Un apostolo di Gesù Crocifisso

Il Santo

I contrasti e le contraddizioni che il Servo di Dio ebbe a subire per la questione della Casa di Carità ci danno modo di parlare di alcune sue virtù che finora non abbiamo avuto occasione di mettere in completa luce.

L'atteggiamento che egli tenne durante le discussioni sul nome da porre alla scuola professionale e sui mezzi per attuarla lo dimostrano molto fermo, rettilineo, tenace, incurante delle contraddizioni, e alle volte minaccioso.

È la fortezza dei santi, che avendo una missione da compiere per volontà di Dio, non badano agli uomini e alle loro prudenze, ma solo cercano di farla trionfare.

La fortezza di F. Leopoldo è proprio questa, quindi tranquilla, perché sicuro che il fine sarà raggiunto.

Le offese avute non servirono che a purificare la sua anima e a raffinarla fino alla morte.

Non era la prima volta che F. Leopoldo provava contraddizioni nella sua attività di bene.

Ne ebbe altre e si possono ricordare il fatto del Collegio del Pozzo a Vercelli e le opposizioni avute a Terruggia, come abbiamo già narrato.

Ma oltre a queste prove che appaiono e colpiscono di più, vi furono quelle giornaliere, meno note, ma irritanti e noiose come piccole punture di aghi che mettono a dura prova la virtù di un uomo.

Ora come abbiamo visto sereno e forte il Servo di Dio nelle cose grandi così lo vediamo nelle piccole e giornaliere.

« Non lo vidi mai in collera, dice il giardiniere del castello di Viale, Emilio Navone, ma accettava con serenità e rassegnazione le avversità della vita ed era sempre di buon umore ».

« Sempre sereno di fronte alle croci e alle avversità », dice un altro teste, che conobbe da vicino il Servo di Dio, il cav. Luigi Vacca.

Nel ventennio che abitò a S. Tommaso nessuno lo vide mai alterato sì che i motivi non mancavano.

Un giorno mentre stava in cucina attento a non lasciar che il fuoco rovinasse quanto stava cuocendo, entra il Superiore e gli chiede qualcosa.

Non potendo immediatamente servirlo, senza danneggiare quanto teneva nelle mani. si senti ripetere bruscamente l'ordine con delle parole pungenti e poco delicate tanto che un signore presente si senti in dovere di prendere le parti del cuoco.

Il Superiore tacque e fu servito; ma appena uscito, F. Leopoldo riprese dolcemente quel signore dicendogli: «So che Lei mi vuoi bene e per questo ha voluto prendere le mie parti, ma ha torto a sgridare il mio Superiore; egli aveva ragione di rimproverarmi perché non fui pronto a servirlo.

Egli sembra burbero, ma è molto buono ».42

Quando era già molto malato di cuore e non poteva attendere con l'antica energia ai suoi lavori non fu subito compreso, e spesso ricevette rimproveri come di negligente, di scansa fatiche; spesso non glielo si diceva apertamente, ma veniva a sapere da altri quanto era stato detto e quei giudizi ingiusti e offensivi avrebbero in altri meno santi di lui prodotto almeno una reazione di difesa più che legittima.

Invece mai egli elevò un lamento o si dimostrò di cattivo umore.

Anzi scusava sempre e trovava una parola buona per spiegare le azioni e i giudizi a lui sfavorevoli.

« In diciassette anni che io fui con lui a contatto continuo, dice Sebastiano Ellena, suo aiutante di cucina, ne sentii tante e ne vidi tante di cose di questo genere, ma mai che abbia visto una volta F. Leopoldo lagnarsi o dire parola contro chi gli mancava di riguardo o sparlava di lui.

Continuava col solito sorriso caratteristico in lui a occuparsi dei suoi doveri e se qualcuno voleva prendere le sue difese, ecco subito spiegare che chi aveva detto quelle cose lo aveva fatto per fin di bene e che era lui che aveva mancato ».

"A cercare di scuotere quella serenità e imperturbabilità intervenne pure il demonio, che alle volte lo veniva a tormentare anche in cucina, come confessò egli stesso al medesimo Ellena.

