Convegno ecclesiale di Verona

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Identità e dialogo interculturale in Europa

Intervento del prof. Jàn Figel'1

18 ottobre 2006

Eminenze, eccellenze, monsignori, illustri ospiti, signore e signori, è un grande piacere per me essere oggi a Verona e vi ringrazio per l'occasione che mi è stata offerta di parlare con voi del processo di integrazione europea.

Innanzitutto, vorrei complimentarmi con il Convegno Ecclesiale Nazionale per aver dato tanto rilievo all'Europa nel suo programma.

In questa fase del processo di integrazione è importante moltiplicare le occasioni di riflessione e dibattito su ciò che significa essere europei, e riflettere sul bisogno di un dialogo più fitto e costruttivo fra le molte culture che compongono il nostro continente così diverso e per questo così bello.

Infine è importante operare per avere una migliore comprensione reciproca con i paesi nostri vicini e con i popoli di tutto il mondo.

Ora vi chiedo venia, ma vorrei proseguire il discorso in inglese.

Mai nella storia dell'integrazione europea, nel dibattito, nella discussione sull'identità e sulla cittadinanza, c'è stata una forza così grande come adesso.

Dobbiamo ricordarci che abbiamo cominciato col carbone e l'acciaio, dei prodotti facilmente gestibili; adesso l'Europa sta crescendo, stiamo migliorando non soltanto in quantità, spero anche in qualità.

Vorrei dire che l'Europa sta diventando più matura: certo, è importante rammentare a tutti il ruolo svolto dall'Italia nei primi tempi, come Paese fondatore, ma sono sicuro che l'Italia ha molto da offrire all'Europa anche adesso e domani.

Il futuro inizia oggi, anzi, è iniziato già ieri.

Viviamo in una continuità e la comunità significa una partnership particolare tra coloro che erano qui prima di noi e tra noi qui oggi e coloro che ci seguiranno, i nostri figli, gli immigrati.

Ad esempio, noi slovacchi ci consideriamo parte dell'Europa centrale e non dell'Europa dell'est.

Il ritorno all'Europa è stato per noi un obiettivo fondamentale comportante non soltanto l'allargamento di strutture politiche ma il ritorno alla normalità, il ritorno alla dignità dopo l'oppressione comunista.

Nei tempi bui la Chiesa è stata una delle organizzazioni che è stata maggiormente perseguitata.

Quindi ritengo che con la Slovacchia e i nuovi Stati membri l'Unione sia più europea perché la comunità è più completa, la famiglia è più completa.

E ritengo che il miglior filo conduttore per l'Europa e per l'Unione nel XXI secolo non sia più il carbone o l'acciaio o il mercato, o anche la zona euro, ma la diversità nell'unità e come gestire questa diversità per costruire l'unità.

Sono la questione e il nostro compito principali.

Perché la diversità sta crescendo, con il numero di Stati e il numero di lingue, e continuerà a crescere, ma il rovescio della medaglia è l'unità, e se noi siamo capaci di accettare e di promuovere questo credo della comunità nel rispetto delle differenze, ma anche in un desiderio di unità, ritengo che saremo in grado di condividere vera speranza umana.

Penso che la cultura sia sottovalutata nei dibattiti odierni in Europa, ma la cultura definisce l'Europa molto di più che non il mondo degli affari o la geografia.

La cultura definisce i valori che informano la nostra vita di tutti i giorni, i rapporti nelle famiglie, nelle comunità locali, regionali e nazionali.

Se abbiamo problemi in alcune funzioni della cultura, come per esempio nella politica, dovremmo guardare ai valori, guardare a cosa credono le persone, a cosa cercano di realizzare nella loro vita di tutti i giorni.

Ritengo inoltre che il fulcro dei valori che noi cerchiamo di definire per la nostra cooperazione debba essere la dignità umana per tutti e ovunque, non soltanto in Europa.

Possiamo condividere solo ciò che abbiamo - nemo dat quod non habet -, pertanto se lavoriamo veramente per la dignità umana all'interno dei nostri cuori, delle nostre menti, delle nostre coscienze possiamo condividerla con tutti e con il mondo che è attorno all'Europa.

