Dialogo della Divina Provvidenza

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Tractato dell'obedienzia

Capitolo CLIV

Qui comincia el tractato dell’obedienzia.

E prima, dove l’obedienzia si truova, e che è quello che ce la tolle, e quale è il segno che l’uomo l’abbi o no, e chi è la sua compagna e da cui è notricata.

Allora el sommo ed etterno Padre, e pietoso, volse l’occhio della misericordia e clemenzia sua inverso di lei, dicendo: - O carissima e dolcissima figliuola, el sancto desiderio e giuste petizioni debbono essere exauditi; e però Io, somma veritá, adempirò la veritá mia, satisfacendo alla promessa che Io ti feci e al desiderio tuo.

E se tu mi dimandi: dove la truovi, e quale è la cagione che te la tolle, e il segno che tu l’abbi o no, Io ti rispondo: che tu la truovi conpitamente nel dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo.

Fu tanto pronpta in lui questa virtú che, per conpirla, corse all’obrobriosa morte della croce.

Chi te la tolle? Raguarda nel primo uomo, e vedrai la cagione che gli tolse l’obbedienzia inposta a lui da me, Padre etterno: la superbia che esci e fu producta da l’amore proprio e piacimento della compagna sua.

Questa fu quella cagione che gli tolse la perfeczione de l’obbedienzia e diègli la disobbedienzia; unde gli tolse la vita della grazia e diègli la morte, perdette la innocenzia e cadde in inmondizia e in grande miseria.

E non tanto egli, ma e’ v’incorse tucta l’umana generazione, sí come Io ti dixi.

El segno che tu abbi questa virtú è la pazienzia; e, non avendola, ti dimostra che tu non l’hai, la inpazienzia.

Unde contiandoti di questa virtú, trovarrai che egli è cosí.

Ma actende: ché in due modi s’observa obbedienzia.

L’una è piú perfecta che l’altra; e non so’ però separate, ma unite, sí com’Io ti dixi de’ comandamenti e de’ consigli.

L’uno è buono e perfecto, l’altro è perfectissimo; e neuno è che possa giognere a vita etterna se non l’obbediente, però che senza l’obbedienzia veruno è che vi possa intrare, perché ella fu diserrata con la chiave de l’obbedienzia, e con la disobbedienzia di Adam si serrò.

Essendo poi Io costrecto dalla mia infinita bontá, vedendo che l’uomo, cui Io tanto amavo, non tornava a me, fine suo, tolsi le chiavi de l’obbedienzia e posile in mano del dolce e amoroso Verbo, mia Veritá; ed egli, come portonaio, diserrò questa porta del cielo.

E senza questa chiave e portonaio, mia Veritá, veruno ci può andare.

E però dixe egli nel sancto evangelio che veruno poteva venire a me, Padre, se non per lui.

Egli vi lassò questa dolce chiave de l’obbedienzia, quando egli ritornò a me, exultando, in cielo, e levandosi dalla conversazione degli uomini per l’ascensione.

Sí come tu sai, egli lassò il vicario suo, Cristo in terra, a cui sète tucti obligati d’obbedire infino alla morte.

E chi è fuore de l’obbedienzia sua, sta in stato di danpnazione, sí come in un altro luogo Io ti dixi.

Ora Io voglio che tu vegga e cognosca questa excellentissima virtú ne l’umile e inmaculato Agnello, e unde ella procede.

Unde venne che tanto fu obbediente questo Verbo?

Da l’amore ch’egli ebbe a l’onore mio e alla salute vostra.

Unde procedecte l’amore?

Dal lume della chiara visione con la quale vedeva, l’anima sua, chiaramente la divina Essenzia e la Trinitá etterna; e cosí sempre vedeva me, Dio etterno.

Questa visione adoperava perfectissimamente in lui quella fedeltá, la quale inperfectamente adopera in voi el lume della sanctissima fede.

Ché fu fedele a me, suo Padre etterno, e però corse col lume glorioso, come innamorato, per la via de l’obbedienzia.

E perché l’amore non è solo, ma è aconpagnato di tucte le vere e reali virtú, però che tucte le virtú hanno vita da l’amore della caritá ( benché altrementi fussero le virtú in lui e altrementi in voi ); ma tra l’altre ha la pazienzia, che è il mirollo suo, uno segno dimostrativo che ella fa ne l’anima se ella è in grazia e ama in veritá o no; e però la madre della caritá l’ha data per sorella alla virtú de l’obbedienzia, e halle sí unite insieme, che mai non si perde l’una senza l’altra: o tu l’hai amendune, o tu non hai veruna.

Questa virtú ha una nutrice che la notrica, cioè la vera umilitá; unde tanto è obbediente quanto umile, e umile quanto obbediente.

Questa umilitá è baglia e nutrice della caritá, e però el lacte suo medesimo notrica la virtú de l’obbedienzia.

El vestimento suo, che questa nutrice le dá, è l’avilire se medesimo, vestirsi d’obrobri, dispiacere a sé e piacere a me.

In cui el truovi? In Cristo, dolce Iesú, unigenito mio Figliuolo.

E chi s’avilí piú di lui? Egli si satollò d’obrobri, di scherni e di villanie; dispiacque a sé, cioè la vita sua corporale, per piacere a me.

E chi fu piú paziente di lui, che non fu udito el grido suo per alcuna mormorazione, ma con pazienzia abbracciando le ingiurie, come inamorato compí l’obbedienzia mia, inposta a lui da me, suo Padre etterno?

Addunque in lui la trovarrete compitamente.

Egli vi lassò la regola e questa doctrina, e prima l’osservò in sé; ella vi dá vita, perché ella è via dricta.

Egli è la via, e però dixe egli che era via, veritá e vita; e chi va per essa va per la luce, e colui che va per la luce non può offendere né essere offeso che egli non s’avegga, perché ha tolto da sé la tenebre de l’amore proprio unde cadeva nella disobbedienzia: che, com’Io ti dixi, la conpagna, e unde procedeva l’obbedienzia, è l’umilitá.

Cosí ti dixi e dico che la disobbedienzia viene dalla superbia, che esce da l’amore proprio di sé, privandosi de l’umilitá.

La sorella, che è data da l’amore proprio alla disobbedienzia, è la inpazienzia, e la superbia la notrica; con tenebre d’infidelitá corre per la via tenebrosa, che gli dá morte etternale.

Tucti vi conviene leggere in questo glorioso libro, dove trovate scripta questa e ogni altra virtú.

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