Concilio di Basilea

Indice

Sessione XXIII ( 16 marzo 1436 )

Dell'elezione del sommo pontefice

Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

Poiché un buon pastore è la salvezza del popolo, è giusto che questo santo sinodo cerchi in tutti i modi - almeno per quanto è possibile alla diligenza della legge umana, - che il romano pontefice, che è il primo e più alto pastore del gregge del Signore, sia eletto e continui ad essere tale da provvedere alla salvezza di tutte le anime e all'utilità di tutto il mondo cristiano, e possa degnamente adempiere un ufficio cosi grave.

Perciò questo santo sinodo, rinnovando le costituzioni dei sacri concili e dei sommi pontefici sull'elezione del romano pontefice, ed aggiungendo ad esse alcune norme salutari, stabilisce che ogni qualvolta la sede apostolica divenga vacante, i cardinali della santa romana chiesa, presenti nel luogo dove si deve procedere all'elezione del sommo pontefice, nel decimo giorno della vacanza della sede, si raccolgano tutti in una cappella o in un luogo vicino al conclave.

Di qui, camminando a due a due dietro la Croce, cantando devotamente Vieni Spirito creatore, entrino nel luogo del conclave.

Ciascuno introduca in esso solo due servitori necessari.

Per ordinare le cerimonie si possono ammettere anche due chierici, di cui almeno uno notaio.

Il Camerlengo, poi, insieme con quelli cui è stata affidata la custodia del conclave, faccia in modo che nessuno vi entri, oltre a quelli che abbiamo ricordato.

Egli, poi, dopo l'ingresso dei cardinali, chiuse le porte, entri con gli incaricati, e faccia un diligente sopralluogo alle celle dei cardinali; ed eccettuate le medicine degli infermi e dei deboli, se trova li cose da mangiare o cibi preparati, li faccia rimuovere.

Quindi uscendo e chiudendo la porta del conclave, faccia una guardia severa, ed ogni giorno esamini diligentemente i cibi portati ai cardinali; e non permetta che venga introdotto se non quanto sembra necessario ad un onesto sostentamento, fermi restando nella loro efficacia i decreti di questo sacro concilio promulgati nella quarta e nella settima sessione.26

Il giorno seguente, tutti i cardinali, alla presenza di quelli che sono in conclave, ascoltata la messa dello Spirito santo, ricevano l'eucaristia.

E prima di cominciare lo scrutinio, giurino sui santi evangeli in questa, forma: Io, cardinale tale, giuro e prometto a Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo, e al beato Pietro, principe degli apostoli, di eleggere come pontefice quello che crederò utile alla chiesa universale, sia nello spirituale che nel temporale, e idoneo a tanta dignità; di non dare il voto a chi capirò che verisimilmente cerca di procurarsi l'elezione con la promessa o con la donazione di qualche bene temporale, o con suppliche, presentate da sé o da altri - o in qualunque altra maniera, direttamente o indirettamente.

E giuro di non prestare obbedienza a chi è stato eletto pontefice, prima che questi abbia prestato giuramento secondo la formula del decreto del sacro concilio di Basilea.

Cosi mi aiuti Dio, al quale il giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo giuramento e di tutte le mie opere.

Dopo ciò, ognuno di essi consegnerà la sua scheda, in cui dovranno essere indicati non più di tre nomi; se ne nominasse più di uno, che un nome sia scelto fuori dal collegio cardinalizio.

Non si faccia più di uno scrutinio al giorno. E questo subito dopo la messa.

Lette le schede, se i voti dei due terzi non confluiscono nella stessa persona, siano subito bruciate.

Prima di sei scrutini, non si può fare accesso nei confronti di nessuno.

Durante questo tempo i cardinali considerino attentamente quanto merito o demerito possono acquistare per sé con l'elezione del pontefice, e quanto frutto o quanto danno, quanto bene e quanto male possono fare al popolo cristiano.

E certo che in nessuna cosa si può conseguire la grazia del signore nostro Gesù Cristo o meritare la sua ira, più di quando si tratta di preporre il suo vicario alle sue pecore: quelle pecore che egli ha talmente amato, da degnarsi di morire ( Gv 10,11.15 ) e di soffrire per esse il supplizio della croce.

