Opuscoli

Memoriale delle origini

Dice in un memoriale scritto di suo pugno con il quale intendeva far conoscere ai Fratelli le vie della Provvidenza per dare origini al loro Istituto:

[1] Credevo che la guida che avevo assunto delle Scuole e dei Maestri, avrebbe riguardato solo l'aspetto esterno e che il mio impegno in merito si sarebbe limitato a provvedere al loro sostentamento e a far sì che si dedicassero alla loro professione con pietà e con applicazione.

[2] Due furono le circostanze che mi fecero decidere a occuparmi delle scuole per i ragazzi:

- l'incontro con il Sig. Nyel;

- la proposta fattami dalla suddetta Signora.

Fino a quel momento non vi avevo proprio pensato, anche se qualcuno mi aveva già parlato del progetto.

[3] È vero che diversi amici del Signor Roland avevano cercato di propormelo, ma non avevo aderito alle loro proposte perché non avevo alcuna intenzione di assecondarle.

[4] Anzi, se avessi potuto prevedere che il mio interessamento per i Maestri di scuola, che feci per pura carità, mi avrebbe poi costretto a fare comunità con essi, avrei rinunziato all'iniziativa perché, debbo ammetterlo candidamente, consideravo quei maestri al di sotto del mio valletto.

Il solo pensiero di essere costretto a vivere assieme ad essi, mi sarebbe stato insopportabile.

[5] Quando decisi di alloggiarli in casa mia provai un fastidio non lieve.

Questa situazione durò due anni.

[6] Questo, a quanto pare, fu il motivo che spinse Dio a farmi assumere l'impegno di occuparmi interamente delle scuole, lui che, con sapienza e dolcezza, guida ogni cosa e che non è solito fare violenza alle inclinazioni degli uomini.

Agì, infatti, con molto tatto e in momenti diversi, cosicché da un primo impegno scaturì il secondo e così via, senza che me ne fossi reso conto quando, per la prima volta, aderii alle sue richieste.

[7] Ho la bocca chiusa e non ho il diritto di fare loro discorsi di perfezione sulla povertà se, divenuto povero anch'io, non posso consigliare loro di abbandonarsi alla Provvidenza, quando io posso contare su proventi sicuri che mi mettono al riparo dalla miseria; né posso dire loro di avere piena fiducia in Dio, quando io godo di cospicue entrate che mi liberano da ogni preoccupazione.

[8] Restando ognuno nella propria posizione, avverrà che essi continueranno ad essere preda della tentazione, perché perdura il motivo che ha provocato questa tentazione, e non potrei porvi rimedio perché essi troveranno sempre, nelle mie rendite, un pretesto specioso e, se si vuole, ragionevole che inevitabilmente giustifica la sfiducia nel presente e la preoccupazione per il futuro.

[9] Questa tentazione, plausibile all'apparenza, non mancherà prima o poi di conseguire il risultato che il demonio s'aspetta: i Maestri, sia insieme che uno per volta, se ne andranno, lasciandomi ancora una volta la casa vuota e le scuole sprovviste delle persone adatte a farla funzionare.

[10] Queste diserzioni faranno chiasso in città e influenzeranno negativamente chi aveva concepito l'idea di diventare Maestro di scuola.

La loro vocazione si congelerà e, prima di entrare in religione, saranno anch'essi vittime di quella tentazione di cui sono stati vittima quelli che l'hanno abbandonata.

[11] E così le scuole, che non avranno più Maestri sicuri, saranno costrette a chiudere appena fondate, con la conseguenza che i benefattori vorranno entrare in possesso delle elargizioni concesse per fondarle.

[12] E così, scivolando sempre più in basso, avverrà che l'Istituto delle Scuole Cristiane e gratuite sarà travolto sotto le sue rovine, senza alcuna speranza di risorgere.

[13] Anche se i suesposti inconvenienti non dovessero destare preoccupazione alcuna, debbo, anzi posso essere il Superiore di questi Maestri ed essere, al tempo stesso, canonico?

Mi sarà possibile essere costantemente in Comunità, presiedere gli esercizi spirituali e occuparmi di loro, se debbo contemporaneamente essere presente in coro per la recita dell'Ufficio canonico?

Potranno mai essere compatibili questi due incarichi?

Se non possono esserlo, converrà rinunziare o all'uno o all'altro.

[14] È pur vero che una prebenda di canonico non contrasta con le buone opere e che essere presente in coro e cantare le lodi di Dio non impedisce di rendere altri servizi alla Chiesa e alla salvezza delle anime e di dedicare il proprio tempo all'una e all'altra di queste due nobili funzioni e dimostrare che l'ufficio di canonico non autorizza a poltrire nell'ozio quando non si è in coro, ne a cercare in questa carica un onesto pretesto per non fare nient'altro dopo la recita dell'Ufficio divino, con l'intento di riposarsi per il resto della giornata e pensare solo a impinguarsi in un dolce farniente, restando oziosi nella vigna del Signore.

Ma è possibile che, al tempo stesso, io possa essere buon canonico e buon Superiore di una Comunità, in cui si richiede di essere continuamente presente?

