Gli atti di Pelagio

Indice

11.23 - Il tesario di Celestio

Ecco infatti le affermazioni che successivamente furono rimproverate a Pelagio e che si dicono rinvenute nella dottrina del suo discepolo Celestio:

" Adamo fu creato mortale e sarebbe morto, sia che peccasse, sia che non peccasse.

Il peccato di Adamo danneggiò lui soltanto e non il genere umano.

La Legge conduce al regno nella stessa maniera del Vangelo.

Prima della venuta del Cristo ci furono uomini senza peccato.

I neonati si trovano nel medesimo stato in cui era Adamo prima della sua prevaricazione.

Né per la morte, né per la prevaricazione di Adamo muore tutto il genere umano; né per la risurrezione del Cristo risorge tutto il genere umano".

Queste affermazioni furono obiettate come già udite e condannate a Cartagine dalla tua santità e da altri vescovi assieme a te.

Io non ero presente, come ricordi, ma venni a Cartagine successivamente ed esaminai gli Atti degli stessi avvenimenti.

Di questi Atti rammento alcune proposizioni, ma non so se negli Atti si trovino tutte le proposizioni di sopra.

Che conta però che alcune non siano state eventualmente conservate e quindi nemmeno condannate, se consta che sono da condannare?

Poi, interposto il mio nome, furono obiettate anche altre Imputazioni che erano state mandate a me dalla Sicilia, perché i nostri fratelli cattolici di là si sentivano turbati da simili questioni.

Ad esse risposi sufficientemente, come mi sembra, per mezzo del libro scritto ad Ilario, il quale me le aveva rimesse per consultazione in una sua lettera.2

Eccole:

" L'uomo se vuole può vivere senza peccato.

I bambini, anche se non vengono battezzati, hanno la vita eterna.

Ai ricchi battezzati, se non rinunziano a tutto, non giova a nulla il bene che sembra a loro di fare e non possono ricevere il regno di Dio ".

11.24 - Il tesario di Celestio risulta condannato dai vescovi

A queste obiezioni, come attestano gli Atti, Pelagio rispose così: " Della possibilità dell'uomo d'esser senza peccato è stato detto sopra.

Dell'esistenza di uomini senza peccato prima della venuta del Signore, anche noi diciamo che prima dell'avvento del Cristo certuni vissero in santità e giustizia, secondo la tradizione delle Scritture sante.

Quanto alle altre affermazioni, anche secondo la testimonianza di costoro, non sono state fatte da me e di esse non mi devo giustificare, ma, ciò nonostante, per la tranquillità del santo Sinodo anatematizzo coloro che ritengono o che hanno già ritenuto così ".

Dopo questa sua risposta il Sinodo disse: " Relativamente alle suddette imputazioni il qui presente Pelagio ha dato sufficiente e retta soddisfazione, anatematizzando quelle che non erano sue ".

Noi dunque costatiamo e riteniamo che non solo da Pelagio, ma anche dai santi vescovi che presiedevano a quel giudizio furono condannati gli errori perniciosissimi di questa eresia.

Eccoli:

" Adamo fu creato mortale ", e per spiegarne meglio il senso fu aggiunto: " Egli sarebbe morto, sia che peccasse, sia che non peccasse ".

" Il peccato di Adamo danneggiò lui soltanto e non il genere umano.

La Legge conduce al regno nella stessa maniera del Vangelo.

I neonati si trovano nel medesimo stato in cui era Adamo prima della sua prevaricazione.

Né per la morte, né per la prevaricazione di Adamo muore tutto il genere umano; né per la risurrezione del Cristo risorge tutto il genere umano.

I bambini, anche se non sono battezzati, hanno la vita eterna.

Ai ricchi dopo il battesimo, se non rinunziano a tutto, non giova a nulla il bene che sembra a loro di fare e non possono ricevere il regno di Dio ".

Tutti questi errori risultano condannati da quel tribunale ecclesiastico per l'anatema di Pelagio e per gli interventi verbali dei vescovi.3

11.25 - Pelagio fu assolto, perché condannò le proposizioni suddette

Ora, da tali questioni e dalle asserzioni litigiosissime di coteste sentenze, che ormai avevano portato la febbre dappertutto, era turbata la debolezza di molti nostri fratelli.