Della Professione del sommo Pontefice

Questo santo sinodo dispone che chi è stato eletto papa deve esprimere il suo consenso all'elezione fatta nella sua persona, nel modo che segue.

Se egli è presente in curia il consenso sia manifestato ai cardinali, o, se fuori di essa, a qualcuno di essi, o ad altri che ne abbia da essi il mandato, alla presenza di un notaio e di almeno dieci persone.

Se poi egli, comunicatagli l'elezione, dopo esserne stato richiesto non accettasse entro un giorno naturale dall'ora della richiesta, la sua elezione sia considerata come non avvenuta e i cardinali siano tenuti a procedere ad un'altra nel nome del Signore.

Ma espresso, come si diceva, il consenso, i cardinali gli prestino subito la dovuta obbedienza come a sommo pontefice.

Una volta, poi, prestata l'obbedienza dai cardinali, a nessuno sia più lecito dubitare della legittimità del suo pontificato.

Forma del consenso

In nome della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo.

Io N., eletto papa, col cuore e con la bocca confesso e prometto a Dio onnipotente, la cui chiesa col suo aiuto mi accingo a governare, e al beato Pietro, principe degli apostoli, che, fino a che vivrò questa fragile vita, crederò e terrò fermamente la fede cattolica come è stata tramandata dagli apostoli, dai concili generali, e dagli altri santi padri, specialmente dagli otto santi concili universali, e cioè dal primo di Nicea; dal secondo, di Costantinopoli; dal terzo, primo di Efeso; dal quarto, di Calcedonia; dal quinto e sesto, ugualmente di Costantinopoli; dal settimo, di Nicea; dall'ottavo, similmente di Costantinopoli; ed inoltre dal Lateranense da quelli di Lione, di Vienne, di Costanza, e di Basilea, concili generali anch'essi; prometto di conservare intatta questa fede fino all'ultima sillaba, ( Mt 5,18 ) di difenderla e di predicarla fino all'effusione della vita e del sangue; e similmente di seguire in ogni modo e di osservare il rito dei sacramenti della chiesa ad essa trasmesso.

Prometto anche di lavorare fedelmente per la difesa della fede cattolica, per la estirpazione delle eresie e degli errori, per la riforma dei costumi, e per la pace del popolo cristiano.

Giuro anche di attendere alla celebrazione dei concili generali e alla conferma delle elezioni, secondo le prescrizioni del sacro concilio di Basilea.

Ho sottoscritto questa professione di mia mano: la offro a te, con mente sincera, sull'altare, di Dio onnipotente, cui nel giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo e di tutte le mie opere.

Ripeterò solennemente questa professione nel primo concistoro pubblico.

Perché col passare del tempo una cosi salutare prescrizione non venga dimenticata dal sommo pontefice, ogni anno, nel giorno in cui si celebra l'anniversario della sua elezione o della sua incoronazione, durante la messa il primo dei cardinali presenti, pubblicamente, ad alta voce, legga in questo modo dinanzi al sommo pontefice: "Santissimo padre, rifletta la tua santità e consideri attentamente questa promessa che ha fatto a Dio il giorno dell'elezione".

Quindi la legga; e infine dica: "Veda, dunque, la santità tua, per l'onore di Dio, per la salvezza della sua anima, per il bene della chiesa universale, di osservare come meglio può quanto è stato premesso, in buona fede, senza inganno e frode.

Ricordati anche di chi fai le veci in terra: di colui, cioè, che diede la sua vita per le pecore, ( Gv 10,11-15 ) che per tre volte, prima di affidarle a Pietro, gli chiese se lo amasse; ( Gv 21,15-17 ) e che, giusto giudice, cui nessun segreto è nascosto, ( Gb 42,2 ) ti chiederà conto fino all'ultimo centesimo. ( Mt 5,26 )

Ricordati di quanto hanno fatto il beato Pietro e gli altri pontefici che gli successero.

