La verginità

XVI. Tutte le occasioni di abbandono della virtù presentano un uguale pericolo

Infinite sono durante la nostra vita le deviazioni verso i peccati, ed in vari modi le Scritture alludono al loro gran numero.

« Molti - vien detto - sono coloro che mi perseguitano e mi tormentano », « molti sono coloro che mi combattono dall’alto », e così via.

Si può forse dire a buon diritto che molti sono gli adulteri che tendono insidie allo scopo di contaminare « questo matrimonio veramente prezioso e questo talamo immacolato »; e se è necessario enumerarli chiamandoli per nome, va ricordato che adultera è l’ira, adultera è l’avidità, adulteri sono l’invidia, il rancore, l’inimicizia, la denigrazione, l’odio, e che l’elenco fatto dall’apostolo di tutti i vizi « contrari al sano insegnamento » è un’enumerazione di adulteri.

Supponiamo che una donna bella e desiderabile venga concessa in sposa ad un re per queste sue qualità, e che degli uomini intemperanti la insidino per la sua bellezza.

Costei, finché reagisce contro tutti coloro che si mostrano premurosi nei suoi riguardi per corromperla accusandoli di fronte al suo sposo legittimo, è onesta e pensa al suo sposo; in tal caso, gl’inganni degl’intemperanti non hanno alcuna presa su di lei.

Se invece dà retta anche ad uno solo di coloro che l’insidiano, la sua castità nei riguardi degli altri non la esime dalla condanna: perché venga condannata, basta infatti che il talamo sia contaminato da un solo uomo.

Così l’anima che vive per Dio non si lascia sedurre da nessuna delle cose che le vengono presentate come belle con l’inganno: se, vittima di una passione, accetta di contaminare il suo cuore, anche lei infrange il principio giuridico del matrimonio spirituale.

Come dice la Scrittura, « nell’anima orditrice di mali non entra la sapienza »: ciò significa in realtà che il buono sposo non può entrare nell’anima che è dedita all’ira, che ama la denigrazione o che ospita in sé altri simili vizi.

Quale accorgimento potrà mai conciliare tra loro le cose che per natura sono estranee l’una all’altra e che non possono combinarsi insieme?

Ascolta l’apostolo quando insegna che « non esiste nessun rapporto tra la luce e le tenebre » o « tra la giustizia e l’illegalità »: per dirla in breve, non esiste nessun rapporto tra tutto ciò che è il Signore quando è pensato e chiamato secondo le varie proprietà che si vedono in lui e tutte le proprietà contrarie che si possono pensare presenti nel vizio.

Se è impossibile un rapporto tra le cose che per natura non si possono mescolare tra loro, l’anima prigioniera di un vizio è assolutamente estranea al bene e non gli consente di soggiornare in lei.

Qual è dunque l’insegnamento che se ne può ricavare?

La vergine casta ed assennata deve allontanarsi da ogni pensiero capace di toccare in qualsiasi modo la sua anima, e conservarsi pura per lo sposo che si è unito a lei secondo la legge, « rimanendo libera da macchie, grinze ed altre simili cose ».

Una sola è la strada diritta, veramente stretta e piena di triboli, che non ammette deviazioni né in un senso né in un altro: qualsiasi allontanamento da essa comporta un uguale pericolo di cadute.

XVII. È imperfetto nei riguardi del bene chi è difettoso anche in una sola delle pratiche virtuose

Se le cose stanno così, bisogna correggere per quanto è possibile le abitudini più in voga: coloro che pur reagendo con vigore contro i piaceri più turpi ricercano il piacere per altre vie, come ad esempio negli onori e nel desiderio di comandare, si comportano pressappoco come il domestico che, desiderando la libertà, non cerca di liberarsi dalla servitù ma si limita a cambiare i suoi padroni, confondendo questo scambio con la libertà.

Anche se non hanno gli stessi padroni, costoro sono tutti schiavi in uguale misura, finché c’è qualcuno che li domina e li comanda esercitando su di loro il suo potere.

Vi sono poi altri che, dopo una lunga lotta contro i piaceri, diventano non si sa come facile preda della passione opposta: vivendo in modo scrupolosamente severo, si lasciano subito prendere dai dolori, dalle irritazioni, dai rancori, e da tutti gli altri vizi che sono opposti all’edonismo, e ben difficilmente riescono a liberarsene.