Perciò dalla preoccupazione della carità che per la grazia del Cristo giustamente abbiamo verso la Chiesa del Cristo sono stato costretto a scrivere su alcuni di questi problemi e massimamente sul battesimo dei bambini anche a Marcellino di beata memoria, il quale ogni giorno doveva sopportare quei molestissimi litiganti e mi consultava per lettera.

Nei riguardi del battesimo anche dopo per tuo volere nella Basilica dei Maggiori, stringendo pure in mano l'Epistola del gloriosissimo martire Cipriano,4 declamando e commentando il suo testo su questo tema, aiutato dalle tue preghiere, mi sforzai per quanto mi fu possibile perché tale empio errore fosse sradicato dal cuore di alcuni guadagnati alle tesi che vediamo condannate in questi Atti.

Queste sono le tesi che certi loro sostenitori tentavano di far accettare ad alcuni nostri fratelli, minacciandoli di un'eventuale condanna da parte delle Chiese d'Oriente, se non le avessero accolte.

Ecco, quattordici vescovi della Chiesa orientale, in quella terra alla quale il Signore offri visibilmente la presenza della sua incarnazione, non avrebbero assolto Pelagio, se egli non avesse condannato quegli errori come avversi alla fede cattolica.

Se costui dunque in tanto fu assolto in quanto li anatematizzò, essi sicuramente furono condannati.

Ciò apparirà più abbondantemente e più chiaramente nel seguito.

11.26 - L'esame di altre due risposte di Pelagio

Vediamo adesso le due affermazioni che Pelagio non volle anatematizzare anche perché le ha riconosciute sue.

Ma egli, per togliere quello che in esse urtava, spiegò come le intendeva.

Dichiarò: " Della possibilità dell'uomo d'esser senza peccato è stato detto sopra ".

Sì, è stato detto e noi lo ricordiamo, ma mitigato e per questo approvato dai giudici, con l'aggiunta della grazia di Dio, taciuta in quelle Imputazioni.

Come abbia risposto sulla seconda affermazione merita un esame alquanto più attento.

Dichiarò: " Dell'esistenza di uomini senza peccato prima della venuta del Signore, diciamo anche noi che prima dell'avvento del Cristo certuni vissero in santità e giustizia, secondo la tradizione delle sante Scritture ".

Non osò dire: Diciamo anche noi che prima dell'avvento del Cristo vissero degli uomini senza peccato: era quello che gli si obiettava per le affermazioni di Celestio.

Pelagio avvertì quanto fosse pericoloso e odioso.

Ma disse: " Diciamo anche noi che prima dell'avvento del Cristo certuni vissero in santità e giustizia ".

Chi potrebbe negarlo? Ma altro è questo e altro è l'esser vissuti senza peccato.

Vivevano in santità e giustizia anche coloro che tuttavia dichiaravano con sincerità: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Pure oggi molti vivono in giustizia e santità e tuttavia non mentiscono dicendo nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

Ciò dunque piacque ai giudici nel modo in cui Pelagio asserì di dirlo, non nel modo in cui secondo l'obiezione l'aveva detto Celestio.

Adesso esaminiamo, per quanto ci è possibile, quello che resta.

12.27 - Un'altra accusa a Pelagio: la Chiesa terrena è immacolata

Si obiettò a Pelagio di dire che " la Chiesa vive quaggiù senza macchia né ruga ".

Anche i donatisti ebbero con noi un lungo dibattito nella nostra Conferenza,5 sulla mescolanza dei cattivi con i buoni, ma noi li incalzavamo di preferenza argomentando dalla mescolanza della pula con il frumento come nella parabola dell'aia.

Con la medesima parabola possiamo rispondere anche a questi, a meno che non vogliano eventualmente restringere la Chiesa a quei soli buoni che asseriscono esenti del tutto da qualsiasi peccato, perché la Chiesa possa essere sulla terra senza macchia né ruga.

Se è così, ripeto quello che ho detto poc'anzi: Come sarebbero membra della Chiesa coloro nei quali un'umiltà verace grida: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi? ( 1 Gv 1,8 )

O come pregherebbe la Chiesa con le parole che le ha insegnato il Signore: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) se la Chiesa fosse in questo mondo senza macchia e senza ruga?

Costoro devono essere interrogati infine su se stessi: se confessino d'avere o no qualche peccato.

Se negheranno d'avere peccati, si dovrà dire a costoro che ingannano se stessi e che la verità non è in loro.

