Fioretti

Della terza considerazione delle sacre sante Istimate

[1915] Giunto alla terza considerazione, cioè alla apparizione serafica e impressione delle sacre sante Istimate, è da considerare che, appressandosi alla festa della santissima Croce del mese di settembre, andò una notte frate Lione al luogo e all' ora usata per dire mattutino con santo Francesco; e dicendo da capo al ponte, com' egli era usato, Domine, labia mea aperies, e santo Francesco non rispondendo, frate Lione non si tornò addietro, come santo Francesco gli avea comandato, ma con buona e santa intenzione passò il ponte ed entrò pianamente in cella sua, e non trovandolo, si pensò ch' e' fusse per la selva in qualche luogo in orazione.

Di che egli esce fuori e al lume della luna il va cercando pianamente per la selva: e finalmente egli udì la voce di santo Francesco e, appressandosi, il vide stare ginocchioni in orazione con la faccia e con le mani levate al cielo, e in fervore di spirito sì dicea: « Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo? ».

E queste medesime parole pure ripetea, e non dicea niuna altra cosa.

Per la qual cosa frate Leone forte maravigliandosi di ciò, levò gli occhi e guatò in cielo, e guatando sì vide venire dal cielo una fiaccola di fuoco bellissima e splendentissima, la quale discendendo si posò in capo di santo Francesco; e della detta fiamma udiva uscire voce, la quale parlava con santo Francesco, ma esso frate Lione non intendea le parole.

Vedendo questo e riputandosi indegno di stare così presso a quello luogo santo dov' era quella mirabile apparizione e temendo ancora di offendere santo Francesco o di turbarlo dalla sua considerazione, s' egli da lui fossi sentito, sì si tirò pianamente addietro e, stando da lunge, aspettava di vedere il fine.

E guardando fiso, vide santo Francesco stendere tre volte le mani alla fiamma e finalmente dopo grande ispazio, e' vide la fiamma ritornarsi in cielo.

Di che egli si muove sicuro e allegro della visione e tornavasi alla cella sua.

[1916] Ed andandosen' egli sicuramente, santo Francesco sì lo ebbe sentito allo stropiccìo de' piedi di sopra le foglie e comandogli che lo aspettasse e non si movesse.

Allora frate Lione obbidiente si stette fermo e aspettollo con tanta paura, che, secondo ch' egli poscia recitò alli compagni, in quel punto egli arebbe piuttosto voluto che la terra il tranghiottisse, che aspettare santo Francesco, il quale egli pensava essere contro a lui turbato; imperò che con somma diligenza egli si guardava d' offendere la sua paternità, acciò che per la sua colpa santo Francesco non lo privasse della sua compagnia.

Giugnendo a lui dunque santo Francesco, domandollo: « Chi se' tu? ».

E frate Lione tutto tremando rispuose: « Io sono frate Lione, padre mio ».

E santo Francesco: « Perché venisti tu qua, frate pecorella?

Non t' ho io detto che tu non mi vada osservando?

Dimmi per santa obbidienza se tu vedesti o udisti nulla ».

Rispose frate Lione: « Padre, io t' udii parlare e dire più volte: Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio?

Che sono io, vermine vilissimo e disutile servo tuo? ».

E allora inginocchiandosi frate Lione dinanzi a santo Francesco, si rendette in colpa della sua disobbedienza ch' gli avea fatto contra al suo comandamento e chiesegli perdonanza con molte lagrime.

E appresso lo pregò umilemente gli sponesse le parole ch' avea udite e dicessegli quelle ch' egli non aveva intese.

Allora, veggendo santo Francesco che Dio all' umile frate Lione per la sua semplicità e purità Iddio avea rivelato ovvero conceduto d' udire e di vedere alcune cose, sì gli condiscese a rivelargli e isporgli quello ch' egli gli domandava, e disse così: « Sappi, frate pecorella di Gesù Cristo, che quando io dicea quelle parole che tu udisti, allora mi erano mostrati all' anima mia due lumi, l' uno della notizia e conoscimento di me medesimo, l' altro della notizia e conoscimento del Creatore.

