il nome di "cristiani" ( At 11,26 ): nome che poi si è affermato, perché adatto a suggerire l'intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la consacrazione con l'unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima. 288 Gesù è "il Cristo", che doveva "patire e risuscitare dai morti", "per entrare nella sua gloria" ( Lc 24,26.46 ). Il Signore Nella storia 289 Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia nella gloria, lo invocavano già come Signore: "Marana tha" ( 1 Cor 16,22; Ap 22,20 ), "Signore nostro vieni!". Successivamente, nelle comunità ellenistiche di lingua greca, acquista grande importanza la professione di fede: "Gesù è il Signore" ( 1 Cor 12,3; Rm 10,9 ), come condizione per essere salvati. Nello stesso tempo l'accento si sposta dall'attesa per il futuro alla presenza attuale della salvezza. 290 Secondo l'Antico Testamento, "Signore" ( in ebraico Adonài, in greco Kyrios ) è titolo riservato a Dio: "Io sono il Signore e non v'è alcun altro" ( Is 45,5 ). Gesù come uomo riceve dal Padre questo nome, "che è al di sopra di ogni altro nome" ( Fil 2,9 ), a motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito. Egli non opprime, ma libera e fa crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non teme il destino o la minaccia di forze oscure. ( 1 Cor 8,5-6 ) Nell'universo 291 Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la signoria di Cristo nei confronti dell'universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono da lui sottomesse e ricondotte all'armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla. Egli trascende l'universo, perché esiste prima di tutte le cose, che "sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" ( Col 1,16; Ef 1,20-23; Col 1,13-20; Col 2,9-10 ). 292 Gesù è il Signore della storia e dell'universo. Affidando a lui la propria vita, i cristiani sono liberi dall'idolatria, dalla paura e dalla superstizione. Il Figlio Un nuovo significato 293 "Figlio di Dio", nell'Antico Testamento, veniva chiamato Israele, in quanto scelto da Dio e prediletto tra tutti i popoli; e poi anche il re di Israele, in quanto governava come rappresentante di JHWH. ( Es 4,22; Sal 2,7 ) La fede cristiana delle origini, attribuendo a Gesù questo titolo, ( Rm 8,3.32; Gal 4,4 ) lo intese in un senso incomparabilmente più alto: Gesù è il Figlio unico di Dio, eternamente partecipe della sua vita, eternamente amato. ( Gv 1,18 ) Singolare unità con il Padre 294 Durante la vita pubblica, Gesù aveva destato sorpresa per la familiarità con cui chiamava Dio "Abbà ( Papà )". Coerentemente aveva presentato se stesso come "il Figlio", rivolto verso il Padre con un rapporto unico di sottomissione, perfetta intimità e reciprocità. ( Mt 11,27 ) 295 È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre. Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: "Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa" ( Gv 3,35 ). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" ( Gv 4,34 ). E, di fronte alla passione, l'obbedienza arriva alla suprema dedizione: "Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo …" ( Gv 14,31 ). L'unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l'uno si vede anche l'altro: sono uno nell'altro, sono una cosa sola. ( Gv 10,30; Gv 14,7-10 ) Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l'amore del Figlio: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui" ( 1 Gv 4,9 ). L'unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l'unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, ( Gv 5,17.19; Gv 8,28 ) vive da sempre presso di lui, ( Gv 1,1.18 ) è Dio insieme a lui, ( Gv 1,1; Gv 20,28 ) quasi una sua "irradiazione e … impronta" ( Eb 1,3 ), "Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre". 296 Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell'intimità del Padre, perché "nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" ( Mt 11,27 ). Il Verbo fatto carne La Parola e la Sapienza 297 Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come "il Verbo ( la Parola )". Inesauribile efficacia, secondo l'Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l'universo. ( Sal 33,6.9 ) A sua volta la divina sapienza abita dall'eternità accanto a Dio ( Pr 8,22-31 ) ed è artefice di tutte le cose: "È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova" ( Sap 7,26-27 ). La persona del Verbo 298 Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un'astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio … E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria" ( Gv 1,1.14 ). Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l'universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l'umanità dispersa. 299 Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine. Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, ( Gv 1,1.18 ) è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana, ( Eb 2,17 ) fino alla quotidianità più dimessa. Ha provato fame e sete, lavoro, stanchezza e sonno; ha conosciuto gioia e pianto, compassione e paura, amicizia e sdegno, sorpresa e meraviglia, tristezza e solitudine, tentazione spirituale e tortura fisica. È cresciuto "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" ( Lc 2,52 ); ha imparato l'obbedienza attraverso quello che ha sofferto. ( Eb 5,8 ) Con la morte e la risurrezione ha portato a compimento la sua crescita di uomo. 300 Il Verbo eterno, immagine perfetta del Padre, si è fatto carne, fragile uomo, solidale con gli uomini deboli e mortali. L'Emmanuele, Dio con noi Il vangelo della nascita 301 La prima comunità dei credenti, animata dallo Spirito Santo e guidata dagli Apostoli, penetra progressivamente nella profondità del mistero di Gesù; comprende che tutta la sua esistenza è rivelazione di Dio e causa di salvezza per noi. In questa prospettiva anche gli episodi salienti che circondano la sua nascita diventano vangelo, perché lasciano già intravedere quello che poi si manifesterà pienamente alla luce di Pasqua, che cioè Dio è con noi per salvarci e riportarci alla comunione con sé. Si tratta di ricordi, fedelmente custoditi e trasmessi in ambito familiare, che ora vengono compresi nel loro profondo significato. Nel racconto di Matteo 302 Matteo apre il suo Vangelo con una genealogia e organizza gli avvenimenti della nascita di Gesù in cinque quadri: ( Mt 1,1-2 ) annuncio a Giuseppe, visita dei Magi, fuga in Egitto, strage degli innocenti, ritorno a Nàzaret. Mette in evidenza che Gesù viene a nascere in mezzo a un popolo di peccatori; ma il suo nome significa "Il Signore salva". ( Mt 1,21 ) Sarà dunque il Salvatore per Israele e per tutte le nazioni della terra, rappresentate dai Magi. Incontrerà persecuzioni ma, come nuovo Mosè, libererà i credenti dal peccato e li guiderà fuori della schiavitù. Sarà il pegno della fedeltà di Dio, la sua presenza misericordiosa, l'Emmanuele, Dio-con-noi. ( Mt 1,23 ) Lo si comprenderà bene più tardi al termine di tutto il Vangelo, quando il Risorto assicurerà solennemente: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni" ( Mt 28,20 ). Nel racconto di Luca 303 L'evangelista Luca racconta la nascita e la vita nascosta di Gesù in parallelo con quella di Giovanni Battista, presentandolo come dono incomparabile e gratuito di Dio ai poveri. ( Lc 1,1-2 ) In ogni epoca ci sono degli uomini che sono un dono straordinario, che aprono prospettive nuove di fraternità e di speranza. Per Israele è dono grande Giovanni Battista, che preparerà le vie del Signore; non per niente nasce da genitori sterili in virtù della benedizione divina, come un tempo Isacco e Samuele. Ma dono assolutamente unico per tutte le genti è Gesù, il Figlio dell'Altissimo, il Salvatore, il Cristo Signore: per questo nasce da una Vergine, umile e povera, in virtù dello Spirito Santo. La sua nascita verginale indica che è Figlio del Padre celeste e che la salvezza è frutto della grazia e non delle capacità umane. Per accogliere il dono occorre essere poveri, come sua madre Maria, come Elisabetta, come i pastori, come Simeone e Anna, che ripongono la loro speranza unicamente nel Signore. I misteri dell'infanzia e della vita nascosta 304 Nella nascita del Messia, povero tra i poveri, viene anticipata la suprema povertà del Crocifisso e comincia a risplendere la gloria di Dio, intesa come rivelazione del suo amore. Nella circoncisione del bambino Gesù si esprimono la sua appartenenza al popolo di Israele e la sua sottomissione alla legge. Nella presentazione al tempio Israele, rappresentato da Simeone e Anna, vede coronata la sua attesa e incontra il suo salvatore, mandato da Dio anche come "luce per illuminare le genti" ( Lc 2,32 ). Nella venuta dei Magi sono le nazioni pagane che, mediante i loro rappresentanti, vanno incontro al Messia di Israele e lo adorano come salvatore universale. Nella fuga in Egitto si annuncia per il Messia un futuro di contrasti e persecuzioni: attuerà la sua missione attraverso la sofferenza. Nel ritrovamento nel tempio emerge la consapevolezza di Gesù circa la propria missione e la propria identità di Figlio di Dio. La lunga permanenza di Gesù a Nàzaret, intessuta di fatica quotidiana e di ordinari rapporti con la gente anonima di un oscuro villaggio, manifesta anch'essa la condiscendenza di Dio e la sua volontà di essere con noi e per noi. Dio ama la vita quotidiana che non fa notizia, caratterizzata dalla famiglia e dal lavoro, la vita della quasi totalità del genere umano. In essa si lascia incontrare: basta viverla come un dono e un compito, con fede e amore. Non è necessario compiere grandi imprese per essere santi. Tempo di Natale Per il loro significato salvifico, gli eventi dell'infanzia e della vita nascosta hanno grande risalto nella fede, nella devozione, nella tradizione culturale e artistica del popolo cristiano. La Chiesa li ripercorre con particolare solennità nel tempo liturgico del Natale, in cui celebra il mistero dell'incarnazione. 305 In Gesù, Dio stesso si è fatto vicino e rimane con noi, dono incomparabile da accogliere con umiltà nella vita di ogni giorno. Vero Dio e vero uomo Ricerca incessante 306 La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all'interno del Nuovo Testamento, frutto dell'epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi. La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell'espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili. Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l'umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l'uomo. Allora, per difendere l'integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l'unità della Chiesa, confidando nell'assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall'imboccare strade sbagliate. I primi sette concili 307 I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d'oriente e d'occidente. Il primo concilio di Nicea, celebrato nell'anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l'arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre. 308 Il primo concilio di Costantinopoli, dell'anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un'anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo. 309 Il concilio di Efeso, dell'anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l'uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio. 310 Il concilio di Calcedonia, dell'anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell'incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica: "Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto ] di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo". Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un'indicazione sicura per il nostro cammino. 311 Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell'antichità dai tre concili successivi. Il secondo concilio di Costantinopoli, dell'anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana. Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l'esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro. Il secondo concilio di Nicea, dell'anno 787, definisce che è conforme alla verità dell'incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d'arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l'onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata. Incarnazione di Dio e santificazione dell'uomo 312 Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane. Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall'esperienza del mondo e dall'esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: "Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo". 313 Prospettive inaudite si aprono sull'amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell'eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: "Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell'uomo, perché l'uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l'adozione filiale, diventi figlio di Dio". Ha conferito valore assoluto ad ogni persona umana, perché "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo", chiamandolo a crescere fino all'intimità con Dio, faccia a faccia, per sempre. I misteri dell'incarnazione di Dio e della santificazione dell'uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all'uomo personalmente e l'uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza. 314 Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell'umanità, eccetto il peccato. Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell'intimità del Padre. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Professare la fede in Gesù è accogliere la pienezza del suo mistero, così come è stato rivelato e come la fede della Chiesa lo ha costantemente trasmesso e insegnato. Vanno superate visioni riduttive, soggettive o ideologiche della fede. Solamente una piena e consapevole fede in Gesù Cristo, Signore e Salvatore di tutti, ci consente di poter testimoniare la vera identità cristiana e di aprirci al dialogo con quanti professano una diversa religione e con i non credenti. - Quali condizionamenti culturali creano particolare difficoltà perché l'uomo di oggi si apra a un'accoglienza piena e disponibile del mistero di Cristo? - Come esprimere e professare nel contesto attuale la nostra fede in Gesù, il Signore? - Perché il mistero dell'incarnazione è centrale nella fede cristiana? - Qual è il suo significato e il suo messaggio? - Quale identità di credenti in Cristo manifestiamo nel nostro dialogo quotidiano e nelle nostre scelte? Ascoltare e meditare la Parola Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. ( Fil 2,5-11 ) Si può leggere anche: ( Gv 14,5-11 ) Chi vede me vede il Padre. ( Gv 1,1-18 ) Il Verbo si è fatto carne. ( Sal 110,1-4 ) Oracolo del Signore al mio Signore. Gesù è il Cristo, Figlio del Dio vivo. Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; egli è il Maestro dell'umanità, è il Redentore; egli è nato, è morto, è risorto per noi; egli è il centro della storia e del mondo; egli è colui che ci conosce e ci ama; egli è il compagno e l'amico della nostra vita; egli è l'uomo del dolore e della speranza; è colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. ( Paolo VI, Omelia a Manila, 29 novembre 1970 ) Con l'incarnazione il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato. ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 22 ) Pregare e celebrare O Gesù salvatore, immagine del Padre, re immortale dei secoli, luce d'eterna luce, speranza inestinguibile, ascolta la preghiera. Tu che da Maria Vergine prendi forma mortale, ricordati di noi! Nel gaudio del Natale ti salutiamo, Cristo, redentore del mondo. La terra, il cielo, il mare acclamano il tuo avvento, o Figlio dell'Altissimo. Redenti dal tuo sangue, adoriamo il tuo nome, cantiamo un canto nuovo. A te sia gloria, o Cristo, al Padre e al Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen. ( Liturgia delle ore, Inno dei Vespri di Natale ) O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l'Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria. ( Messale Romano, Colletta della II domenica di Pasqua, anno C ) Professare la fede - "Ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" ( Fil 2,10-11 ). - L'incarnazione è il mistero della mirabile unione della natura divina e della natura umana nell'unica Persona del Verbo, il Figlio unigenito del Padre. Vero Dio e vero uomo, Gesù Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. - "Il centro vivo della fede è Gesù Cristo. Solo per mezzo di lui gli uomini possono salvarsi; da lui ricevono il fondamento e la sintesi di ogni verità; in lui trovano "la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 10 )" ( Conf. Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, 57 ). Capitolo 9 Padre e Figlio e Spirito Santo La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. ( 2 Cor 13,13 ) 315 La storia di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, ci conduce alla scoperta più sorprendente: Dio non è solitudine; è carità, comunione. Intravediamo la sua unità come correlazione di tre persone: Padre e Figlio e Spirito Santo. È un mistero oscuro, ma che illumina tutto e a tutto dà significato. Ci sentiamo anche noi chiamati a realizzarci nella comunione di carità con Dio e con i fratelli. Dal mistero di Cristo al mistero della Trinità Mistero oscuro e luminoso 316 La nostra conoscenza di Dio è indiretta e inadeguata. Che senso ha allora indagare la sua vita intima, ciò che egli è in se stesso? Nella nostra cultura è abbastanza diffuso l'agnosticismo, che tende a circoscrivere la capacità dell'intelligenza umana dentro l'orizzonte terreno e si mostra estremamente diffidente verso ogni tentativo di parlare di Dio. È significativo che nel nostro paese, accanto a quelli che si dichiarano non credenti o indifferenti, molte siano le persone che si ritrovano nella definizione di Dio come Mistero. D'altra parte, un rapporto religioso vivo non può fare a meno di una qualche conoscenza positiva ed è ancor più significativo che la grande maggioranza della gente si riconosca nella definizione cristiana: "Dio è amore" ( 1 Gv 4,8 ). Non si può aver fiducia in chi resta completamente sconosciuto. 317 Nella rivelazione storica Dio si manifesta e si nasconde nello stesso tempo; ci offre una conoscenza luminosa, associata a ombre impenetrabili. La sorgente infinita dell'essere e della vita rimane al di là di tutte le cose e di tutti i pensieri; ma in Gesù di Nàzaret lascia trasparire qualcosa del suo segreto. La storia del Cristo non è storia di una sola persona, ma di tre persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Il Dio ignoto si rivela come mistero di comunione e di amore. 318 Una singolare dialettica attraversava le promesse di salvezza nell'Antico Testamento: da una parte si affermava che negli ultimi tempi Dio sarebbe intervenuto in prima persona per liberare e riunire il suo popolo, e stabilire in esso la sua dimora; dall'altra si accentuava il ruolo che avrebbero svolto le mediazioni della Parola, ( Sir 42,15; Is 55,10-11 ) dello Spirito, ( Sap 9,17; Is 11,2; Gl 3,1-2 ) della Sapienza, ( Pr 8,22-36; Sap 7,25-27; Sir 24,8 ) del Messia. ( 2 Sam 7,8-16; Is 7,10-17; Is 9,1-6; Is 11,1-9; Mi 5,1-3 ) L'enigma trova soluzione nella storia di Gesù: Messia, Parola e Sapienza di Dio, attraverso il quale si rende presente il Padre e viene donato lo Spirito. Una storia trinitaria dal principio alla fine, perché Dio vi si impegna personalmente come egli è. 319 Gesù riceve il battesimo nelle acque del Giordano ed ecco la voce del Padre presentarlo al mondo e lo Spirito scendere su di lui, ( Mt 3,16-17 ) per sostenerlo nella missione. Gesù compie esorcismi e miracoli: è il regno del Padre che giunge con la forza dello Spirito. ( Mt 12,28 ) Gesù prega ed è esultanza nello Spirito Santo che si leva verso il Padre. ( Lc 10,21-22 ) Gesù si consegna volontariamente nelle mani dei peccatori e va liberamente incontro alla morte; ( Lc 9,51 ) ma è il Padre che per primo lo consegna, ( Lc 9,44; Rm 8,32 ) gli ispira amore per i peccatori e misteriosamente "soffre" per la sua passione e per il peccato degli uomini; ed è lo "Spirito eterno" ( Eb 9,14 ), che Cristo riceve dal Padre, a trasformare la croce in sacrificio redentore. Infine, Gesù risorge vittorioso dalla morte per virtù propria, come Signore e Salvatore; ( Mc 16,6 ) ma è il Padre che lo fa risorgere, donandogli in modo nuovo lo Spirito Santo, perché possa a sua volta comunicarlo agli altri e rigenerarli come suoi fratelli e figli di Dio. ( Gv 20,22-23; At 2,32-33; Rm 1,4 ) Il Padre risuscita il Figlio, il Figlio è risuscitato e rivive, lo Spirito è la potenza della risurrezione: ( Rm 8,11 ) "Il Figlio da sé non può far nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa … Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole" ( Gv 5,19.21 ). Le persone divine agiscono sempre insieme, ma ciascuna con una relazione e caratteristica propria. 320 Con la Pentecoste inizia il cammino storico della comunità cristiana, Chiesa di Dio, corpo del Cristo e tempio vivo dello Spirito. In essa si entra con il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. ( Mt 28,19 ) I carismi, che sostengono la sua vita e la sua missione, sono "operazioni" del Padre, "ministeri" del Signore Gesù, "doni" dello Spirito. ( 1 Cor 12,4-6 ) Fede trinitaria della Chiesa 321 La fede cristiana fin dalle origini è cristologica e trinitaria, perché nel mistero di Cristo, il consacrato con l'olio della sovranità divina, noi incontriamo "il Padre che fa l'unzione, il Figlio che la riceve, lo Spirito che è l'unzione stessa". Nel II secolo nascono i "simboli della fede" e nascono esplicitamente trinitari. Ecco uno dei più antichi, quello della cosiddetta Didascalia degli Apostoli: "Credo nel Padre dominatore dell'universo e in Gesù Cristo Salvatore nostro e nello Spirito Santo Paraclito". Nel II secolo anche la preghiera eucaristica, pronunciata sul pane e sul vino durante la Messa, ha struttura trinitaria, essendo rivolta "al Padre dell'universo, mediante il nome del Figlio e dello Spirito Santo". E tale rimane fino ad oggi. Parola e silenzio 322 L'amore inaudito di Dio per noi trova il suo fondamento nel mistero di amore che Dio è in se stesso. Davanti a questo mistero il discorso umano è un povero balbettare e volentieri cede il posto al silenzio e all'adorazione. ( Gb 40,4-5; Gb 42,3 ) I mistici, che nella contemplazione hanno una conoscenza di Dio senza concetti, molto più perfetta di quella ordinaria, non riescono ad esporla come vorrebbero; lasciano intuire qualcosa delle meraviglie intraviste più con la loro personale trasformazione che non mediante i tentativi di raccontare: "Non si trova parola che suoni adeguata; nessun pensiero può mai giungervi, nessuna mente allargarsi fin là, tanto supera il tutto; come è vero che Dio non può esser spiegato mai". Ogni parola rimane al di sotto della realtà, anche se indica la giusta direzione. Ci avviciniamo dunque, osando appena sollevare lo sguardo, come Mosè davanti al roveto ardente. ( Es 3,2-5 ) 323 Il mistero della vita intima di Dio si rende accessibile attraverso la storia di Gesù, perché in essa sono coinvolti Padre, Figlio e Spirito Santo, ciascuno con un suo ruolo proprio. "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" ( 2 Cor 1,3 ) Dio della creazione 324 La figura paterna è vista con sospetto nella cultura moderna, specialmente quando è riferita a Dio. Sarebbe sinonimo di potere autoritario e fonte di alienazione. Ma è questo il Dio di Gesù Cristo? La sua trascendenza esclude la vicinanza e la tenerezza? Il suo primato esclude la comunione? Colui che Gesù chiama familiarmente "Abbà" è il Creatore del cielo e della terra, ( Mt 11,25 ) la prima sorgente nascosta di tutte le cose, che la fede della Chiesa riconosce come l'unico Dio vivo e vero, "onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito nel suo intelletto, nella sua volontà ed in ogni perfezione, che essendo una sostanza spirituale, unica e singolare, assolutamente semplice e immutabile, deve essere dichiarato realmente ed essenzialmente come distinto dal mondo, sovranamente beato in se stesso e per se stesso ed ineffabilmente elevato al di sopra di tutto ciò che è e che può essere concepito al di fuori di lui". Davanti a lui l'universo, popolato di stelle e galassie, malgrado la sua immensità che dà le vertigini, appare come un granello di polvere sulla bilancia, "come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra" ( Sap 11,22 ). Nulla aggiunge alla perfezione del suo Creatore; la sua esistenza è puro dono, assolutamente libero e gratuito. 