Essi non pensarono ad altro che all'onore di Dio, alla propagazione della fede, al pubblico bene della chiesa, alla salvezza e all'utilità dei loro figli.

E finalmente, ad imitazione del maestro e Signore, non esitarono a dar la vita per le pecore loro affidate.

Non voler accumulare tesori in terra, per te o per i tuoi, dove la tignola e la ruggine li consumano, dove i furfanti e i ladroni scassinano; ma accumula per il cielo. ( Mt 6,19-20 )

Non fare accezione di persone, di sangue, di patria, di nazione. ( Dt 1,17; Dt 16,19; Gc 2,1.9 )

Tutti sono figli di Dio e affidati ugualmente alla tua cura.

E di', come Cristo: Chi farà la volontà del Padre mio, che è nei cieli, quegli è mio fratello, mia sorella, mia madre. ( Mt 12,50; Mc 3,35 )

Nell'assegnare le dignità e i benefici, non considerare la carne, i doni, o altro motivo temporale, ma solo Dio, le virtù e i meriti delle persone.

Nel correggere i difetti, usa la disciplina ecclesiastica, memore di quale grazia meritò Pincas, ( Nm 25,6-8 ) di quale pena meritò Eli, ( 1 Re 3,11-14 ) l'uno riparando le ingiurie fatte a Dio, l'altro fingendo di non vedere.

Difendi; aiuta e sostieni i poveri e i miseri.

Usa con tutti una paterna carità".

Terminate le solennità dell'incoronazione - e poi ogni anno dopo l'anniversario dell'incoronazione - almeno per otto giorni di seguito il sommo pontefice studi attentamente con i cardinali quale sia il modo migliore per mettere in pratica quello che con tanta solennità ha promesso a Dio.

E per prima cosa esamini con attenzione in quale parte del mondo la religione cristiana sia perseguitata dai Turchi, dai Saraceni, dai Tartari, e dagli altri infedeli; in quale regione prosperi l'eresia, lo scisma o qualsiasi altra specie di superstizione; in quali province i costumi, l'osservanza dei divini comandamenti e il retto modo di vivere vadano peggiorando, sia nel campo ecclesiastico che in quello secolare; ove, inoltre, la libertà della chiesa viene conculcata; tra quali re, principi e popoli imperversino gli odi, le guerre, o i pericoli di guerre.

E dovunque come padre pietoso, cerchi di provvedere diligentemente, assieme ai suoi fratelli, con opportuni rimedi.

Provveduto a questi affari di carattere più universale ponga mano a ciò che gli è più vicino; e cominci ad ordinare in modo esemplare la casa, la servitù, la curia romana, dove e come riterrà necessario, e a riformarle sul serio, di modo che dalla sapiente riforma di quella che è la prima di tutte le altre chiese, le altre, che sono minori, sappiano attingere la purezza dei costumi, e non si dia ad alcuno occasione di calunnia e di maldicenza.

Cercando, quindi, di vigilare attentissimamente e di far vigilare sui grandi e sui piccoli, non tardi a correggere tutto ciò che egli troverà degno di correzione, e non lo dissimili, ben sapendo che doppio è il peccato: uno, quello che li si commette; l'altro, assai più grave, quello che ne consegue.

Qualsiasi cosa, infatti, si compie nella curia romana facilmente viene preso come esempio.

Di conseguenza, se languisce il capo, il male invade tutto il resto del corpo.

La casa del pontefice, invece, e la curia devono essere come uno specchio terso; e gli altri, guardandolo, devono potersi conformare ad esso e vivere secondo il suo esempio.

Disperda, perciò, e sradichi del tutto da esse qualsiasi macchia di simonia, qualsiasi indegno concubinato, e qualsiasi cosa che possa offendere Dio o scandalizzare gli uomini.

Curi che i suoi impiegati non amministrino male i loro uffici; che non gravino nessuno, che non estorcano nulla abusando del loro potere o illecitamente; e che i capi degli officiali non permettono che le loro mancanze restino impunite.

Non permettono neppure che qualcuno usi vesti e colori proibiti dai sacri canoni.

