Convegno ecclesiale di Verona

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Riflessione spirituale di Sr. Maria Grigolini

Su 1 Pt 3,8-18

20 ottobre 2006

Introduzione

Le letture che oggi ci vengono proposte ci sembrano particolarmente adatte per la conclusione di questo evento significativo di grazia che abbiamo vissuto in questi giorni.

È lo Spirito Santo che ci ha convocati, per animarci, confortarci, rinnovarci nella speranza e per indicarci il cammino percorrendo il quale la Chiesa possa sempre più divenire una comunità a servizio della speranza per ogni uomo.

Oggi l'Apostolo Pietro e il Vescovo Zeno ci interpellano ancora una volta su qualcosa d'importante che al termine di questa assemblea non possiamo tralasciare di sottolineare.

Pietro e Zeno ci conducono al cuore del Vangelo, al cuore del nostro essere cristiani: la Chiesa, generata dall'amore, è chiamata a incarnare l'amore di Dio, unica fonte di sicura speranza per l'uomo del nostro tempo.

1. La Chiesa nasce dall'amore …

La Chiesa nasce dall'amore: « Dal costato morente di Cristo è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa ».1

È la croce la sorgente dalla quale fluisce la vita della Chiesa e allo stesso tempo è talamo nuziale, dove lo Sposo dona la vita per la sua sposa, per renderla santa e immacolata e formare con essa un solo corpo.

È Cristo la vera vite che da vita alla Chiesa, ed essa non può fare frutti di carità se non è unita al tronco.

Così sottolineava H.U. von Balthasar, a proposito di questa intima relazione di Cristo con la sua Chiesa: « Ogni sia pur tenue indipendenza dei tralci rispetto al tronco rappresenterebbe l'inizio del disseccarsi e del venir gettato nel fuoco.

Niente c'è di fertile nei tralci che non provenga dal tronco ».2

È Cristo la pietra vivente, il fondamento della costruzione al quale dobbiamo strettamente aderire per divenire anche noi pietre viventi di questo edificio santo che è la sua Chiesa, la comunità dei figli che, mossi dallo Spirito, vivono da fratelli.

La nostra appartenenza a questo organismo sacerdotale santo sarà veramente tale solo se permettiamo a Cristo di agire in noi e attraverso di noi, con la sua potenza, la sua volontà, la sua misericordia, il suo amore.

2. La Chiesa è chiamata a incarnare l'amore del Padre …

La Chiesa, nata dall'amore, è chiamata a incarnare l'amore del Padre …

È proprio da questa esperienza personale e profonda del lasciarsi raggiungere e sorprendere da Cristo e dal suo Vangelo che nasce la nostra vocazione e missione.

La vita del testimone è luogo privilegiato di comunicazione dell'amore ricevuto nell'avvenimento iniziale dell'incontro con Cristo.

Infatti, come ci ricorda Papa Benedetto XVI, « il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso uomini nei quali egli traspare ».3

Oggi siamo noi i chiamati a essere l'immagine visibile dell'amore del Padre.

Il Signore ha bisogno di ciascuno di noi per mostrarsi al mondo.

Tuttavia viviamo in una società che ha smarrito il senso di Dio, la fede è vissuta come qualcosa di privato, di avulso dalla vita, si assiste a una separazione tra il Vangelo e la vita nei suoi diversi ambiti di esistenza.

In questa situazione, come testimoniare l'amore del Padre, come riportare l'uomo a Dio?

C'è una sola via da percorrere: una via che non segue i criteri dell'efficienza umana, ma è una via semplice, umile, che non fa chiasso, non schiaccia, non s'impone, sa attendere pazientemente e, pur diffondendosi in modo soave e delicato, produce nell'ambiente un'impronta possente e innovatrice: è la via dell'amore, la via della carità che è il Vangelo, non tanto proclamato a parole, ma con la vita.

Il Vangelo vissuto nella sua radicalità, senza sdolcinature, senza adattamenti, senza mutilazioni, sine glossa, così da farci divenire « vangeli viventi ».4

La nuova evangelizzazione passa quindi necessariamente per la testimonianza di una vita veramente evangelica, fondata sulla carità.

« O carità - afferma con enfasi il Vescovo Zeno - quanto sei pia, quanto sei ricca, quanto sei potente!

Nulla possiede chi non possiede te ».

Oggi la gente, sia essa appartenente all'emisfero nord o sud, non è differente, forse potrebbe sembrare tale, ma è tutta uguale: oggi si assiste in tutto il mondo a una grande sofferenza perché tutti indistintamente sono affamati e assetati d'amore: d'amore di Dio e d'amore reciproco.

« La ricostruzione del povero mondo - come scriveva il nostro fondatore, San Giovanni Calabria - non può avverarsi che nello spirito della carità di Cristo.

