Vita seconda

La santa semplicità

Capitolo CXLII

In che consiste la vera semplicità

[775] 189. Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa semplicità, figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia.

Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.

È quella che pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male.

La semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al migliore.

Quella che non stimando un gran che le glorie della Grecia, preferisce l'agire all'imparare o all'insegnare.

È la semplicità che in tutte le leggi divine lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene.

È questa la semplicità che il Padre esigeva nei frati letterati e in quelli senza cultura, perché non la riteneva contraria alla sapienza, ma giustamente sua sorella germana, quantunque ritenesse che più facilmente possono acquistarla e praticarla coloro che sono poveri di scienza.

Per questo, nelle Lodi che compose riguardo alle virtù, dice: « Ave, o regina sapienza.

Il Signore ti salvi con la tua sorella, la pura santa semplicità ».

Capitolo CXLIII

Frate Giovanni il semplice

[776] 190. Mentre Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi, gli andò incontro un certo Giovanni, uomo semplicissimo che stava arando nel campo, e gli disse « Voglio che tu mi faccia frate, perché da molto tempo desidero servire Dio ».

Il Santo ne provò gioia, considerando la sua semplicità, e rispose secondo il suo desiderio: « Se vuoi, fratello, diventare nostro compagno, dà ai poveri ciò che possiedi e ti accoglierò dopo che ti sarai espropriato di tutto ».

Immediatamente scioglie i buoi e ne offre uno a Francesco.

« Questo bue - dice - diamolo ai poveri!

Perché questa è la parte che ho diritto di ricevere dai beni di mio padre ».

Il Santo sorrise e approvò la sua grande semplicità.

Appena i genitori e i fratelli più piccoli seppero la cosa, accorsero in lacrime, addolorati più di rimanere privi del bue che del congiunto.

« Coraggio, - rispose loro il Santo - ecco, vi restituisco il bue e mi prendo il frate ».

Lo condusse con sé, e dopo averlo vestito dell'abito religioso, lo prese come compagno particolare in grazia della sua semplicità.

Quando Francesco stava in qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e imitava subito tutti i gesti o i movimenti che egli faceva.

Se sputava, sputava; se tossiva, tossiva; univa i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto.

Se il Santo levava le mani al cielo, le alzava egli pure, fissandolo con diligenza come un modello e facendo sua ogni mossa.

Il Santo se ne accorse e gli chiese una volta, perché facesse così.

« Ho promesso - rispose - di fare tutto ciò che fai tu.

Sarebbe pericoloso per me trascurare qualche cosa ».

Francesco si rallegrò di quella schietta semplicità, ma gli proibì con dolcezza di fare più così in futuro.

Dopo non molto tempo in questa purità passò con semplicità al Signore.

E quando Francesco proponeva alla imitazione la sua vita - ciò che avveniva di frequente -, lo chiamava con grande piacevolezza non frate Giovanni, ma san Giovanni.

Osserva ora che è segno distintivo della pia semplicità vivere secondo le leggi dei maggiori, seguire sempre gli esempi e gli insegnamenti dei Santi.

Chi concederà ai saggi di questo mondo di imitare con tanto trasporto Francesco, ora che egli è glorificato in cielo, quanto ne ebbe questo frate semplice nell'imitarlo mentre era sulla terra?

E in realtà, dopo aver seguito il Santo da vivo, lo ha preceduto nella eterna vita.

Capitolo CXLIV

Sua premura per l'unione tra i figli

Una parabola a questi riguardo

[777] 191. Fu suo desiderio costante e vigile premura mantenere tra i figli il vincolo dell'unità, in modo che vivessero concordi nel grembo di una sola madre quelli che erano stati attratti dallo stesso spirito e generati dallo stesso padre.

Voleva che si fondessero maggiori e minori, che i dotti si legassero con affetto fraterno ai semplici, che i religiosi pur lontani tra loro si sentissero uniti dal cemento dell'amore.

[778] Una volta raccontò loro questa parabola ricca di significato.

« Ecco, supponiamo che si faccia un Capitolo generale di tutti i religiosi che sono nella Chiesa!

Poiché vi sono dotti e ignoranti, sapienti ed altri che sanno piacere a Dio, pur essendo senza cultura, viene incaricato a parlare uno dei sapienti e uno dei semplici ».

Il sapiente riflette - non per niente è dotto! - e pensa tra sé: « Non è questo il luogo di fare sfoggio di dottrina, perché vi sono qui luminari di scienza, e neppure farmi notare per ricercatezza nell'esporre cose sottili fra persone di ingegno sottilissimo.

Forse sarà più fruttuoso parlare con semplicità ».

Arriva il giorno fissato e si radunano insieme tutte le comunità dei santi assetate di udire il discorso.

Avanza il sapiente vestito di sacco, la testa cosparsa di cenere e, con meraviglia di tutti, predicando più con l'atteggiamento, dice brevemente: « Abbiamo promesso grandi cose, maggiori sono promesse a noi; osserviamo quelle ed aspiriamo a queste.

Il piacere è breve, la pena eterna, piccola la sofferenza, infinita la gloria.