Quando io dicea: Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio?, allora ero io in un lume di contemplazione, nel quale io vedea l' abisso della infinita bontà e sapienza e potenza di Dio; e quando io dicea: Che sono io?, io ero in lume di contemplazione, nel quale io vedea il profondo lagrimoso della mia viltà e miseria, e però dicea: Chi se' tu, Signore d' infinita bontà e sapienza e potenza, che degni di visitare me che sono un vile vermine e abbominevole?

E in quella fiamma che tu vedesti era Iddio; il quale in quella ispezie mi parlava, siccome avea anticamente parlato a Moisè.

E tra l' altre cose che mi disse, sì mi chiese che io gli facesse tre doni, ed io gli rispondea.

Signor mio, io sono tutto tuo, tu sai bene che io non ho altro che la tonica e la corda e li panni di gamba, e anche queste tre cose sono tue: che posso dunque io offerere o donare alla tua maestà?

Allora Iddio mi disse: Cercati in grembo e offerami quello che tu vi truovi.

Io vi cercai e trovai una palla d' oro, e sì l' offersi a Dio, e così feci tre volte secondo che Iddio tre volte mel comandò; e poi m' inginocchiai tre volte, e benedissi e ringraziai Iddio, il quale m' avea dato che offerere.

Ed immantanente mi fu dato a intendere che quelle tre offerte significavano la santa obbidienza, l' altissima povertà e la spendidissima castità, le quali Iddio, per la sua grazia, m' ha conceduto d' osservare sì perfettamente che di nulla mi riprende la coscienza.

E come tu mi vedevi mettere le mani in grembo ed offerire a Dio queste tre virtù, significate per quelle tre palle d'oro le quali Iddio m' avea posto in grembo; così m' ha donato Iddio virtù nell' anima mia, che di tutti i beni e di tutte le grazie che m' ha concedute per la sua santissima bontà, io sempre col cuore e con la bocca ne lo lodo e magnifico.

Queste sono le parole le quali tu udisti al levare tre volte le mani che tu vedesti.

Ma guardati, frate pecorella, che tu non mi vadi osservando, e tornati alla tua cella con la benedizione di Dio, e abbi di me sollecita cura, imperò che da qui a pochi dl Iddio farà sì grandi e sì maravigliose cose in su questo monte, che tutto il mondo se ne maraviglierà; però che e' farà alcune cose nuove, le quali egli non fece mai a veruna creatura in questo mondo ».

[1917] E dette queste parole, si fece recare il libro de' Vangeli, però che Iddio gli avea messo nell' animo che nello aprire tre volte il libro de' Vangeli gli sarebbe dimostrato quello che a Dio piacea di fare di lui.

E recato che gli fu il libro, santo Francesco si gittò in orazione, e compiuta l' orazione si fece tre volte aprire il libro per mano di frate Lione nel nome della santissima Trinità, e come piacque alla divina disposizione, in quelle tre volte sempre sì gli si parò innanzi la passione di Cristo.

Per la qual cosa gli fu dato a intendere che così, come egli avea seguitato Cristo negli atti della sua vita, così lo dovea seguitare e a lui conformarsi nelle afflizioni e dolori della passione, prima che passasse di questa vita.

[1918] E da quel punto innanzi santo Francesco cominciò a gustare e sentire più abbondantemente la dolcezza della divina contemplazione e delle divine visitazioni.

Tra le quali n' ebbe una immediata e preparativa alla impressione delle sacre sante Istimate, in questa forma.

Il dl che va innanzi alla festa della santissima Croce del mese di settembre, istandosi santo Francesco in orazione segretamente nella cella sua, sì gli apparve l'Agnolo di Dio e dissegli dalla parte di Dio: « Io ti conforto e ammonisco che tu ti apparecchi e disponga umilemente con ogni pazienza a ricevere ciò che Iddio ti vorrà dare e in te fare ».

Risponde santo Francesco: « Io sono apparecchiato a sostenere pazientemente ogni cosa che il mio Signore sì mi vuole fare ».

E detto questo, l'Agnolo si partì.

[1919] Viene il dì seguente, cioè il dì della santissima Croce, e santo Francesco la mattina per tempo innanzi dì si gitta in orazione dinanzi all' uscio della sua cella, volgendo la faccia inverso l' oriente, e orava in questa forma: « O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch' io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori ».

E stando lungamente in cotesto priego, sì intese che Iddio lo esaudirebbe e che, quanto e' fusse possibile a pura creatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose.

