Sovvenire alle necessità della Chiesa

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III. - Comunione, corresponsabilità, partecipazione: le motivazioni teologiche di un impegno

11. - Da dove deriva il dovere proprio di tutti i battezzati - siano essi chierici, religiosi o laici - di "sovvenire alle necessità della Chiesa"?

Non deriva soltanto dal principio elementare, secondo il quale ogni forma di aggregazione stabile di persone, che perseguono convintamente e liberamente finalità comuni, è responsabile dei servizi e delle risorse che le sono necessari per vivere e per diffondersi.

Deriva, più profondamente, da una precisa idea di Chiesa, quella che il Concilio ci ha insegnato: una Chiesa che è manifestazione concreta del mistero della comunione e strumento per la sua crescita, che riconosce a tutti i battezzati che la compongono una vera uguaglianza nella dignità e chiede a ciascuno l'impegno della corresponsabilità, da vivere in termini di solidarietà non soltanto affettiva ma effettiva, partecipando, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno, all'edificazione storica e concreta della comunità ecclesiale e assumendo con convinzione e con gioia le fatiche e gli oneri che essa comporta ( cf. can. 204 e 208 ).

Dunque una Chiesa che non sia praticamente distinta tra alcuni che fanno e comandano e altri che usano dei servizi da questi apprestati e ne pagano il pedaggio, una specie di grande "stazione di servizio" distributrice di beni spirituali per ogni evenienza della vita, ma che sia una comunità che educhi al senso della partecipazione come esigenza interiore di una fede matura e di una carità operosa, prima che come un obbligo, e che aiuti a spingere la logica della corresponsabilità fino alla solidarietà e alla messa a disposizione dei propri beni.

Vale del resto nella Chiesa una sorta di evangelica "legge dello scambio".

Le parole dell'apostolo Paolo sono estensibili all'intera Chiesa e a tutta la sua azione missionaria e pastorale: "se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali?" ( 1 Cor 9,11 ).

Il dono della fede che la Chiesa ci ha annunciata, i sacramenti che per noi essa celebra, la parola di Dio che essa ci spezza, la fraternità a cui ci educa, l'esperienza di vita rinnovata che ci permette di gustare, le imprese di animazione cristiana dell'ordine temporale cui essa ci sollecita e ci orienta sono valori che non hanno misura.

Di fronte a tali valori è ancor poco "ricambiare" con l'impegno della nostra persona e con l'apporto della nostra generosità, per aiutare la Chiesa stessa ad essere ancor oggi. per tanti altri, strumento di grazia e di vita come lo è stata per noi, e per realizzare tra fratelli di fede quella "uguaglianza evangelica" che è l'esito connaturale di un'autentica esperienza di carità e uno dei più trasparenti segni di credibilità della testimonianza ecclesiale: "Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.

Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perchè anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno" ( 2 Cor 8,13-15 ).

Questi valori e queste prospettive sono di fondamentale importanza e impegnano tutti a vivere la propria appartenenza alla Chiesa nello sforzo convinto di renderli esperienza precisa e concreta.

Ma in primo luogo essi provocano la responsabilità dei pastori, vescovi e preti: questa immagine di Chiesa rischia di rimanere generica e confusa o addirittura di apparire retorica se essi non offrono per primi ai fratelli di fede un esempio e una traccia per realizzarla, manifestando nello stile della loro vita e della loro guida pastorale la passione per l'edificazione di una comunità cristiana che le assomigli sempre di più.

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