Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo LXIX

Di quelli e' quali, per non lassare la loro pace e consolazione, non sovengono al proximo ne le sue necessitadi.

- Hotti decto de l'inganno che ricevono coloro che a loro modo vogliono gustare e ricevare me nella mente loro.

Ora ti voglio dire il secondo inganno di coloro che tucto el loro dilecto è posto in ricevere la consolazione della mente loro; intanto che spesse volte vedranno el proximo loro in necessitá o spirituale o temporale e non li soverranno, socto colore di virtú dicendo:

-Io ne perdo la pace e la quiete della mente, e non dico l'ore mie a l'ora né al tempo.

- Unde, non avendo la consolazione, ne lo' pare offendere me: ed essi sonno ingannati dal proprio dilecto spirituale della mente loro; e offendonmi piú non sovenendo a la necessitá del proximo che lassando tucte le loro consolazioni.

Perché ogni exercizio vocale e mentale è ordinato da me, che l'anima el facci per giognere a la caritá perfecta di me e del proximo, e di conservarla in essa caritá.

Sí che egli m'offende piú lassando la caritá del proximo per lo suo exercizio actuale e quiete di mente, che lassando l'exercizio per lo proximo.

Perché nella caritá del proximo truovano me, e nel dilecto loro, dove cercano me, ne sarebbero privati.

Però che, non sovenendo, ipso facto diminuiscono la caritá del proximo; diminuita la caritá del proximo, diminuisce l'affecto mio verso di loro; diminuito l'affecto, diminuita la consolazione.

Sí che, volendo guadagnare, essi perdono; e volendo perdere, guadagnano; cioè che, volendo perdere le proprie consolazioni in salute del proximo, riceve e guadagna me e il proximo suo, sovenendolo e servendolo caritativamente.

E cosí gustarebbero in ogni tempo la dolcezza della caritá mia.

E, non facendolo, stanno in pena: perché alcuna volta si converrá pur che 'l sovenga, o per forza o per amore, o per infermitá corporale o per infermitá spirituale che egli s'abbi; sovenendolo, el soviene con pena, con tedio di mente e stimolo di coscienzia, e diventa incomportabile a sé e ad altrui.

E chi el dimandasse:

- Perché senti questa pena? - rispondarebbe:

- Perché mi pare avere perduta la pace e la quiete della mente, e molte cose, di quelle che io solevo fare, ho lassate, e credone offendere Dio.

- Ed egli non è cosí; ma perché 'l suo vedere è posto nel proprio dilecto, però non sa discernere né cognoscere in veritá dove sta la sua offesa.

Però che vedrebbe che l'offesa non sta in non avere la consolazione mentale, né in lassare l'essercizio de l'orazione nel tempo della necessitá del proximo suo; anco sta in essere trovato senza la caritá del proximo, el quale egli debba amare e servire per amore di me.

Sí che vedi come s'inganna solo col proprio amore spirituale verso di sé.

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