Leggenda di Santa Chiara Vergine

La mortificazione della carne

[3191] 17. Forse, piuttosto che parlarne, converrebbe passare sotto silenzio la mirabile sua mortificazione della carne: perché ella ha compiuto penitenze tali che lo stupore, in chi le sente raccontare, lotta incredulo con la verità.

Non era gran cosa che coprisse il suo fragile corpo, più che riscaldarlo, con una semplice tunica e un vile mantello di panno rozzo; né fa meraviglia che ignorasse completamente l'uso delle calzature.

Neppure il suo continuo digiuno, in ogni tempo dell'anno, è cosa straordinaria, né che si servisse di un piccolo giaciglio senza morbidezza.

Per queste mortificazioni, infatti, non meriterebbe forse lodi particolari, perché anche le altre, nel suo stesso monastero, praticavano simili penitenze.

[3192] Ma quale mai connessione vi poteva essere tra la carne verginale e un cilicio di cuoio di porco?

Questa vergine santissima si era infatti procurata un indumento di cuoio di porco e lo indossava segretamente sotto la tonaca, con le ispide setole tagliate volte verso la propria carne.

Usava pure talvolta un duro cilicio, intrecciato con crini di cavallo e nodoso, stringendoselo alla persona, da una parte e dall'altra, con rudi cordicelle.

Una volta prestò questo indumento ad una delle figlie che glielo aveva chiesto: ma, indossatolo, subito vinta da tale asprezza, in tutta fretta dopo tre giorni lo restituì con gaudio maggiore di quando lo aveva chiesto.

[3193] La terra nuda e talvolta dei sarmenti di vite erano il suo letto; un duro legno sotto la testa le faceva da guanciale.

In seguito, poi, indebolitosi il corpo, stese a terra una stuoia e si concesse sotto il capo, in via di clemenza, un poco di paglia.

E alla fine, quando il suo corpo trattato così duramente contrasse una lunga malattia, per ordine del beato Francesco fece uso di un saccone pieno di paglia.

[3194] 18. Nei digiuni, poi, era tale il rigore della sua astinenza, che a stento il suo fisico avrebbe potuto sopravvivere con un simile esiguo sostentamento, se non l'avesse sorretto una forza d'altro genere.

Finché fu in salute, infatti, digiunava a pane ed acqua la quaresima maggiore e la quaresima di san Martino vescovo, gustando solo la domenica un po' di vino, se ne aveva.

E ammira, o lettore, ciò che non potresti imitare: per tre giorni di ogni settimana, cioè il lunedì, il mercoledì e il venerdì, durante quelle quaresime, si asteneva completamente da qualunque cibo.

Cosi, l'uno dopo l'altro, si alternavano successivamente giorni di scarso nutrimento e giorni di completa astinenza: quasi che la vigilia di digiuno perfetto si rilassasse in un giorno festivo a pane ed acqua.

Non fa meraviglia se tanto rigore, mantenuto per lungo tempo, abbia predisposto Chiara alla malattia, ne abbia consumato le forze, ne abbia svigorito il fisico.

Perciò le figlie, devotissime della santa madre, soffrivano per lei e deploravano con lacrime quelle morti quotidiane a cui volontariamente si sottoponeva.

[3195] Infine il beato Francesco e il vescovo di Assisi, proibirono a santa Chiara quell'esiziale digiuno di tre giorni, ordinandole che non lasciasse passare alcun giorno senza mangiare almeno un'oncia e mezza di pane.

[3196] E mentre avviene di solito che un'aspra macerazione fisica produce per conseguenza depressione di spirito, ben diverso era l'effetto che splendeva in Chiara: in ogni sua mortificazione manteneva infatti un aspetto gioioso e sereno, cosi che sembrava non avvertire o ridere delle angustie del corpo.

Da ciò si può chiaramente intuire che traboccava all'esterno la santa letizia di cui abbondava il suo intimo: perché ai flagelli del corpo toglie ogni asprezza l'amore del cuore.

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