Itinerario della mente a Dio

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Capitolo II

Contemplazione di Dio nei suoi vestigi in questo mondo sensibile

1. Secondo grado di contemplazione.

Lo specchio delle cose sensibili ci consente di contemplare Dio non solo per mezzo di esse, come vestigio, ma anche in esse, in quanto cioè egli vi si trova con la sua essenza, potenza, presenza.

Questa considerazione è più alta della precedente, e quindi occupa il secondo posto, e quasi è un secondo grado di contemplazione che ci deve condurre per mano a contemplare Dio in tutte quelle creature che entrano in noi per mezzo dei sensi corporali.

2. Macrocosmo e microcosmo.

Osserviamo dunque che questo mondo che diciamo macrocosmo, entra nell’anima nostra, che diciamo mondo minore ( microcosmo ), attraverso le porte dei cinque sensi con l’apprensione degli oggetti sensibili, il piacere e il giudizio.

Il fatto è chiaro: in esso alcune cose sono generanti, altre sono generate, alcune governano le une e le altre.

Generanti sono i corpi semplici, cioè i celesti e i quattro elementi.

Da questi elementi, per azione della luce che concilia i contrari nei corpi misti, deriva la generazione e produzione di tutto ciò che per natura si genera e produce.

Sono generati i corpi composti degli elementi fondamentali cioè i minerali, i vegetali, gli animali e i corpi umani.

Governano questi e quelli le sostanze spirituali, siano esse del tutto congiunte,quali sono le anime dei bruti, ovvero congiunte ma separabili, quali gli spiriti razionali, oppure del tutto separate, quali gli spiriti celesti che i filosofi chiamano intelligenze noi invece Angeli.

Ad esse, secondo i filosofi, spetta muovere i corpi celesti per cui si attribuisce loro il governo del mondo in quanto ricevono da Dio causa prima l’influsso del potere che poi rifondono a seconda del genere di governo che occorre per lo stato naturale delle cose.

Secondo i teologi invece ad essi è dato il governo del mondo secondo l’ordine del Sommo Iddio, per compiere le opere della riparazione; perciò vengono detti spiriti inviati per il servizio di coloro che ereditano la salvezza ( Eb 1,14 ).

3. I cinque sensi.

L’uomo che si dice mondo minore ha cinque sensi per i quali come per cinque porte le cose che sono nel mondo passano nell’anima.

Per la vista passano i corpi celesti e luminosi e gli altri colorati; per il tatto i corpi solidi e terrestri; e per gli altri tre sensi intermedi entrano i corpi intermedi, come i liquidi per il gusto, gli aerei per l’udito, i vaporosi per l’odorato: i quali hanno in parte natura liquida, in parte aerea, in parte ignea o calda, come si vede dal fumo che esala dagli aromi.

Per queste porte entrano dunque tanto i corpi semplici che i composti o misti di essi.

Ma col senso non percepiamo soltanto degli oggetti sensibili particolari come la luce, il suono, l’odore, il sapore e le quattro qualità primarie apprese col tatto, bensì anche i sensibili comuni che sono il numero, la grandezza, la figura, la quiete, il moto; e anche « tutto ciò che si muove, é mosso da altri » e alcune cose che sono autonome nei loro movimenti e nel loro riposo, come gli animali, mentre per mezzo dei cinque sensi apprendiamo il moto dei corpi: così veniamo condotti per mano alla conoscenza dei motori spirituali passando dagli effetti alla conoscenza delle cause.

4. L’apprensione per mezzo della specie.

Tutto il mondo sensibile, nei suoi tre generi di cose, entra nell’anima umana per mezzo dell’apprensione.

Sono però i sensibili esterni a entrare dapprima nell’anima attraverso le porte dei cinque sensi ma non con la loro sostanza bensì per mezzo di similitudini che essi generano nell’elemento intermedio e poi dall’elemento intermedio nell’organo esterno e poi in quello interno; e da questo nella facoltà apprensiva.

