Un apostolo di Gesù Crocifisso

"Vado in Paradiso"

« Appena mi ammalerò in modo da dovermi mettere a letto: sarà per morire ».

Quel giorno venne dopo il 20 gennaio 1922.

Da parecchio tempo la malattia di cuore gli rendeva oltremodo faticosa la scala che doveva percorrere per salire alla sua cella, che si trovava al terzo piano.

Lo vedevano tutti, ma pure non diceva nulla e continuava nel suoi lavori e nel suoi esercizi di pietà, con la consueta diligenza e col solito zelo.

Ma un giorno lo colse la febbre e dovette mettersi a letto.

Il medico venne e sentenziò che era polmonite.

Prescrisse i soliti rimedi, diede le solite istruzioni, forse egli stesso convinto che erano tentativi inutili, stante la debolezza estrema del cuore.

Chi più di tutti era persuaso che le medicine erano inutili fu F. Leopoldo, come possiamo dedurlo da quanto abbiamo detto sulla sua sicurezza di morire, annunziata a tanti e da lungo tempo.

Tuttavia, ubbidiente come sempre, prendeva le medicine che gli presentavano quelli che lo assistevano.

Tra questi vi era un giovane chierico francescano, che doveva seguirlo nella tomba non molto dopo, F. Bernardino Boria, ed anche a questi disse chiaramente che era al termine della vita.

Il giovedì, 26 gennaio, il Servo di Dio chiese a F. Bernardino: « Che giorno è oggi? ».

« Giovedì », rispose. « Giovedì, venerdì ... sabato è l'ultimo: che grande grazia mi ha fatto il Signore!

Questa volta vado in Paradiso».

I Religiosi di S. Tommaso lo visitavano a turno, gli dicevano quelle parole che la carità detta in quel momenti e che servano a confortare, spesso a illudere gli ammalati.

Il Curato. P. Vincenzo Vallaro, lo confortava appunto in una delle visite, dicendogli di sperare la guarigione come era avvenuto altre volte, ma egli rispose con sicurezza: « Questa è l'ultima mia malattia e vado a trovare la Mammina ».

Vennero a visitarlo anche parecchi secolari e Fratel Teodoreto.

Questi anzi avrebbe desiderato fargli conoscere che era in errore sul suo conto, quasi lo avesse abbandonato e avesse perduto la fiducia in lui.

Ma non vi fu bisogno. F. Leopoldo lo ricevette con la solita affettuosità, col solito sorriso, conscio che quel discepolo esemplare, che lo aveva così bene capito, era il suo erede spirituale, che avrebbe continuato quanto insieme avevano iniziato e condotto a buona vitalità.

Vennero i Catechisti, figli del suo cuore, e volle dare ad essi un'ultima dimostrazione del suo affetto.

Quando vide il rag. Giovanni Cesone accanto al suo letto, si rivolse al P. Vallaro pregandolo di dare una benedizione speciale a lui e nella sua persona a tutti i suoi confratelli Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata.

Ottenutala disse al Cesone: « Porti la benedizione a tutti i Catechisti presenti e futuri ».

Era la preoccupazione, l'interessamento del Padre verso i figli, che sta per lasciare definitivamente e che lascia eredi delle sue idealità.

Di essi era stato il profeta, l'intermediario tra Dio e il loro fondatore, ed ora li vuole benedetti in modo particolare quasi per assicurarli che veglierà su essi nell'eternità.

Chiunque lo visitava riportava l'impressione che F. Leopoldo col suo pensiero non fosse più sulla terra.

Ogni giorno gli si portava la S. Comunione, che riceveva con trasporto di Serafino.

Nessuno pensava che il pericolo di morte fosse imminente e perciò non si credeva urgente amministrargli l'Estrema Unzione.

Ma egli insisteva che la Comunione gli fosse amministrata in forma di Viatico e gli si desse l'Olio Santo; lo si dovette accontentare, il giovedì 23 dal P. Ernesto Ferrarotti allora vicecurato di S. Tommaso.

Appena ebbe ricevuto quanto gli stava a cuore, dice lo stesso Padre, non finiva più di ringraziarlo come di una carità e favore straordinario e si dimostrava felice.

Se per tutta la vita le sue delizie erano state il Crocifisso, l'Eucaristia, la Madonna, non poteva essere che felicità per lui unirsi sacramentalmente per l'ultima volta in terra col suo Signore.

Lo vedeva già e lo pregustava quel Paradiso a cui aspirava ardentemente da tanti anni, dove vedrebbe svelata la faccia di Dio, del Redentore e della Madre sua.

In quei momenti estremi avrà visto qualcosa della gloria imminente?

Parrebbe di sì. Sebastiano Ellena narra che in uno di quel brevi giorni di malattia, F. Leopoldo gli disse di vedere davanti a sé gigli e rose bellissime.

La visione ritornò più d'una volta.

P. Ernesto dice che dopo che il Servo di Dio perdette la parola, ma capiva benissimo quanto gli dicevano, « mentre lo guardavo bene sul viso per notarne i cambiamenti, lo vidi guardare due o tre volte in un canto del letto verso il muro, con un sorriso sfuggevole, come un lampo, quale mai avevo notato sul suo labbro ».56

Alle ore 13,30 di quel giovedì, improvvisamente F. Leopoldo perdette la parola.