325 Dio è infinitamente perfetto: nulla può perdere o acquistare; ( Sir 42,22 ) in lui "non c'è variazione né ombra di cambiamento" ( Gc 1,17 ); egli "è da sempre e per sempre" ( Sir 42,21 ), senza inizio, senza successione e senza fine. Perfino i cieli si logorano come una veste e passano, ma il Signore resta sempre lo stesso e i suoi anni non hanno fine. ( Sal 102,26-28 ) Di fronte a lui l'uomo si sente "polvere e cenere" ( Gen 18,27 ). 326 Ma la trascendenza non significa lontananza. Dio contiene l'universo nella sua intelligenza e volontà; ( Sap 1,7; Sap 11,24 ) penetra intimamente ogni cosa con il suo Spirito, per dare "esistenza, energia e vita". È "altissimo e vicinissimo, remotissimo e presentissimo". Dio della storia 327 Il Padre del Signore Gesù Cristo è il Dio vivente della storia, il "Dio di Israele" ( Mt 15,31; Gen 33,20; Sir 47,18; Bar 3,4 ), il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. ( Es 3,6; Mt 22,32 ) Egli cammina con il suo popolo e partecipa con intensità alle vicende degli uomini; ama appassionatamente e vuole essere amato "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" ( Dt 6,5 ); prova compassione per la sofferenza; ( Es 22,25 ) reagisce al peccato con il fuoco divoratore della sua santità; combatte energicamente per la causa della verità e della giustizia. ( Dt 4,24 ) Mentre rimane sublime nella sua trascendenza, si china a guardare con predilezione chi giace nella miseria più profonda, nella "polvere", nel "letamaio". ( Sal 113,7 ) Inserendosi nella storia, Dio rimane il Signore trascendente della storia. Dice il suo nome e nello stesso tempo rifiuta di dirlo completamente. "Io sono colui che sono!" ( Es 3,14 ). Il suo coinvolgimento è sovranamente libero. "Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia" ( Es 33,19 ). Eppure nessun altro amore è così universale, fedele e misericordioso come il suo. Il Padre 328 Gesù, pur nella continuità con l'Antico Testamento, ci dà un'immagine di Dio assolutamente nuova. Egli solo conosce il Padre nella sua identità più vera; egli solo lo può rivelare. ( Mt 11,27 ) Lo scopo supremo della sua missione è far conoscere agli uomini il suo nome, glorificarlo. ( Gv 17,4-6 ) 329 Attraverso di lui il Padre si manifesta come amore senza limiti. Ama non solo i giusti, i sofferenti e gli oppressi, ma anche i peccatori, gli oppressori e i bestemmiatori, perfino i crocifissori del suo Figlio. Li ama così come sono. Prende su di sé il peso dei loro peccati. Dà quanto ha di più caro, per salvarli: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" ( Rm 5,8 ). 330 Gesù stesso riceve tutto dal Padre, ( Mt 11,27 ) anche ciò che gli appartiene più intimamente, le opere che compie, l'amore per i fratelli, la vita stessa: "Chi ha visto me ha visto il Padre … Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me" ( Gv 14,9-11 ). Il Figlio viene dal Padre e va al Padre; ( Gv 16,28 ) e tutto in lui viene dal Padre come dono e torna incessantemente al Padre come lode, gratitudine o obbedienza. Chi accoglie Gesù partecipa alla sua vita filiale e riceve in sé lo Spirito che gli fa gridare: "Abbà, Padre!" ( Rm 8,15 ). Allora conosce Dio in modo nuovo. ( Gv 10,38; Gv 14,7; 1 Gv 2,23 ) 331 Il nome "Padre", attribuito a Dio già nell'Antico Testamento, ( Es 4,22; Dt 32,6; Is 1,2; Ger 3,19; Os 11,1-9 ) assume un significato ben più profondo, per il fatto che Dio si rivela nel Figlio unigenito e comunica agli uomini lo Spirito del suo Figlio. Con questo nuovo significato diventa il nome definitivo: "Il nome che conviene propriamente a Dio è quello di "Padre" piuttosto che di "Dio" … Dire "Dio" significa indicare il dominatore di tutte le cose; dire "Padre" significa invece raggiungere una proprietà intima … "Padre" è dunque in certo modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per eccellenza". 332 Il termine "Padre" è analogico; indica il principio da cui il Figlio riceve tutto ciò che è e fa. In realtà Dio si colloca al di là delle differenze di sesso e riunisce in sé i valori della paternità e della maternità. ( Gv 1,18 ) È il Padre materno, autorità che responsabilizza e tenerezza accogliente. È comunque un soggetto personale, che pone davanti a sé altre persone e non un tutto indefinito, immergendosi nel quale ognuno perde la propria identità. Principio senza principio 333 "Dio è amore" ( 1 Gv 4,8 ). Il principio originario di tutta la realtà è "uno, ma non solitario": è Amore e comunicazione infinita. Prima ancora di creare le creature e di partecipare ad esse un limitato riflesso della sua vita, egli da sempre comunica tutta la propria perfezione al Figlio eterno e allo Spirito Santo. Il Padre è dunque la pura gioia del donare senza riserve, il principio senza principio delle altre persone divine e poi di tutta la realtà creata, verso il quale tutto deve ritornare nella gratitudine, nella lode e nell'obbedienza. "Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente" ( Ap 1,8 ). Davanti a lui riconosciamo: "Tutto il bene è Dio; tutto il bene viene da Dio; tutto il bene ritorna in Dio". È opportuno che, secondo l'uso del Nuovo Testamento, il nome "Dio" indichi normalmente il Padre, perché egli solo è Dio da se stesso e principio senza principio, "sorgente e origine di tutta la divinità", mentre il Figlio è "Dio da Dio" e lo Spirito Santo è Dio "dal Padre e dal Figlio". L'uguaglianza delle persone divine non contraddice l'ordine tra di loro. Testimoni del Padre 334 L'atteggiamento filiale, che dobbiamo assumere verso il Padre, è profonda adorazione e gioiosa confidenza nello stesso tempo. Va testimoniato con la fraternità verso gli altri uomini, la responsabilità e la creatività nel bene, il coraggio nelle prove. Di questa testimonianza ha bisogno soprattutto quella parte del mondo moderno, che, rincorrendo l'autonomia della ragione e dell'agire, ha emarginato Dio; ma anziché ritrovarsi adulta, ha finito per sentirsi orfana. Il Padre di Gesù non ha niente a che fare con l'immagine paterna rifiutata: non soffoca la libertà, non preserva dalla fatica e dalla sofferenza, non favorisce la passività, la viltà, il servilismo, il fatalismo. È un Padre diverso rispetto alle proiezioni del nostro desiderio, come Gesù è un salvatore diverso. È premuroso e onnipotente, ma non invadente; è vicino anche nell'apparente assenza; non impedisce il male, ma ne trae il bene, rispettando la libertà delle creature. È il principio originario; ma da lui derivano persone di pari dignità, il Figlio e lo Spirito, con le quali da sempre vive in comunione. 335 Gesù riceve tutto dal Padre; vive nel Padre e il Padre in lui. Il Padre è il principio senza principio, l'Amore come pura donazione. Lo Spirito, dono del Padre e del Figlio Lo Spirito rivelato nella storia 336 Significativamente si fa menzione dello Spirito in apertura e in chiusura della Bibbia: ( Gen 1,2; Ap 22,17 ) tutta la storia, dalla creazione al compimento ultimo, si svolge sotto il potente "soffio" di Dio. Lo Spirito è l'onnipotenza dell'amore con cui Dio attua il suo progetto nel mondo: produce le cose, ( Gb 34,14-15; Sal 33,6; Sal 104,29-30 ) dà la vita, ( Gb 12,10; Is 42,5 ) suscita i profeti, ( Nm 11,29; 1 Sam 19,20; Is 61,1; Ez 2,2; Gl 3,1-2 ) giustifica i peccatori, ( Sal 51,12-13; Ez 36,26-27 ) fa risorgere i morti. ( Ez 37,1-14 ) Come mai allora rimane in ombra nella coscienza di molti cristiani? Qual è la sua identità personale e il suo rapporto con noi? 337 Gesù è il Cristo, il consacrato con l'unzione di Spirito Santo: lo riceve dal Padre e lo dona agli uomini. ( Lc 3,22; Lc 4,1; At 2,33; At 10,38; Tt 3,4-6 ) La missione dell'uno è inseparabile da quella dell'altro. Vera missione è quella pubblica di Gesù; missione diversa, ma non meno vera, è quella interiore dello Spirito Santo: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna … E … ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" ( Gal 4,4.6 ). 338 Il suo compito è quello di introdurci nella comunione con Dio. Per mezzo di lui l'amore di Dio viene riversato nei nostri cuori e il Padre e il Figlio prendono dimora in noi. Per mezzo di lui noi diventiamo fratelli di Cristo, a lui uniti come suo corpo, partecipi del suo rapporto filiale verso il Padre, ( Gal 4,6; Rm 8,14-17 ) capaci di condividere la sua carità verso tutti, coeredi della sua gloria. Il dono dello Spirito compendia la realtà della nuova alleanza e della salvezza. 339 Nel testo sopra citato della Lettera ai Galati, il parallelismo tra la missione del Figlio e dello Spirito, indica che questi, sebbene indissolubilmente unito con il Padre e il Figlio, non è solo energia divina, ma soggetto personale distinto; così in altri testi, dove si dice che agisce liberamente, desidera, intercede, si rattrista; ( Rm 8,26-27; 1 Cor 12,11; Ef 4,30 ) così nelle formule in cui è posto come terzo accanto al Padre e al Figlio; ( Mt 28,19; 2 Cor 13,13 ) così soprattutto nei discorsi dell'ultima cena dove appare come l'altro "paraclito", amico e difensore, dopo Gesù, inviato dal Padre e da Gesù stesso. ( Gv 14,16.26; Gv 15,26; Gv 16,13-14 ) Il suo manifestarsi come persona divina è collegato alla nuova abbondante effusione nel mistero della Pentecoste, compimento della Pasqua. 340 Secondo la fede della Chiesa, lo Spirito Santo è Dio insieme al Padre e al Figlio e procede "dal Padre e dal Figlio non come da due principî, ma come da uno solo", nel senso che il Padre è la sorgente principale e il Figlio è quella derivata. Per questo diciamo anche, in accordo con i cristiani d'oriente, che lo Spirito procede "dal Padre attraverso il Figlio". D'altra parte, proprio perché procede dal Padre in quanto tale, procede anche dal Figlio e suppone la sua generazione. Il dono 341 Lo Spirito Santo "è Persona-amore; è Persona-dono"; è amore donato dal Padre e accolto dal Figlio, dinamismo infinito e bellezza dell'essere insieme, per cui il Donatore e il Recettore sono uno nell'altro: "È il soffio del Padre, mentre dice il Verbo". Il Padre genera il Figlio attirandolo a sé nello Spirito; il Figlio è attivamente rivolto al Padre nello Spirito. In questo "Amore-dono" increato, trovano il loro supremo motivo i doni fatti da Dio alle creature: la vita, la santificazione, la gloria. Da lui proviene la novità inesauribile; da lui la tensione verso la perfezione e l'unità. Lo Spirito è la forza dell'amore, il movimento per condurre ogni cosa al suo pieno compimento in Dio. L'infinita energia dell'Amore viene dal Padre e a lui risale, attraverso il Figlio, attirando a lui tutte le creature, perché vivano pienamente. 342 Lo Spirito "soffia dove vuole" ( Gv 3,8 ); è misterioso e inafferrabile, come i suoi simboli biblici: vento, ( Ez 37,9; Gv 3,5-8; At 2,2 ) acqua, ( Is 55,1; Zac 14,8; Gv 4,10-14; Gv 19,34; 1 Cor 12,13; Ap 21,6 ) fuoco, ( 1 Re 18,38-39; Lc 3,16; At 2,3-4; 1 Ts 5,19 ) nube, ( Es 24,15-18; Es 40,36-38; Lc 1,35; Lc 9,34-35; Lc 21,27 ) unzione. ( 1 Sam 16,13; Is 61,1; Lc 4,18-19; 2 Cor 1,21; 1 Gv 2,20.27 ) Arriva ovunque, come presenza attiva del Padre e del Figlio che fa vivere e santifica. Ma è soprattutto la Chiesa il luogo dove "fiorisce lo Spirito". "Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l'autorità una dominazione, la missione una propaganda, il culto un'evocazione, l'agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui … il cosmo è sollevato e geme nel parto del Regno; l'uomo lotta contro la carne; Gesù Cristo Signore risorto è presente; il vangelo è potenza di vita; la Chiesa è segno di comunione trinitaria; l'autorità è servizio liberatore; la missione è una Pentecoste; la liturgia è memoriale e anticipazione; l'agire umano è deificato". 