Così la generazione della specie nell’elemento di mezzo e da questo nell’organo e il convergere della facoltà apprensiva su di essa, produce l’apprendimento di tutte le cose che l’anima coglie fuori di sé.

5. Piacere sensibile e proporzione.

All’apprendimento, se è di oggetto idoneo, segue il piacere.

Il senso infatti prova piacere dell’oggetto percepito per mezzo della similitudine ricavatane o in ragione della sua bellezza, come avviene nella vista; o per la sua soavità, com’è per l’odorato o l’udito; o per la sua sanità, com’è nel gusto e nel tatto, parlando propriamente.

Ogni piacere ha la sua ragione nella proporzionalità.

Poiché la specie può essere forma, virtù, operazione a seconda che la si rapporti al principio che la genera, al mezzo attraverso il quale passa, al termine su cui opera, la proporzionalità si può considerare dapprima nella stessa similitudine in quanto specie o forma, e allora si dice bellezza, che « è un’eguaglianza armoniosa » ovvero « una opportuna disposizione delle parti accompagnata dalla soavità dei colori ».

O anche si può considerare la proporzionalità in quanto potenza o virtù, e allora si dice soavità quando la virtù operante non eccede sproporzionatamente la capacità del ricevente giacché il senso soffre per gli stimoli eccessivi e invece prova piacere in quelli di media intensità.

Ovvero la si considera dal punto di vista dell’efficacia e dell’impressione, la quale è proporzionata a quanto l’agente dell’impressione corrisponde alle esigenze del paziente, cioè lo risana e nutre, come si vede soprattutto nel gusto e nel tatto.

In questo modo per mezzo del piacere le cose esteriori dilettevoli, a seconda del triplice loro modo di piacere, entrano nell’anima con una similitudine.

6. L’operazione del giudicare.

Dopo l’apprensione e il piacere si ha il giudizio, per cui non soltanto si giudica se questo oggetto sia bianco o nero - il che appartiene al senso particolare -; né soltanto se sia sano o nocivo, il che spetta al senso interno; ma anche, in quanto si giudica e si dà ragione del perché esso dia piacere; e con tale atto si cerca il motivo del piacere che il senso ricava dall’oggetto.

Questo accade quando ci si chiede la ragione per cui qualcosa è bello, soave, sano: e la si trova nella proporzione di eguaglianza.

L’idea di eguaglianza poi è identica nelle cose grandi e piccole, non si dilata per dimensione, non passa né viene meno con le cose che passano né si altera per il movimento.

Essa dunque astrae dal luogo, dal tempo, dal moto, e perciò è immutabile, incircoscrivibile, interminabile e del tutto spirituale.

Perciò il giudizio è un’operazione per cui la specie sensibile ottenuta con la sensazione attraverso i sensi, purificata e astratta, entra nella facoltà intellettiva.

In tal modo tutto questo mondo può entrare nell’anima umana attraverso le porte dei sensi secondo le tre operazioni suddette.

7. L’immagine del Dio Invisibile.

Tutte queste cose sono vestigi nei quali ci è dato di vedere come in uno specchio il nostro Dio.

Infatti: la specie appresa è similitudine dell’oggetto generata nell’elemento di mezzo, poi impressa nello stesso organo e con questa impressione ci riporta al suo principio, cioè a conoscere l’oggetto.

Ma è evidente che essa fa pensare a quella luce eterna che genera di sé una sua similitudine o splendore coeguale, consostanziale e coeterno; e che Colui che è immagine del Dio Invisibile e splendore della gloria e immagine della sua essenza ( Eb 1,3 ), che è dovunque con la prima generazione di se stesso, a somiglianza dell’oggetto che genera nel mezzo una sua propria similitudine, con la grazia unificante si unisce, come la specie con l’organo corporale, all’individuo razionale, per ricondurci con tale unione al Padre come Principio e Oggetto originario.

Se dunque tutti gli oggetti conoscibili possono generare un’immagine di se stessi, è evidente che in essi come in altrettanti specchi, si può vedere l’eterna generazione del Verbo, Immagine e Figlio emanante ab aeterno dal Padre.

