Cantico spirituale Manoscritto B

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Nota sulla strofa seguente

1 - Sembra strano il desiderio degli amanti i quali preferiscono godere da soli piuttosto che in compagnia di altri.

Infatti, sebbene stiano insieme, basta la presenza di un estraneo perché non godano a loro agio, anche se parlano dello stesso argomento che tratterebbero se quello non fosse presente.

La ragione è che, essendo l'amore unione di due persone sole, da soli gli amanti vogliono comunicarsi le proprie cose.

Collocata dunque l'anima sulla vetta della perfezione e della libertà dello spirito in Dio, cessate tutte le contrarietà e le ripugnanze del senso, non ha più altra cosa a cui dedicarsi, né altro esercizio in cui occuparsi, se non quello di immergersi nei diletti e nelle gioie dell'intimo amore con lo Sposo.

Così nel libro della Sacra Scrittura dedicato a lui, leggiamo che Tobia, dopo essere passato attraverso i travagli della povertà e delle tentazioni, riacquistò la vista per grazia di Dio e passò nella gioia il resto dei suoi giorni ( Tb 14,4 ).

Così ora accade all'anima di cui stiamo parlando poiché i beni che vede in se sono fonti di grande gioia e diletto, come Isaia afferma a proposito di quell'anima che, esercitatasi nelle opere di perfezione, è giunta a quel grado di cui stiamo parlando ( Is 58,10-14 ).

2 - Rivolgendosi all'anima tanto perfetta, il Profeta dice: Allora in mezzo all'oscurità sorgerà la tua luce e le tue tenebre saranno come il mezzogiorno.

E il Signore ti darà riposo sempre e sazierà di splendori l'anima tua, e preserverà le tue ossa, e sarai come un giardino irrigato e come una fontana le cui acque non vengono mai meno.

E saranno ripopolati per te i secolari deserti, alzerai le fondamenta di generazioni e generazioni, e sarai chiamato restauratore di macerie, riconduttore di strade alla tranquillità.

Se tratterai il tuo piede dai divertimenti il giorno di sabato, senza fare la tua volontà nel giorno a me consacrato; se chiamerai il sabato giorno delizioso, santo e glorioso del Signore, se lo venererai senza battere le tue vie e senza compiere la tua volontà, allora troverai la tua letizia nel Signore ed io ti solleverò alle supreme altezze della terra e ti ciberò dell'eredità di Giacobbe.

Fin qui le parole di Isaia in cui « l'eredità di Giacobbe » è Dio stesso.

Perciò l'anima ad altro non attende se non a godere continuamente dei piaceri di questo Cibo; una cosa sola le resta da desiderare: quella di goderlo perfettamente nella vita eterna.

Nella strofa che segue e nelle rimanenti l'anima quindi si occupa di chiedere all'Amato questo cibo beatifico nella chiara visione di Dio.

Perciò dice:

Strofa 36

Godiam l'un l'altro, Amato,

in tua beltà a contemplarci andiamo

sul monte e la collina,

dove acqua pura sgorga;

dove è più folto dentro penetriamo.

Spiegazione

3 - Compiuta ormai l'unione perfetta di amore fra l'anima e Dio, ella desidera occuparsi ed esercitarsi nelle proprietà dell'amore.

Perciò in questa strofa è lei che parla con lo Sposo chiedendogli tre cose proprie dell'amore.

In primo luogo desidera di riceverne il gaudio e il gusto, che ella chiede dicendo: Godiam l'un l'altro, Amato; quindi desidera di rendersi simile al Diletto e glielo domanda quando dice: In tua beltà a contemplarci andiamo; desidera infine scrutare e conoscere le cose e i segreti dell'Amato, e glielo chiede quando afferma: Dove è più folto dentro penetriamo.

Segue il verso:

Godiam l'un l'altro, Amato.