Un giorno mentre pregava, in sua cella, il demonio lo scosse e percosse fortemente ed egli per liberarsi diede di mano alla disciplina, si flagellò e fu libero.43

Un sacerdote che lo conobbe intimamente dice: « All'Inizio della vita religiosa il demonio visibilmente lo tormentava ».

In simili casi ricorreva alla preghiera e alla penitenza.44

Come era forte nel sopportare i dolori morali così lo era in quelli fisici.

Nella cucina sotterranea dei Conti di Chiusano in via Bogino 12 in Torino F. Leopoldo aveva preso dei reumi che lo facevano soffrire molto, ma non tralasciò mal i suoi doveri; continuò a lavorare come prima senza lagnarsi, facendo sforzi visibili.

Ecco ancora una testimonianza di uno che lo conobbe in tutta la sua vita religiosa: « Non vidi mai F. Leopoldo in collera, ma sapeva comandare a se stesso frenando i movimenti dell'ira, nei momenti di contraddizione.

Sopportava con la pazienza dei santi le tribolazioni della vita e le punture delle lingue poco benevoli.

Con uno sguardo al cielo e un sorriso sfiorante sul labbro ripeteva: Tutto per Te, o Signore ».45

Vi fu anche chi lo credette un fatuo o quasi, un povero visionario illuso e di lui parlava in tale senso.

Ne si accontentò di ciò, ma volle burlarsi di lui con uno scherzo indegno.

Era quasi di casa a S. Tommaso costui, conversava spesso con F. Leopoldo; godeva buona fama di oratore e anche di scrittore di articoli e di opuscoletti.

Sappiamo già che il Servo di Dio aveva una grande venerazione e rispetto verso i Sacerdoti.

Un giorno ecco che con grande serietà quel sacerdote narra a F. Leopoldo di visioni avute e che prima aveva ben concertate; gli chiede consigli ecc.

Il servo di Dio, ben lontano dal supporre di trovarsi davanti ad un burlone ( poteva immaginarlo in uno che gli parlava seriamente anche subito dopo celebrata la Messa? ) dapprima gli credette.

Quando si accorse fu dolore grande per lui, non tanto per l'offesa personale fattagli, quanto per l'atto in se stesso, che in conclusione era un'offesa a Dio.

Non si lagnò, non parlò, non gli mancò di rispetto mai; lo trattò con la stessa gentilezza e cordialità di prima: solo non diede più retta alle sue sciocchezze e fece capire così, che non soltanto non era un fatuo, ma sapeva agire da santo.46

Vi fu pure un altro, che con lui dimorò a S. Tommaso qualche anno e che mise a dura prova la sua virtù.

Non solo costui non credeva a speciale santità del Servo di Dio ( lo sappiamo già che essa era ignorata dai più ), ma lo trattava duramente e non gli risparmiava parole pungenti e sprezzanti: lo stimava e lo indicava come uno sciocco e glielo faceva capire senza alcuna delicatezza.

Certe scene spiacevano anche ad altri religiosi e uno di questi narra che fu edificato dal contegno umile e dalla sorridente calma con cui il Servo di Dio accettava le umiliazioni.

Anzi, avendo alle volte cercato di confortarlo, lo sentì soltanto dire: « Bisogna che noi preghiamo per lui ».

E pregava davvero, dimostrando una sollecitudine speciale.

Con l'intuizione propria dei santi vedeva forse il futuro? oppure certe cose presenti gli facevano temere l'avvenire?

Comunque, il Servo di Dio seppe sopportare con pazienza ammirabile anche tale prova, rispondendo con la sua preghiera alle offesa, al dileggio di chi lo credeva solo un povero illuso e forse il dileggiatore deve proprio alle preghiere del santo cuoco se le vicende della sua vita non furono peggiori di quelle che sono state.

Diversamente si diportava quando si trattava dell'onor di Dio e della verità.

Ricorderemo solo il suo atteggiamento nella questione del nome di Casa di Carità per la scuola di Arti e Mestieri e del fondamenti sul quali doveva erigersi.