Se invece confesseranno d'avere qualche peccato, che cosa confesseranno se non qualche propria ruga o macchia?

Essi dunque non sono membra della Chiesa, perché essa è senza macchia e senza ruga, ed essi invece sono con qualche macchia e ruga.

12.28 - La risposta di Pelagio

Ma a questa obiezione Pelagio rispose con vigile cautela che i giudici cattolici apprezzarono senza esitazione.

Dichiarò: " È stato detto da noi, ma in questo senso: perché con il lavacro la Chiesa si purifica da ogni macchia e ruga e perché il Signore vuole che la Chiesa rimanga così ".

A questo il Sinodo rispose: " Ciò piace anche a noi ".

Chi di noi infatti potrebbe negare che nel battesimo si rimettono i peccati a tutti e che tutti i fedeli risalgono senza macchia né ruga dal lavacro della rigenerazione?

O a quale cristiano cattolico non piace quello che piace anche al Signore e che si avvererà: che la Chiesa sia per sempre senza macchia né ruga?

Proprio questo stanno facendo presentemente la misericordia e la giustizia di Dio: condurre la santa Chiesa a quella perfezione nella quale rimarrà in eterno senza macchia e senza ruga.

Ma tra il lavacro nel quale tutte le macchie e le rughe del passato vengono eliminate e il regno nel quale la Chiesa durerà perpetuamente senza macchia e senza ruga c'è di mezzo questo tempo d'orazione durante il quale è necessario che la Chiesa dica: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

L'accusa mossa a costoro di dire che " la Chiesa vive quaggiù senza macchia né ruga " aveva lo scopo di sapere se essi con tale sentenza osassero proibire l'orazione con la quale giorno e notte la Chiesa già battezzata domanda per sé il perdono dei peccati.

Di questo tempo intermedio, tra l'indulgenza dei peccati che si fa nel lavacro e la permanenza senza peccati che si avrà nel regno, non ci fu nessuna discussione con Pelagio e nessuna decisione dei vescovi, ma soltanto questa dichiarazione che Pelagio credette di dover fare brevemente: non l'aveva detto così come appariva dall'obiezione.

Quando infatti rispose: " È stato detto da noi, ma in questo senso", che cosa volle far apparire se non di non averlo detto nel senso in cui gli obiettori credevano l'avesse detto?

Appare tuttavia a mio avviso abbastanza chiaro che cosa abbia guidato i giudici nel dire che " piaceva anche a loro ciò ", ossia il battesimo con il quale la Chiesa si lava dai peccati e il regno dove vivrà per sempre santa senza peccati la Chiesa che adesso se ne purifica.

13.29 - Differenza tra il senso in cui si pronunziò il Concilio e il senso in cui si era espresso Celestio sulla verginità perpetua

Successivamente fu presentato sotto forma di obiezioni da un libro di Celestio il contenuto d'ogni capitolo, più a senso che a parola.

Per la verità Celestio sviluppa gli argomenti più estesamente, ma i presentatori del libello d'accusa contro Pelagio dissero di non aver potuto sottoporre al Sinodo tutto il testo.

Proposero dunque dal primo capitolo del libro di Celestio questa affermazione: " Noi facciamo più di ciò che è comandato nella Legge e nel Vangelo ".

All'obiezione Pelagio rispose: " Propongono questo come se fosse un'idea nostra, ma noi l'abbiamo detto seguendo l'Apostolo sul tema della verginità, a proposito della quale dice: Non ho alcun comando dal Signore ". ( 1 Cor 7,25 )

Il Sinodo disse: " Questo l'accetta anche la Chiesa ".

Ho letto io in che senso Celestio lo afferma nel suo libro, a meno tuttavia che non lo ripudi come suo.

L'afferma per dimostrare che noi abbiamo per la natura del libero arbitrio tanta possibilità di non peccare che facciamo anche di più di quello che è comandato, perché molti serbano la verginità perpetua che non è di precetto, mentre per non peccare basta adempiere i precetti.

Vediamo invece perché i giudici poterono approvare la risposta data da Pelagio.