4 - Godiamoci, cioè nella comunicazione dell'amorosa dolcezza, non solo in quella che già possediamo nella ordinaria unione di noi due, ma in quella che ridonda dall'esercizio dell'amore effettivamente e attualmente, sia internamente con la volontà mediante atti di affetto, sia esternamente compiendo opere appartenenti al servizio dell'Amato.

Come è stato detto, l'amore, dove ha fissato la sua sede, ha questa proprietà: vuole sempre deliziarsi nelle sue gioie e nelle sue dolcezze, ossia nell'esercizio di amare interiormente ed esteriormente e fa tutto ciò per rendersi più simile all'Amato.

Perciò dice subito:

in tua beltà a contemplarci andiamo;

5 - che significa: facciamo in modo che, per mezzo di questo esercizio di amore, giungiamo in cielo a specchiarci nella tua bellezza.

Vale a dire: io sia trasformata nella tua bellezza tanto che, divenuta simile a te, anzi possedendo la tua stessa beltà, ci vediamo tutt'e due in essa.

Ciò avvenga in maniera tale che, guardandoci l'un l'altro, ciascuno di noi veda nell'altro la propria bellezza giacché, essendo io già assorbita nella tua beltà, quella dell'uno e dell'altro è tua soltanto.

Così io vedrò te nella tua bellezza e tu me nella tua bellezza, e tu ti vedrai in me nella tua bellezza ed io mi vedrò in te nella tua bellezza.

Che io sembri te nella tua bellezza e tu sembri me nella tua bellezza e la mia bellezza sia la tua e la tua sia la mia, così io sarò te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezza poiché la tua stessa bellezza sarà la mia.

Questa è l'adozione dei figli di Dio i quali con verità diranno a Lui ciò che dice lo stesso suo Figlio in San Giovanni ( Gv 17,10 ) all'Eterno Padre: Padre, tutte le mie cose sono tue e le tue sono mie.

Egli lo dice per essenza perché Figlio naturale, noi per partecipazione perché figli adottivi.

Perciò Egli dice ciò non solo per sé, che è il capo, ma per tutto il suo Corpo Mistico, cioè per la Chiesa la quale parteciperà alla stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, che sarà quando vedrà Dio svelatamente.

Per questo l'anima chiede che essa e lo Sposo arrivino: specchiarsi nella bellezza di Lui

sul monte e la collina.

6 - Cioè andiamo verso la notizia mattutina ed essenziale di Dio ( così la chiamano i teologi ) che è una conoscenza nel Verbo divino, al quale per la sua altezza ora è dato il nome di monte, come dice Isaia invitandoci a conoscere il Figlio di Dio: Venite, saliamo al monte del Signore ( Is 2,3 ), e altrove: Sarà preparato il monte della casa del Signore ( Is 2,2 ).

[ Oppure andiamo al colle ] cioè alla notizia vespertina, alla nozione di Dio nelle sue creature, opere e disposizioni mirabili, la quale qui è significata dal termine collina, perché è una sapienza più imperfetta di quella mattutina; ma l'anima dicendo: sul monte e la collina chiede l'una e l'altra.

7 - Dicendo quindi allo Sposo: in tua beltà a contemplarci andiamo - sul monte, lo prega: trasformami rendendomi simile alla bellezza della Sapienza divina ( che è il Verbo Figlio di Dio ).

Dicendo: sulla collina, gli chiede di donarle la bellezza della sapienza meno perfetta, quella che si acquista per mezzo delle creature e delle sue misteriose opere; anche questa è bellezza del Figlio di Dio, intorno alla quale l'anima desidera essere illuminata.

8 - Ella non può specchiarsi in tale bellezza, se non si trasforma nella sapienza di Dio, in cui si accorge di possedere ogni cosa celeste e terrena.

Su questo monte e su questa collina desidera giungere la sposa quando dice: Salirò sul monte della mirra e sul colle dell'incenso ( Ct 4,6 ), intendendo per « monte della mirra » la visione chiara di Dio e per « colle dell'incenso » la conoscenza di Lui nelle creature, poiché la mirra sul monte è di specie più nobile che l'incenso sul colle.