Certamente la carità è l'argomento più persuasivo, è la predica più efficace che si possa fare, quella che non si dimenticherà più ».5

3. La Chiesa è chiamata a produrre frutti d'amore …

Quindi la Chiesa, che è nata dall'amore, che è chiamata a incarnare l'amore del Padre, è chiamata anche a produrre frutti visibili e concreti d'amore …

« Siate tutti concordi - esordisce l'Apostolo Pietro - partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno», e il Vescovo Zeno proclama: « O carità, tu, per la comune natura, rendi uomini diversi per costumi, età, potere, un solo spirito e un solo corpo ».

Pietro e Zeno, quindi, ci invitano prima di tutto, attraverso l'azione dello Spirito, a ricevere e a custodire i doni della comunione e dell'unità, doni che anche la Chiesa primitiva aveva identificato come fondamentali ed essenziali per l'annuncio cristiano: « Da questo vi riconosceranno, se vi amerete gli uni gli altri » … e ancora: « Erano un cuore solo e un'anima sola » …

Oggi è vitale anche per noi saper conservare e difendere, in ogni momento e in ogni situazione, questi doni che sono espressione dell'amore trinitario e non solo nelle relazioni tra di noi, ma anche con coloro che consideriamo diversi, lontani o indifferenti.

Se siamo figli del Padre, di quell'unico Padre che Gesù ci ha rivelato, che è Padre di tutti e di ciascuno, allora noi, attraverso il Figlio, dobbiamo essere ciò che veramente siamo: « Siamo tutti un'unica famiglia, la famiglia di Dio ».6

« Solo in un'unione che non esclude nessuno [ … ] nella comunione di tutti [ … ] c'è vera garanzia di vita ».7

« L'amore è "divino" - ci ricorda Papa Benedetto XVI - perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia "tutto in tutti" ( 1 Cor 15.28 ) ».8

Quindi l'amore, quello che sgorga dalla fede, non conosce barriere, sa avvicinarsi a tutti indistintamente, sa entrare dovunque e raggiungere il cuore di tutti, perché cerca sempre di ricondurre tutto all'unità, nella quale si nasconde il mistero della gioia e della felicità dell'uomo.

Ma se testimoniare l'amore fraterno non è facile quando bisogna superare le barriere della diversità e dell'indifferenza, diviene ancor più difficile e umanamente sembra impossibile quando deve essere rivolto a chi ci è ostile, a chi parla male di noi o a chi ci perseguita.

« Non rendete male per male - continua l'Apostolo Pietro - né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo ».

Siamo chiamati alla santità, a far crescere nel nostro cuore sentimenti di misericordia, di umiltà, di amore gratuito e totale, a testimoniare una fede adulta che è capace non solo di donare, ma di perdonare, una fede che sa vincere il male con il bene e sa invocare pace, grazia e benedizione su tutti indistintamente, anche e soprattutto su chi ci fa il male.

« Non abbiamo nemici da combattere, ma fratelli da ricondurre a casa ».9

È questo che ci caratterizza e ci differenzia come cristiani, proprio perché ci pone in una situazione di antitesi con la mentalità del mondo e rende il nostro cuore più simile a quello di Dio.

Certamente il mezzo più efficace per costruire e conservare la comunione e l'unità è la carità, « cemento che unisce gli animi e forma di tutti una cosa sola ».10

« Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici - ci esorta ancora l'Apostolo Pietro - eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua ».

La nostra carità quindi sia grande, sia universale, rivolta a tutti senza distinzione alcuna, ma soprattutto ai più poveri, agli abbandonati, ai lontani, agli ultimi, agli emarginati, perché sono loro i nostri tesori, le nostre ricchezze, il vero patrimonio da difendere e da custodire …

Vivendo tra i poveri si comprende come è sempre molto più grande quello che da loro si riceve, di quel poco che a loro si può dare …

Non è difficile incontrare anche nei luoghi più sofferti e più devastati dalle calamità, dai disagi, dalle malattie e dalla solitudine, persone prive di tutto ma non della fede, devastate dal dolore ma ancora piene di fiducia e di speranza.

Sono persone che sanno guardare al futuro con occhi luminosi e sono capaci di trasmettere a chi le avvicina un'inspiegabile gioia e la pace del cuore.

Sono i piccoli del Vangelo, coloro che Gesù chiama beati, perché nella loro indigenza sono liberi e disponibili a riconoscere e ad accogliere un Dio che si fa povero e che si spoglia della sua forza e della sua potenza per avvicinarsi a noi, per abbracciare la nostra debolezza, per liberarci dalla paura di sentirci lontani da Dio.

Ciò che abbiamo e possediamo spesso ci allontana dall'altro, ma ciò che diamo ci unisce.

Quando abbiamo tante cose, allora possiamo dare solo delle cose, ma quando non abbiamo più nulla, allora possiamo dare noi stessi.

I poveri sono nel cuore di Gesù, per questo sono i fratelli che più dobbiamo ricercare e preferire.