Rispondeva solo più con segni a quanto gli si diceva.

Dalle 22 fino alla morte che avvenne alle ore 0,30 del venerdì rimasero ad assisterlo P. Ernesto Ferrarotti e F. Bernardino Boria.

L'ultimo segno di vita fu quello sguardo e quel misterioso bellissimo sorriso, or ora ricordati.

Quando pochi istanti dopo P. Ernesto cerca di fargli prendere la medicina ordinata, « lo vede immobile e poi d'un tratto emettere due sospiri, e piegare il capo come per prendere sonno ».

Col sorriso del Santi si addormentò nel Signore.

L'Apostolo della devozione a Gesù Crocifisso moriva allo spuntare del venerdì, che i Cristiani venerano, perché è il giorno in cui il Redentore del mondo patì e morì.

Durante la sua vita nei venerdì dell'anno F. Leopoldo intensificava le sue meditazioni e le sue preghiere e il Crocifisso lo volle chiamare al premio, alla vita eterna di venerdì.

Il sabato fu proprio l'ultimo giorno per lui, ma possiamo anche dirlo il primo della nuova vita anche sulla terra perché cominciò in quel giorno la sua gloria anche presso gli uomini.

Dalla bocca di quanti si udì in quel giorno la frase: Era veramente un santo!

Esposta la salma nella sala a pian terreno, accorse a visitarla una grande moltitudine di fedeli di ogni condizione.

Molti facevano toccare alla salma oggetti religiosi e altri chiedevano per ricordo qualcosa che avesse appartenuto al defunto.

Lo vedevano anche ora conservare il solito bell'aspetto sorridente: pareva solo addormentato.

I Catechisti, i figli del suo cuore, lo vegliarono nella notte dal venerdì al sabato e poi chiesero il privilegio di portarlo essi dalla sala alla chiesa e da questa al carro funebre.

La neve nella notte tra venerdì e sabato cadde abbondante e continuò per tutta la mattinata del sabato: quando si fecero i funerali era alta più di trenta centimetri.

Eppure la gente accorse lo stesso e riempì letteralmente la chiesa di S. Tommaso.

È da notarsi che nessun avviso era stato mandato; la notizia era corsa da sé e possiamo credere che non giungesse in tempo a tutti i conoscenti di F. Leopoldo.

Quella dimostrazione così imponente, così spontanea, ostacolata dal tempo è la prima apoteosi popolare di F. Leopoldo.

Molti uomini e donne vollero dopo le esequie accompagnarlo fino al Camposanto generale, nonostante che la neve continuasse a cadere fitta fitta.

Non erano solo i Catechisti e Fratel Teodoreto, ma moltissimi borghesi.

La salma fu deposta in un loculo del Sepolcreto dei Frati Minori.

In tutti gli intervenuti alle esequie era la persuasione che non era morto soltanto un ottimo Religioso, ma un santo.

Lo si sentiva ripetere continuamente e questa persuasione confortava gli animi, perché se non potevano più andarlo a trovare per chiedergli consigli e preghiere, se non potevano più vederlo, lo potevano ora pregare.

Le comunicazioni con lui non erano interrotte, ma erano spiritualizzate.

Finalmente quel Paradiso, che aveva così sospirato, ora lo possedeva e poteva presentare le suppliche di chi ricorreva a lui non più soltanto nella cappella materiale della Madonna, non più soltanto presso il tabernacolo di Gesù Sacramentato con la sua fede illimitata, e con la sua preghiera ardente, ma nella visione di Dio, e della sua SS. Madre.

E neppure un istante cessarono le comunicazioni tra lui e i suoi ammiratori e devoti.

Le domande di chi aveva fiducia in lui presero la forma di preghiera, di voti, di promesse, come si usa con i Santi, e le risposte di F. Leopoldo furono grazie di ogni genere.

È impossibile far luogo in queste pagine anche ad una parte minima delle domande che salgono dalla terra al cielo e delle risposte che dal cielo manda alla terra il Servo di Dio.57

Si può notare invece che ordinariamente si ottengono da lui favori se alle domande a lui rivolte si unisce la pratica della devozione al SS. Crocifisso.

Egli vuole ancora dal cielo essere l'Apostolo del suo Signore piagato e sofferente, come lo fu in terra.

Indice

56 Nel Diario di P. Leopoldo, all'11 ottobre 1913, tra i detti avuti da Maria SS., vi è anche il seguente: « Nell'ora della tua morte vengo io a prendere la tua anima.
Tu diffondi la devozione dell'Adorazione di mio Divin Figlio Crocifisso e io ti aiuto ».
57 In gran parte non tutte certo si trovano nel periodico, edito dai Catechisti: « L'amore a Gesù Crocifisso », e nel « Bollettino Eucaristico », organo dell'Adorazione quotidiana universale perpetua.
Anche nella vita di F. Leopoldo, scritta da fratel Teodoreto, vi sono raccolte parecchie delle più importanti grazie ottenute dal Servo di Dio.