Ad catholici sacerdotii

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II - Fulgido ornamento

La virtù e la scienza

Sublimissima dunque, Venerabili Fratelli, è la dignità del sacerdote; e le debolezze, per quanto deplorevoli e dolorose, di alcuni indegni non possono oscurare lo splendore di tale altissima dignità, come non devono far dimenticare le benemerenze di tanti sacerdoti insigni per virtù, per sapere, per opere di zelo, per il martirio.

Tanto più che l'indegnità del soggetto non rende punto invalida l'opera del suo ministero: la indegnità del ministro non intacca la validità dei Sacramenti, che ripetono la loro efficacia dal Sangue di Cristo, indipendentemente dalla santità dello strumento, ossia, come si esprime il linguaggio ecclesiastico, esercitano la loro azione "ex opere operato".

È però verissimo che tale dignità, di per se stessa, esige in chi ne è investito una elevazione di mente, una purezza di cuore, una santità di vita corrispondente alle sublimità e santità dell'ufficio sacerdotale.

Questo, come abbiamo detto, costituisce il sacerdote mediatore tra Dio e l'uomo in rappresentanza e per mandato di Colui che è "l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo" ( 1 Tm 2,5 ); deve quindi avvicinarsi quanto è possibile alla perfezione di Colui di cui fa le veci e rendersi sempre più gradito a Dio con la santità della vita e delle opere; poiché, più che il profumo degli incensi, più che il fulgore dei templi e degli altari, Iddio ama e gradisce la virtù.

"Diventando ( gli ordinati ) mediatori tra Dio e il popolo - dice San Tommaso - devono risplendere per la bontà della coscienza davanti a Dio e per la buona fama presso gli uomini" .

Dall'altra parte, invece, se chi tratta ed amministra le cose sante, mena una vita riprovevole, le profana e diventa sacrilego: "Quelli che non sono santi, non devono trattare le cose sante".

Perciò già nell'Antico Testamento, Iddio comandava ai suoi sacerdoti e ai leviti: "Siano dunque santi, perché santo sono anch'io, il Signore che li santifico" ( Lv 21,8 ).

E il sapientissimo Salomone, nel cantico per la dedicazione del tempio, questo appunto chiede al Signore per i figli di Aronne: "I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia e i tuoi santi esultino" ( Sal 132,9 ).

Orbene, Venerabili Fratelli, "se tanta perfezione e santità e alacrità - diremo con San Roberto Bellarmino - si esigeva in quei sacerdoti, che sacrificavano pecore e buoi e lodavano Dio per benefici temporali, che cosa mai non si dovrà esigere in quei sacerdoti che sacrificano l'Agnello divino e rendono grazie per benefici eterni?" .

"Grande in vero - esclama San Lorenzo Giustiniani - è la dignità dei Prelati, ma maggiore ne è il peso; posti come sono in grado così elevato davanti agli occhi degli uomini, bisogna che anche si innalzino al sommo vertice delle virtù davanti agli occhi di Colui che tutto vede; altrimenti sono sopra gli altri non a proprio merito, ma a propria condanna" .

Imitatore di Cristo

E veramente tutti i titoli da Noi accennati più sopra per dimostrare la dignità del sacerdozio cattolico, ritornano ora qui come altrettanti argomenti per dimostrare il dovere che gli incombe di una sublime santità; poiché, come insegna l'Angelico Dottore, "ad esercitare convenientemente i sacri ordini non basta una bontà qualunque, ma si richiede una bontà eccellente; siccome quelli che ricevono il sacro ordine vengono costituiti per ragione di esso sopra il popolo, così siano a lui superiori anche per la santità" .

Infatti, il sacrificio eucaristico, in cui s'immola la Vittima immacolata che toglie i peccati del mondo, in modo particolare esige che il sacerdote con una vita santa ed intemerata si renda il meno indegno possibile di Dio, a cui ogni giorno offre quella Vittima adorabile, che è lo stesso Verbo di Dio incarnato per nostro amore.

"Rendetevi conto di quello che fate, imitate quello che trattate" , dice la Chiesa per bocca del Vescovo ai diaconi che stanno per essere consacrati sacerdoti.