343 Lo Spirito è la terza persona della Santissima Trinità, l'Amore-dono che procede dal Padre e dal Figlio. Viene comunicato a noi per unirci a Cristo e renderci figli di Dio. Tre persone, un solo Dio Un linguaggio difficile 344 Secondo un'opinione abbastanza diffusa, il mistero della Trinità sarebbe una dottrina astrusa e lontana dalla vita. In realtà, invece, è una luce che dà significato e bellezza a tutto, sebbene in se stessa non possa essere fissata, perché troppo intensa. In Cristo e nella sua Chiesa Dio ha dato se stesso, come egli è, Padre e Figlio e Spirito Santo. La fede cristiana fin dalle origini professa il monoteismo trinitario, escludendo da una parte il politeismo e dall'altra il monoteismo rigido; ma, per trovare un'espressione linguistica accurata e precisa, ha impiegato molti secoli; anzi, si può dire che la ricerca continua ancora, perché l'intelligenza del mistero, per quanto inadeguata e debolissima, risulta sempre ardua da formulare. Le formule trinitarie, proposte con autorità dal magistero ecclesiastico, mettono in evidenza sia l'uguaglianza e l'opera comune delle persone divine sia l'ordine reciproco e dinamico tra di loro. Una delle più complete e analitiche è quella del concilio di Firenze, nell'anno 1442, che riportiamo quasi integralmente: "Un solo, vero Dio, onnipotente, immutabile e eterno, Padre, Figlio e Spirito Santo; uno nell'essenza, trino nelle persone, Padre non generato, Figlio generato dal Padre, Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio … Queste tre persone sono un solo Dio e non tre dèi, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità, e tutto è uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio … Tutto quello che il Padre è o ha, non lo ha da un altro, ma da se stesso, ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è o ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito Santo è o ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme. Ma il Padre e il Figlio non sono due principî dello Spirito Santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principî della creazione, ma un solo principio". Perfetta comunione di carità 345 Sarebbe ingenuità e presunzione cercare una chiarezza completa. Tuttavia un barlume di luce può venire attraverso la debole, ma preziosa analogia dell'amore umano, che comporta sempre distinzione e comunione di persone, in quanto è trasferire se stesso nell'altro, riporre in lui le ragioni del vivere, la propria vita più vera. "Se vedi la carità, tu vedi la Trinità". La carità divina in quanto donazione infinita senza riserve è il Padre; in quanto accoglienza attiva è il Figlio; in quanto perfetta unità di colui che dona e di colui che accoglie è lo Spirito Santo. "Ecco sono tre: l'Amante, l'Amato e l'Amore". 346 Nessuna delle tre persone supera le altre nella eternità, nella perfezione o nel potere. Tuttavia il Padre è il primo perché dona e non riceve; il Figlio è secondo perché riceve dal Padre; lo Spirito Santo è terzo perché procede dal Padre attraverso il Figlio. Vivono uno per l'altro, con l'altro e nell'altro in perfetta unità e reciprocità dinamica. Ciascuno è se stesso in quanto è tutto rivolto agli altri e si compenetra con essi, in uno slancio inesauribile di vita che esce eternamente dal Padre e al Padre eternamente si volge. 347 L'unità di Dio rimane fuori discussione: il Padre è l'unico principio di tutta la vita divina; le tre persone insieme sono l'unico principio di tutta la realtà creata. "Un solo Dio e Padre, dal quale sono tutte le cose; e un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose; e un solo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose", proclama il II concilio di Costantinopoli nell'anno 553. Essendo tre correlati tra loro, non si addizionano, se non nel nostro povero modo di parlare; ma ciascuno contiene gli altri ed è l'unico Dio e l'unico Creatore, "a somiglianza di tre soli, ciascuno contenuto nell'altro, in modo che ci sia una sola luce a motivo dell'intima compenetrazione". L'unità è Trinità, è comunione. Partecipi della vita trinitaria 348 Per noi uomini la Trinità è l'origine, il sostegno, la direzione e la meta del nostro cammino. Siamo creati a sua immagine e chiamati a partecipare alla sua vita di amore. Siamo soggetti singoli e irripetibili; ma ci apparteniamo gli uni gli altri. Tendiamo ad affermare la nostra identità personale, la nostra libertà e originalità; non però nell'isolamento. Per essere noi stessi e sentirci vivi, abbiamo bisogno che altre persone ci accettino e riconoscano il nostro valore; abbiamo bisogno di comunicare con loro e di condividere le cose, gli atteggiamenti, perfino i segreti più intimi. Ciò si può realizzare solo nella reciprocità dell'amore, non certo in altri rapporti umani caratterizzati dalla violenza, dal dominio, dal possesso. Secondo un detto di Gesù, non riferito dai Vangeli canonici, ma attribuito a lui dall'antica tradizione cristiana, il regno di Dio viene "quando due diventano uno". Come il Padre è donazione e il Figlio è accoglienza nell'unità dello Spirito Santo, così noi viviamo davvero e cresciamo nella misura in cui impariamo a donare noi stessi e ad accogliere gli altri, in uno scambio incessante per attuare la comunione nel rispetto delle persone e della loro libertà e originalità. "Il Signore Gesù, quando prega il Padre, perché "tutti siano uno… come anche noi siamo uno" ( Gv 17,21-22 ), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci suggerisce una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé". 349 Un discorso analogo va fatto per tutte le realtà sociali, dalle piccole comunità ai popoli: anch'esse possono svilupparsi solo nella comunicazione reciproca, libera e rispettosa. L'impegno cristiano nella storia mira a realizzare la più grande libertà nella più grande solidarietà, evitando da una parte la solitudine dell'individualismo e dall'altra l'oppressione del collettivismo. Esso riserva un'attenzione privilegiata alla famiglia, riflesso della comunione trinitaria, esperienza primaria della reciprocità, in cui la persona vive e cresce. La Chiesa, da parte sua, deve porsi come immagine viva e concreta della Trinità, edificandosi come un solo corpo con molte membra, nella comunicazione incessante dei fedeli e delle loro varie aggregazioni. La Trinità è il mistero di Dio; ma è anche il segreto più profondo della vita dell'uomo. 350 Padre, Figlio e Spirito Santo: tre persone un solo Dio. Donazione, Accoglienza, Dono: una perfetta comunione di amore. Noi, creati a immagine di Dio, ci realizziamo solo nella reciprocità dell'amore, donando e accogliendo, facendo unità. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Non possiamo pensare a Dio, o a una relazione con lui, in modo vago, astratto e insignificante. Il Dio che Gesù Cristo ci ha manifestato non è una realtà generica o indefinita; è il Dio unico, il Dio Amore, mistero trinitario, relazione e comunione profonda: Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. È mistero di una profondità insondabile, e, insieme, di una inaudita presenza e vicinanza: è la realtà che ci fa vivere. - La nostra è una relazione con un Dio generico e astratto, o con il Dio Amore che Gesù ci ha rivelato? - Perché il mistero trinitario è centrale nella professione della fede cristiana? - In quale senso è il mistero più vicino a noi, pur nella sua insondabile ricchezza? - Quali conseguenze concrete derivano dalla fede nel mistero trinitario per la nostra vita di credenti, per quella delle nostre famiglie e delle comunità cristiane? Ascoltare e meditare la Parola Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. ( Ef 3,14-19 ) Si può leggere anche: ( Lc 10,21-22 ) Io ti rendo lode, Padre. ( Rm 8,9-17 ) Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. ( Gal 4,4-6 ) Dio ha mandato il suo Figlio e lo Spirito del suo Figlio. ( Sal 148,1 ) Lodate il Signore dai cieli. Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l'anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce… Io ho gustato e veduto con la luce dell'intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi viene donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti. ( Santa Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, 167 ) Pregare e celebrare Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, il re del cielo e della terra. Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dèi. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero. Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore. ( San Francesco d'Assisi, Lodi di Dio Altissimo ) Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa' che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l'unico Dio in tre persone. ( Messale Romano, Colletta della solennità della Santissima Trinità ) Professare la fede - "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo": il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana, mistero di comunione e di amore, che Gesù ci ha rivelato. - I grandi eventi salvifici della storia, la creazione, la redenzione e la vita eterna sono opera imperscrutabile, sapiente ed amorosa della Santissima Trinità. - Mediante il battesimo "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", siamo chiamati ad aver parte alla vita della Santissima Trinità, quaggiù nell'oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce eterna. Capitolo 10 Cristo principio e fine della creazione Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine. ( Ap 22,13 ) 351 Cristo rivela e attua il mirabile disegno di Dio; è il mediatore della creazione e della salvezza, il centro del mondo angelico e umano, il Signore della storia, attraversata dal mistero del peccato, ma redenta e condotta a una meta di gloria. La creazione Il disegno salvifico di Dio Elezione e predestinazione 352 Nel Signore morto e risorto gli apostoli e la Chiesa dei primi tempi, illuminati dallo Spirito Santo, hanno intravisto non solo il mistero della vita personale di Dio, ma anche il suo progetto globale sull'uomo e sul mondo. ( Gv 1,1-18; Ef 1,3-14; Col 1,15-20; Eb 1,2-3 ) In questa rivelazione è la risposta a domande fondamentali: qual è il senso della storia? ha una direzione e una meta? che cosa possiamo sperare? 353 La storia obbedisce a un disegno di amore, ( Ef 1,9 ) "nascosto da secoli nella mente di Dio,… attuato in Cristo Gesù" ( Ef 3,9.11 ), "rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito" ( Ef 3,5 ). Dio ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha creato gli uomini, per introdurli nella comunione trinitaria: "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà" ( Ef 1,4-6 ). Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito, mediante la sua incarnazione e il dono dello Spirito Santo. Li ha "predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" ( Rm 8,29 ). Cristo è il primo eletto. Noi siamo progettati in modo da poter realizzare la nostra identità in dipendenza da lui. È questa la nostra vocazione costitutiva, che può essere rifiutata, non annullata. Da parte sua Dio vuole che tutti si salvino. ( 1 Tm 1,14 ) La predestinazione è alla salvezza e non alla perdizione. A gloria della sua grazia 354 Da sempre il Padre genera il Figlio e lo attrae a sé nello Spirito; il Figlio è rivolto al Padre nello stesso Spirito. Dio non soffre di solitudine; è pienamente se stesso nella comunione trinitaria dell'amore: nulla può accrescere la sua perfezione e beatitudine. All'origine del mondo creato c'è solo la "grazia", cioè l'amore sovranamente libero e gratuito del Padre. ( Ef 1,6.9 ) Egli non ricava da noi alcuna utilità: "Dio non creò Adamo, perché aveva bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno in cui riporre i suoi benefici". Il suo amore è del tutto disinteressato. Gli sta a cuore unicamente la nostra riuscita e la nostra felicità. Ci ama senza misura, fino a donare il Figlio e lo Spirito, e quindi se stesso. 