Ciò avviene, quando il corso della vita è guidato non dalla norma della virtù, ma da qualche passione.

Eppure, come dice la Scrittura, il comandamento del Signore è così chiaro da illuminare anche gli occhi dei bambini: esso afferma che il bene consiste nel tenersi attaccati soltanto a Dio.

E Dio non è né dolore né piacere né viltà né temerarietà né paura né ira né una di quelle passioni che dominano l’anima priva di disciplina, ma, come dice l’apostolo, è la sapienza stessa, la santificazione, la verità, la gioia, la pace e tutte le altre cose simili a queste.

Chi è dominato dalle passioni contrarie come può unirsi a chi è tutto questo?

O come non è assurdo che colui che cerca di non essere preda di una determinata passione scambi per virtù il suo opposto?

Ciò avviene quando, per sfuggire al piacere, si diventa schiavi del dolore, quando per evitare la temerarietà e la sconsideratezza si mortifica l’anima con la viltà, e quando, nell’intento di non cadere prigionieri dell’ira, si rimane sbigottiti per la paura.

Quale differenza comportano i vari modi in cui ci si allontana dalla virtù o, per meglio dire, si abbandona Dio, che è la virtù perfetta?

Anche nel caso delle malattie del corpo, non si può dire che agiscono mali diversi quando si è distrutti da un difetto eccessivo o da una sovrabbondanza smisurata, giacché in entrambi i casi la mancanza di misura porta allo stesso sbocco.

Chiunque si preoccupa di vivere secondo l’anima e cerca la salute, sta attento a rimanere nel punto di mezzo rappresentato dalla mancanza di passioni, senza mescolarsi od avere rapporti con i vizi contrari che da entrambe le parti affiancano la virtù.

A dire tutto questo non sono io, ma è la stessa voce divina.

Si può infatti ascoltare chiaramente l’insegnamento del Signore, là dove egli raccomanda ai suoi discepoli - simili ad agnelli che vivono in mezzo ai lupi - di non essere soltanto colombe, ma di avere nel loro carattere anche qualcosa del serpente.

Ciò significa che non si deve coltivare fino all’eccesso quella semplicità che sembra lodevole agli uomini, giacché tale atteggiamento rassomiglierebbe alla più grande stoltezza; e che non si deve scambiare per una virtù priva dei contrari ed assolutamente pura quell’abilità e malizia che è lodata da molti: sulla base di quelli che sembrano i contrari, occorre formare un carattere in cui siano mescolati entrambi gli elementi, eliminando dall’uno la stoltezza e dall’altro la scaltrezza che si manifesta nella malvagità.

In tal modo, entrambi gli opposti concorrono a formare un unico bel modo di agire, risultante dalla semplicità di mente e dalla perspicacia.

« Diventate - dice il Signore - prudenti come i serpenti e semplici come le colombe ».

XVIII. Tutte le facoltà dell’anima devono mirare alla virtù

Ciò che il Signore dice in questo passo deve rappresentare per tutti - ed in specie per coloro che si avvicinano a Dio tramite la verginità - un insegnamento da applicare per tutta la vita: si deve cioè cercare di non trascurare i contrari coltivando una sola virtù e di cogliere il bene ovunque si trovi, in modo da dare alla propria vita una sicurezza totale.

Neanche il soldato ripara con la sua armatura certe parti del corpo per lasciare nude le rimanenti ed esporsi così ai pericoli.

Quale vantaggio trarrebbe infatti da quest’armamento parziale, se ricevesse un colpo mortale in una sua parte esposta?

E chi potrebbe chiamare bella una persona che in seguito ad una disgrazia è rimasta priva di una delle parti che concorrono a formarne la bellezza?

La bruttura prodotta da tale mancanza guasta la bellezza della parte buona.

E se, come dice un passo del Vangelo, ( Lc 14,28-30 ) è ridicolo colui che, intrapresa la costruzione di una torre, mette tutto il suo impegno nelle fondamenta ma poi non giunge alla fine, quale altro insegnamento si può trarre da questa parabola, se non che in ogni impresa di rilievo bisogna fare di tutto per giungere al suo termine compiendo l’opera di Dio con le varie costruzioni rappresentate dai comandamenti?