Inoltre il sacerdote è distributore della grazia di Dio, di cui i Sacramenti sono i canali; ma troppo disdirebbe a un tale distributore, se di quella grazia preziosissima egli stesso fosse privo o anche solo ne fosse in sé scarso estimatore e pigro custode.

Di più egli deve insegnare la verità della fede: la verità religiosa non si insegna mai tanto degnamente e tanto efficacemente, che quando è accompagnata dalla virtù; poiché, come dice il comune effato: "Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano".

Deve annunziare la legge evangelica; ma, per ottenere che gli altri l'abbraccino, l'argomento più accessibile e più persuasivo, con la grazia di Dio, è il vedere quella legge attuata nella vita di chi ne inculca l'osservanza.

E San Gregorio Magno ne dà la ragione: "Più facilmente penetra nel cuore degli uditori quella voce che ha in suo favore la vita del predicatore, perché, mostrando con l'esempio come si debba operare, aiuta a fare quello che inculca" .

Così appunto del divin Redentore dice la Sacra Scrittura che "cominciò a fare e ad insegnare" ( At 1,1 ), e le turbe lo acclamavano, non tanto perché "nessun uomo ha mai parlato come quest'uomo" ( Gv 7,46 ), quanto, piuttosto perché "ha fatto bene ogni cosa" ( Mc 7,37 ).

E al contrario "quelli che dicono e non fanno "si rendono simili agli Scribi e Farisei, a rimprovero dei quali lo stesso divin Redentore, pur salvando l'autorità della parola di Dio che annunziavano legittimamente, ebbe a dire al popolo che l'ascoltava: "Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli Scribi e i Farisei: osservate dunque e fate tutto quello che essi vi dicono; non vogliate però agire secondo le loro opere" ( Mt 23,2-3 ).

Un predicatore che non si sforzi di confermare con l'esempio della vita la verità che annunzia, distruggerebbe con una mano quello che edifica con l'altra.

E invece Iddio largamente benedice le fatiche dei banditori del Vangelo, che prima di tutto attendono seriamente alla propria santificazione: essi vedono sbocciare copiosi i fiori e i frutti del loro apostolato e nel giorno delle messe "tornando andranno con gioia portando i loro covoni" ( Sal 126,6 ).

Sarebbe un errore gravissimo e pericolosissimo se il sacerdote, trasportato da falso zelo, trascurasse la propria santificazione per tutto immergersi nelle opere esteriori, per quanto buone, del ministero sacerdotale.

Con ciò, metterebbe in pericolo la propria eterna salute, come il grande Apostolo delle Genti temeva di se stesso: "Castigo il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che dopo aver predicato agli altri, io diventi riprovato" ( 1 Cor 9,27 ); e si esporrebbe anche a perdere, se non la grazia divina, certamente quell'unzione dello Spirito Santo, che dà una mirabile forza ed efficacia all'apostolato esterno.

Del resto, se a tutti i cristiani è detto: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" ( Mt 5,48 ), quanto più devono i sacerdoti considerare rivolte a sé queste parole del divino Maestro, chiamati come sono con vocazione speciale a seguirlo più da vicino!

Perciò la Chiesa inculca apertamente a tutti i chierici questo gravissimo dovere, inserendolo nel codice delle sue leggi: "I chierici devono condurre una vita internamente ed esternamente più santa che i laici ed essere loro di preclaro esempio nella virtù e nella rettitudine dell'operare" .

E siccome il sacerdote "è ambasciatore di Cristo" ( 2 Cor 5,20 ), egli deve vivere in modo da potere con verità far sue le parole dell'Apostolo: "Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" ( 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1 ), deve vivere come un altro Cristo, che col fulgore delle sue virtù illuminava ed illumina il mondo.

La pietà sacerdotale

Ma se tutte le virtù cristiane devono fiorire nell'anima sacerdotale, ve ne sono però alcune che in modo tutto particolare convengono e più si addicono al sacerdote.

E prima di tutte la pietà, secondo l'esortazione dell'Apostolo al suo diletto Timoteo: "Esercitati nella pietà" ( 1 Tm 4,8 ).