8. Dio è fonte d’ogni piacere.

Allo stesso modo la specie che produce piacere perché bella, soave, sana, lascia intendere che in quella prima specie si trova la bellezza, la soavità, la sanità in modo primario perché in essa c’è la proporzionalità ed eguaglianza rispetto al generante; e la virtù che proviene per apprensione immediata della verità, e non col ricorso alla rappresentazione sensibile ( o fantasma ).

In essa c’è pure l’impressione che risana ed è sufficiente a cacciare via ogni indigenza in colui che apprende.

Ora se il piacere risulta dall’unione di due cose tra loro convenienti e soltanto la similitudine di Dio contiene l’idea di ciò che è in modo sommo, bello, soave, salutare, ed essa si unisce con verità, intimità, pienezza che colma ogni vuoto, diventa ovvio che soltanto in Dio è la sorgente di ogni piacere vero e che tutti i piaceri ci portano alla sua ricerca.

9. Giudizio intellettuale e verità eterna.

In un modo ancora più eccellente e immediato il giudizio ci porta all’osservazione dell’eterna verità.

Se il giudizio infatti è possibile per mezzo della ragione che astrae da luogo, tempo e mutazione, e quindi da misura, successione e cambiamento, per mezzo dell’idea immutabile e incircoscrivibile e interminabile; e niente è assolutamente immutabile, incircoscrivibile e interminabile se non ciò che è eterno; e tutto ciò che è eterno è Dio e in Dio; e se tutto ciò che giudichiamo con certezza, lo giudichiamo grazie a questa ragione, è evidente che è Lui la ragione di ogni cosa e regola infallibile e luce di verità in cui ogni cosa riluce in modo infallibile, indelebile, indubitabile, irrefragabile, indiscutibile, immutabile, indilatabile, illimitabile, indivisibile, intellettuale.

Perciò, se quelle leggi per cui giudichiamo con certezza di ogni cosa sensibile che venga sottoposta alla nostra attenzione, sono infallibili e indubitabili per l’intelletto di chi apprende, sono indelebili per la memoria di chi ricorda come se fossero sempre presenti, sono irrefragabili e indiscutibili per l’intelletto giudicante ( come dice Agostino: u Nessuno giudica di esse, ma per mezzo di esse », è necessario che esse siano immutabili e incorruttibili perché necessarie, indilatabili perché incircoscritte, illimitabili perché eterne e quindi indivisibili perché intellettuali e incorporee, non fatte, anzi increate, esistenti eternamente nell’arte eterna.

Da questa, per mezzo suo e a sua somiglianza sono formate tutte le cose belle.

Quindi esse non possono venir giudicate con certezza se non per mezzo di quella che non soltanto fu forma che produsse tutte le cose, ma tuttora le conserva e distingue, come Ente che regge la forma di ogni cosa ed è loro regola direttiva.

Per questo la nostra mente è in grado di giudicare tutto ciò che entra in essa per mezzo dei sensi.

10. I numeri.

Questa conoscenza si allarga se si considerano anche le sette qualità differenti di numeri, dai quali si può salire a Dio come per sette gradini.

Lo dimostra Agostino nel libro De vera religione e nel sesto libro del De musica assegnando le differenze numeriche ai livelli gradualmente ascendenti dalle cose sensibili fino al Fattore di ogni cosa, perché in ognuna si possa vedere Dio.

Egli dice dunque che vi sono numeri nei corpi, soprattutto nei suoni e nelle voci, e chiama sonanti;

i numeri astratti da questi e ricevuti nei nostri sensi, li chiama occursori;

i numeri che passano dall’anima al corpo, come si vede nel gesto e nella danza, li chiama progressori;

quelli che si hanno nel piacere dei sensi prodotti dal rivolgersi dell’intenzione sulla specie ricevuta sono detti sensoriali;

quelli conservati nella memoria sono i memoriali;

e vi sono pure i numeri per i quali giudichiamo di tutto questo, e li dice giudiziali, che necessariamente presiedono alla mente, in quanto infallibili e ingiudicabili.