Una sola pietra non basta a costruire tutta la torre, ed un solo comandamento non conduce l’anima perfetta alla proporzione ricercata: bisogna in ogni caso gettare le fondamenta per poi, come dice l’apostolo, « mettervi sopra la costruzione fatta d’oro e di pietre preziose ».

Così sono infatti chiamati i comandamenti messi in pratica, secondo il detto del profeta: « Ho amato i tuoi comandamenti più dell’oro e di molte pietre preziose ».

La ricerca della verginità deve dunque rappresentare il fondamento della vita virtuosa, ma su di questo vanno costruite tutte le opere della virtù.

Anche ammettendo che il fondamento sia veramente prezioso e degno di Dio - ed in effetti lo è ed è creduto tale -, se tutta la rimanente condotta di vita non corrisponde a questa virtù e viene sporcata dal disordine dell’anima, allora è proprio il caso di parlare dell’« orecchino che sta nel naso della scrofa » o della « perla calpestata dai piedi dei porci ».

Questo andava detto su questi argomenti.

Chi non dà alcuna importanza al fatto che la sua vita manca di armonia per colpa degli elementi che dovrebbero invece accordarsi perfettamente tra loro, può arrivare a comprendere quest’insegnamento guardando la sua casa.

A mio parere, il padrone di casa non ammette che nella propria abitazione i vari oggetti abbiano un aspetto sconveniente o brutto: si pensi ad un letto rivoltato, alla tavola piena di sudiciume, alle suppellettili preziose gettate in luoghi sporchi, ed alle suppellettili destinate ai servizi più umili che cadono invece sotto lo sguardo di chi entra; al contrario, egli dispone tutto in modo appropriato e secondo l’ordine conveniente, e, assegnato a ciascuna cosa il posto che le si addice, accoglie con fiducia gli ospiti, sicuro di non vergognarsi se la disposizione degli oggetti della sua casa cade sotto i loro occhi.

Allo stesso modo penso che il padrone ed amministratore della nostra tenda - parlo dell’intelligenza - debba disporre bene tutto ciò che c’è in noi, usando in modo appropriato ed in vista del bene quelle facoltà dell’anima che il demiurgo ha fabbricato per noi in luogo degli strumenti e delle suppellettili.

Nella speranza che il mio discorso non venga accusato di essere un’inutile chiacchiera, passando in rassegna i singoli casi spiegherò come, facendo uso di ciò che si ha, si possa regolare la propria vita secondo ciò che è conveniente.

Diciamo dunque che occorre tenere i desideri ben fermi nella parte più pura dell’anima: una volta che sono stati scelti e consacrati a Dio come un’offerta o una primizia dei propri beni, essi vanno custoditi in modo che restino intangibili e puri e non vengano sporcati dalle sozzure della vita.

L’ira e l’odio devono vegliare come cani da guardia soltanto contro le resistenze opposte dal peccato, e fare uso della propria natura contro il ladro ed il nemico che s’introduce per guastare il tesoro divino e che viene a rubare, uccidere e mandare in rovina.

Il coraggio e l’ardimento vanno tenuti in mano come un’arma per non farsi cogliere di sorpresa dagli spaventi che sopravvengono o dagli assalti degli empi.

Alla speranza ed alla pazienza ci si deve appoggiare come se fossero dei bastoni, nei casi in cui le tentazioni producono stanchezza.

Il bene rappresentato dal dolore - qualora capiti di averlo - va tenuto a portata di mano quando ci si pente dei peccati: non è mai tanto utile come nel compimento di questo servizio.

La giustizia deve rappresentare la norma della rettitudine, indicando il modo di evitare il peccato in ogni parola ed in ogni opera e suggerendo come devono comportarsi le parti dell’anima e come si possa dare a ciascuna di esse ciò che è dovuto.

Chi trasforma il desiderio di avere di più - presente nell’anima di ciascuno in modo veemente, anzi smisurato - nel desiderio conforme al volere di Dio, è definito beato per questa sua cupidigia, giacché usa la violenza là dove essa è encomiabile.

Un tale uomo adopera inoltre la sapienza e la prudenza come consiglieri in ciò che è utile e come aiutanti quando si tratta di organizzare la propria vita, in modo da non essere mai danneggiato dall’ignoranza o dalla stoltezza.