Dove acqua pura sgorga,

9 - vale a dire: dove viene concessa la nozione e sapienza di Dio, che qui viene detta acqua pura, all'intelletto, limpida e pura di accidenti e fantasmi e chiara senza le tenebre dell'ignoranza.

L'anima ha sempre il desiderio di intendere chiaramente e puramente le verità divine nella cui conoscenza tanto più desidera penetrare quanto più ama.

Chiede quindi la terza cosa:

dove è più folto dentro penetriamo.

10 - Penetriamo nel folto delle tue opere meravigliose e dei tuoi profondi giudizi, la cui moltitudine è tanta e cosi varia, che si può chiamare folto.

In essi vi è infatti una sapienza cosi abbondante e cosi piena di misteri che noi possiamo dirla non solo folta, ma anche coagulata, secondo quanto dice David: Mons Dei, mons pinguis, mons coaguulatus, cioè: Il monte di Dio è un monte pingue e un monte coagulato ( Sal 68,16 ).

Questa densità della sapienza e della scienza divina è cosi profonda e immensa che, per quanto la conosca, l'anima può entrare sempre più dentro, poiché essa è immensa e contiene delle ricchezze incomprensibili, secondo l'esclamazione di S. Paolo: O altezza delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio, quanto incomprensibili sono i suo, giudizi e imperscrutabili le sue vie! ( Rm 11,33 ).

11 - Tuttavia l'anima desidera entrare in questa densità incomprensibile dei giudizi e delle vie divine, poiché brama ardentemente di sprofondare nella loro conoscenza essendo questo un diletto inestimabile che trascende ogni senso.

Perciò David, parlando del loro sapore, dice: i giudizi di Dio sono 'Veritieri e giusti in se stessi.

Sono più desiderabili dell'oro e delle gemme preziose, più dolci del miele e del favo, cosicché anche il tuo servo li amò e li custodì ( Sal 19,10-12 ).

Per questo l'anima desidera ardentemente di immergersi in questi giudizi e di conoscerli più a fondo; a tal scopo le sarebbe di grande conforto e gioia affrontare tutte le pene e tutti i dolori del mondo e tutto ciò che potesse servire di mezzo, per quanto possa essere difficoltoso e penoso, e persino le angustie e gli affanni della morte, pur di vedersi sempre più nell'intimità di Dio.

12 - Per il folto dove l'anima desidera di entrare intende anche molto giustamente la moltitudine di travagli e di tribolazioni a cui ella brama di andare incontro, poiché la sofferenza per lei è gustosissima e utilissima, essendo un mezzo per penetrare maggiormente nel folto della dilettevole sapienza di Dio.

Infatti il dolore più puro porta con sé una conoscenza più intima e più pura e quindi una gioia più sublime e più pura, trattandosi di un sapere più intimo.

Pertanto l'anima, non contentandosi di un modo qualsiasi di soffrire, prega: Dove è più folto dentro penetriamo, cioè per vedere Dio penetriamo fino alle pene di morte.

Perciò Giobbe, desiderando questa sofferenza, dice: Chi mi darà che si compia la mia domanda, e che Dio mi conceda quel che spero?

Ch'Egli che ha cominciato, Lui stesso mi tronchi, sciolga la sua mano e ponga fine alla mia vita?

E questa sia la mia consolazione, che Egli mi affligga con dolori senza avere pietà di me ( Gb 6,8-10 ).

13 - Oh, se l'anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio!

Come chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nel folto della croce!

Per questo S. Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno nelle tribolazioni, ma stessero forti e radicati nella carità, affinché potessero comprendere con tutti i Santi che cosa sia la lunghezza, la larghezza, l'altezza e la profondità e conoscessero pure la sovraeminente carità della scienza di Cristo, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio ( Ef 3,13.17-19 ).

Per entrare dentro alle ricchezze della sapienza divina la porta è la croce che è stretta; pochi desiderano oltrepassarla, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per suo mezzo.

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