Se intendo compiere dignitosamente questo dovere, debbo vanificare completamente le funzioni del primo, perché l'obbligo di essere sempre in casa non può consentirmi di essere contemporaneamente in cattedrale.

Di conseguenza, se non riesco a mettere d'accordo questi due doveri, debbo determinarmi o per l'uno o per l'altro.

Cinque o sei ore di officio canonicale aprirebbero una breccia troppo grande all'assiduita che mi obbliga a stare nella casa di cui ho la direzione.

[15] Ma cosa potrà determinarmi a scegliere?

Da quale parte debbo far pendere la bilancia?

La maggior gloria di Dio, il servizio assiduo della Chiesa, la mia perfezione, la salvezza delle anime: questi sono gli obiettivi che debbo propormi e gli scopi che debbono indirizzarmi.

Tutto sommato, penso che essi non possano consigliarmi altro che la rinuncia al canonicato.

Potrò così occuparmi a tempo pieno delle scuole e della formazione dei Maestri che dovranno dirigerle.

[16] D'altronde, non ho più alcuna attrattiva per la vocazione di canonico; sento che essa mi ha lasciato prima ancora che io ne lasci la professione.

Professione che non non è la mia, e anche se l'ho abbracciata entrandovi attraverso la porta giusta, mi sembra che ora sia Dio stesso ad aprirmela per farmi uscire.

La voce che mi ci ha chiamato è la stessa che ora mi invita ad andarmene.

Serbo questa risposta nell'intimo della mia coscienza e la capisco quando l'interrogo.

[17] E dunque vero che la mano di Dio, che mi ha posto nello stato in cui ora mi trovo, è la stessa che ora mi dice di abbandonarlo.

I suggerimenti però che mi dà circa il nuovo stato di vita, che dovrei preferire al primo, e perfino la volontà di volermici condurre quasi per mano, non mi sembrano sinora molto espliciti.

Nell'ultimo frammento ( I,326), Blain dichiara che il Memoriale delle origini termina con questa affermazione dell'autore:

[18] « Dopo che ebbi lasciato tutto, non mi risulta che ci sia stato un solo Fratello che sia stato tentato di uscire con il pretesto che la nostra Comunità non aveva fondamento ».

Il che è un bell'elogio dei fratelli e della loro buonafede: Quando videro il fondatore ridotto al loro livello, senza un soldo e senza cariche rimunerative, credettero in lui e nella sua Opera, e rimasero ad esso fedeli.

Le citazioni dirette dal Memoriale delle origini sono terminate, ma Blain parla di un altro punto che ha un sicuro aggancio con il Memoriale.

Riguarda i rapporti di La Salle con i parroci di Saint-Sulpice.

Dice testualmente il biografo ufficiale ( I,300 - 301 ): Nei rapporti con M. de La Barmondière non fece alcuna mossa seza essersi prima consigliato con M. Baudrand.

Nei rapporti con M. Baudrand si lasciò sempre guidare dai saggi consigli di M. Tronson.

Senza questi consigli non avrebbe mosso un passo, non avrebbe fatto assolutamente nulla.

" Questa è la testimonianza che il virtuoso Superiore dei fratelli dà di se stesso nel Memoriale scritto di suo pugno.

Fr. Maurice-Auguste ( CL 10, 108-109 ) aggiunge un'appendice alle citazioni blainiane che ricava sempre dalle biografie.

Dichiara inoltre che anche se i biografi non inseriscono i due brani che seguono nel Memoriale delle origini, non si vede a quale altro scritto lasalliano queste pagine potrebbero appartenere.

Il primo allude a una visita a M. de La Barmondière che Jean Baptiste fece nel 1683.

Scrive Blain ( I,200-201 ): Nel breve soggiorno che il nostro virtuoso Canonico fece a Parigi, s'incontrò con M. de La Barmondière e lo fece certamente per conferire con quel sant'uomo sulle sue decisioni e ricevere dalla sua bocca nuove disposizioni per attuarle …

M. de La Salle, che ha lasciato per iscritto questo avvenimento, non ha però rivelato cosa si dissero, lui e questo grande servo di Dio, sul nuovo Istituto, perché la sua umiltà non gli permise di rivelare ciò che poteva tornare a sua lode.

E con una rapida conclusione ( p. 201 ), il bravo canonico-scrittore, pur non osando dirlo esplicitamente, fa capire ugualmente che M. de La Barmondière non fu - com'era sua abitudine - parco di elogi per il Fondatore di un Istituto i cui Fratelli facevano tanto bene ai ragazzi abbandonati e che voleva nella sua parrocchia parigina.

Il desiderio del pio parroco verrà esaudito una decina di anni dopo.

Il secondo prestito è desunto dalla biografia incompleta di Fr. Bernard che, come l'autore stesso afferma, deriva in gran parte da questo memoriale.

Il passo di Bernard si riferisce al comportamento dei primi Fratelli.

Leggiamo a p. 37: Riusciva a stento a sopportare - come dichiara egli stesso - che i maestri continuassero a condurre una tale vita e a comportarsi ancora male.

La scomparsa di questo prezioso autografo non solleva alcun dubbio sulla sua autenticità.

La sua esistenza è certa perché, come s'è visto, sia Blain che Bernard assicurano di averlo avuto in mano e di essersene serviti.

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