Se invece non adoperasse queste facoltà di cui si è parlato in modo conforme alla natura e giusto, ma introducesse nel loro uso dei cambiamenti contrari ad ogni norma, facendo volgere il desiderio verso le cose turpi, tenendo pronto l’odio per usarlo contro i congiunti, amando l’ingiustizia, mostrandosi violento nei riguardi dei genitori, manifestando la sua audacia in cose assurde, sperando in cose vane, impedendo alla prudenza ed alla saggezza di coabitare con lui, preferendo la compagnia della ghiottoneria e dell’intemperanza e comportandosi in modo analogo nel resto, allora si rivelerebbe singolare a tal punto che non sarebbe facile dare di questa sua stranezza una degna descrizione.

Che cosa si direbbe infatti se uno, scambiando tra loro i vari pezzi dell’armatura, rivoltasse l’elmo in modo da nascondere il volto e far sporgere indietro il cimiero, tenesse i piedi nella corazza, adattasse al petto gli schinieri, mettesse a destra ciò che dovrebbe stare a sinistra e a sinistra l’armatura della parte destra?

Ciò che inevitabilmente toccherebbe in guerra ad un simile soldato è naturale che tocchi nella vita a chi confonde i propri pensieri ed inverte l’uso della facoltà dell’anima.

In questo campo dobbiamo dunque cercare quell’armonia che la vera temperanza è in grado d’infondere nelle nostre anime.

E se si dovesse considerare la più perfetta definizione della temperanza, si potrebbe forse dire a buon diritto che essa consiste nell’ordinato governo di tutti i movimenti dell’anima, esercitato dalla sapienza e dalla prudenza.

Tale disposizione d’animo non ha bisogno né di fatiche né d’impegno per potere essere partecipe delle cose più alte e celesti, e grazie alla sua natura è in grado di raggiungere assai facilmente ciò che prima sembrava quasi irraggiungibile, in quanto possiede già in sé l’oggetto della ricerca avendo eliminato il suo contrario: chi è uscito dalla tenebra non può non trovarsi nella luce, e chi non è morto deve necessariamente vivere.

Se quindi non s’indirizza la propria anima verso le cose vane, si resta interamente nella strada della verità: lo stare attenti ad evitare le deviazioni e la conoscenza di quest’arte rappresenta una guida scrupolosa nel retto cammino.

Come gli schiavi affrancati, quando non servono più i loro proprietari e diventano padroni di sé stessi, concentrano le loro cure sulla propria persona, così, a mio avviso, anche l’anima libera dalla schiavitù e dagl’inganni del corpo giunge a conoscere l’attività naturale che le è propria: come anche l’apostolo ci ha insegnato, la libertà consiste nel « non essere prigionieri del giogo della schiavitù » e nel non essere tenuti nei ceppi del legame del matrimonio come dei transfughi o dei malfattori.

Il mio discorso ritorna allo stesso punto di partenza, giacché la libertà perfetta non consiste soltanto nella rinunzia al matrimonio ( non si pensi che la verginità sia una cosa di così poco valore e così a buon mercato da infondere il convincimento che per realizzare tale ideale basta tenere un po’ sotto controllo la carne ); ma poiché « chiunque commette il peccato è schiavo del peccato », la deviazione verso il vizio, possibile in ogni cosa ed in ogni attività, rende schiavo in un certo senso l’uomo e lo macchia, producendo su di lui con i colpi del peccato dei lividi e delle bruciature: di conseguenza, chi tocca la grande meta rappresentata dalla verginità deve essere simile a se stesso in ogni circostanza e far mostra della propria purezza in tutta quanta la sua vita.

Se si deve illustrare il mio discorso con un esempio preso dalle Scritture ispirate da Dio, a confermarne la verità basta la verità stessa, che in una parabola ed in un enigma del Vangelo c’insegna proprio questo.

L’arte del pescatore separa i pesci buoni e commestibili da quelli cattivi e dannosi, per evitare che qualche pesce cattivo caduto nella rete impedisca di gustare quelli buoni; analogamente, il compito della temperanza consiste nello scegliere in ogni occupazione ciò che è puro ed utile e nello scartare ciò che è inutile, lasciandolo alla vita secolare e mondana che la parabola chiama metaforicamente mare.