Lo abbiamo già fatto notare più sopra; ma vi è ancora un fatto caratteristico da osservare.

Oltre quelli che lo perseguitavano e ne parlavano con disprezzo, vi furono anche di quelli che gli proponevano di usare nel difendere le sue vedute sulla Casa di Carità un linguaggio meno schietto, meno assoluto, ma in realtà era una ritrattazione che si trattasse della volontà divina.

Nel suo diario vi è il seguente episodio molto istruttivo al riguardo: « La sera del 29 marzo alle ore 6.30 il mio buon P. Guardiano, P. Vittorio Delaurenti da Feletto mi chiamò a se e mi disse: Dica un po', alcuni vanno sparlando di Lei e avrei bisogno di sapere come sono queste cose, per poterlo nel caso difendere.

È vero che Lei vuole dare il nome di Carità Arti e Mestieri alle scuole dirette dai Fratelli delle Scuole Cristiani?

Ma, P. Guardiano, io non ho che eseguito il volere di Dio Gesù Crocifisso.

Ma Lei poteva dirlo in modo senza dire che è nostro Signore.

Ma, P. Guardiano, se è così! ... è la volontà di Dio! »

Questo dialogo il Servo di Dio lo riporta senza alcun commento né altra spiegazione.

Il Guardiano non faceva che consigliargli quanto avevano proposto altri.

Ma nessuno riuscì a smuoverlo né si poté mai indurlo a smentirsi.47

Qui non era più la sua persona che era in discussione, ma la parola di Dio.

Confrontando quanto oggi vediamo con la condizione in cui si trovava allora F. Leopoldo, perseguitato, proibito di ricevere persone, abbandonato da tutti, possiamo valutare meglio la sua fortezza.

Quella costanza nell'affermare e sostenere il nome e la natura della Casa di Carità non era ostinazione caparbia, ma lotta per la verità e per l'onore della parola di Dio, sicurezza che nonostante le opposizioni della prudenza umana, quanto egli annunziava come portavoce di Dio avrebbe trionfato, come trionfò.

Quasi non bastassero i dolori a lui procurati dagli uomini e dal demonio F. Leopoldo pensava a procurarsi da sé mortificazioni e penitenze.

Non era forte di salute, per quanto fosse sano.

Di costituzione era piuttosto delicato, ma penitenze continue seppe escogitare nella sua vita.

Farcissimo nel cibo, che spesso si riduceva a ben poca cosa e alle volte saltava completamente il pasto.

Abbiamo già detto che si disciplinava sovente per vincere il demonio.

La cura che metteva per nascondere questi atti di virtù ci impediscono di conoscerne la qualità e la quantità; solo poco è trapelato, ma sufficiente per affermare che fu eroico anche in questa virtù.

Una vera eccezione il fatto che lasciò scritto nel suo diario.

È evidente lo sforzo per ricordare non una sua virtù, ma i benefici ricevuti da Maria SS. come pure è evidente la perizia e la delicatezza onde evitare anche la minima ombra di offesa alla carità.

Ecco il racconto edificante: « Il giorno 23 dicembre ( 1908 ) verso sera la febbre mi sorprende e tenni il letto, giovedì e venerdì 25 dello stesso mese, giorno del SS. Natale, e noi Religiosi Francescani essendo al venerdì obbligati al digiuno secondo la nostra santa Regola, alle ore 1,30 dopo mezzogiorno mi portarono per cibo un po' di polenta fredda condita col sale, che mangiai con gusto, e un po' di vino annacquato, pensando a Gesù Bambino che nella notte antecedente era nato ...

Appeso al mio letto tengo un'Immagine di nostra Signora, nella quale nutro grande fiducia e devozione la quale mi disse in cuor mio: Mangia figlio mio, che tu sei uno dei più fortunati.

Lascio al devoto lettore pensare quanto amabili questi incoraggiamenti al bene e alla virtù; essere incoraggiato dalla Divina Madre del Salvatore, la delizia degli Angeli ».

Al racconto egli non fa seguire alcuna osservazione o commento e seguendo il suo esempio non ne faremo neppur noi.