Molti i chiamati, pochi gli eletti, ma tutti avranno la retribuzione! ».

Scoppiano in lacrime gli ascoltatori col cuore compunto e venerano come santo quel vero sapiente.

« Ecco - esclama in cuor suo il semplice - questo sapiente mi ha portato via tutto ciò che avevo stabilito di fare e di dire.

Ma so io cosa fare.

Conosco alcuni versetti dei salmi.

Farò io la parte del sapiente, giacché lui ha fatto quella del semplice ».

Giunge la sessione del giorno dopo, il frate semplice si alza a parlare e propone come tema un salmo.

E, infervorato dallo Spirito di Dio, parla con tanto calore, acume e dolcezza, seguendo il dono dell'ispirazione celeste, che tutti sono pieni di stupore ed esclamano giustamente: « Con i semplici parla il Signore ».

192. Dopo aver esposto la parabola, l'uomo di Dio la commentava così: « La grande assemblea è il nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del mondo sotto una sola norma di vita.

In questo i sapienti traggono a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana, raggiungere per mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.

« In questo Ordine anche i semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere carichi di onori in questo mondo.

Da qui - concluse - risalta la bellezza di questa beata famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia del padre di famiglia ».

Capitolo CXLV

Come il Santo voleva la tonsura

[779] 193. Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli: « Bada di non farmi una corona troppo larga!

Perché voglio che i miei frati semplici abbiano parte nel mio capo ».

Voleva appunto che l'Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto ai ricchi e sapienti.

« Presso Dio - diceva - non vi è preferenza di persone, e lo Spirito Santo, ministro generale dell'Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice ».

Avrebbe voluto inserire proprio questa frase nella Regola, ma non fu possibile perché era già stata confermata con bolla.

Capitolo CXLVI

Quale genere di espropriazione richiedeva dalle persone dotte che volevano entrare nell'Ordine

[780] 194. Una volta disse che un uomo di grande cultura, se vuole entrare nell'Ordine, deve rinunciare in qualche modo anche alla scienza, per offrirsi nudo alle braccia del Crocifisso, dopo essersi espropriato di questa forma di possesso.

« La scienza - spiegò - rende numerose persone restie alla perfezione, perché dona loro una certa rigidità, che non si piega agli insegnamenti umili.

Per questo vorrei che un uomo letterato mi facesse prima questa preghiera: "Ecco, fratello, ho vissuto a lungo nel mondo e non ho conosciuto veramente il mio Dio.

Ti prego, concedimi un luogo lontano dallo strepito degli uomini, dove possa ripensare nel dolore ai miei anni e dove, raccogliendo le dissipazioni del mio cuore, possa riformare in meglio lo spirito".

Secondo voi - continuò - quale diverrebbe uno che incominciasse così?

Certamente ne uscirebbe come un leone libero dalle catene, pronto a tutto, e la linfa spirituale assorbita in principio aumenterebbe in lui con un progresso continuo.

Alla fine, gli si potrebbe affidare con sicurezza il ministero della parola, certi che riverserebbe sugli altri il fervore che lo brucia ».

Insegnamento veramente santo!

Cosa ci può essere di più necessario per chi proviene da un ambiente così diverso, che rimuovere e togliere del tutto con la pratica dell'umiltà gli affetti mondani da lungo tempo consolidati e impressi nell'animo?

Ben presto diverrebbe perfetto chi entrasse nella scuola della perfezione.

Capitolo CXLVII

Come i dotti devono dedicarsi allo studio

Il Santo appare ad un compagno che si dedicava alla predicazione

[781] 195. Provava vivo dolore se uno si dedicava alla scienza trascurando la virtù, soprattutto se non rimaneva stabile nella vocazione in cui era quando da principio fu chiamato « I miei frati - diceva - che si lasciano attrarre dalla curiosità della scienza, si troveranno le mani vuote nel giorno della retribuzione.

Preferirei che si irrobustissero maggiormente con le virtù in modo da avere con loro il Signore nell'angustia, una volta giunta l'ora della tribolazione.

Perché - continuò - sta per giungere una tribolazione tale che i libri, buoni a nulla, saranno abbandonati negli armadi e nei ripostigli ».

Non diceva questo perché gli dispiacessero gli studi della Scrittura, ma per distogliere tutti da una premura eccessiva di imparare, e perché preferiva che fossero tutti buoni per carità piuttosto che saputelli per curiosità.

Presentiva anche che sarebbe venuto presto il tempo, in cui la scienza sarebbe stata occasione di rovina, e al contrario sostegno dello spirito l'aver atteso alla vita spirituale.

[782] Un frate laico desiderava aver un salterio e ne chiese licenza a Francesco.

Ma egli invece del salterio gli presentò della cenere.

[783] Ad uno dei suoi compagni che si dedicava un tempo alla predicazione, apparve in visione dopo morte e glielo proibì, ordinandogli di seguire la via della semplicità.

E Dio è testimone che, dopo questa visione, il frate provò tanta dolcezza, che per numerosi giorni ebbe l'impressione che gli risuonassero direttamente all'orecchio le parole stillanti rugiada del Padre.

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