Istruisca con cura il clero romano, che gli è particolarmente e immediatamente soggetto, in ogni virtù ecclesiastica, ammonendolo che Dio non si compiace delle pompe dei vestiti, ma dell'umiltà, della dignità, della purezza della mente, della semplicità del cuore, della santità dei costumi, e dell'ornamento delle altre virtù: queste raccomandano chi le ha a Dio e agli uomini.

Riformi, inoltre il culto divino nelle chiese di Roma perché venga esercitato con la venerazione e disciplina che si conviene.

Insegni, istruisca, diriga il popolo di Roma, che è la sua parrocchia per la via della salvezza.

Imponga ai cardinali che visitino e riformino i loro titoli e le loro parrocchie, come è dovere del loro ufficio.

Costituisca vicario in Roma un prelato di grande scienza, di vita provata ed esemplare, il quale eserciti la cura di vescovo in sua vece verso il clero e il popolo.

E si informi spesso se questi attende diligentemente al suo ufficio.

Dopo di ciò attenda con cura, insieme ai suoi fratelli cardinali agli affari temporali della chiesa romana, provveda perché le province, le città, i paesi, i castelli, le terre soggette alla stessa chiesa, siano governati nella giustizia e nella pace; cioè con tale moderazione, che tra il governo degli ecclesiastici e quello dei principi secolari vi sia la stessa differenza che vi è tra il padre e il padrone.

Non abbia di mira il guadagno, ma la protezione e la tutela; e scaldando tutti con la paterna carità, li consideri non tanto sudditi, quanto figli.

E poiché ha la loro cura spirituale, cerchi di togliere di mezzo ogni odio di parte e le sedizioni, specie dei guelfi e dei ghibellini, e qualsiasi altro nome simile a questi, che uccide le anime e i corpi; e con ogni industria cerchi di conservarli tutti, unanimemente, a difesa della chiesa, eliminando, con pene spirituali e temporali, e con tutti i modi a sua disposizione, ogni causa di dissenso.

A governare le province e le città principali destini i cardinali, o prelati di fama integra ed incorrotta, che non siano avidi di denaro, ma che attendano a procurare la giustizia e la pace ai loro sudditi.

Il loro incarico duri due anni, o, al massimo, tre.

E poiché è normale che ciascuno renda conto della sua amministrazione, ( Lc 16,2 ) vengano scelte, alla fine di ogni legazione, una o due persone ragguardevoli che ascoltino la relazione dell'amministrazione, le lamentele e le richieste dei cittadini e facciano giustizia.

Quello che esse non possono fare, lo riferiscano al papa, il quale deve in ogni modo conoscere ciò che è stato fatto: e se risulterà che essi hanno agito illecitamente in qualche cosa, non li lasci impuniti in modo che i loro successori imparino dal loro esempio a guardarsi da quanto non è lecito.

Perché gli officiali non debbano appropriarsi di ciò che è illecito, si stabilisca per essi un giusto salario, con cui possano vivere onestamente.

Si informi spesso il sommo pontefice sul governo dei legati, dei governatori e dei commissari, nonché dei vicari e dei feudatari della chiesa romana e se per caso non gravino i sudditi di nuove tasse ed esazioni.

E non tolleri severità o ingiusti pesi imposti ai sudditi; sarebbe, infatti, empio tollerare che quelli che il papa da sé governerebbe paternamente, siano trattati malamente dagli altri.

Procuri anche che le antiche disposizione e costituzioni, con cui le province e le terre sono governate con buoni effetti, vengano conservate fedelmente.

E se vi fossero leggi emanate in seguito per invidia o per partigianeria, conosciuto il motivo, vengano riviste e riformate.

Entro un anno dal giorno della sua elezione il Romano pontefice convochi gli ambasciatori o procuratori delle province e delle principali città della chiesa romana e mostrando loro l'affetto di un amore paterno, si informi sullo stato e sulla condizione delle loro terre; come fossero trattati all'epoca del suo predecessore; se siano gravati da qualche ingiusto peso; e veda che cosa si possa fare perché il loro governo sia salutare.

E finalmente apporti in ogni cosa i rimedi necessari.