Il silenzio che egli tenne sempre intorno a questa virtù della mortificazione se ci impedisce la conoscenza di altri episodi del genere, mette in vista e in piena luce quella dell'umiltà.

Essa sovrasta tutti gli atti della sua vita e ci rende sommamente simpatica la figura di F. Leopoldo.

A quale altezza di perfezione lo ha condotto l'umiltà, base e fondamento della santità!

Egli toccò le vette della perfezione dei santi, entrò nella più alta mistica senza tarsi accorgerò dagli uomini.

Egli parlava familiarmente già con Dio, aveva rivelazioni, faceva profezie, otteneva grazie con le sue preghiere; aveva divine carezze dalla Madre di Dio, quando ancora era tenuto come un fatuo o un visionario da alcuni, ignorato da chi gli stava vicino.

Lui solo conosceva e godeva la grande predilezione che Dio gli concedeva e fu allora che col cuore pieno di gioia e di amore scriveva nel suo diario: « Chi sono lo, o buon Gesù, per usarmi tante finezze? ...

Io mi veggo solamente un vermiciattolo della terra ».

Sono parole comuni tra i Santi, perché essi, meglio che non gli imperfetti, conoscono la distanza che li separa dalla perfezione di Colui che solo poteva gettare la sfida: « Quis ex vobis arguet me de peccato? ».

Dinnanzi alla perfezione assoluta anche i Santi appaiono difettosi ed essi lo sanno, lo vedono chiaramente quanto più si avvicinano a Quella.

L'umiltà lo portava a considerare tutti gli altri come migliori di lui, a non trovare in essi difetti o meglio a saperli coprire; gli dava quella delicatezza di tratto e di parole che avvinceva, quella facilità di sottomettersi al giudizio altrui quando non si trattava direttamente di Dio, quel suo fare naturale nel fuggire le lodi e gli onori.

« Beati i mondi di cuore perché vedranno Dio ». ( Mt 5,3 )

Quanto abbia amato la purezza lo abbiamo visto fin dalla sua infanzia.

Lo « Sposo del SS. Crocifisso », il «Segretario della Madonna» non poneva essere che un puro.

Mai dal suo labbro si poté udire parola men che pudica; se la sentiva da altri correggeva dolcemente se poteva, cambiava discorso oppure abbandonava la compagnia.

Riservatissimo con tutti, lo era in modo speciale con le donne il suo contegno imponeva subito rispetto e nessuno alla sua presenza avrebbe osato anche solo scherzare su certi argomenti.

La sua mente era troppo piena della visione del Crocifisso e della bellezza della « Mammina » celeste come chiamava la SS. Vergine, per lasciarsi attirare da bellezze e piaceri del mondo.

« L'innocenza del venerando vecchio, scrive il prof. Luigi Andrea Rostagno, s'appalesava perfino nella non conoscenza del male che è nel mondo e imporporava il nobile volto di lui ogni pur lontano accenno a cose di questo genere ».

Insensibile alle attrattive dei piaceri del mondo, lo fu in modo egualmente perfetto dai beni materiali.

Quanto guadagnava lavorando nel mondo fin che visse sua mamma lo mandava a lei; se poteva avere qualche denaro era per i poveri verso i quali sentiva attrattiva particolare.

Diventato Francescano poté liberarsi completamente da ogni bene terreno.

Con quale gioia, il 4 aprile del 1909 poteva scrivere nel suo diario: « Mamma Santissima, non ne posso più, tanto desidero di scrivere a mio fratello che definitivamente si prenda la casa e la terra che da anni gli lasciai godere.

La Regola comanda di rinunciare a tutto e ciò è per ree il gaudio anticipato.

Così sarò libero dalle molestie della roba del mondo e respirerò aria molto libera e potrò amare più da vicino il mio caro Gesù e la sua SS. Madre; giacché la rovina più grande, il male peggiore è quello di colui che per i beni di terra è impedito di amare Dio e la sua SS. Madre Maria Vergine ».

E la gioia gli fu data il 29 di quello stesso mese con la sua professione solenne.