In essa non intesero implicita l'osservanza di tutti i comandamenti della Legge e del Vangelo da parte di coloro che per giunta osservano la verginità che non è comandata, ma intesero solo nel senso restrittivo che la verginità non comandata vale più della castità coniugale comandata e osservare la verginità vale più che osservare la castità coniugale: ben inteso tuttavia che non si ha la forza d'osservare né l'una né l'altra senza la grazia di Dio, dal momento che l'Apostolo parlando di questo argomento dice: Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. ( 1 Cor 7,7 )

E lo stesso Signore, avendogli detto i discepoli: Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene maritarsi, o meglio come ha il testo latino: Non conviene ammogliarsi, replicò: Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. ( Mt 19,10-11 )

Ecco dunque che cosa i vescovi dichiararono accettato dalla Chiesa: la verginità permanente che non è comandata vale più della castità coniugale che è comandata.

In quale senso invece l'abbia detto Pelagio o Celestio i giudici non riuscirono a saperlo.

14.30 - Pelagio contro Celestio

Ora da qui si continuano ad obiettare a Pelagio altri capitoli di Celestio, capitali e senza dubbio così meritevoli di condanna che, se egli non li avesse anatematizzati, sarebbe stato certamente condannato insieme con essi.

Nel terzo capitolo Celestio aveva scritto: " La grazia e l'aiuto di Dio non ci sono dati per il compimento delle singole azioni, ma consistono nel libero arbitrio o nella legge e nella dottrina ".

E ancora: " La grazia di Dio si dà secondo i nostri meriti, perché se Dio la desse ai peccatori apparirebbe ingiusto ".

E da queste parole aveva tirata la conclusione: " Ecco perché anche la stessa grazia consiste nella mia volontà, degno o indegno che io sia.

Perché, se facessimo tutte le nostre azioni in forza della grazia, quando rimaniamo vinti dal peccato, la sconfitta non sarebbe nostra, ma della grazia divina, la quale ci voleva aiutare in ogni modo e non c'è riuscita ".

E scrive ancora: " Se è grazia di Dio quando vinciamo i peccati, allora quando siamo vinti dal peccato Dio stesso è in colpa, perché egli o non ha potuto o non ha voluto custodirci ad oltranza ".

A queste contestazioni Pelagio rispose: " Se queste affermazioni siano di Celestio lo vedano coloro stessi che gliele attribuiscono.

Quanto a me, io non ho mai ritenuto questo, ma anatematizzo chi lo ritiene ".

Il Sinodo disse: " Il santo Sinodo ti accoglie, perché in tal modo condanni affermazioni riprovevoli ".

Nei riguardi di tutti questi errori risulta certamente manifesta sia la risposta di Pelagio che li anatematizza, sia la sentenza perentoria dei vescovi che li condanna.

Ammettiamo che rimanga dubbio o ignoto se siano stati sostenuti o siano sostenuti ancora da Pelagio o da Celestio o da ambedue o da nessuno dei due o da altri, sia insieme a loro, sia sotto il loro nome: risulta comunque da questo processo che tali errori furono condannati e che Pelagio avrebbe dovuto esser condannato insieme ad essi, se egli stesso non li avesse condannati.

Sicuramente adesso dopo questo giudizio, quando noi discutiamo contro siffatte sentenze, è contro un'eresia condannata che discutiamo.

14.31 - Sprazzi di speranza nei riguardi di Pelagio

Dirò anche qualcosa di più lieto.

Più sopra, quando Pelagio diceva6 che " con l'aiuto della grazia di Dio l'uomo può vivere senza peccato ", io temevo che egli chiamasse grazia la possibilità della natura, creata da Dio con il libero arbitrio, come si trova scritto in quel libro che io ricevei come suo7 e a cui ho risposto; e temevo che parlando in tal modo avesse ingannato gli ignari giudici.

Adesso invece, quando anatematizza coloro che dicono che " la grazia e l'aiuto di Dio non si dànno per il compimento delle singole azioni, ma consistono nel libero arbitrio o nella legge e dottrina ", appare ben evidente che egli intende per grazia quella che viene insegnata dalla Chiesa del Cristo, quella che viene data con la somministrazione dello Spirito Santo, perché siamo aiutati nelle singole nostre azioni.

È per questo anche che domandiamo sempre l'aiuto opportuno per non esser trascinati in tentazione. ( Mt 6,13 )

Né ho più ormai la paura di prima che malauguratamente dove ha detto: " Non può esser senza peccato se non chi ha la conoscenza della legge " ed ha spiegato questa sua sentenza nel senso di " riporre nella conoscenza della legge l'aiuto a non peccare ", voglia far passare per grazia di Dio la medesima conoscenza della legge.