E non gli dispiaccia di ripetere tutto ciò almeno di biennio in biennio.

Tra le altre cose, poi, che i feudatari, i capitani, i governatori, i senatori, i castellani e gli altri più alti officiali di Roma e dei territori della chiesa devono giurare, vi sia anche questa: che giurino, cioè, nella loro assunzione, che durante la sede vacante essi reggeranno le città, le terre, i luoghi, le fortezze, i castelli e i popoli secondo gli ordini dei cardinali, a nome della chiesa romana, e che li riconsegneranno liberamente e senza alcuna opposizione.

Perché, inoltre, il sommo pontefice non sembri esser mosso da affetto umano, più che dal giudizio della ragione, e perché si possano evitare gli scandali che, per quanto si può dedurre dall'esperienza, spesso ne sono seguiti, in avvenire non nomini e non permetta che qualche suo consanguineo od affine, fino al terzo grado incluso sia duca, marchese, conte, feudatario, enfiteuta, vicario, governatore, officiale, castellano di qualche provincia, città, paese, castello, fortilizio, o luogo della chiesa romana, e che abbia giurisdizione e autorità su questi luoghi, o sia capitano, o duce di gente d'armi.

Gli stessi cardinali, se il sommo pontefice volesse fare diversamente, non consentano in nessuna maniera.

E facciano in modo che il pontefice successivo riveda completamente e revochi ciò che fosse stato fatto diversamente.

Secondo la costituzione di papa Nicolò IV, questo santo sinodo stabilisce che ai cardinali della santa chiesa romana sia destinata metà di tutti i frutti, redditi, proventi, multe, condanne e tasse, che provengono da qualsiasi terra e luogo soggetto alla chiesa romana; e che la scelta e la destituzione di tutti i reggitori, dei governatori e dei custodi, comunque essi si chiamino, che presiederanno alle terre e ai luoghi suddetti, ed anche di quelli che raccoglieranno i frutti, debbano esser fatte col consiglio e col consenso degli stessi cardinali.

Questo santo sinodo ammonisce, quindi, i cardinali per ché proteggano le terre e i sudditi della chiesa romana dalle ingiustizie e dalle oppressioni e, avendo di mira la pace, la salvezza e il loro buon governo, li mettano in buona luce, se fosse necessario, presso il sommo pontefice.

Se, poi, il sommo pontefice e i cardinali devono avere una grande cura di tutte le terre della chiesa romana, tuttavia hanno il dovere di rivolgere sollecitamente le loro cure alla città di Roma e nutrire verso di essa un amore ed un affetto particolare: è, infatti, la loro figlia particolare e la loro principale parrocchia, nella quale riposano i corpi sacri dei beati Pietro e Paolo e di innumerevoli martiri di Cristo e dei santi; dov'è la sede del romano pontefice, e da dove egli stesso e l'impero romano regnano; e nella quale confluiscono per devozione tutti i cristiani, perché sia governata nella pace, nella tranquillità e nella giustizia, e non debba soffrire danno nelle sue chiese, nelle sue mura, nelle sue vie, e nella sicurezza delle strade.

Perciò questo santo sinodo stabilisce che una parte adeguata di tutti i redditi e proventi di Roma venga destinata alla conservazione delle chiese, delle mura, delle vie, dei ponti, della sicurezza delle strade della stessa Roma e del suo distretto.

Ciò venga fatto per mezzo di uomini di nota fama, da scegliersi col consiglio dei cardinali.

Dato che il sommo pontefice si professa servo dei servi di Dio, lo dimostri con le opere.

E dal momento che da ogni parte la gente viene a lui come al padre comune, egli consenta che tutti possano facilmente recarsi da lui.

Stabilisca, quindi, almeno un giorno alla settimana per l'udienza pubblica nella quale possa ascoltare pazientemente e benignamente tutti, specie i poveri e gli oppressi e, per quanto gli è possibile in coscienza li accontenti, e, come padre coi figli, provveda benevolmente a tutti col consiglio e con l'aiuto, secondo le loro necessità e conforme alle sue possibilità.