355 Che senso ha allora l'affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria? La gloria di Dio è la rivelazione della sua grazia, del suo amore gratuito; la sua gioia è unicamente quella del donare: "Non per aumentare la sua beatitudine né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio, con la più libera delle decisioni, ha creato dal nulla le creature spirituali e quelle corporee, insieme fin dall'inizio dei tempi". Attuazione del disegno 356 La suprema glorificazione del Padre, cioè la più alta manifestazione della sua bontà e della sua sapienza, è Gesù Cristo, il Figlio unigenito, fatto uomo, crocifisso e risorto. Per mezzo di lui il Padre conferisce ad ogni cosa la perfezione e il senso definitivo. Fin dall'inizio guarda a lui come modello e meta di ogni sua opera. Anzi, in quanto Verbo, lo ha già con sé come autore dell'intera creazione: "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" ( Col 1,16-17 ). Il disegno eterno del Padre, "di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" ( Ef 1,10 ), viene rivelato e attuato nella storia secondo un ordine sapiente di eventi, che costituiscono "l'economia del mistero" ( Ef 3,9 ) o della salvezza: creazione, caduta, incarnazione redentrice, santificazione, glorificazione. ( Rm 8,30 ) Quando esso sarà completamente realizzato, allora anche noi saremo pienamente noi stessi e Dio sarà "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ), perché "l'uomo vivente è la gloria di Dio e la vita dell'uomo è la manifestazione di Dio". 357 Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, il suo benevolo disegno di riunire sotto un solo capo, Cristo, tutti gli esseri del cielo e della terra. Dal Dio della storia al Dio della creazione 358 L'attuazione dell'eterno disegno del Padre, incentrato nel suo Figlio Gesù Cristo, passa anzitutto attraverso la creazione. Ma proprio a riguardo di essa numerosi sono gli interrogativi che ci si pongono. La moderna immagine scientifica del mondo non corrisponde più a quella dell'ambiente in cui fu scritta la Bibbia. Ed ecco allora per noi domande inevitabili: il progresso scientifico contraddice forse la fede biblica? L'evoluzione è forse incompatibile con la creazione? qual è il senso della dottrina sulla creazione? intende descrivere come il mondo è iniziato e si è sviluppato, oppure vuole affermare soltanto la totale dipendenza da Dio? La fede biblica in Dio creatore è nata come esplicitazione della fede in Dio salvatore. ( Dt 6,21-23; Dt 26,5-9; Gs 24,2-13; Sal 105 ) Israele, nell'esodo dall'Egitto e in tutta la sua storia, ha sperimentato come Dio tenga nelle sue mani le persone, i popoli e gli avvenimenti. Di lui ci si può fidare assolutamente. È onnipotente e può sempre mantenere le promesse. È il Signore incontrastato della storia e dell'universo. È il Signore, perché è il creatore e tutto dipende da lui. Israele ha anche sperimentato come Dio sia imprevedibile, pronto a capovolgere le sorti dei potenti e degli oppressi, ad aprire nuove strade quando tutto sembra bloccato, sovranamente libero nel suo agire storico. Ciò presuppone che sia ugualmente libero nella sua azione creatrice: "Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste" ( Sal 33,9 ). Il mondo esiste perché Dio lo vuole. Dio è il Signore incondizionato di tutta la realtà. Questo propriamente interessa la fede religiosa. Questo in definitiva è il messaggio che la Bibbia intende dare, anche quando narra diffusamente l'opera divina. I racconti della creazione 359 I due racconti biblici della creazione fanno parte della cosiddetta "storia primitiva", comprendente anche il peccato delle origini, la diffusione del male e le promesse di salvezza. ( Gen 1,1-11 ) Si tratta di una introduzione alla successiva storia dei patriarchi e di Israele. Non tramanda, secondo l'interpretazione ormai comunemente accettata, avvenimenti singoli, accaduti una sola volta e narrati sulla base di precisi ricordi e testimonianze. Con una sequenza di scene simboliche, di personaggi e fatti emblematici, presenta in forma narrativa una riflessione sapienziale sulla condizione umana e sulla dinamica costante della storia. Per quanto riguarda la creazione, il redattore finale non ha esitato a giustapporre due rappresentazioni, nate in diversi ambienti culturali e assai diverse tra loro. ( Gen 1,1-2,4a; Gen 2,4b-25 ) Il primo racconto, più recente, procede solenne, come un inno, intessuto di ripetizioni e parallelismi; segue lo schema dei sette giorni, non per indicare sette epoche, ma per insegnare che l'uomo è chiamato a continuare l'opera di Dio con il lavoro e a riposare e far festa con lui, come suo collaboratore e amico; presenta il mondo come un'armonia mirabile, che in virtù dello Spirito e della parola di Dio sorge dalle acque e dalle tenebre, simbolo del caos e del nulla. Il secondo racconto è il più antico; unisce vivacità e colore descrittivo alla fine penetrazione psicologica; utilizza un altro modello di pensiero simbolico; qui il mondo fiorisce in mezzo al deserto del nulla come un'oasi, irrigata dai fiumi e rigogliosa di vita, come un giardino affidato alle cure dell'uomo; questi non compare più al termine, ma al centro della successione. Il redattore non avverte alcuna contraddizione tra i due racconti, perché, sia pure con diverse rappresentazioni, essi danno un insegnamento convergente. A lui non interessano le modalità e la successione dei fenomeni, ma la totale dipendenza da Dio, la fondamentale bontà delle creature, la preminente dignità della creatura umana, il valore del lavoro e del riposo, della sessualità e del matrimonio. Creazione continua 360 Nella Bibbia la creazione è presentata come l'inizio della storia della salvezza, la prima delle mirabili opere di Dio; ma anche come la sua attività continua, il fondamento perenne di ogni cosa. L'universo dipende sempre da Dio, sia per iniziare sia per continuare ad esistere e per svilupparsi verso nuove e più alte forme di vita. Il soffio dello Spirito avvolge e penetra le creature, le sostiene e le fa germogliare come vento di primavera: "Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra" ( Sal 104,27-30 ). La creazione non è il gesto compiuto da Dio in un tempo remoto, ma il dono di ogni giorno: "In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" ( At 17,28 ). Creazione dal nulla 361 Dio crea dal nulla: "Contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti" ( 2 Mac 7,28 ). Dio crea dal nulla l'universo spirituale e materiale, cioè comunica liberamente a tutte le creature tutto il loro essere. La fede nella creazione, così intesa, genera una speranza incrollabile: "Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra" ( Sal 124,8 ). Se Dio può creare dal nulla, a lui tutto è possibile. Può convertire i peccatori, compresi i più induriti, e rigenerarli a una nuova vita spirituale. Può perfino risuscitare dalla tomba, egli che "dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono" ( Rm 4,17 ). Non è senza ragione che nella veglia pasquale, in cui celebriamo la risurrezione di Cristo e la nostra rinascita, si proclami anche il racconto della creazione. Discorso religioso e discorso scientifico 362 Dipendenza continua e totale da Dio: ecco il contenuto della fede. Restano fuori dalla sua prospettiva le modalità fenomeniche del divenire cosmico. Viceversa la scienza indaga proprio queste modalità. Ne consegue che non ha senso contrapporre discorso religioso e discorso scientifico; e neppure tentare di armonizzarli, quasi si trovassero ambedue sullo stesso piano. Tuttavia l'immensità, la complessità e l'ordine mirabile della natura, messi in luce dalla scienza moderna, ci fanno rimanere stupiti e ci invitano a considerare l'infinita potenza e sapienza del Creatore. La stessa immagine evolutiva del mondo di per sé non contraddice la fede nella creazione; anzi, implicando nella continuità dello sviluppo una serie di passaggi dal meno al più, costituisce un'ottima base di partenza per la riflessione filosofica, che trova una spiegazione sufficiente solo in una causa trascendente. Il mediatore della creazione 363 Se il Padre è l'origine prima e il fine ultimo di tutte le cose, Gesù Cristo è il mediatore universale della creazione, non meno che della salvezza. Un motivo in più per alimentare la nostra fiducia e liberarci da ogni soggezione nei confronti di forze minacciose e oppressive: "In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, … per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" ( 1 Cor 8,5-6 ). Come gli antichi ebrei a partire dall'esperienza dell'esodo hanno approfondito la conoscenza di Dio salvatore, fino a riconoscerlo creatore del cielo e della terra, ( Sal 114,1; Sal 115,1; Sal 136,1 ) così i cristiani, a partire dall'esperienza della Pasqua penetrano nel mistero del Cristo salvatore fino a comprendere che tutto viene creato per mezzo di lui e trova in lui consistenza e significato. ( Col 1,13-20 ) In Gesù di Nàzaret incontrano il Verbo, espressione perfetta ed eterna del Padre, autore con lui della creazione, che riflette la sua perfezione in tutte le cose e illumina tutti i popoli: "In principio era il Verbo … tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" ( Gv 1,1.3-4 ). Le creature vengono all'esistenza e si sviluppano, in quanto il Padre le chiama dal nulla e le attrae a sé mediante il Figlio con la potenza dello Spirito. Il Verbo e lo Spirito Santo sono, per così dire, "le mani"del Padre e "non c'è nulla che non abbia origine e compimento mediante il Verbo e nello Spirito". Noi esistiamo e ci muoviamo verso la perfezione come eco della Parola eterna e riflesso della sua bellezza, come dono elargito a motivo del primo Dono. 364 Dio può salvarci, perché è il creatore libero e onnipotente: la creazione è presupposto e inizio della storia della salvezza. Le creature spirituali e materiali dipendono da Dio in tutto il loro essere: per iniziare, per continuare ad esistere e per svilupparsi. La ragione potrebbe conoscere la verità della creazione. Facilmente però rimane offuscata e ha bisogno di una luce e di una conferma superiore. "Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede" ( Eb 11,3 ). Scienza e teologia devono essere consapevoli dei loro limiti: la scienza non riguarda il fondamento primo e il senso ultimo; la fede non riguarda le modalità evolutive. Mondo creato e Provvidenza Un mondo buono ma incompiuto 365 Se il mondo dipende interamente da Dio, non dovrebbe essere perfetto? Come mai insieme ad aspetti di meravigliosa bellezza presenta aspetti di disordine e di male? È governato da Dio o da un destino cieco? Il male può ricevere un senso? Dio ha creato "il cielo e la terra" ( Gen 1,1 ), cioè l'universo, tutto ciò che esiste fuori di lui. Il mondo creato è buono e bello, nelle singole creature e ancor più nella loro interdipendenza e nell'ordine complessivo: ( Gen 1,3.9.12.18.21.25.31 ) "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza" ( Sal 104,24 ). Il solo fatto che una cosa o una persona esista è segno che è amata: "Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?" ( Sap 11,24-25 ). Dio non dimentica neppure l'erba del campo e i piccoli uccelli del cielo. ( Mt 6,26-30 ) Disprezzare il mondo, quasi fosse intrinsecamente inconsistente e senza valore, non è un atteggiamento cristiano. Le creature ricevono il dono di esistere e quello di agire. Dio fa sì che le cose si facciano, interagiscano tra loro e cooperino con lui. Crea un mondo buono e bello, ma incompiuto, perché possa muoversi attivamente verso la perfezione definitiva: un mondo complesso, dinamico, misterioso. La parte più elevata di esso è costituita da soggetti personali, gli uomini e gli angeli, in grado di tendere al fine liberamente e di interpretare e governare le altre creature. La persona umana 366 "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" ( Gen 1,27 ). Unico tra le creature visibili, l'uomo è fatto a immagine di Dio, capace di dialogare con lui, di conoscerlo e di amarlo. Soggetto consapevole di sé, libero e aperto all'infinito, si conosce, si interroga, si possiede, si dona. Soggetto corporeo e sessuato, riceve e trasmette la vita in un tessuto di relazioni, nell'unità del genere umano. ( At 17,26 ) Non viene alla luce come una realtà ben definita e compiuta, ma come un progetto da portare a compimento, con la sua stessa libera cooperazione: "Da principio [ Dio ] creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere" ( Sir 15,14 ); "Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza" ( Dt 30,19 ). Origine dell'uomo 367 L'uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale; ma riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale. ( Gen 2,7 ) L'evoluzione da sola non basta a dare origine al genere umano; la causalità biologica dei genitori non spiega da sola la nascita di un