Era sagrestano di S. Tommaso durante la permanenza di F. Leopoldo, come fu già detto a suo luogo, F. Guido Franchino, di vita molto austera, di osservanza esemplare, e quindi capace di giudicare con cognizione di causa.

Ed ecco ciò che testimonio dal Servo di Dio in fatto di povertà.

« Era poverissimo nei vestiti, internamente tutti rappezzati; la sua cella era disadorna quanto mai, senza nulla di superfluo ».

Cuciva egli stesso le sue robe e gli abiti suoi; sebbene vecchi, erano sempre puliti.

E questo spirito di povertà lo volle imprimere nei Catechisti del SS. Crocifisso, che vivono fondati soltanto sulla Divina Provvidenza, come abbiamo detto parlandoci essi.

È l'eredità francescana che volle lasciare a questi beniamini del suo cuore, a questi propagatori dei suoi ideali, destinati secondo le sue promesse a far trionfare nel ceto operaio la fede e l'amore al Divin Redentore.

L'amor di Dio! ... È il movente di tutta l'attività interna ed esterna di F. Leopoldo.

Tutto indirizza, a Dio, pensieri, affetti, desideri, aspirazioni; non pensa che a Lui, non parla che di Lui.

Lo vorrebbe vedere amato da tutti e soffre nel vedere, sentire bestemmiatori.

Il suo voluminoso diario ci soccorre su questo punto, senza bisogno di ricorrere a testimoni.

Bisognerebbe riportare tutte le pagine per scoprire il fuoco, l'entusiasmo del cuore suo innamorato quando parla del suo Signore, del Crocifisso, dell'Eucaristia.

Sono pagine vive, ardenti anche se le frasi non osservano le leggi grammaticali.

Sa costringere anche il suo linguaggio di illetterato a espressioni sublimi.

L'amore lo fa anche diventare poeta.

È ciò che vediamo nei santi, nei mistici soprattutto.

Presi dal fuoco che li arde e li spinge sentono il bisogno di cantare, di esprimersi melodiosamente.

F. Leopoldo come non sapeva bene la grammatica e la sintassi, così ignorava le regole della poesia; ma sotto il calore dell'amore di Dio, sa cantare anche lui.

Il suo diario è sovente infiorato di strofe.

I versi sono alle volte con rima altri con assonanze.

La forma è sempre zoppicante, ma il sentimento è quello del santi, che nasce dall'amor di Dio.

Sono più frequenti le strofe indirizzate a Maria SS. e quasi tutte nei primi anni della sua vita religiosa.48

Ma sia in prosa, sia in versi il tema dell'amor divino è svolto mirabilmente col linguaggio inarrivabile dei mistici.

E quanto sentiva cercava di trasfondere negli altri.

Ad ogni occasione che si presentava parlava di Dio, del Crocifisso, dell'amore che Dio ha per gli uomini.

Invidiava i Missionari perché potevano far conoscere, far amare Dio.

« Oh se lo non fossi vecchio, diceva un giorno ad alcuni missionari francescani che partivano per la loro destinazione, andrei anch'io nelle missioni! » e li esortava a partire volentieri, per dare a Dio molte anime.

Il sacerdote D. Giuseppe M. Visetti ebbe da F. Leopoldo l'impulso per andare nelle missioni di Terra Santa e prese occasione da ciò per propagare la Devozione sua al Crocifisso.

Lo pregò di zelarne la diffusione cosa che il Visetti accettò, curandone la traduzione in lingua araba.

Egli avrebbe voluto che tutti gli uomini provassero i suoi ardori e gustassero le sue gioie nell'amor di Dio.

« Oh se i peccatori, scrive nel Diario, sapessero ciò che sta nascosto nel Crocifisso Gesù, invece di bestemmiare il SS.mo suo nome si getterebbero prostrati a terra, si struggerebbero ...

Quanto è buono il Signore! ». Lo scrisse, ma lo ripeteva a voce a tutti.

Occorrerebbe riportare quasi tutte le pagine del suo Diario per mettere in piena luce quel fuoco divino che lo bruciava continuamente.

