Cammino di perfezione

Capitolo 13

Continua a parlare della mortificazione e mostra come bisogna fuggire i puntigli e le massime del mondo per arrivare alla vera sapienza.

1. Ve l’ho detto molte volte, sorelle, e ora ve lo voglio lasciare scritto qui affinché non lo dimentichiate, che le religiose di questa casa, come anche ogni persona che vorrà essere perfetta, deve fuggire mille miglia da espressioni come queste: « avevo ragione », « mi hanno fatto un torto », « non aveva un motivo chi mi ha fatto questo » …

Dio ci liberi da cattive ragioni!

Vi sembra che ci fosse motivo perché il nostro buon Gesù soffrisse tante offese e gli facessero tanti oltraggi e tanti torti?

La religiosa che non fosse disposta a portare la croce che non sia quella datale a buon diritto, io mi chiedo che ci fa in un monastero; se ne ritorni nel mondo, dove pur le sue ragioni non le varranno a risparmiarle prove.

Forse che voi potete soffrire tanto da non meritare maggiori sofferenze?

Che motivo avete, dunque, di lagnarvi? Davvero non lo capisco.

2. Quando ci tributano qualche onore o ci concedono agi o ci trattano particolarmente bene, tiriamo fuori queste ragioni, essendo certamente contro ogni logica che ci usino tali attenzioni in questa vita.

Ma quanto ai torti – così li chiamiamo senza che in realtà nessuno ci faccia torto – io non so che cosa ci sia da dire.

O siamo spose di un così gran Re, o no.

Se lo siamo, esiste forse una donna onorata che non condivida gli oltraggi fatti al suo sposo, anche se di sua volontà non lo farebbe?

Infine, l’onore e il disonore sono in comune fra loro.

Volere, dunque, far parte del suo regno e goderne, e al tempo stesso non partecipare in nessun modo dei suoi oltraggi e delle sue sofferenze, è una follia.

3. Dio non voglia che noi desideriamo questo!

Quella fra noi che si considera stimata meno fra tutte le altre, si reputi la più felice; e lo è, infatti, se sopporta la prova come deve sopportarla, né le mancherà onore in questa e nell’altra vita, credetemi pure.

Ma che stoltezza la mia di chiedervi di credere a me, quando lo afferma la Sapienza di Dio che è la stessa verità!

Cerchiamo, figlie mie, di imitare in qualche cosa la grande umiltà della Vergine santissima, di cui portiamo l’abito.

C’è da riempirsi di confusione al pensiero che ci chiamiamo sue monache, perché per molto che ci sembri d’umiliarci, siamo ben lontane dall’esser degne figlie di tal Madre e spose di tale Sposo.

Pertanto, se non bloccate con tutta la diligenza possibile le imperfezioni di cui ho parlato, ciò che oggi non sembra nulla, domani forse sarà un peccato veniale, e tanto pericoloso da diventare, se trascurato, causa di molti altri.

E per un Ordine religioso ciò comporta gravi danni.

4. A questo dovremmo far molta attenzione, noi che viviamo in comunità, per non nuocere a quelle che si adoperano a fare il nostro bene e a servirci di buon esempio.

E se sapessimo quanto danno si arreca nel dar l’avvio a una cattiva abitudine, preferiremmo morire piuttosto che esserne causa, perché si tratterebbe, in fondo, solo di una morte fisica.

Nuocere, invece, alle anime è davvero un gran male e sembra non aver fine.

Infatti, alle religiose che muoiono ne succedono altre, e tutte, probabilmente, seguono piuttosto una cattiva abitudine da noi introdotta, che non molti esempi di virtù.

Il demonio non lascia cadere la prima, mentre basta la nostra stessa naturale debolezza a far perdere la traccia delle virtù.

5. Oh, quale grande carità attuerebbe e quale gran servizio a Dio renderebbe la religiosa che, vedendosi incapace di seguire le abitudini di questa casa, lo riconoscesse e se ne andasse via da qui!

Guardi che è quanto le conviene fare, se non vuole avere un inferno quaggiù; piaccia, anzi, a Dio che non ne trovi un altro di là, essendovi molte ragioni per temerlo e forse né lei né le altre potranno capirlo come lo capisco io.

6. Credete a ciò che vi dico, altrimenti ci penserà il tempo a darmi ragione, perché il tenore di vita che qui intendiamo condurre non è solo da monache, ma da eremite, pertanto dobbiamo distaccarci da ogni cosa creata.

Tale, infatti, è la grazia che, come posso costatare, il Signore concede particolarmente a quelle che ha scelto per questa casa.

Anche se non vi realizzano ancora il distacco con tutta perfezione, la prova che sono indirizzate per quel cammino è l’appagamento e l’allegria da cui sono pervase al pensiero che non devono più occuparsi delle cose del mondo e il piacere che traggono da tutte le pratiche religiose.

Torno a dire che se qualcuna è incline alle cose del mondo e vede di non realizzare alcun progresso, se ne vada via da qui; se, ciò malgrado, vuole essere ancora religiosa, entri in un altro monastero, altrimenti vedrà che cosa le succede.

Non si lamenti di me, che ho dato qui inizio a tal genere di vita, perché non manco di avvertirla.

7. Questa casa è un paradiso, se ce ne può essere uno sulla terra.

Per chi trova il suo appagamento solo nel contentare Dio e non bada al proprio piacere, tale vita è assai felice.

Chi desidera qualcosa di più, siccome non potrà averla, perderà tutto.

Un’anima scontenta è come chi ha molta inappetenza: per buono che sia il cibo, ne ha nausea, e quello che le persone sane mangiano di gran gusto gli fa rivoltare lo stomaco.

Altrove quest’anima si salverà più facilmente e può darsi che a poco a poco raggiunga quella perfezione che qui non ha potuto sopportare, perché affrontata tutta d’un colpo.

Infatti, sebbene per quanto riguarda il nostro intimo si lasci un po’ di tempo perché sia del tutto distaccato e mortificato, per le forme esteriori dev’essere fatto subito.

Se qualcuna, pur vedendo come agiscono tutte e pur trovandosi continuamente in così buona compagnia, non fa progresso in un anno, temo che in molti anni non ne approfitterà di più, anzi indietreggerà.

Non dico che la sua perfezione debba essere così rifinita come quella delle altre, ma che ci si accorga della sua graduale ripresa; del resto, quando il male è mortale, si vede subito.

Indice