Tutti questi imprimono nella nostra mente i numeri artificiali, che però Agostino non enumera tra quei gradi perché sono connessi con i giudiziali dai quali derivano i numeri progressori, che danno luogo a molte forme di prodotti artificiali; e così si ha un ordine discendente, da quelli che stanno in cima a quelli di mezzo, fino agli infimi.

Ad essi possiamo anche salire partendo dai numeri sonanti, attraverso gli occursori, i sensibili, i memoriali.

Tutte le cose sono belle e in certo senso piacevoli; e la bellezza e il piacere non sono senza la proporzione; e la proporzione è prima di tutto nei numeri.

Perciò è necessario che tutte siano costituite di numeri.

Perciò il numero è la « prima idea esemplare nella mente del Creatore » e il principale vestigio che, nelle cose, rimanda alla divina Sapienza.

Poiché è evidentissimo e vicinissimo a Dio, attraverso le sue sette diversità il numero ci porta vicinissimo a Dio e lo fa conoscere in tutte le cose corporali e sensibili quando apprendiamo le cose-numero, abbiamo piacere delle proporzioni-numero, e giudichiamo in modo incontrovertibile in forza delle leggi di proporzione costituite dai numeri.

11. Le creature portano il contemplativo a Dio.

Da questi due primi gradi, che ci inducono a contemplare Dio nelle sue orme, quasi a modo delle due ali che scendono fino ai piedi, possiamo ricavare che tutte le creature di questo mondo sensibile portano l’animo del sapiente e del contemplativo a Dio eterno.

E ciò per il motivo che di colui che è Primo Principio potentissimo, sapientissimo e ottimo, eterna origine, luce, pienezza, e anche di quell’arte che è causa, modello e norma; noi abbiamo ombre, risonanze e pitture; e vestigi, immagini e specchi sono stati posti davanti a noi e divinamente dati come segni perché potessimo scoprirvi Dio.

Essi sono come modelli anzi dei modellati, proposti alle menti ancora rozze e sensuali, perché attraverso le cose sensibili che vedono possano intendere le cose intelligibili che non vedono, passando dai segni ai significati.

12. Creature come segno secondo natura, profezia, istituzione.

Ora queste creature sensibili significano le cose invisibili di Dio ( Rm 1,20 ), in parte perché Dio è origine, idea esemplare e fine di ogni creatura, e ogni effetto è segno della causa, ogni modellato del suo modello, e ogni via del suo fine; in parte perché da se stesse lo rappresentano; o perché assunte come figure nella profezia; o per operazione angelica; o per effetto dell’istituzione.

Infatti ogni creatura è già per sua natura quasi figura e similitudine dell’eterna Sapienza.

Lo è specialmente quella che, secondo la S. Scrittura, viene elevata dallo spirito profetico a raffigurare le realtà spirituali.

Più ancora lo sono quelle creature della cui effigie per ministero degli Angeli Dio si serve per apparire.

In specialissimo modo infine lo sono quelle cose ch’egli ha scelto e istituito per significare qualcosa e che non soltanto hanno natura di segno col loro nome comune, ma anche di sacramento.

13. Conclusione.

Concludiamo perciò che le cose invisibili di Dio si possono vedere e comprendere dalla creatura terrestre per mezzo delle cose create; cosicché quelli che si rifiutano di vedere queste cose e di riconoscere in esse Iddio, di benedirlo e di amarlo, sono inescusabili ( Rm 1,20 ); perché non vogliono passare dalle tenebre alla meravigliosa luce di Dio.

Ma siano rese grazie a Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che dalle tenebre ci ha trasferiti alla sua mirabile luce ( 1 Cor 15,57; 1 Pt 2,9 ) disponendoci per mezzo delle luci diffuse fuori di noi a entrare nello specchio dell’anima nostra in cui si riflettono e splendono le cose divine.

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