Anche il salmista la chiama così, suggerendo in uno dei suoi salmi il modo di rendere grazie: egli definisce questa nostra vita instabile, soggetta a passioni ed agitata, « acque che toccano l’anima, abissi marini e tempestosi »; in essa, ogni pensiero ribelle cade a fondo come una pietra, così come era avvenuto per gli Egiziani.

Solo chi è caro a Dio ed è in grado di contemplare la verità - queste persone sono chiamate dalla storia Israele - riesce ad attraversare questo mare come se fosse asciutto, senza venire minimamente toccato dalle onde amare e salate della vita.

Così, sotto la guida della legge ( Mosè ne era infatti l’emblema ), anche Israele attraversò il mare senza bagnarsi diventando in tal modo un esempio, mentre gli Egiziani nel tentativo di attraversarlo insieme ad Israele vennero sommersi; entrambi subirono l’influenza della disposizione d’animo che era presente in loro: mentre gli uni poterono passare con facilità, gli altri andarono a fondo; in effetti, la virtù è una cosa leggera e tende a salire in alto.

Tutti coloro che vivono uniformandosi ad essa volano come nuvole o « come colombe con i loro piccoli », secondo il detto di Isaia.

Come dice uno dei profeti, il peccato è invece una cosa pesante, « seduta su un talento di piombo ».

Se qualcuno ritiene sforzata e non rispondente ai fatti tale interpretazione della storia sacra e non vuole ammettere che il prodigio dell’attraversamento del mare sia stato scritto per nostra utilità, ascolti le parole dell’apostolo: « A loro queste cose capitarono perché servissero da esempio, e furono scritte perché venissimo esortati ».

XIX. Ricordo di Maria sorella di Aronne, come colei che inaugurò questo tipo di vita perfetta

A questo ci fa pensare anche la profetessa Maria, quando subito dopo avere attraversato il mare prese in mano il tamburino asciutto e risonante, mettendosi in testa al coro delle donne: è forse probabile che il racconto voglia alludere tramite il tamburino alla verginità praticata da questa prima Maria, nella quale a mio avviso è prefigurata Maria madre di Dio.

Come il tamburino emette molti suoni se elimina da sé tutta l’umidità e diventa completamente asciutto, così la verginità diventa splendente e famosa perché non accoglie durante la vita l’umore che dà origine alla vita stessa.

Se il tamburino preso in mano da Maria è un cadavere e la verginità è la morte del corpo, non è forse del tutto inverosimile pensare che la profetessa fosse vergine.

Noi avanziamo quest’ipotesi non in seguito ad una chiara dimostrazione, ma in virtù di semplici congetture e supposizioni, dovute al fatto che la profetessa Maria guidò il coro delle vergini, anche se molti esperti hanno fatto vedere chiaramente che essa era vergine perché la storia sacra non ricorda mai il suo matrimonio e la sua procreazione: in effetti, se avesse avuto un marito, avrebbe dovuto essere nominata e riconosciuta non in base a suo fratello Aronne ma in base a suo marito, giacché il capo di una donna è considerato non il fratello, ma il marito.

Se la grazia della verginità sembrava preziosa anche a coloro che onoravano la procreazione come una benedizione e che la consideravano una cosa legittima, a maggior ragione noi, che ascoltiamo i divini oracoli non secondo la carne ma secondo lo spirito, dobbiamo abbracciare una tale pratica.

Gli oracoli divini ci hanno svelato quale bene rappresentino la gravidanza ed il parto spirituali e quale tipo di fecondità fosse praticato dai santi di Dio.

Il profeta Isaia ed il divino apostolo lo spiegano molto chiaramente.

Il primo dice: « Per effetto del timore che abbiamo di te, o Signore, abbiamo concepito nel nostro ventre, partorito e generato »; il secondo si vanta di essere divenuto il più fecondo di tutti gli uomini, e di avere reso gravide intere città e popoli, in quanto con i suoi parti non solo condusse alla luce e formò nel Signore i Corinzi ed i Galati , ma fece il giro di tutta la terra abitata, da Gerusalemme fino all’Illiria, riempiendola dei propri figli generati in Cristo tramite il vangelo.

Così anche nel vangelo è considerato beato il ventre della santa vergine che servì all’immacolata generazione: il parto non cancellò la verginità, e la verginità da parte sua non ostacolò tale gravidanza.

Come dice Isaia, là dove si produce lo spirito della salvezza i voleri della carne diventano del tutto impotenti.

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