Poco fa ci domandavamo quali fossero i segni forti, quelli deboli, le ricchezze, i problemi.

Io direi che siamo una superpotenza di diversità culturale e l'Italia è il centro di questa superpotenza, non soltanto perché storicamente governava tutti con Roma ma perché la densità culturale del vostro Paese è la più elevata al mondo.

Dovremmo prendere tutti coscienza di questa cosa, dovremmo accedere tutti a questa eredità comune.

Nel mio Paese parliamo spesso di fondi europei perché tutti si aspettano grande solidarietà dai paesi più abbienti, ma anche noi possiamo e dovremmo contribuire alla Comunità europea ad esempio con il nostro potenziale culturale e umano, tramite i ricordi della battaglia per la libertà e per la dignità, attraverso uno spirito che non è apatico o scettico ma vivendo e agendo in modo da promuovere riforme.

Forse sarà rischioso passare dal comunismo al consumismo, dal collettivismo oppressivo all'individualismo senza limiti, o dalla lotta per la dignità al relativismo etico.

Questi inviti, queste sfide a essere coscienti di questi rischi sono presenti ovunque nei nuovi Stati membri, così come nei vecchi Stati membri.

Vorrei ancora dire qualcosa riguardo alla cooperazione culturale.

Alcuni anni fa molti partner dicevano che questa non è una questione europea ma nazionale.

Adesso molti ci invitano a fare di più per la cultura attraverso la cultura.

Ritengo che l'Europa abbia un debito verso la cultura e forse la cultura potrebbe rivitalizzare la visione europea.

La religione è una parte molto centrale di qualsiasi cultura, pertanto ritengo che il vostro ruolo sia molto importante per il futuro dell'Europa.

Il futuro a volte appare avvolto nella nebbia, alcuni pensano che l'Europa sia in crisi, ma l'Europa è nelle mani degli europei.

Credo che siamo noi che dobbiamo dare speranza all'Europa.

Io ho ancora molte idee da condividere con voi, ma cercherò di essere disciplinato e di terminare.

Vorrei fare ancora un paragone.

Quando crollò il comunismo con il muro di Berlino abbiamo avuto il nostro annus mirabilis.

Alcuni scrittori scrissero dei libri molto interessanti: uno, scritto da Francis Fukuyama, verteva sulla « fine della storia », cioè sulla vittoria tangibile delle democrazie liberali in Europa; altri parlavano del ruolo forte e visibile della religione nella società; il Prof. Huntington parlò dello scontro di civiltà.

Io non ritengo che siamo alla fine della storia e che lo scontro di civiltà sia una necessità.

Ciò che aiuta a evitare queste derive verso la guerra globale a sfondo religioso è il dialogo interculturale e interreligioso.

Abbiamo bisogno di una cultura del dialogo, un dialogo che cominci con la conoscenza e con il rispetto, un dialogo che non sia un segno di debolezza: il dialogo è invece un segno di maturità e nel dialogo uno più uno fa più di due, di modo che possiamo creare sinergie.

Quindi, invece di lottare contro le civiltà, bisogna lottare per le civiltà: credo che questo sia un invito molto chiaro per tutte le Chiese e in particolare per la più grande, che è quella cattolica.

Per finire, l'ultima idea che vorrei condividere con voi è la seguente: ritengo che l'Europa debba essere un sinonimo di apertura e in questo senso possiamo essere d'accordo con Giovanni Paolo II, che scrisse nella sua esortazione apostolica Ecclesia in Europa che l'apertura comincia con l'apertura della mente e continua con l'apertura del cuore.

Entrambi gli elementi sono molto importanti, l'approccio razionale e la competenza, ma anche l'empatia, la solidarietà e l'amore cristiano, per cui essere un vero europeo significa essere veramente aperti verso gli altri ma anche uniti con gli altri attorno a dei valori che s'incentrano sulla dignità umana.