bambino, persona cosciente e libera, del tutto singolare. Occorre in ambedue i casi uno speciale concorso di Dio creatore. Creazione degli angeli 368 Dio ha creato anche gli angeli, che sono creature personali, puri spiriti, immortali, più intelligenti e potenti degli uomini. La libertà umana non è sola nell'universo e il mondo è più vasto e profondo di quanto la mentalità razionalista possa supporre. Peraltro appare del tutto plausibile che gli esseri materiali della natura e gli uomini, esseri materiali e spirituali nello stesso tempo, abbiano al di sopra di sé altri esseri puramente spirituali. Anche questi sono stati creati per mezzo di Cristo e in vista di lui; ( Col 1,16 ) sono stati chiamati a vivere in comunione con lui e a cooperare per l'avvento del regno di Dio. Provvidenza divina 369 Dio dirige tutte le cose alla perfezione definitiva. A ognuna dà consistenza, energia, identità, fine e leggi proprie; insieme le compone in un ordine dinamico globale, "con misura, calcolo e peso" ( Sap 11,20 ). Ed esse, con la loro singolarità e con l'interdipendenza reciproca, celebrano la sua sapienza e il suo amore. Soprattutto, la Provvidenza divina conduce la storia dell'uomo, perché possa conseguire la meta della sua vocazione. Il Padre veglia con premurosa sollecitudine su tutti e su ciascuno. Dal principio alla fine la Bibbia attesta la coerente attuazione del suo mirabile disegno di salvezza, incentrato in Cristo. Singole vicende, come quelle di Giuseppe venduto dai fratelli, di Mosè salvato dalle acque, di Tobia accompagnato dall'angelo, si offrono, a una lettura di fede, come segni incoraggianti della sua vicinanza. ( Gen 45,7-8; Es 2,1-10; Tb 12,6-15 ) Il credente sa di poter andare avanti con fiducia: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla … Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me" ( Sal 23,1.3-4 ). Lo scandalo del male 370 La fede nella Provvidenza è messa a dura prova dallo scandalo del male: dov'è Dio, quando i cataclismi della natura, le guerre, la fame e le malattie fanno strage di intere popolazioni? perché i giusti e gli innocenti soffrono, mentre i malvagi trionfano? La protesta ha assunto, fin dall'antichità, una forma logica serrata con il filosofo Epicuro: "Dio o vuole togliere il male e non può; o può e non vuole; o non vuole e non può; o vuole e può. Se vuole e non può, è debole; se può e non vuole, è malevolo; se non vuole e non può, è malevolo e debole; se vuole e può, come si addice a lui, perché esiste il male e Dio non lo elimina?". Occorre una risposta articolata. Ma viene subito in mente un'osservazione: Dio è misterioso e le sue vie rimangono nascoste, ma negare Dio significa rinunciare alla speranza di superare il male, rassegnarsi alla sconfitta definitiva. 371 Nella Bibbia, il libro di Giobbe demolisce le facili spiegazioni teologiche, "sentenze di cenere", "difese di argilla" ( Gb 13,12 ); ma, nello stesso tempo, rimprovera chi vuol mettere sotto processo la Provvidenza. L'uomo è troppo piccolo davanti a Dio: vede solo le frange delle sue opere e ode appena un sussurro della sua potenza; ( Gb 26,14 ) gli sfugge il disegno totale della creazione: "Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la misura? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio? Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno, quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta? … Sei mai giunto ai serbatoi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine? … Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d'oriente sulla terra? … Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada? … Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie? Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?" ( Gb 38,4-9.22.24.28.39-41 ). Dio è infinitamente grande e non c'è da sorprendersi che risulti anche misterioso. Sono fuori luogo sia i tentativi di giustificarlo, sia quelli di accusarlo. L'atteggiamento corretto davanti a lui è l'umile e fiducioso abbandono: "Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te" ( Gb 42,2 ). L'origine del male 372 Tuttavia il male ci investe da ogni parte, in molte forme: disgrazie, violenze, malattie, miseria, oppressione, ingiustizia, solitudine, morte. Non possiamo evitare la domanda: da che cosa dipende questa infelice situazione? perché l'uomo è soggetto alla sofferenza? Molti mali derivano senz'altro dai limiti naturali, dall'inserimento nel mondo. Partecipando a un processo evolutivo globale, l'uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti. La precarietà della condizione creaturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri: basti ricordare i danni recati alla salute, le storture della convivenza sociale, le guerre. A sua volta la propensione dell'uomo a peccare, secondo la concezione biblica, dipende sia dall'influsso di Satana e dei demòni, sia da una misteriosa solidarietà nel peccato, che coinvolge tutta l'umanità fin dalle origini della sua storia. 373 Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L'universale alienazione da Dio priva l'animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un'intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose. Lo stato di giustizia originale 374 Secondo l'intenzione del Creatore, l'uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre, ( Gen 2,4b-25 ) in una condizione di perfetta armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. L'offerta originaria della grazia includeva i doni dell'integrità e dell'immortalità. L'amicizia con Dio sarebbe stata così intima e tangibile da orientare con facilità al bene tutte le energie e le tendenze spontanee e da preservare dalla sofferenza e dalla morte angosciosa, come noi attualmente la sperimentiamo. Purtroppo questa condizione è stata perduta a causa del peccato. Il bene dal male 375 L'esperienza del male come tale trova dunque la sua origine nel peccato degli angeli e degli uomini, non in Dio. Il Signore crea un mondo in divenire, in cui le creature possano muoversi attivamente e liberamente verso la perfezione. Ciò comporta che innumerevoli esseri vengano continuamente distrutti, perché altri possano vivere, e che gli angeli e gli uomini possano peccare. Dio prende sul serio la libertà delle sue creature, fino a permettere che gli si ribellino. Agisce in modo simile a una madre, che, sia pure con intima sofferenza, espone il suo bambino al rischio di cadere a terra, perché impari a camminare. 376 Dio non impedisce il male; ma ne trae il bene. Il suo atteggiamento si rivela definitivamente nella croce di Gesù Cristo. Egli ama appassionatamente gli uomini, fino a prendere su di sé il peso della loro miseria come fosse la propria. È vicinissimo anche quando sembra assente. Dal delitto più grande, che è la crocifissione di Gesù, trae il più grande bene, che è la sua risurrezione e la nostra redenzione. Fa crescere nella prova l'amore più puro, che riscatta i peccatori dalle loro colpe. Conduce infine alla vittoria e alla liberazione completa: Cristo "vince il peccato con la sua obbedienza fino alla morte e vince la morte con la sua risurrezione". In Cristo acquista senso anche ciò che non ha senso: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" ( Rm 8,28 ). La Provvidenza "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande". 377 Dio ha creato un mondo buono, in cammino verso la perfezione definitiva, con gli angeli e gli uomini capaci di muoversi e orientarsi liberamente. La divina Provvidenza guida il cammino di tutte le creature con sapienza e amore. Il male dipende in definitiva dall'abuso della libertà da parte delle persone create. Dio non fa il male; non lo impedisce, perché rispetta la libertà; lo fa servire al bene. "Sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!" ( Rm 11,33 ). Angeli e demoni Servitori di Dio e di Cristo 378 Nella nostra cultura dubbi e negazioni riguardo agli angeli e ai demòni coesistono con il fascino dell'occulto. Occorre chiarire e chiedersi: ci sono davvero queste presenze nella storia? quale incidenza hanno? La rivelazione attesta la creazione dei puri spiriti e la loro chiamata alla comunione con Cristo. Creati liberi, possono liberamente accogliere o rifiutare il disegno di Dio. Una parte di essi lo accoglie: sono gli angeli santi. Ora stanno davanti a Dio per servirlo, contemplano la gloria del suo volto e giorno e notte cantano la sua lode. "Potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola" ( Sal 103,20 ), intervengono nella storia, a servizio del suo disegno di salvezza. ( Gen 21,17; Es 23,20; Gdc 6,11-24; 1 Re 19,5; Is 6,6 ) 379 Cristo è il loro capo ( Col 1,16 ) ed essi sono "i suoi angeli" ( Mt 25,31 ); gli sono accanto come servitori in alcuni momenti decisivi della sua vita. Un angelo porta a Maria e a Giuseppe l'annuncio dell'incarnazione del Figlio di Dio; ( Mt 1,20-21; Lc 1,26-38 ) una moltitudine di angeli loda Dio per la sua nascita; ( Lc 2,13-14 ) un angelo lo protegge dalla persecuzione di Erode; ( Mt 2,13.19-20 ) gli angeli lo servono nel deserto; ( Mc 1,13 ) un angelo lo conforta nell'agonia del Getsemani; ( Lc 22,43 ) gli angeli annunciano la sua risurrezione; ( Lc 24,3 ) infine, saranno ancora gli angeli ad assisterlo nell'ultimo giudizio. ( Mt 13,41; Mt 25,31 ) Protettori della Chiesa 380 In modo analogo gli angeli accompagnano e aiutano la Chiesa nel suo cammino. Incoraggiano gli apostoli; ( At 1,10-11 ) li liberano dalla prigione; ( At 5,19-20 ) li sostengono nell'evangelizzazione. ( At 8,26; At 10,3-8; At 27,23-26 ) Proteggono tutti i fedeli e li guidano alla salvezza: ( Eb 1,14 ) "Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita". Si comprende così la tradizionale e bella devozione agli angeli custodi. Gli spiriti ribelli 381 Altri angeli sono invece nemici dell'uomo. Sono chiamati demòni. Accecati dall'orgoglio, si sono ribellati a Dio con una scelta irreversibile e perciò impossibile da perdonare. ( 2 Pt 2,4 ) Vorrebbero trascinare tutto e tutti nella perdizione e nel nulla. Secondo il linguaggio simbolico del Nuovo Testamento, abitano tra la terra e il cielo, quasi per soffocare la speranza dell'uomo e impedirgli di guardare in alto: "La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma … contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" ( Ef 6,12 ). Satana 382 I demòni hanno come capo Satana. La sua forza distruttiva e il suo influsso nella storia sono indicati dalla Bibbia in termini impressionanti: "il principe di questo mondo" ( Gv 12,31 ); "il grande drago, il serpente antico … che seduce tutta la terra" ( Ap 12,9 ); "omicida fin da principio … e padre della menzogna" ( Gv 8,44 ), "colui che della morte ha il potere" ( Eb 2,14 ); il "maligno" che domina "tutto il mondo" ( 1 Gv 5,19 ). Bisogna dunque vedere in lui una persona, malvagia e potente che, attraverso un'illusione di vita, organizza sistematicamente la perdizione e la morte. Si può riconoscere un suo influsso particolare nella forza della menzogna e dell'ateismo, nell'atteggiamento diffuso di autosufficienza, nei fenomeni di distruzione lucida e folle. Ma tutta la storia, a cominciare dal peccato primordiale, ( Gen 3,5 ) è inquinata e stravolta dalla sua azione nefasta. Secondo la concezione biblica, le varie forme di male sono in qualche modo riconducibili a lui e ai demòni suoi complici. La Chiesa ritiene che "tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo, che durerà … fino all'ultimo giorno". Così inquietante è la forza del male, che alcune dottrine religiose hanno immaginato l'esistenza di un dio malvagio, indipendente e concorrenziale rispetto al Dio del bene. La Chiesa rifiuta questo modo di vedere. Tuttavia non minimizza il mistero del male, riducendolo alle deficienze della natura o alla colpa dell'uomo, ma vi scorge "un'efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore". Vigilanza cristiana 383 Nei confronti di Satana e dei demòni bisogna essere vigilanti, ma senza paura. Essi ricevono da Dio le loro energie; possono agire liberamente finché Dio lo permette; loro malgrado, con le loro stesse macchinazioni, come è avvenuto nella passione di Cristo, finiscono per contribuire al regno di Dio e al nostro