Infatti, se sono così intimi, così delicati e frequenti i rapporti del sacerdote con Dio, evidentemente essi devono essere accompagnati e come imbalsamati dal profumo della pietà; se "la pietà è utile a tutto" ( 1 Tm 4,8 ), essa è utile soprattutto al retto esercizio del ministero sacerdotale.

Senza la pietà, le più sante pratiche, i più augusti riti del sacro ministero saranno eseguiti meccanicamente e per abitudine; mancherà loro lo spirito, l'unzione, la vita.

La pietà però, di cui parliamo, Venerabili Fratelli, non è quella falsa pietà, leggera e superficiale, che piace ma non nutre, solletica ma non santifica; Noi intendiamo la pietà soda, la quale, non soggetta alle incessanti fluttuazioni del sentimento, si fonda sui principii della dottrina più sicura, ed è quindi formata di convinzioni salde, che resistono agli assalti e alle lusinghe della tentazione.

E questa pietà, se deve in primo luogo filialmente dirigersi al Padre che sta nei cieli, deve però estendersi anche alla Madre divina, e con tanto maggior tenerezza nel sacerdote che non nei semplici fedeli, quanto più vere e profonde sono le somiglianze tra i rapporti del sacerdote con Cristo e i rapporti di Maria col suo divin Figliuolo.

La castità

Intimamente congiunta con la pietà, da cui deve ricevere consistenza e splendore, è l'altra gemma fulgidissima del sacerdote cattolico, la castità, alla cui perfetta e totale osservanza i chierici della Chiesa Latina costituiti negli Ordini maggiori sono tenuti con obbligo sì grave che, trasgredendolo, sarebbero rei anche di sacrilegio.

Che se tale legge non vincola in tutto il suo rigore i chierici delle Chiese orientali, anche tra essi però il celibato ecclesiastico è in onore e, in certi casi, specialmente per i supremi gradi gerarchici, è requisito necessario ed obbligatorio.

Un certo nesso tra questa virtù e il ministero sacerdotale si scorge anche solo col lume della ragione: essendo che "Dio è spirito" ( Gv 4,24 ), appare conveniente che chi si dedica e si consacra al servizio di lui, in qualche modo "si spogli del corpo".

Già gli antichi Romani avevano intravisto questa convenienza; una loro legge così formulata: "Agli dei accostati castamente", viene citata dal più grande dei loro oratori, aggiungendovi questo commento: "La legge comanda di accostarsi agli dei castamente, cioè con l'anima casta, in cui sta ogni cosa; non esclude però la castità del corpo, ma questo si deve intendere così, che, essendo l'anima di molto superiore al corpo, se si deve conservare la purezza del corpo, molto più si deve custodire quella dell'anima" .

Nell'Antico Testamento, ad Aronne e ai suoi figliuoli fu comandato da Mosè in nome di Dio di non uscire dal Tabernacolo e quindi di osservare la continenza nei sette giorni in cui si compiva la loro consacrazione ( Lv 8,33-35 ).

Ma al sacerdozio cristiano, tanto superiore all'antico, conveniva una purezza molto maggiore.

Infatti la legge del celibato ecclesiastico, la cui prima traccia scritta ( la quale evidentemente suppone una prassi più antica ) si riscontra in un canone del Concilio di Elvira all'inizio del secolo IV , quando ancora fremeva la persecuzione, non fa che dar forza di obbligazione a una certa, diremmo quasi, morale esigenza, che sgorga dal Vangelo e dalla predicazione apostolica.

L'alta stima in cui il Divino Maestro mostrò di avere la castità, esaltandola come cosa superiore alla comune capacità, il saperlo "fiore di Madre Vergine" e fin dall'infanzia allevato nella famiglia verginale di Maria e Giuseppe, il vederlo prediligere le anime pure, come i due Giovanni, il Battista e l'Evangelista; l'udire il grande Apostolo Paolo, fedele interprete della legge evangelica e del pensiero di Cristo, predicare i pregi inestimabili della verginità, specialmente in ordine ad un più assiduo servizio di Dio: "Chi è senza moglie, ha sollecitudine delle cose del Signore, del compiacere a Dio" ( 1 Cor 7,32 );

Tutto questo doveva quasi necessariamente far sì che i sacerdoti della Nuova Alleanza sentissero il fascino celestiale di questa eletta virtù, cercassero di essere nel numero di quelli "ai quali è stato concesso di comprendere questa parola" ( Mt 19,11 ), e se ne imponessero spontaneamente l'osservanza, sancita poi ben presto da gravissima legge ecclesiastica in tutta la Chiesa Latina: affinché - come asseriva alla fine del secolo IV il Concilio Cartaginese II - "anche noi osserviamo quello che gli Apostoli hanno insegnato e la stessa antichità ha osservato" .