La Prof.ssa Archer ha parlato dell'adesione della Romania e della Bulgaria a venire.

La Grecia non sarà più isolata nell'Unione europea, ma la nostra comunità sarà più completa.

Ciò comporta anche una dimensione culturale e spirituale, che significa vivere in una sola casa europea.

Tutti coloro che per migliaia di anni hanno parlato di una divisione dell'est e dell'ovest hanno la responsabilità di intraprendere veri passi verso l'unità.

Questo è un tempo nuovo, un tempo molto concreto per l'ecumenismo cristiano; se siamo responsabili vedremo dei frutti e se siamo capaci di portare avanti questo ecumenismo cristiano e questa unità allora potremo veramente contribuire all'ecumenismo abramitico.

Se il primo ecumenismo non è maturo o visibile, non abbiamo alcuna possibilità di influenzare, di ingenerare la coesistenza fraterna delle civiltà e la reciproca comprensione e la fratellanza.

L'allargamento europeo è un forte invito a tutti i cristiani nel nuovo millennio e il messaggio « non abbiate timore, non abbiate paura » deve essere certamente ripetuto.

Quando i cittadini hanno votato in Francia sulla costituzione, « l'idraulico polacco » è stata un'espressione chiave, una domanda centrale.

Se c'è un problema con l'idraulico polacco oggi, tra dieci anni ci saranno problemi ancor più grandi con quelli cinesi e quelli indiani.

La Polonia ha contribuito all'unità europea tramite Solidarnosc e Giovanni Paolo II, Frédéric Chopin e Marie Curie-SkIodowska, che non sono stati dei problemi per l'Europa, sono state persone di cultura e di responsabilità.

Tutte queste persone sono benvenute, dovremmo vedere la nostra comunità in questa ricchezza.

Abbiamo poi bisogno di rivitalizzare il continente.

Condivido la visione di Michel Camdessus che dice che la Germania è di ritorno, anche l'Italia è di ritorno, sta tornando: vorrà dire che anche la Francia farà lo stesso, perché il cristianesimo deve significare maturità per la responsabilità.

Spero che incontri come questo, dialoghi come questo possano contribuire alla nostra maturità comune e condivisa a vantaggio dell'unità.

Signore e signori, il genere umano non può vivere senza speranza.

Coloro che mantengono la speranza viva nei loro cuori fanno parte, nella loro epoca, dell'alba e non del tramonto della loro generazione.

L'Europa unita è diventata un'area di speranza, l'espressione della speranza attraverso le forze di generazioni portatrici di speranza.

L'anno prossimo festeggeremo il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma voluti da personalità quali De Gasperi, Adenauer e Schuman.

Perché le nazioni continuano a venerare i padri fondatori ancora cinquant'anni dopo la loro azione?

Perché il frutto del loro lavoro è duraturo e valido per le generazioni a venire.

Abbiamo bisogno di tali esempi in politica, abbiamo bisogno di persone che pensano e agiscono per la loro generazione ma non in modo populista o ultrapragmatico, non in maniera miope, non senza una visione chiara a lungo termine, non senza pensare al bene comune.

Un bambino mostrerà rispetto e amore per i genitori innanzitutto seguendo il loro esempio e la loro ispirazione.

Rispetto per la tradizione non significa proteggere le ceneri del passato, significa nutrire il fuoco della speranza, fonte della luce e del calore della vita.

Tutti noi, quale che sia la nostra vocazione, possiamo e dobbiamo ricorrere alla speranza viva per offrire ispirazione, mostrare solidarietà e rafforzare la vitalità dell'Europa unita.

Abbiamo bisogno di un'opinione pubblica cosciente, attori responsabili e una leadership impegnata nella costruzione di una Europa comune.

La risposta giusta alle nostre preoccupazioni e interrogativi non sono scetticismo, riluttanza e autismo vuoto di contenuto.

La risposta giusta è la determinazione a continuare con tutte le nostre forze.

Grazie per la vostra determinazione a lavorare per la causa della società e dell'Europa della speranza.

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1 Trascrizione italiana del discorso pronunciato