bene. La supremazia di Dio e di Cristo è totale, dal principio alla fine. Non abbiamo nulla da temere. Cristo ha vinto i demòni e ha dato anche a noi la possibilità di lottare vittoriosamente contro di essi. ( Eb 2,14; 1 Gv 3,8 ) 384 Le rappresentazioni letterarie e artistiche dei secoli passati sono diventate estranee alla cultura del nostro tempo. Sarebbe però un errore pericoloso relegare il demonio nel mondo della pura fantasia: la più fine astuzia del diavolo, secondo un detto famoso, sta proprio nel persuadere la gente che lui non esiste. D'altra parte non bisogna vedere la sua presenza dappertutto e alimentare paure irrazionali o un interesse malsano. Satana esercita un certo fascino sull'uomo moderno, che all'efficienza tecnica tende ad associare l'efficienza magica, cioè la manipolazione a proprio vantaggio delle forze preternaturali. Di qui la diffusione di pratiche superstiziose e culti satanici. Chi cerca Satana, l'ha già trovato. La sete di potere ad ogni costo si oppone radicalmente all'atteggiamento di fede, che è abbandono fiducioso alla volontà di Dio. Azione diabolica 385 Ordinariamente l'azione degli spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tentazione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro traviamento spirituale. Oltre la tentazione, ad essi vengono attribuiti alcuni fenomeni prodigiosi di carattere negativo: l'ossessione, che è violenza interiore o esteriore per recare turbamento; la possessione, che è presa di possesso del corpo con crisi tempestose, alternate a periodi di calma; la infestazione, che riguarda i luoghi e provoca danni e timori. Nell'interpretare questo genere di fenomeni, occorre essere estremamente cauti. È diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci, nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto, meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte dei casi si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di malattie psichiche, spiegabili con i dinamismi dell'inconscio in personalità dissociate. Per un prudente discernimento, vanno consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della fede. Qualche volta però la spiegazione psicologica non sembra adeguata. Si può supporre con buona probabilità l'azione demoniaca in presenza di alcuni segni concomitanti: forza fisica abnorme, comunicazione attraverso lingue ignote, conoscenza di cose lontane o segrete, atmosfera malsana, avversione alle realtà religiose. Preghiera di liberazione 386 In questi casi, come in ogni situazione di sofferenza, è consigliabile ricorrere alla preghiera, umile e fiduciosa, che non pretende di conseguire i risultati ad ogni costo, ma accetta quello che Dio, nella sua provvidenza, dispone. È bene impegnarsi seriamente in un cammino di vita cristiana, comprendente il sacramento della riconciliazione e la comunione eucaristica, le opere di penitenza e di carità, la fedeltà ai propri doveri. Si può ricorrere infine all'esorcismo. 387 L'esorcismo è un sacramentale, un gesto compiuto a nome della Chiesa. Nella forma deprecativa ci si rivolge a Dio, perché cacci il demonio; nella forma imperativa, confidando nella vittoriosa potenza di Cristo, si ordina al demonio di andar via. In ambedue le forme implica un atteggiamento di umile fiducia. L'efficacia non è automatica; dipende dalla volontà di Dio. Può fare l'esorcismo solo un ministro autorizzato dal vescovo. L'autorizzazione viene data a persone dotate di pietà, scienza, prudenza e integrità morale. La celebrazione deve avvenire in un ambiente riservato, in un clima di preghiera che coinvolga tutti i presenti. Vanno evitati comportamenti che hanno a che fare più con la psicoterapia che con la preghiera. 388 I puri spiriti, rimasti fedeli a Dio, lo glorificano incessantemente con la lode e il servizio; proteggono la Chiesa e accompagnano il nostro cammino verso la vita eterna. Gli spiriti ribelli odiano Dio e la sua creazione; tentano gli uomini al peccato; mettono in opera varie forme di violenza e di inganno. Sono stati vinti da Cristo. Non bisogna temerli; ma occorre essere vigilanti. Il peccato originale Corruzione di Israele 389 "Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" ( 1 Cor 15,22 ): ci sono due misteriose solidarietà, l'una conduce alla perdizione e l'altra alla salvezza. Approfondire questa verità significa rispondere a domande come queste: perché Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini? perché gli uomini hanno bisogno di essere salvati? in che senso sono tutti peccatori? come si è arrivati a prendere coscienza di questa solidarietà nel male? L'Antico Testamento vede la storia come un dialogo drammatico tra Dio e il suo popolo. Dio fa dono dell'alleanza e rimane sempre fedele. Israele tradisce l'alleanza e sperimenta quanto sia amaro e rovinoso allontanarsi dal Signore: "Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento … perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità" ( Is 64,5-6 ). Ma più Dio nella sua misericordia si mostra pronto a perdonare e a riprendere in mano l'avvenire del suo popolo, più questi torna a disfare e a ingarbugliare la tela. ( Dt 7,9; Ger 2,19; Ger 3,12; Os 11,1-2 ) Così Israele comprende che il male morale è difficile da estirpare; si rende conto di essere stato peccatore da sempre, a cominciare dagli antichi padri. ( Ger 2,22; Am 3,1-2 ) Osserva che gli altri popoli lo sono ugualmente; intuisce che l'umanità intera è corrotta fin dalle origini e nessun vivente è giusto davanti a Dio. ( Sal 12,2; Sal 14,3 ) Corruzione dell'umanità 390 La prospettiva dell'alleanza viene estesa alla storia universale: ciò che accade tra Dio e Israele, accade in modo analogo tra Dio e l'umanità. All'inizio Dio offre all'uomo la propria amicizia e una condizione di vita paradisiaca. L'uomo gli si ribella con il primo peccato, che stravolge la sua esistenza, e poi affonda in una moltitudine di peccati. Dio, fedele e misericordioso, gli rimane vicino e lo conforta, promettendogli la salvezza. Questa dinamica della storia viene rappresentata simbolicamente nei primi undici capitoli della Genesi, in cui ampio spazio è dedicato al peccato primordiale di Adamo ed Eva e alle sue conseguenze. ( Gen 3,11 ) 391 L'uomo cede alle lusinghe del serpente, immagine dell'idolatria e in definitiva di Satana; non si fida di Dio; rifiuta di riconoscerlo come Signore della sua vita e norma del suo agire; non tiene conto dell'ordine sapiente, da lui posto nella creazione. Mangia il frutto dell'albero della scienza del bene e del male e così si fa legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male; pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio illimitato di vivere; vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e onnipotente. Ma l'uomo si ritrova nudo, misero e solo in una terra diventata ostile; si sente umiliato dalla vergogna, minacciato dalla morte, incapace di controllare gli istinti. Il rifiuto della comunione con Dio porta con sé la divisione tra gli uomini stessi. L'armonia originaria con Dio, con se stesso, con gli altri e con la natura è perduta; il ritorno al giardino è sbarrato dalla "fiamma della spada folgorante" ( Gen 3,24 ). 392 L'umanità prende a rotolare verso il basso, trascinata dalla logica del peccato. Il male dilaga da ogni parte, come il diluvio: "La terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza" ( Gen 6,11 ). La società precipita nella confusione e nella disgregazione: non bastano tecnica e organizzazione a portare a termine la torre di Babele. ( Gen 11,1-9 ) 393 La salvezza può venire solo da Dio. E Dio va a cercare l'uomo; gli fa prendere coscienza del peccato; gli promette la vittoria sul serpente; lo riveste con una tunica di pelle, in segno di premura e di protezione; continua poi a intervenire, salvando Noè e la sua famiglia dal diluvio, ( Gen 6,5-9,17 ) affidando ad Abramo e alla sua discendenza una promessa di benedizione per tutte le genti. ( Gen 12,1-3 ) Il potere del peccato 394 Il Nuovo Testamento proclama la lieta notizia che la salvezza comincia a realizzarsi. A partire dal mistero della redenzione si comprende meglio anche il mistero del peccato. ( Rm 5,12-21 ) Lo splendore della luce fa intuire per contrasto la densità delle tenebre. Gesù Cristo, con la sua morte e risurrezione, ci libera dal potere del peccato e della morte. È l'unico Salvatore dell'umanità. Tutti hanno bisogno di lui per essere giustificati e senza di lui nessuno può essere salvo. Da che cosa dipende questa necessità? Dal fatto che "giudei e greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c'è nessun giusto, nemmeno uno" ( Rm 3,9-10 ). Il mondo intero deve ammutolire e riconoscersi peccatore, poiché "tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" ( Rm 3,23 ); la creazione stessa è soggetta alla caducità e alla corruzione. ( Rm 8,20-21 ) Lasciati a se stessi, gli uomini commettono molti peccati, perché il loro cuore è cattivo e produce azioni cattive di ogni genere. ( Mt 15,19 ) Il peccato abita in loro e li porta ad allontanarsi dal bene, che pure desiderano, e a fare il male, che invece detestano. ( Rm 7,17-20 ) C'è in loro un'inclinazione al male. Come mai si trovano in questa situazione di debolezza e di corruzione? Come mai appartengono al regno delle tenebre? Il peccato e la morte sono entrati nel mondo per colpa dell'uomo stesso. ( Rm 5,12; 1 Cor 15,21-22 ) Un influsso negativo viene a pesare su ogni uomo, per una misteriosa solidarietà con tutti coloro che lo hanno preceduto, a cominciare dal primo peccato che è stato commesso all'inizio della storia: "Per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna … Per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori" ( Rm 5,18-19 ). Tra pelagianesimo e protestantesimo 395 La triste schiavitù del genere umano, evidenziata drammaticamente dalla rivelazione, viene ulteriormente precisata nella dottrina della Chiesa. Le prese di posizione del Magistero sono provocate dalla necessità di rispondere a due opposti errori. Nel secolo V il pelagianesimo afferma che l'uomo, a parte il cattivo esempio che ha ricevuto dai progenitori, è sano e può vivere onestamente, senza l'aiuto della grazia di Dio. Al contrario, nella Riforma protestante si sostiene che l'uomo viene al mondo totalmente corrotto e inclinato irresistibilmente al male, senza vera libertà, incapace perfino di cooperare con la grazia divina. La dottrina della Chiesa, stabilita dal secondo sinodo di Orange nel 529 e dal concilio di Trento nel 1546, respinge queste visioni estreme. Questi sono i suoi punti principali: il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale per loro e per tutti i discendenti; il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto riceve una natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al peccato; la corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia; la redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la giustificazione e la salvezza; il peccato originale è soppresso mediante il battesimo; rimane la concupiscenza, che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma propriamente non è peccato. Alienazione da Dio 396 Le indicazioni provenienti dai documenti della fede possono essere ancora approfondite con la riflessione teologica, per evidenziare meglio il senso della verità rivelata, che peraltro rimane sempre misteriosa. Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo accompagna. Mai si parte da zero. Viviamo inseriti in una comunicazione incessante di doni naturali, culturali e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni umane, perché l'umanità intera sia un solo corpo in Cristo. I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male. Deformano la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle decisioni personali. Si sviluppa una storia alienata da Dio e avversa a Cristo, che non coopera alla comunicazione della vita divina, anzi la ostacola e la blocca. Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell'umanità ha un'influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue modalità peculiari di integrità e immortalità. 