Né mancano testimonianze anche di illustri Padri Orientali, che esaltano l'eccellenza del celibato cattolico e che mostrano esservi stata allora, nei luoghi dove la disciplina era più severa, consonanza anche su questo punto tra la Chiesa Latina e l'Orientale.

Sant'Epifanio alla fine dello stesso secolo IV attesta che il celibato già s'estendeva fino ai suddiaconi: "Colui che ancora vive nel matrimonio e attende ai figli, anche se sia marito di una sola donna, non viene tuttavia ammesso ( dalla Chiesa ) all'ordine di diacono, di presbitero, di vescovo o di suddiacono, ma colui soltanto che si sia separato dall'unica sua consorte o ne sia rimasto vedovo; il che si fa specialmente in quei luoghi dove i canoni ecclesiastici sono osservati con accuratezza" .

Ma eloquente sopra tutti è in questa materia il Santo Diacono di Edessa e Dottore della Chiesa universale Efrem Siro, "chiamato meritatamente cetra dello Spirito Santo" .

Questi, in un suo carme, rivolgendo la parola al Vescovo Abramo, suo amico: "Tu ben rispondi al nome che porti, o Abramo - gli dice - perché tu pure sei stato fatto padre di molti; ma poiché tu non hai una sposa, come Abramo ebbe Sara, ecco che la tua greggia è la tua sposa.

Educa i figli di lei nella tua verità, diventino a te figli di spirito e figli della promessa affinché sieno eredi nell'Eden.

O frutto splendido della castità, nel quale si è compiaciuto il sacerdozio… e il corno riboccante del sacro olio ti unse, la mano sacerdotale si è posata su di te e ti ha eletto, la Chiesa ti ha scelto e ti ha amato" .

E altrove: "Non basta al sacerdote ed al nome di lui purificare l'anima e far monda la lingua e lavare le mani e rendere mondo l'intero corpo, mentre offre il vivo Corpo ( di Cristo ), ma in ogni tempo egli deve essere puro, perché è posto quale mediatore tra Dio ed il genere umano.

Sia lode a Colui che ha in tal guisa voluto mondi i suoi ministri" .

E San Giovanni Crisostomo afferma che "perciò chi esercita il sacerdozio deve essere così puro come se fosse collocato nei cieli tra quelle Podestà" .

Del resto la stessa sublimità, o per usare la frase di Sant'Epifanio, "l'incredibile onore e dignità "del sacerdozio cristiano, già brevemente da Noi esposta, dimostra la somma convenienza del celibato e della legge che lo impone ai ministri dell'altare: chi ha un officio in certo modo superiore a quello dei purissimi spiriti "che stanno al cospetto di Dio" ( Tb 12,15 ), non è forse giusto che debba vivere quanto è possibile come un puro spirito?

Chi tutto deve essere "in quelle cose che sono del Signore" ( Lc 2,49; 1 Cor 7,32 ), non è giusto che sia interamente distaccato dalle cose terrene ed abbia sempre "la sua conversazione nei cieli"? ( Fil 3,20 ).

Chi deve essere assiduamente sollecito della salute eterna delle anime e continuare verso di esse l'opera del Redentore, non è forse giusto che si tenga libero dalle preoccupazioni di una famiglia, che assorbirebbe gran parte della sua attività?

Ed è davvero spettacolo degno di commossa ammirazione quello, pur così frequente nella Chiesa Cattolica, dei giovani Leviti, che prima di ricevere il sacro Ordine del Suddiaconato, prima cioè di consacrarsi interamente al servizio e al culto di Dio, liberamente rinunziano alle gioie e alle soddisfazioni, che potrebbero onestamente concedersi in un altro genere di vita!