Quante persone, anche accanto a noi, soffrono di solitudine e di vuoto perché abbandonate anche dagli affetti più cari.

Hanno una grande fame di amore, hanno una grande sete di dialogo e di pace, di verità e di giustizia, si sentono senza casa, non perché manchino di un tetto, ma perché non trovano un cuore che le accolga e che offra loro aiuto.

Si sentono nude, non perché sprovviste di vestiti, ma perché spogliate della dignità umana.

Sono ammalate, perché prive di compassione e del sorriso caloroso di qualcuno che si senta solidale con loro.

Gesù ha solidarizzato con loro e si è identificato con i più piccoli e bisognosi.

Lasciamoci formare alla « scuola del povero », alla scuola di chi soffre.

Facciamo entrare i poveri nella nostra vita, nelle nostre comunità, apriamo loro le porte del nostro cuore, proviamo a coltivare un'amicizia personale, vera e profonda con qualcuno di loro …

Riceveremo molto … Impareremo a dimenticarci un po' di noi stessi, dei nostri piccoli mali e dispiaceri, impareremo a dare importanza a ciò che è essenziale, a spogliarci di tante « cose » che soffocano la nostra relazione con Dio, impareremo a vivere da « figli » senza preoccupazioni, perché davvero il domani è nelle mani del Padre.

Allora riceveremo in dono la gioia e diventeremo strumenti di perdono, di pace e di speranza.

4. … per essere segno sicuro di speranza

Quindi solo l'amore che trova la sua espressione nella comunione, nell'unità e nella carità è segno sicuro di speranza per l'uomo d'oggi …

Non possiamo non guardare ai nostri giorni con realismo.

Siamo tutti consapevoli dell'ora non facile che il mondo sta attraversando; per sanare questo mondo vi è un solo rimedio sicuro ed efficace, la santità: e « noi siamo il rimedio che Dio vuole adoperare [ … ] se siamo santi davvero ».11

Il Risorto sta alla porta del nostro cuore, bussa ed è in attesa, desideroso di rivelarsi e di condividere con noi il suo tesoro che è l'amore del Padre, la comunione, la carità …

Se sapremo farci piccoli, poveri, desiderosi di ricevere il dono, allora colui che si è fatto ultimo e servo di tutti prenderà dimora in noi e ci spingerà ad annunciare a tutti l'amore liberante del Padre.

Solo l'amore può riaccendere la speranza nel mondo, perché « solo l'amore è credibile » ( H.U. von Balthasar ).

« E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? ».

Quindi perché temere, di che cosa avere paura?

« Non vi sgomentate [ … ] né vi turbate » … « Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori … », ci esorta al termine l'Apostolo Pietro: è proprio la presenza di Cristo vivo, del Risorto, che ci da il vigore, il coraggio, la pazienza di essere testimoni fedeli dell'amore.

Lasciamoci conquistare e sedurre da lui, rimaniamo con lui nel suo amore: riceveremo noi per primi in dono la speranza, che è frutto della certezza che, in qualunque situazione ci troviamo, possiamo fidarci e abbandonarci a colui che ci è vicino, che ci assiste, che ha cura di noi e porta sempre a termine il suo disegno di salvezza.

Se saremo forti nella fede, non ci sarà spazio per lo smarrimento, per la paura e per lo scoraggiamento … ma saremo capaci di far crescere in noi sentimenti di gratitudine e di riconoscenza.

La voce di Gesù e l'esempio dei santi sono stelle che ci guidano con sicurezza, e ci spingono a saper scorgere la presenza amorevole di Dio Padre in ogni circostanza e in ogni evento della storia.

O Maria, Madre della Chiesa, rendici testimoni fedeli del tuo Figlio risorto e fa' di tutti noi «fari accesi nella notte oscura del mondo, capaci di irradiare la pura luce di Cristo e del suo Vangelo ».12

Indice

1 Sacrosanctum Concilium 5
2 H.U. Von Balthasar, Sponsa Verbi. Saggi teologici, II, Morcelliana, Brescia 1970,142
3 Benedetto XVI, Deus Caritas Est 17
4 Calabria, Lettere del padre ai religiosi: Lettera LXI, Quaresima 1949
5 Calabria, Lettere ai suoi religiosi. Scuola tip. Casa Buoni fanciulli, Ferrara 1956, 216
6 Calabria, Lettere ai suoi religiosi: Lettera XL, festa delle Palme, 25 marzo 1945
7 M.I. Rupnik, L'esame di coscienza, LIPA, Roma 2002,51
8 Benedetto XVI, Deus Caritas Est 18
9 Calabria, Lettere del padre ai religiosi'. Lettera LXXI, 1951
10 Calabria, Lettere ai suoi religiosi, 29
11 Calabria, « La santità sacerdotale », in Rivista di vita spirituale VII (1 953 ) 4,350
12 Calabria, Lettere ai suoi religiosi: Lettera XLVIIl, Quaresima 1946