Ecco, egli anatematizza coloro che sostengono quest'opinione!

Ecco, egli non vuole che si confondano con la grazia di Dio dalla quale veniamo aiutati nelle singole nostre azioni né la natura del libero arbitrio, né la legge e la dottrina!

Che resta allora se non che Pelagio intenda la grazia che si dà secondo l'Apostolo con la somministrazione dello Spirito Santo? ( Fil 1,19 )

Quella grazia di cui il Signore dice: Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. ( Mt 10,19-20 )

Né adesso ci dev'essere più la paura che malauguratamente dove dice: " Tutti sono governati dalla propria volontà " e lo spiega così: " L'ho detto per il libero arbitrio, al quale Dio presta il suo aiuto nello scegliere il bene ", abbia anche qui inteso dire che Dio presta il suo aiuto per mezzo della natura del libero arbitrio e per mezzo della dottrina della legge.

Avendo egli infatti anatematizzato giustamente coloro che " dicono che la grazia e l'aiuto di Dio non si dànno per il compimento delle singole azioni, ma consistono nel libero arbitrio o nella legge e nella dottrina ", sicuramente la grazia o l'aiuto di Dio si dà per le singole azioni, rimanendo a parte il libero arbitrio o la legge e la dottrina, e quindi noi siamo governati da Dio nelle singole nostre azioni quando sono azioni buone, e non preghiamo invano dicendo: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male. ( Sal 119,133 )

14.32 - S. Paolo poté meritare i suoi molti carismi?

Ma ciò che segue a cotesti pronunziamenti di Pelagio mi rende di nuovo perplesso.

Infatti, essendo stato obiettato a Pelagio dal quinto capitolo del libro di Celestio, ove si afferma che " Ogni uomo può avere tutte le virtù e le grazie " e si elimina " la diversità delle grazie insegnata dall'Apostolo ", Pelagio rispose: " È stato detto da noi, ma l'hanno ripreso maliziosamente e ignorantemente.

Noi infatti non eliminiamo la diversità delle grazie, ma diciamo che Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle, come le donò all'apostolo Paolo ".

A questa risposta il Sinodo disse: " Ragionevolmente e nel senso della Chiesa anche tu pensi del dono delle grazie elencate dal santo Apostolo ".

Qui potrebbe chiedere qualcuno: Che cosa allora ti preoccupa?

Negherai tu che nell'Apostolo ci furono tutte le virtù e le grazie?

Ma io, se si prendono tutte quelle grazie che lo stesso Apostolo ha ricordate in un solo testo e che, penso, hanno intese anche i vescovi per approvare la risposta di Pelagio e giudicarla come data " nel senso della Chiesa ", non dubito che l'apostolo Paolo le abbia avute tutte.

Egli dice infatti: Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; e poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. ( 1 Cor 12,28 )

Che dunque? Diremo che l'Apostolo non ebbe tutti questi doni? Chi oserebbe dirlo?

Dal momento infatti che era apostolo, aveva appunto l'apostolato. Ma aveva anche la profezia.

Non c'è forse una sua profezia in queste sue parole: Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, ( 1 Tm 4,1 ) ecc.?

Egli era pure maestro dei pagani nella fede e nella verità. ( 1 Tm 2,7 )

E operava miracoli e guarigioni: infatti scosse dalla sua mano una vipera che lo stava mordendo e rimase illeso; e un paralitico si drizzò in piedi ad una sua parola che gli restituì subito la salute.

Che cosa intenda come " doni di assistenza " è oscuro, perché è un'espressione di largo significato. ( At 28,3; At 14,10 )

Comunque chi direbbe che sia mancata questa grazia ad uno le cui fatiche risultano essere state di tanta assistenza per la salvezza degli uomini?

Che cosa poi è più glorioso del suo governo, avendo il Signore governato allora molte Chiese per mezzo di lui e governandole pure adesso per mezzo delle sue Lettere?

Infine quanto alle lingue, quali poterono mancargli, se egli dice: Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue molto più di tutti voi? ( 1 Cor 14,18 )

Proprio dunque perché si deve credere che nessuno di questi doni mancò all'apostolo Paolo, per questo i giudici approvarono la risposta di Pelagio che " a lui furono donate tutte le grazie ".

Ma ci sono anche altre grazie non ricordate da Paolo in quel passo.