Diciamo "liberamente", poiché, se dopo l'ordinazione non saranno più liberi di contrarre nozze terrene, all'ordinazione stessa però accedono non costretti da veruna legge o persona, ma di propria e spontanea volontà.

Non intendiamo però, che quanto siamo venuti dicendo in commendazione del celibato ecclesiastico, sia così interpretato come se volessimo in certo modo biasimare e quasi redarguire la disciplina diversa, legittimamente ammessa nella Chiesa Orientale; ma lo diciamo unicamente per esaltare nel Signore quella verità che riteniamo una delle glorie più pure del sacerdozio cattolico e Ci pare risponda meglio ai desideri del Cuore Santissimo di Gesù e ai suoi disegni sulle anime sacerdotali.

Distacco dai beni terreni

Non meno che nella castità, il sacerdote cattolico deve essere segnalato nel disinteresse.

In mezzo ad un mondo corrotto, in cui tutto si vende e tutto si compra, egli deve passare scevro di ogni egoismo, santamente sdegnoso di ogni vile cupidigia di guadagno terreno, in cerca di anime, non di danaro, della gloria di Dio, non della sua.

Egli non è il mercenario che lavora per riscuotere una mercede temporale, né l'impiegato che, pur attendendo coscienziosamente agli obblighi del suo ufficio, pensa anche alla sua carriera e alla sua promozione; egli è il "buon soldato di Cristo "che "non s'impaccia dei negozi del secolo, perché possa piacere a chi lo ha arrolato" ( 2 Tm 2,3-4 ); è il ministro di Dio e il padre delle anime; egli sa che l'opera sua, le sue sollecitudini non possono compensarsi adeguatamente coi tesori e con gli onori della terra.

Non gli è interdetto di ricevere il conveniente sostentamento, secondo il detto dell'Apostolo: "Quelli che servono all'altare, hanno parte all'altare; così pure il Signore ordinò a quelli che annunziano il Vangelo di vivere del Vangelo" ( 1 Cor 9,13-14 ); ma, "chiamato alla sorte del Signore", come dice il suo stesso titolo di clericus, ossia "all'eredità del Signore", nessun'altra mercede si aspetta, se non quella che Gesù prometteva ai suoi Apostoli: "La vostra mercede è copiosa nei cieli" ( Mt 5,12 ).

Guai se il sacerdote, dimentico di sì divine promesse, cominciasse a mostrarsi "avido di turpe lucro" ( Tt 1,7 ) e si confondesse con la turba dei mondani, su cui geme la Chiesa insieme con l'Apostolo: "Tutti pensano alle cose loro, non a quelle di Gesù Cristo" ( Fil 2,21 ).

In tal caso, oltre il mancare alla sua vocazione, raccoglierebbe il disprezzo del suo stesso popolo, il quale riscontrerebbe in lui una deplorevole contraddizione tra la sua condotta e la dottrina evangelica così chiaramente espressa da Gesù e che il sacerdote deve annunziare: "Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e il tarlo li consumano e dove i ladri li dissotterrano e li rubano; procurate invece di accumulare tesori nel cielo" ( Mt 6,19-20 ).

Se si pensa che uno degli Apostoli di Cristo, uno dei Dodici, come mestamente notano gli Evangelisti, Giuda, fu condotto all'abisso dell'iniquità appunto dallo spirito di cupidigia delle cose terrene, ben si comprende come questo medesimo spirito abbia potuto arrecare tanti danni alla Chiesa attraverso i secoli: la cupidigia, che dallo Spirito Santo è detta "radice di tutti i mali" ( 1 Tm 6,10 ), può trascinare a qualunque delitto; e quando anche non arrivi a tanto, di fatto un sacerdote infetto da tale vizio, consciamente o inconsciamente fa causa comune coi nemici di Dio e della Chiesa e coopera ai loro iniqui disegni.

E invece il sincero disinteresse concilia al sacerdote gli animi di tutti, tanto più che con questo distacco dai beni terreni, quando viene dall'intima forza della fede, va sempre congiunta quella tenera compassione verso ogni sorta d'infelici, che trasforma il sacerdote in un vero padre dei poveri, nei quali egli, memore di quelle commoventi parole del suo Signore: "Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta a me" ( Mt 25,40 ), con affetto singolare vede, venera e ama Gesù Cristo stesso.