In brieve, avendo santo Francesco questa promessa, comincia a contemplare divotissimamente la passione di Cristo e la sua infinita carità.

E crescea tanto il fervore in lui della divozione, che tutto sì si trasformava in Gesù, e per amore e per compassione.

E istando così infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina e' vide venire dal cielo uno Serafino con sei ali risplendenti e affocate; il quale Serafino con veloce volare appressandosi a santo Francesco, sì ch' egli il potea discernere, e' conobbe chiaramente che avea in sè l' immagine d' uomo crocifisso, e le sue alie erano così disposte, che due alie si distendeano sopra il capo, due se ne distendeano a volare e l' altre due sl copriano tutto il corpo.

Veggendo questo, santo Francesco fu fortemente ispaventato e insieme fu pieno d' allegrezza e di dolore con ammirazione.

Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli apparia così dimesticamente e guatavalo così graziosamente: ma da altra parte veggendolo crocifisso in croce, aveva smisurato dolore di compassione.

Appresso si maravigliava molto di così istupenda e disusata visione, sapendo bene che la infermità della passione non si confà colla immortalità dello ispirito serafico.

[1920] E istando in questa ammirazione, gli fu rivelato da colui che gli apparia, che per divina provvidenza quella visione gli era mostrata in cotale forma, acciò ch'egli intendesse che, non per martirio corporale, ma per incendio mentale egli doveva essere tutto trasformato in nella espressa similitudine di Cristo crocifisso.

In questa apparizione mirabile tutto il monte della Vernia parea ch' ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva e illuminava tutti li monti e le valli d' intorno, come se fusse il sole sopra la terra.

Onde li pastori che vegliavano in quelle contrade, vedendo il monte infiammato e tanta luce d' intorno, sì ebbono grandissima paura, secondo ch'eglino poi narrarono a' frati, affermando che quella fiamma era durata sopra 'l Monte della Vernia per ispazio d' una ora e più.

Similemente allo splendore di questo lume, il quale risplendeva negli alberghi della contrada per le finestre, certi mulattieri ch' andavano in Romagna si levarono suso, credendo che fusse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro e camminando sì vidono il detto lume cessare e levarsi il sole materiale.

E nella detta apparizione serafica Cristo, il quale apparia, sì parlò a santo Francesco certe cose secrete ed alte, le quali santo Francesco in vita sua non volle rivelare a persona, ma dopo la sua vita il rivelò, secondo che si dimostra più giù; e le parole furono queste: « Sai tu, disse Cristo, quello ch' io t' ho fatto?

Io t' ho donato le Stimate che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sia il mio gonfaloniere.

E siccome io il dì della morte mia discesi al limbo, e tutte l' anime ch' io vi trovai ne trassi in virtù di queste mie Istimate; e così a te concedo ch' ogni anno, il dì della morte tua, tu vadi al purgatorio, e tutte l' anime de' tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, ed eziandio degli altri i quali saranno istati a te molto divoti, i quali tu vi troverai, tu ne tragga in virtù delle tue Istimate e menile alla gloria di paradiso, acciò che tu sia a me conforme nella morte, come tu se' nella vita ».

[1921] Disparendo dunque questa visione mirabile, dopo grande spazio e segreto parlare, lasciò nel cuore di santo Francesco uno ardore eccessivo e fiamma d' amore divino, e nella sua carne lasciò una maravigliosa immagine ed orma delle passioni di Cristo.

Onde immantanente nelle mani e ne' piedi di santo Francesco cominciarono ad apparire li segnali delli chiovi, in quel modo ch' egli avea allora veduto nel corpo di Gesù Cristo crocifisso, il quale gli era apparito in ispezie di Serafino; e così parevano le mani e li piedi chiovellati nel mezzo con chiovi, li cui capi erano nelle palme delle mani e nelle piante de' piedi fuori delle carni, e le loro punte riuscivano in sul dosso delle mani e de' piedi, in tanto che pareano rintorti e ribaditi, per modo che fra la ribaditura e torcitura loro, la quale riusciva tutta sopra la carne, agevolmente sì si sarebbe potuto mettere il dito della mano, a modo che 'n uno anello; e li capi de' chiovi sì erano tondi e neri.