Certamente grazie ancora più numerose e più grandi di quelle dell'apostolo Paolo, benché egli fosse un membro molto eminente del corpo del Cristo, ha ricevuto lo stesso Capo di tutto il corpo, sia nella carne dell'uomo, sia nell'anima dell'uomo, la sua creatura che il Verbo di Dio assunse nell'unità della sua persona perché egli fosse il nostro capo e noi fossimo il suo corpo.

E in verità, se in ciascuna persona ci potessero essere tutte le grazie, sembrerebbe adoperata invano la similitudine presa a questo scopo dalle membra del nostro corpo.

È vero che alcuni beni sono comuni a tutte le membra, come la sanità, come la vita, ma ce ne sono anche altri che competono come propri alle singole membra, tanto che né l'orecchio percepisce i colori, né l'occhio i suoni, e per questo è scritto: Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito?

Se fosse tutto udito, dove l'odorato? ( 1 Cor 12,17 )

E ciò non si dice senza dubbio come se fosse impossibile a Dio prestare agli orecchi il senso della vista e agli occhi il senso dell'udito.

Tuttavia è certo che cosa Dio faccia nel corpo del Cristo che è la Chiesa ( Col 1,18 ) e quanta diversità di Chiese abbia indicato l'Apostolo, perché le singole Chiese, quasi distinguendosi tra loro come membra diverse, possedessero anche doni propri a ciascuna di esse.

Perciò è chiara ormai sia la causa per la quale coloro che mossero l'obiezione non vollero che fosse eliminata la diversità delle grazie, sia la causa per la quale i vescovi per riguardo all'apostolo Paolo, nel quale riconosciamo tutti i doni che egli elenca tutti insieme in quel solo passo, poterono approvare la risposta di Pelagio.

14.33 - Il concetto stesso di grazia

Che cos'è dunque che, come ho detto precedentemente, mi ha allarmato in questo capitolo?

Precisamente quello che dichiara Pelagio: " Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle, come le donò all'apostolo Paolo ".

Non mi preoccuperebbe affatto questa sua frase se non ci fosse di mezzo questa causa di cui dobbiamo avere la massima cura: cioè che ci perda la grazia di Dio, mentre noi taciamo e dissimuliamo un male così grande.

Poiché dunque Pelagio non dice che Dio dona le sue grazie a chi vuole, ma dice: " Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle ", non ho potuto nel leggere fare a meno di sospettare.

Evidentemente si elimina lo stesso nome di grazia e il significato di tal nome, se la grazia non si dà gratis, ma la riceve chi n'è degno.

Mi accuserà forse qualcuno d'offendere l'Apostolo, perché dico che non era degno della grazia?

Anzi proprio allora procuro offesa a lui e punizione a me, se non credo a ciò che dice egli stesso.

Non ha egli forse definito la grazia in modo da far capire che si chiama così appunto perché si dà gratis?

Egli ha detto precisamente questo: E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 )

Per questo ha detto nello stesso senso: A chi lavora il salario non viene calcolato come una grazia ma come debito. ( Rm 4,4 )

C'è dunque un debito verso chiunque è degno; ma se c'è un debito, non è grazia, perché la grazia si dona e il debito si paga.

Si dona dunque la grazia agli indegni per poter pagare il debito ai degni; ma a far sì che i degni abbiano tutti i beni che meriteranno di riscuotere in paga è lo stesso Dio che, quando erano indegni, ha dato in regalo i beni che non meritavano d'avere.

14.34 - La fede non si può meritare

Replicherà forse Pelagio: Non per le opere, ma per la fede ho detto che l'Apostolo era degno che gli si donassero quelle grazie così grandi: non lo meritarono infatti le sue opere che prima non erano buone, ma lo meritò tuttavia la sua fede.

Ebbene? Pensiamo forse che la fede non operi? Anzi è proprio essa che veramente opera, operando per mezzo della carità. ( Gal 5,6 )

Per quanto poi si esaltino le opere degli infedeli, noi conosciamo la sentenza vera e invitta del medesimo Apostolo: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato. ( Rm 14,23 )

La ragione però per cui egli dice spesso che la giustizia non ci è accreditata per le opere, bensì per la fede, mentre è piuttosto la fede che opera per mezzo della carità, è questa: nessuno deve stimare che si possa giungere alla fede stessa per i meriti delle opere, essendo la fede stessa l'inizio da cui cominciano le buone opere, perché, come è scritto, ciò che non viene dalla fede è peccato.