Lo zelo

Libero così il sacerdote cattolico dai due principali legami che lo potrebbero tenere troppo avvinto alla terra, i legami di una propria famiglia e i legami del proprio interesse, sarà più atto ad essere infiammato da quel celeste fuoco che erompe dai penetrali del Cuor di Gesù e non cerca che di apprendersi a cuori apostolici per incendiare tutta la terra: il fuoco dello zelo ( Lc 12,49 ).

Questo zelo per la gloria di Dio e la salute delle anime deve, come si legge di Gesù nella Sacra Scrittura ( Sal 69,10; Gv 2,17 ), divorare il sacerdote, fargli dimenticare se stesso e tutte le cose terrene e spingerlo potentemente a consacrarsi tutto alla sua sublime missione, cercando mezzi sempre più efficaci per compierla sempre più largamente e sempre meglio.

E come può un sacerdote meditare il Vangelo, udire il lamento del buon Pastore: "Ed ho altre pecorelle, che non sono di questo ovile, e anche quelle bisogna che io conduca" ( Gv 10,16 ), vedere "i campi che già biondeggiano per la messe" ( Gv 4,35 ), e non sentirsi accendere in cuore la brama di condurre tali anime al cuore del buon Pastore, non offrirsi al Padrone della messe come operaio indefesso?

Come può un sacerdote vedere tante povere turbe, non solo nelle lontane regioni delle Missioni ma purtroppo anche nei paesi già cristiani da secoli, "giacenti come pecore senza pastore" ( Mt 9,36 ), e non sentire in sé l'eco profonda di quella divina commiserazione che tante volte commosse il Cuore del Figlio di Dio? ( Mt 9,36; Mt 14,14; Mt 15,32; Mc 6,34; Mc 8,2 ).

Un sacerdote, diciamo che sa di possedere la parola di vita e di avere nelle sue mani i mezzi divini di rigenerazione e di salute?

Ma sia lode a Dio, che appunto questa fiamma di zelo apostolico è uno dei più luminosi raggi che brillano in fronte al sacerdozio cattolico, e Noi con cuore ripieno di paterna consolazione vediamo i Nostri Fratelli e i diletti Figli Nostri, i Vescovi e i sacerdoti, come scelta milizia sempre pronti a correre, all'appello del Capo, su tutte le fronti dell'immenso campo, dove si combattono le pacifiche ma pur aspre battaglie della verità contro l'errore, della luce contro le tenebre, del Regno di Dio contro il regno di Satana.

L'obbedienza

Ma da questa stessa condizione del sacerdozio cattolico come di milizia agile e valorosa, ne viene la necessità di uno spirito di disciplina, o diciamo con parola più profondamente cristiana, la necessità dell'obbedienza: di quella obbedienza, che bellamente lega tutti i vari gradi della Gerarchia ecclesiastica, "sicché - come dice il Vescovo nell'ammonire gli ordinandi - la Chiesa santa ne resta circondata, ornata e retta da una varietà certamente magnifica, mentre in essa altri vengono consacrati Pontefici, altri sacerdoti di grado inferiore… formandosi di molti membri di varia dignità un solo corpo di Cristo" .

Quest'obbedienza i sacerdoti promisero al loro Vescovo nell'atto di partire da lui ancora freschi della sacra unzione; quest'obbedienza a loro volta i Vescovi giurarono nel giorno della loro consacrazione al supremo Capo visibile della Chiesa, al Successore di San Pietro, al Vicario di Gesù Cristo.

L'obbedienza adunque leghi sempre più queste varie membra della sacra Gerarchia tra loro e tutte al Capo, rendendo così la Chiesa militante davvero terribile ai nemici di Dio "come esercito schierato" ( Ct 6,3.9 ); l'obbedienza temperi lo zelo forse troppo ardente degli uni, e sproni la debolezza o la fiacchezza degli altri; assegni a ciascuno il suo posto e le sue mansioni, e ciascuno vi si collochi senza resistenze che non farebbero che intralciare l'opera magnifica che svolge la Chiesa nel mondo; ciascuno veda nelle disposizioni dei Superiori gerarchici le disposizioni del vero ed unico Capo, a cui tutti obbediamo, Gesù Cristo Signor Nostro, il quale si è fatto per noi "obbediente fino alla morte, e alla morte di croce" ( Fil 2,8 ).