Similemente nel costato ritto apparve una immagine d' una ferita di lancia, non salda, rossa e sanguinosa, la quale poi spesse volte gittava sangue del santo petto di santo Francesco e insanguinavagli la tonica e li panni di gamba.

Onde li compagni suoi, innanzi che da lui il sapessono, avvedendosi nientedimeno che egli non iscopria le mani nè li piedi e che le piante dei piedi egli non potea porre in terra; appresso trovando sanguinosa la tonica e li panni di gamba, quando gliele lavavano, certamente compresono che egli nelle mani e ne' piedi e simigliantemente nel costato aveva espressamente impressa la immagine e similitudine del nostro Signore Gesù Cristo crocifisso.

[1922] E bene ch' assai s' ingegnasse di nascondere e di celare quelle sacrate Istimate gloriose, così chiaramente impresse nella carne sua, e da altra parte vedendo che male le potea celare alli compagni suoi famigliari, nientedimeno, temendo di pubblicare li segreti di Dio, fu posto in grande dubbio, s' e' dovesse rivelare la visione serafica e la impressione delle sacre sante Istimate o no.

Finalmente, per istimolo di coscienza, chiamò a sè alquanti frati più suoi domestichi e proponendo loro il dubbio sotto parole generali, non esprimendo il fatto, sì chiese loro consiglio.

Tra' quali frati era uno di grande santità, il quale avea nome frate Illuminato: costui veramente illuminato da Dio, comprendendo che santo Francesco dovesse aver vedute cose maravigliose, sì gli rispose così: « Frate Francesco, sappi che non per te solo, ma eziandio per gli altri, Iddio sì ti mostra alcuna volta li suoi sacramenti; e però tu hai ragionevolemente da temere che, se tu tieni celato quello che Iddio t'ha dimostrato per utilità altrui, tu non sia degno di riprensione ».

Allora santo Francesco, mosso per questa parola, con grandissimo timore riferì loro tutto il modo e la forma della sopraddetta visione, aggiugnendo che Cristo, il quale gli era apparito, gli aveva detto certe cose le quali egli non direbbe mai, mentre ch' egli vivesse.

[1923] E benché quelle piaghe santissime, in quanto gli erano impresse da Cristo, gli dessino al cuore grandissima allegrezza nientedimeno alla carne sua e alli sentimenti corporali gli davano intollerabile dolore.

Di che costretto per necessità, egli elesse frate Leone, tra gli altri più semplice e più puro, al quale egli rivelò il tutto e quelle sante piaghe gli lasciava vedere e toccare e fasciare con alcune pezzuole, a mitigare il dolore e a ricevere il sangue che delle dette piaghe usciva e colava.

Le quali fasciuole a tempo d' infermità egli si lasciava mutare ispesso, eziandio ognindì, eccetto che dal giovedì sera insino al sabato mattina, imperò che in quel tempo egli non volea che per veruno umano rimedio o medicina gli fusse punto mitigato il dolore della passione di Cristo, la quale portava nel suo corpo; nel quale tempo il nostro salvatore Gesù Cristo era istato per noi preso e crocifisso e morto e soppellito.

Addivenne alcuna volta che, quando frate Lione gli mutava la fascia della piaga del costato, santo Francesco, per lo dolore che sentia in quello ispiccare della fascia sanguinosa, puose la mano al petto di frate Lione; per lo quale toccare di quelle sacrate mani, frate Lione sentia tanta dolcezza di divozione nel cuore suo, che poco meno e' cadea in terra tramortito.

[1924] E finalmente, quanto a questa terza considerazione avendo santo Francesco compiuta la quaresima di santo Michele Arcangiolo, si dispuose, per divina rivelazione, di tornare a Santa Maria degli Agnoli.

Ond' egli chiama a sè frate Masseo e frate Agnolo, e dopo molte parole e santi ammaestramenti, sì raccomandò loro con ogni efficacia che e' potè quello monte santo, dicendo come a lui convenia insieme con frate Lione tornare a Santa Maria degli Agnoli.

E detto questo, accomiatandosi da loro e benedicendoli nel nome di Gesù crocifisso, condescendendo a' loro prieghi, sì porse loro le sue santissime mani, adornate di quelle gloriose e sacre sante Istimate, a vedere e a toccare e a baciare.

E così lasciandoli consolati, sì si partì da loro e iscese del santo monte.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

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