Per questo nel Cantico dei Cantici si dice anche alla Chiesa: Verrai e passerai da me partendo dalla fede. ( Ct 4,8 sec. LXX )

Per quanto dunque la fede impetri la grazia di operare bene, non è certamente per merito della fede che noi abbiamo meritato d'avere la fede stessa, ma la misericordia del Signore ci ha prevenuti ( Sal 59,11 ) nel darcela, perché nella fede seguissimo il Signore.

Ce la siamo forse data da noi e ci siamo fatti fedeli da noi stessi?

Anche sotto questo aspetto io grido con sicurezza: Egli ci ha fatti e non noi da noi. ( Sal 100,3 )

Nient'altro del resto mette in rilievo l'insegnamento dell'Apostolo dove dice: Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non sopravvalutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha data. ( Rm 12,3 )

Da ciò nasce appunto anche la domanda: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

[ Osservazione giustissima ], dal momento che abbiamo ricevuto anche ciò da cui comincia tutto quello che abbiamo di buono nelle nostre azioni.

14.35 - Sono doni di Dio i meriti dell'uomo

Perché allora il medesimo Apostolo dice: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.

Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi pagherà in quel giorno, ( 2 Tm 4,7-8 ) se questi premi non si pagano a persone degne, ma si donano a persone indegne?

Chi dice così, riflette poco che la corona non si sarebbe potuta pagare alla persona degna, se la grazia non le fosse stata regalata quand'era indegna.

Dice, sì: Ho combattuto la buona battaglia, ( 2 Tm 4,7 ) ma egli stesso dice anche: Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. ( 1 Cor 15,57 )

Dice: Ho terminato la mia corsa, ma egli stesso dice anche: Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )

Dice: Ho conservato la fede, ma egli stesso dice anche: So infatti a chi ho creduto e sono convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno, ( 2 Tm 1,12 ) cioè il mio plico raccomandato, e infatti alcuni codici non hanno deposito, ma l'espressione più facile plico raccomandato.

Ora, che cosa raccomandiamo a Dio se non quei beni che lo preghiamo di conservarci, tra i quali c'è anche la stessa nostra fede?

Che altro infatti raccomandò per l'apostolo Pietro con la sua preghiera il Signore, tanto da dirgli: Io ho pregato per te, Pietro, che non venga meno la tua fede, ( Lc 22,32 ) se non che Dio conservasse la sua fede ed egli non venisse meno cedendo alla tentazione?

Perciò, o beato Paolo, grande predicatore della grazia, dirò né temerò - chi infatti, se lo dico, si adirerà con me meno di te, che dicesti di dirlo e insegnasti d'insegnarlo? -, dirò dunque né temerò: Dio paga ai tuoi meriti certamente la loro corona, ma i meriti tuoi sono doni suoi.

14.36 - S. Paolo non poté meritare l'apostolato

È pagato dunque un debito premio all'Apostolo degno, ma lo stesso apostolato fu regalato dalla grazia senza debito ad un uomo indegno.

Mi pentirò forse d'averlo detto? Mai!

Mi difenderà infatti in questo caso dall'odiosità la testimonianza dell'Apostolo e a chiamare me sfacciato provocatore non sarà se non chi avrà avuto la sfacciataggine di chiamare mentitore lui.

È lui stesso che grida, è lui stesso che attesta, è lui stesso che per esaltare i doni di Dio nella sua persona e non vantarsi in se stesso, ma nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) non solo dice di non aver avuto meriti buoni di nessun genere per diventare apostolo, ma svela anche i suoi meriti cattivi per manifestare e lodare la grazia di Dio.

Scrive: Non sono adatto ad essere chiamato Apostolo. ( 1 Cor 15,9 )

E ciò che altro significa se non questo: " Non sono degno "? Infatti la maggior parte dei codici latini ha proprio così.

È precisamente la nostra questione: l'ufficio dell'apostolato contiene appunto tutte quelle grazie già ricordate.

Non era infatti conveniente od opportuno che un apostolo non avesse la profezia o che non fosse maestro o che non splendesse di miracoli e di guarigioni o che non prestasse soccorsi o non governasse le Chiese o non eccellesse nelle varie lingue.

Tutte queste grazie insieme comprende il nome di apostolato da solo.