Difatti il divino Sommo Sacerdote volle che in modo tutto singolare ci fosse manifesta la sua perfettissima obbedienza all'Eterno Padre; e perciò abbondano le testimonianze, sia profetiche sia evangeliche, di questa totale e perfetta soggezione del Figlio di Dio alla volontà del Padre: "Entrando nel mondo dice: Tu non hai voluto sacrifizio né offerta, ma mi hai preparato un corpo… Allora dissi: Ecco io vengo ( poiché di me sta scritto in principio del libro ) per fare, o Dio, la tua volontà" ( Eb10,5-7 ).

"Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato" ( Gv 4,34 ).

Ed anche sulla croce, non volle consegnare l'anima sua nelle mani del Padre prima di avere dichiarato che tutto era compiuto quanto le Sacre Scritture avevano di lui predetto, cioè tutta la missione affidatagli dal Padre, fino a quell'ultimo così profondamente misterioso "Sitio", ch'egli pronunciò "affinché si adempisse la Scrittura" ( Gv 19,28 ); volendo con ciò dimostrare come anche lo zelo più ardente debba sempre essere pienamente sottomesso alla volontà del Padre, cioè sempre regolato dall'obbedienza a chi per noi tiene le veci del Padre e ci trasmette i suoi voleri, ossia ai legittimi Superiori gerarchici.

La scienza

Ma la figura del sacerdote cattolico, che Noi intendiamo mettere in piena luce al cospetto di tutto il mondo, sarebbe incompleta se omettessimo di rilevare un altro importantissimo requisito, che la Chiesa esige in lui: la scienza.

Il sacerdote cattolico è costituito "maestro in Israele" ( Gv 3,10 ) avendo ricevuto da Gesù l'ufficio e la missione di insegnare la verità: "Ammaestrate tutte le genti" ( Mt 28,19 ).

Egli deve insegnare la dottrina della salute, e di quest'insegnamento, a somiglianza dell'Apostolo delle Genti, è debitore "ai sapienti e agli ignoranti" ( Rm 1,14 ).

Ma come la potrà insegnare, se non la possiede?

"Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca ricercheranno la legge" ( Ml 2,7 ), dice lo Spirito Santo in Malachia; e nessuno potrebbe mai dire in commendazione della scienza sacerdotale una parola più grave di quella che un giorno la Sapienza stessa divina ha pronunziato per bocca di Osea: "Perché tu hai rigettato la scienza, rigetterò io te dal ministero di mio sacerdote" ( Os 4,6 ).

Il sacerdote deve pienamente possedere la dottrina della fede e della morale cattolica, deve saperla proporre, deve saper render ragione dei dogmi, delle leggi, del culto della Chiesa, di cui è ministro; deve dissipare l'ignoranza; la quale, non ostante i progressi della scienza profana, ottenebra in fatto di religione le menti di tanti contemporanei.

Non è stato mai tanto opportuno come oggi il monito di Tertulliano: "Questo solo spesso desidera la verità, di non essere cioè condannata senza essere conosciuta" .

È dovere del sacerdote sgombrare dagli intelletti i pregiudizi e gli errori, accumulativi dall'odio degli avversari: all'anima moderna, che ansiosa cerca la verità, egli deve saperla indicare con serena franchezza; alle anime ancor incerte, travagliate dal dubbio, egli deve ispirare coraggio e fiducia e guidarle con tranquilla sicurezza al porto sicuro della fede coscientemente e fortemente abbracciata; agli assalti dell'errore protervo ed ostinato egli deve sapere opporre una resistenza strenua e vigorosa ma calma insieme e solida.

È quindi necessario, Venerabili Fratelli, che il sacerdote, anche in mezzo alle occupazioni assillanti del suo santo ministero e sempre in ordine a quello continui lo studio serio e profondo delle discipline teologiche, aggiungendo al corredo sufficiente di scienza portato seco dal Seminario una sempre più ricca erudizione sacra, che lo renda sempre più idoneo alla sacra predicazione e alla guida delle anime.