397 Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, inizia la sua esistenza in questo contesto umano inquinato. Viene al mondo privo della grazia santificante, incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo sopra ogni cosa, incline a chiudersi nell'esperienza terrena e ad assolutizzare i beni temporali. Così la sua libertà, indebolita interiormente e per di più condizionata negativamente all'esterno da un ambiente divenuto opaco nei confronti di Dio, non riuscirà ad osservare i comandamenti e arriverà, prima o poi, a commettere gravi peccati personali, incamminandosi verso la perdizione eterna. 398 La triste condizione, in cui l'uomo nasce, è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata "peccato originale", non perché sia una colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. Presenta analogie con la situazione permanente di peccato, che si determina in chi ha commesso una grave colpa. Può essere chiamata anche con altri nomi, ad esempio corruzione o alienazione originale. La vittoria della Pasqua 399 Nessun uomo potrebbe da solo, con le sue forze, uscire dal regno del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri. Ci rigenera a nuova vita, come figli di Dio. Certo, anche dopo la rigenerazione, rimangono l'inclinazione interiore disordinata e l'influsso esteriore negativo, ma questi non sono più irresistibili. Si deve ancora combattere, ma si può vincere. Così anche la sofferenza e la morte rimangono, ma cambiano senso e diventano occasione di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e trasfigura le sue conseguenze. Ci introduce nella condizione pasquale, superiore alla stessa condizione paradisiaca originale, in quanto ci dà la possibilità di giungere a una perfezione più alta: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" ( Rm 5,20 ). 400 Il peccato primordiale dell'umanità ha impedito la trasmissione della giustizia originale e della condizione paradisiaca; ha dato avvio a una solidarietà negativa. Il peccato originale, presente in ogni uomo che viene al mondo, è privazione della grazia santificante, incapacità di entrare in dialogo filiale con Dio e di vincere l'inclinazione a commettere i peccati personali. Il peccato originale viene soppresso nella giustificazione, mediante la comunicazione della grazia divina da parte del Signore, crocifisso e risorto, redentore di tutti gli uomini. Una storia di redenzione In tutta la storia 401 Il potere del peccato si propaga insieme al genere umano a partire dalle origini e perciò raggiunge inesorabilmente tutti gli uomini. Ma anche la redenzione abbraccia tutta la storia. ( Gen 3,15 ) Il racconto biblico del peccato primordiale contiene già una promessa di salvezza, il primo vangelo. Il racconto del diluvio si conclude con un'alleanza, che Dio concede attraverso Noè a tutte le nazioni; un'alleanza perenne, che ha il suo splendido simbolo nell'arcobaleno, ponte di luce tra il cielo e la terra. ( Gen 9,8-17 ) La divina volontà di salvezza si estende anche ai pagani, non si lascia circoscrivere in un orizzonte particolare. Dio non abbandona l'uomo in potere del peccato e della morte; ma a tutti viene incontro, perché coloro che lo cercano lo possano trovare. In considerazione della morte redentrice di Cristo, attrae a sé con la forza del suo Spirito gli uomini di ogni epoca e nazione. Tutti nascono peccatori, tutti nascono redenti. Se tutta la storia è storia di peccato, più ancora è storia di salvezza: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù" ( Rm 3,23-24 ). In Israele 402 La lettura cristiana dell'Antico Testamento vede il Cristo redentore presente nella storia di Israele, prima ancora della sua nascita terrena. Ha plasmato il popolo di Dio. Alle persone, agli avvenimenti, alle istituzioni, ai riti, alla spiritualità ha conferito, al di là della loro consistenza e del loro significato, un'apertura a qualcosa di nuovo, a qualcosa che sarebbe venuto. In queste realtà, a motivo del disegno unitario di Dio, il cristiano vede altrettante promesse e figure di Cristo e della salvezza da lui attuata. Soprattutto considera segno di lui le realtà con cui Dio si fa presente e agisce nei confronti dell'uomo e del mondo: la Parola, ( Sal 147,15; Sap 18,14-15; Is 55,1-11 ) la Legge, ( Dt 4,6-8; Dt 30,12.14 ) la Sapienza personificata. ( Pr 8,24-31; Sap 7,22-26 ) Negli ultimi tempi 403 Quando viene "la pienezza del tempo" ( Gal 4,4 ), il Verbo fatto carne manifesta pienamente nella storia l'amore gratuito e misericordioso del Padre. Compie l'attesa delle passate generazioni e conduce gli antichi giusti alla perfezione celeste. ( Eb 11,39-40 ) Attua sulla terra l'opera della riconciliazione attraverso la mediazione della Chiesa, ( 2 Cor 5,19-20; Col 1,18 ) costituita segno efficace e pubblico della salvezza. Continua a svolgere attraverso di essa la sua missione sacerdotale, profetica e regale: loda il Padre, annuncia il vangelo, perdona i peccatori, cura i malati, libera gli oppressi, edifica la pace. Fa crescere ovunque, anche fuori dei confini visibili della Chiesa, i valori di autentica umanità. 404 Il Signore Gesù non impone il suo potere dall'esterno; ma attrae interiormente i cuori con il dono dello Spirito Santo. ( 1 Gv 4,13 ) Si fa nostra vita e nostra forza; ci sostiene, ci orienta al bene, ci rende capaci di credere e di amare, liberamente. Ha bisogno della nostra cooperazione. La riconciliazione ha il carattere di una lotta faticosa e paziente contro il male. La storia non è progresso inarrestabile, né decadenza fatale, ma processo aperto, affidato alla nostra responsabilità, in attesa del compimento ultimo. ( 1 Cor 15,28 ) 405 L'efficacia redentiva della Pasqua di Cristo si estende a tutta la storia: Cristo "ieri, oggi e sempre!" ( Eb 13,8 ). Cristo traguardo della storia Primo e ultimo 406 Pensiamo mai seriamente alla meta verso cui siamo incamminati? Siamo solidali con gli innumerevoli fratelli che fanno lo stesso cammino? Siamo "lieti nella speranza, forti nella tribolazione" ( Rm 12,12 )? Il mondo è stato creato per mezzo di Cristo; è come un'eco e un riflesso di lui; cresce verso di lui; troverà compimento in lui. Egli è "il Primo e l'Ultimo e il Vivente" ( Ap 1,17-18 ). Attraverso di lui Dio vuole "riconciliare a sé tutte le cose" ( Col 1,20 ), liberarle, rinnovarle, perfezionarle, condurle all'unità sotto un solo capo. ( 2 Cor 5,19; Ef 1,10 ) Le creature sono orientate al Cristo risorto fin dall'inizio e tendono a lui, per essere veramente se stesse. Gli uomini, elevati alla dignità di figli di Dio, anelano a conseguire in lui la completa rigenerazione, con la glorificazione del proprio corpo e la trasfigurazione del loro ambiente. ( Rm 8,21.23 ) L'ultimo traguardo sarà la perfetta comunione, il mondo accolto e pacificato nel Figlio e il Figlio irradiato nel mondo: ( Ef 1,10 ) "a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto" ( Ef 1,6 ). Il regno del Padre è il senso ultimo della creazione; ma esso coincide con il primato di Cristo. Il mondo è dell'uomo, l'uomo è di Cristo, Cristo è di Dio e Dio sarà tutto in tutti. ( 1 Cor 3,22-23; 1 Cor 15,28 ) Non saremo delusi 407 "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro" ( 1 Cor 1,9 ). "Chiunque crede in lui non sarà deluso" ( Rm 10,11 ): "quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" ( Rm 8,30 ). "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? … Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, … né presente né avvenire, … né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" ( Rm 8,31-32.35.37-39 ). 408 Cristo "è immagine del Dio invisibile,generato prima di ogni creatura … Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è anche … il primogenito di coloro che risuscitano dai morti,per ottenere il primato su tutte le cose" ( Col 1,15-16.18 ). Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Il mistero del creato e l'evolversi della storia, l'origine e il destino del mondo non cessano di essere anche oggi fonte di domande per l'uomo. Una visione più scientifica e pragmatica della realtà non è spesso accompagnata da una più matura capacità di coglierne il senso, l'anelito al trascendente e alla liberazione. Al centro di questi interrogativi sta il problema del male e del peccato, il senso della redenzione e la centralità di Cristo nell'universo. Noi siamo certi che la fede in Dio creatore e in Cristo redentore non contraddice la scienza e l'impegno dell'uomo, li riempie anzi di senso e di speranza. - In una pluralità di visioni del mondo e della storia, quale valore e attualità ha quella cristiana? - Quali esigenze sono oggi più avvertite nella relazione dell'uomo con il creato e con la storia? - Come la fede cristiana può contribuire a un rapporto più responsabile e solidale? - Che cosa comporta il senso cristiano del limite umano e del peccato? - Perché l'attesa di un futuro trascendente e la fede in Cristo, redentore dell'universo e della storia, non mortificano l'impegno e la responsabilità dell'uomo, ma piuttosto ne costituiscono un'esaltazione? Ascoltare e meditare la Parola [ Cristo ] è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli. ( Col 1,15-20 ) Si può leggere anche: ( Gen 1,1-2,4a ) Il mondo opera di Dio consegnata all'uomo. ( Gen 3,1-15 ) Il peccato primordiale. ( Ef 1,3-14 ) Benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo. ( Ap 21,1-7 ) Ecco, io faccio nuove tutte le cose. ( Sal 33 ) Il piano del Signore sussiste per sempre. Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come l'uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela "che Dio è carità" ( 1 Gv 4,8 ) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da lui resi certi, che è aperta a tutti gli uomini la strada della carità e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani. ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 38 ) Pregare e celebrare Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so le laude, la gloria e l'onore e onne benedizione. A te solo, Altissimo, se confano e nullo omo è digno te mentovare. Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature, spezialmente messer lo frate Sole, lo quale è iorno, e allumini noi per lui. Ed ello è bello e radiante cun grande splendore: de te, Altissimo, porta significazione. Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle: in cielo l'hai formate clarite e preziose e belle. Laudato si, mi Signore, per frate Vento, e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento. Laudato si, mi Signore, per sor Aqua, la quale è molto utile e umile e preziosa e casta. Laudato si, mi Signore, per frate Foco, per lo quale enn'allumini la nocte: ed ello è bello e iocondo e robustoso e forte. Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sostenta e governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba. Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli che 'l sosterranno in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullo omo vivente po' scampare. Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali! Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte seconda no li farrà male. Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate e serviteli cun grande umiltate. ( San Francesco d'Assisi, Il cantico delle creature ) O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d'amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l'ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l'opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti. ( Messale Romano, Colletta della solennità di Gesù Cristo Re dell'universo, anno A ) Professare la fede - "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature" ( Sal 104,24 ): cielo e terra, angeli e uomini, esseri viventi e cose, tutto è creazione di Dio, voluta e attuata con intelligenza e amore, per la realizzazione e la beatitudine di ogni creatura. - L'esperienza del male non deriva da Dio, ma dal peccato dell'uomo, suggestionato da Satana, fin dall'inizio della storia. Dio però, con la sua provvidenza, contrasta la forza del male e con la redenzione di Cristo ricrea il cuore dell'uomo, in vista di un mondo nuovo, libero dal peccato e dalla morte. - "Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen" ( Messale Romano, Preghiera eucaristica ).