Lui stesso dunque consultiamo, lui stesso anzi ascoltiamo e a lui diciamo: O santo apostolo Paolo, il monaco Pelagio dice che tu eri degno di ricevere tutte le grazie del tuo apostolato, tu che dici di te stesso?

Egli risponde: Non sono degno di essere chiamato Apostolo. E allora?

Per onorare Paolo oserò credere su di lui a Pelagio piuttosto che a Paolo? Non lo farò.

Se lo farò, mi graverò di un onere invece di tributare a Paolo un onore.

Ascoltiamo anche perché non è degno d'esser chiamato apostolo.

Dice: Perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. ( 1 Cor 15,9 )

A seguire la logica, chi non giudicherebbe che un uomo siffatto meritava piuttosto d'esser condannato dal Cristo che d'esser chiamato dal Cristo?

Chi lo può amare tanto come predicatore da non detestarlo come persecutore?

Ottimamente dunque e veracemente egli stesso dice: Non sono degno di essere chiamato Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.

Facendo dunque tanto male donde hai meritato tanto bene?

Ascoltino la sua risposta tutte le genti: Per grazia di Dio sono quello che sono. ( 1 Cor 15,10 )

È stata forse lodata la grazia per una ragione diversa da questa: fu regalata ad un indegno?

E la sua grazia, dice, in me non è stata vana. ( 1 Cor 15,10 )

Questo lo comanda pure agli altri, per mettere in risalto altresì l'arbitrio della volontà, là dove dice: Ora vi raccomandiamo ed esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. ( 2 Cor 6,1 )

Ma con che dimostra che la grazia di Dio non è stata vana in lui se non con quello che segue: Anzi ho faticato più di tutti loro? ( 1 Cor 15,10 )

Non faticò dunque per ricevere la grazia, ma la ricevé per faticare, e così, per avere ciò che lo rendesse degno di ricevere i premi non gratuiti, ricevé da indegno la grazia gratuita.

E per giunta non ardì arrogarsi nemmeno la stessa fatica.

Dopo infatti aver detto: Ho faticato più di tutti loro, aggiunge immediatamente: Non io però, ma la grazia di Dio che è con me. ( 1 Cor 15,10 )

O magnifico precettore, banditore, cantore della grazia!

A che mirano codeste tue parole: Ho faticato di più, non io però?

Dove la volontà ha spiccato un piccolo volo, là subito è stata pronta la vigile Pietà e ha tremato l'umiltà, perché l'infermità ha riconosciuto se stessa.

14.37 - Una testimonianza del vescovo di Gerusalemme

Come indicano gli Atti, si servì giustamente anche di questa testimonianza il santo vescovo della Chiesa di Gerusalemme, Giovanni.8

Lo raccontò egli stesso ai nostri colleghi nell'episcopato che presiedevano con lui in quel tribunale, quando fu interrogato quali fossero stati gli avvenimenti accaduti presso di lui prima del giudizio.

Raccontò che alcuni sussurravano e dicevano che Pelagio andava affermando che " senza la grazia di Dio l'uomo può arrivare alla perfezione ", cioè, come aveva detto prima, " l'uomo può vivere senza peccato ".

Allora intervenne Giovanni: " Facendo l'accusatore, ricordai su questo punto che anche l'apostolo Paolo, pur avendo faticato molto, l'ha detto tuttavia non secondo le sue forze, bensì secondo la grazia di Dio: Io ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me. ( 1 Cor 15,10 )

E le altre parole: Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )

E le parole del salmo: Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. ( Sal 127,1 )

E citammo molti altri testi simili dalle Scritture sante.

Mentre quei presbiteri non accettavano i nostri riferimenti dalle sante Scritture, ma continuavano a borbottare, Pelagio affermò: Credo anch'io così.

Sia anatema a chi dice che l'uomo può senza l'aiuto di Dio progredire fino a possedere tutte le virtù ".

Indice

2 Ilario, Ep. 156 (fra le agostin.): NBA 22,580
3 De gr. Chr. et de p. o. 2, 11, 12 ss
4 Cipriano, Ep. ad Fid
5 Breviculus collationis cum Donatistis
6 Aug., Contra Iul. 3, 21, 48;
Opus imp. c. Iul. 1, 133-135; 2, 166
7 Pelagio, De natura
8 Orosio, Liber apologeticus 3, 6-4, 1