Inoltre, per il decoro dell'ufficio che esercita e per guadagnarsi come conviene la fiducia e la stima del popolo, che tanto giovano a rendere più efficace la sua opera pastorale, il sacerdote deve essere fornito di quel patrimonio di dottrina anche non strettamente sacra, che è comune agli uomini colti del suo tempo; deve cioè essere sanamente moderno, com'è la Chiesa, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi e a tutti si adatta, tutte le sane iniziative benedice e promuove e non ha paura dei progressi anche più arditi della scienza, purché sia vera.

In tutti i tempi il clero cattolico si distinse in ogni campo dello scibile umano; in alcuni secoli anzi si spinse talmente all'avanguardia del sapere che chierico divenne sinonimo di dotto.

E la Chiesa, dopo aver custodito e salvato i tesori della cultura antica, che senza di essa e dei suoi monasteri sarebbero andati quasi interamente perduti, ha dimostrato nei suoi più illustri Dottori come tutte le umane cognizioni possano servire ad illustrare e difendere la fede cattolica; del che abbiamo Noi stessi recentemente additato al mondo un esempio luminoso cingendo del nimbo dei Santi e dell'aureola dei Dottori, quel grande Maestro del sommo Aquinate, quell'Alberto Teutonico, che già i suoi contemporanei onoravano del nome di Magno e di Dottore universale.

Ora certamente non si può pretendere che il clero possa avere un simile primato in ogni campo del sapere: il patrimonio scientifico dell'umanità è ormai così vasto, che nessun uomo può abbracciarlo interamente né, molto meno, rendersi insigne in ciascuno dei suoi innumerevoli rami.

Ma, mentre si devono prudentemente incoraggiare e aiutare quei membri del clero che per inclinazione e doti speciali si sentono chiamati ad approfondire e coltivare questa o quella scienza, questa o quell'arte, che non disdica alla loro professione ecclesiastica, perché tutto questo, se si contiene entro i dovuti confini e sotto la direzione della Chiesa, ridonda a decoro della Chiesa stessa e a gloria del divino suo Capo Gesù Cristo; anche tutti gli altri chierici non si devono contentare di quello che forse poteva bastare in altri tempi, ma devono essere in grado di avere, anzi devono avere di fatto, una cultura moderna in confronto dei secoli passati.

Che se talvolta il Signore, "scherzando sulla terra" ( Pr 8,31 ), volle anche in tempi recenti assumere alla dignità sacerdotale ed operare meraviglie di bene per mezzo di uomini sforniti quasi interamente di questo patrimonio di dottrina, di cui parliamo, ciò fu perché tutti impariamo a pregiare, tra le due, più la santità che la scienza, e a non riporre più fiducia nei mezzi umani che nei divini; in altre parole, ciò fu perché il mondo ha bisogno di sentirsi ripetere di tanto in tanto questa salutare lezione pratica: "Le cose stolte del mondo ha scelto Dio, per confondere i sapienti… affinché nessun uomo si dia vanto al cospetto di Lui" ( 1 Cor 1,27.29 ).

Ma, come nell'ordine naturale i miracoli divini sospendono per un momento l'effetto delle leggi fisiche senza abrogarle, così questi uomini, veri miracoli viventi, nei quali la santità eccelsa suppliva a tutto il resto, non tolgono punto la verità e necessità di quanto siamo venuti inculcando.

Questa necessità poi di virtù e di scienza, questa esigenza di esemplarità e di edificazione, di questo "buon odore di Cristo" ( 2 Cor 2,15 ), che il sacerdote deve spargere dappertutto intorno a sé presso quanti l'avvicinano, è oggi tanto maggiormente sentita e resa tanto più evidente e stringente, in quanto che l'Azione Cattolica, questo movimento sì consolante che sa spingere le anime anche verso i più sublimi ideali di perfezione, mette i laici a più frequente contatto e a più intima collaborazione col sacerdote, al quale naturalmente essi non solo si rivolgono come a guida, ma mirano anche come ad esemplare di vita cristiana e di virtù apostoliche.

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