Se ne fosse impedito da qualche materiale necessità, ne affidi l'incarico a qualche cardinale o ad altra degna persona, che gli riferisca ogni cosa; e comandi a tutti gli officiali della curia, specialmente al vice cancelliere, al penitenziere e al camerlengo di sbrigare le cose dei poveri subito e gratis, memore della carità apostolica, per cui Pietro e Paolo si diedero la destra, perché si ricordassero dei poveri. ( Gal 2,9-10 )

Nelle domeniche e nei giorni festivi celebri pubblicamente la messa, dopo la quale per qualche tempo dia udienza ai bisognosi.

Ogni settimana, o almeno due volte al mese, tenga pubblici concistori, in cui tratti i problemi delle chiese cattedrali e dei monasteri, ovvero dei principi e delle università, ed altre cose d'importanza.

Rimetta le liti e le cause minori al vice cancelliere.

Egli, quanto più può, resti estraneo dai litigi e dalle questioni di minore importanza, perché possa attendere più liberamente a quelle più gravi.

Poiché i cardinali della santa chiesa romana sono ritenuti parte del corpo del romano pontefice, è utilissimo per la cristianità che, secondo l'antica consuetudine, le questioni più gravi e più difficili, in futuro siano risolte col loro consiglio, sotto la loro direzione, e dopo matura deliberazione, specie per quanto riguarda le decisioni delle cause della fede, le canonizzazioni dei santi, le elezioni, le soppressioni, le divisioni, le soggezioni, le unioni delle chiese cattedrali e dei monasteri, le promozioni di cardinali, le conferme e le provviste delle chiese cattedrali e dei monasteri, le privazioni e i trasferimenti degli abati, dei vescovi e dei loro superiori, le leggi, o costituzioni, le legazioni de latere, ossia le nomine dei vicari e dei nunzi con autorità di legati de latere, la fondazione di nuove istituzioni religiose, le nuove esenzioni alle chiese e ai monasteri o alle cappelle, o le revocazioni di quelle già fatte loro, salvo il decreto del concilio di Costanza sul non doversi trasferire i prelati contro la loro volontà.

Numero e qualità dei cardinali

Poiché i cardinali della santa chiesa romana affiancano il sommo pontefice nel governo della chiesa, bisogna che siano di tale virtù, da esser davvero, come indica il loro nome, cardini, sui quali girino e poggino le porte della chiesa universale.

Stabilisce, quindi, il santo sinodo, che in futuro il loro numero sia talmente limitato, da non esser di aggravio alla chiesa ( la quale al presente, per i tempi tristi che corrono, è afflitta da molti mali ), e da non svilire la loro dignità con un numero eccessivo.

Siano scelti da tutte le regioni della cristianità, per quanto è possibile, perché si possa avere più facilmente la conoscenza dei problemi che emergono nella chiesa, e si, possa provvedere ad essi in modo più maturo; perciò tra quelli esistenti e quelli da nominarsi non superino il numero di ventiquattro, e di una nazione non ve ne possano essere oltre un terzo di quelli esistenti in un dato momento, e da una città e diocesi non ne possa provenire più di uno, e non se ne crei di quella nazione che ora superasse il terzo sin che non siano ridotti a questa proporzione.

Siano uomini che spiccano per la loro scienza, per i loro costumi, per l'esperienza delle cose; non abbiano meno di trenta anni; siano maestri, dottori o licenziati con rigoroso esame nel diritto divino o umano.

Almeno la terza o quarta parte di essi sia costituita da maestri o licenziati in sacra Scrittura.

Tra questi ventiquattro potranno esservi - ma in numero limitatissimo - alcuni figli, fratelli o nipoti di re o di grandi principi, che con l'esperienza e la maturità dei costumi abbiano anche la dovuta cultura nelle lettere.

Non siano creati cardinali i nipoti del romano pontefice, figli di fratelli o di sorella, o i nipoti di qualche cardinale vivente; non quelli nati illegittimamente; non gli imperfetti nel corpo, o macchiati per qualche delitto o per infamia.