Ho solo accennato ad alcune virtù del Servo di Dio, ma chiunque è giunto a leggere fin qui, può formarsi un concetto anche di tutte le altre che abbelliscono l'anima di questo innamorato di Gesù Crocifisso e di Maria SS.

Nessuna meraviglia quindi se Dio gli ha concesso pure doni specialissimi che dimostrano anche all'esterno la grandezza della santità a cui giunse.

Indice

42 Lo afferma il Grand'Uff. Achille Cavallotti, che fu presente alla scena ed è egli stesso che rimproverò il Guardiano.
43 Lo attestò il detto Ellena.
44 V. op. cit. di F. Teodoreto a pag. 238. - Nel Diario di F. Leopoldo, al 16 novembre 1909 si legge: « Il demonio ... fa del tutto per distogliermi dalla pietà; mi fa mille disprezzi; dapprima veniva per spaventarmi e mi spaventò ( tanto ) che dallo spavento mi uscì sangue dalle narici.
Lo feci noto al P. Curato Vincenzo Vallare che venne per sua bontà a benedire e da allora in poi non ebbi più molestia alcuna nella mia cella.
Del resto viene ogni giorno a molestarmi; ora viene a smuovere le piastrelle della cucina, ora mi getta via oggetti che mi abbisognano; ora scompaiono ferri per far fiori di tela, cioè artificiali, ecc ».
- Il P. Vallaro da me interrogato dice che è vero che F. Leopoldo chiese quelle benedizioni per i motivi suddetti. Di simili persecuzioni del demonio il Diario registra altri fatti antecedenti al 1909 e anche negli anni seguenti.
45 P. Vincenzo Vallaro, Curato di S. Tommaso.
46 Sarà certo solo casuale coincidenza ( non possiamo né vogliamo dare speciale valore, molto meno affermare che post hoc ergo propter hoc ), ma per la verità storica dobbiamo notare che il burlone di F. Leopoldo, colui che lo credeva fatuo e lo derideva con altri come tale, divenne fatuo egli stesso e finì la sua vita in una casa di salute.
Notiamo di passaggio che se i Santi sono tutti semplici secondo la frase del Vangelo ( semplici come le colombe ), nessuno fu fatuo.
Alla semplicità evangelica va sempre in loro unita la prudenza pure evangelica ( prudenti come i serpenti ), che sorpassa di gran lunga la furberia umana.
Questa può finire nel manicomio, quella no.
47 Oltre la testimonianza che abbiamo del diario, vi sono parecchi altri testi che affermano il fatto, tra cui il P. Vincenzo Vallaro.
48 Qualche saggio, tanto per farcene un concetto.
- In un'adorazione fatta al SS. Sacramento dopo la Comunione: « Tu, o Signore, sei qui nascosto
- Alla tua presenza io mi accosto
- Voglio chiamarti, voglio amarti - O mio Dio, non discostarti. Amato Gesù, dolce contento
- Il mio amore è il Sacramento - Non voglio lasciarti ma voglio amarti - "Di grazia Gesù, non discostarti.
- Tanto è l'amore ch'io ti porto - piuttosto di venir meno, fa ch'io sia morto
- Per me ti voglio, è inutile il dire - Piuttosto non amarti fammi morire.
- Sia firmato nel firmamento - l'amor a Dio, ogni momento - sia concesso e molto maggiore - a quelle anime che vivon d'amore ...
Dolce amor, dolce sorriso - per tua bontà dammi il paradiso ».
In un'adorazione al SS. Crocifisso: « L'amor di Dio è si potente - da cancellar dolor perfin dalla mente - vera Misericordia, bontà un abisso - si trova nel cuor di Gesù Crocifisso ». Un'altra al SS. Sacramento: « Mio dolce Signor, amor giocondo - solo Te voglio in questo mondo - non altro cerco, mio amato - Dio dolcissimo Sacramentato ».
La musa di F. Leopoldo non sa cantare che l'amore divino.
Così pure le strofe alla Vergine chiedono il suo aiuto per amare Gesù Crocifisso, e Lei. La invoca sopratutto sotto il titolo di Madre del Buon consiglio, di Immacolata, di Signora del S. Cuore.