Presbyterorum ordinis

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Peculiari esigenze spirituali nella vita dei presbiteri

17 La povertà

Grazie ai rapporti d'amicizia e di fraternità fra di loro e con gli altri uomini, i presbiteri sono in grado di imparare ad avere stima per i valori umani e ad apprezzare i beni creati come doni di Dio.

Vivendo in mezzo al mondo devono però avere sempre presente che, come ha detto il Signore nostro Maestro, essi non appartengono al mondo. ( Gv 17,14-16 )

Perciò, usando del mondo come se non se usassero ( 1 Cor 7,31 ) possono giungere a quella libertà che riscatta da ogni disordinata preoccupazione e rende docili all'ascolto della voce di Dio nella vita di tutti i giorni.

Da questa libertà e docilità nasce il discernimento spirituale, che consente di mettersi nel giusto rapporto con il mondo e le realtà terrene.

Tale rapporto è estremamente importante nel caso dei presbiteri, dato che la missione della Chiesa si svolge in mezzo al mondo e i beni creati sono del tutto necessari per lo sviluppo personale dell'uomo.

Siano perciò riconoscenti per tutte le cose che concede loro il Padre perché possano ben condurre la loro esistenza.

È però indispensabile che sappiano esaminare attentamente alla luce della fede tutto ciò che si trova sul loro cammino, in modo da sentirsi spinti a usare rettamente dei beni in conformità con la volontà di Dio, respingendo quanto possa nuocere alla loro missione.

I sacerdoti infatti, dato che il Signore è la loro « parte ed eredità » ( Nm 18,20 ), debbono usare dei beni temporali solo per quei fini ai quali essi possono essere destinati d'accordo con la dottrina di Cristo Signore e gli ordinamenti della Chiesa.

Quanto ai beni ecclesiastici propriamente detti, i sacerdoti devono amministrarli come esige la natura stessa di tali cose, a norma delle leggi ecclesiastiche, e possibilmente con l'aiuto di competenti laici; devono sempre impiegarli per quegli scopi che giustificano l'esistenza di beni temporali della Chiesa, vale a dire: l'organizzazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere di apostolato e di carità, specialmente in favore dei poveri.45

Quanto poi ai beni che si procurano in occasione dell'esercizio di qualche ufficio ecclesiastico, i presbiteri, come pure i vescovi, salvi restando eventuali diritti particolari46 devono impiegarli anzitutto per il proprio onesto mantenimento e per l'assolvimento dei doveri del proprio stato; il rimanente potrà essere destinato per il bene della Chiesa e per le opere di carità.

Non trattino dunque l'ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né impieghino il reddito che ne deriva per aumentare il proprio patrimonio personale.47

I sacerdoti, quindi, senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze ( Sal 62,11 ) debbono evitare ogni bramosia ed astenersi da qualsiasi tipo di commercio.

Anzi, essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo più evidente ed essere più disponibili per il sacro ministero.

Cristo infatti da ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi. ( 2 Cor 8,9 )

Gli apostoli, dal canto loro, hanno testimoniato con l'esempio personale che il dono di Dio, che è gratuito, va trasmesso gratuitamente ( At 8,18-25 ) e hanno saputo abituarsi tanto all'abbondanza come alla miseria. ( Fil 4,12 )

Ma anche un certo uso comune delle cose - sul modello di quella comunità di beni che vanta la storia della Chiesa primitiva - contribuisce in misura notevolissima a spianare la via alla carità pastorale; inoltre, con questo tenore di vita i presbiteri possono mettere lodevolmente in pratica lo spirito di povertà raccomandato da Cristo. ( At 2,42-47 )

Mossi perciò dallo Spirito del Signore, che consacrò il Salvatore con l'unzione e lo mandò ad evangelizzare i poveri ( Lc 4,18 ) i presbiteri - come pure i vescovi - cerchino di evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore vedano di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità.

Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, trovarsi a disagio in essa.

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45 Conc. Antioch., can. 25: Mansi 2, 1327-1328;
Decretum Gratiani, c. 23, C. 12, q. 1: ed. Friedberg I, pp. 684-685
46 Ciò va inteso soprattutto in rapporto agli usi e alle consuetudini vigenti nelle Chiese Orientali
47 Conc. di Parigi, a. 829,can. 15. MGH, Legum sectio III, Concilia t. 2, p. 6, 622;
Conc. Trid., Sess. XXV, Decr. de reform., cap. 1