A questo numero di ventiquattro, per una grande necessità o in vista di una grande utilità per la chiesa, potranno essere aggiunti altri due nei quali brilla la santità della vita o eminenti virtù, anche se non avessero i gradi richiesti ed anche alcuni insigni Greci, quando si saranno uniti alla chiesa romana.

L'elezione dei cardinali non sia fatta con voto orale, ma siano eletti solo quelli su cui, fatto un vero scrutinio pubblico, risulti essersi trovata d'accordo la maggioranza dei cardinali con firma fatta di propria mano.

Vengano redatte anche, poi, le lettere apostoliche, firmate dai cardinali, restando sempre fermo, naturalmente, in tutto il suo vigore, il decreto di questo sacro concilio, pubblicato solennemente nella quarta sessione.40

Quando i cardinali riceveranno le insegne della loro dignità, il cui significato è che essi non devono temere di versare, se necessario, il proprio sangue per il bene della chiesa universale - giureranno in pubblico concistoro, se sono in curia; se fossero assenti, giureranno pubblicamente nelle mani di un vescovo, a cui sia stato conferito l'incarico con lettere apostoliche, nelle quali sia inclusa la formula del Giuramento.

Delle elezioni

Da tempo questo santo sinodo, abolita la generale riserva di tutte le chiese e dignità, elettive, stabilì provvidamente che alle chiese e dignità suddette si dovesse provvedere con elezioni canoniche e con le conferme.

Con ciò voleva proibire anche le riserve speciali o particolari delle stesse chiese e elettive, con cui si potesse impedire la libera facoltà, in esse, di eleggere e di confermare, e che il romano pontefice non facesse nulla contro questo decreto, a meno che vi fosse un motivo grave, ragionevole e chiaro, da esprimersi chiaramente nelle lettere apostoliche.

Poiché tuttavia molte cose sono state compiute senza questo giusto motivo contro l'intenzione del decreto, e con gravi conseguenze, - e si temono scandali sempre più gravi - questo santo sinodo volendo ovviare a ciò, e non volendo, d'altra parte, che l'intenzione del decreto - che fu quella di togliere qualsiasi ostacolo dalle elezioni e dalle conferme canoniche - venga frustrata nel suo effetto, stabilisce che le elezioni in queste chiese avvengano senza impedimento od ostacolo, e che esse, dopo averne esaminato lo svolgimento secondo il diritto comune e il decreto suddetto, vengano confermate.

Tuttavia se avvenisse qualche volta che si facesse una elezione, pur canonica sotto altri aspetti, ma che si teme possa portare a qualche disordine per la chiesa, per la patria, o per il bene pubblico, quando sarà deferita a lui la conferma, il sommo pontefice ove costasse che vi è tale urgentissima ragione, dopo averla discussa ed aver ottenuto il consenso scritto dei cardinali o della maggioranza di essi, che dichiarano che la causa è vera e sufficiente, respinta tale elezione, la rimetta al capitolo o al convento perché, entro il tempo stabilito dal diritto, o entro un altro termine a seconda della distanza del luogo, procedano ad altra elezione, da cui non si prevedano tali conseguenze.

Delle riserve

Poiché le molte riserve di chiese e di benefici fatte finora dai sommi pontefici sono riuscite di non piccolo peso per le chiese, questo santo sinodo le abolisce tutte, sia quelle generali che quelle speciali o particolari, - per qualsiasi chiesa e beneficio cui si è soliti provvedere con l'elezione, col conferimento o con altra disposizione, - introdotte sia con le estravaganti Ad regimen, ed Exsecrabilis, che con le regole della cancelleria, o con altre costituzioni apostoliche.

Stabilisce, inoltre, che in futuro tali riserve non vengano assolutamente più fatte, eccetto solo quelle contenute espressamente nel diritto, e quelle relative ai territori direttamente o indirettamente soggetti alla chiesa Romana.

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26 Il decreto della IV sessione disponeva che in caso di vacanza durante il concilio il conclave si tenesse a Basilea; Il decreto della VII sessione precisava che il consueto termine di dice era elevato per tale occasione a sessanta giorni
40 Tale decreto impegnava il papa a non creare nuovi cardinali durante la celebrazione del concilio