Il consenso degli Evangelisti

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Libro IV

1.1 - Prologo

Nei libri precedenti abbiamo esaminato il racconto di Matteo nella successione delle sue diverse parti e l'abbiamo confrontato con gli altri tre evangelisti.

Giunti alla fine, abbiamo concluso che nei loro scritti non c'è alcun contrasto né all'interno di ciascuno né se li prendiamo in relazione l'uno con l'altro.

Ora vogliamo con ugual metodo esaminare Marco in quel che contiene di diverso da Matteo, poiché delle parti che i due hanno in comune quanto ci sembrava di dover esporre l'abbiamo già fatto.

Ci limiteremo quindi a investigare e confrontare i passi propri di Marco fino al racconto della cena del Signore per mostrare come in essi non si trovi alcuna contrapposizione con gli altri scritti evangelici.

Se ci fermiamo alla cena, è perché dei fatti avvenuti dopo abbiamo già trattato: li abbiano esaminati in base al racconto di tutti e quattro gli evangelisti e, arrivati alla fine della ricerca, ne abbiano constatato un completo accordo.

1.2 Marco comincia il suo scritto in questa maniera: Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, come è scritto nel profeta Isaia, ( Mc 1,1-2 ) fino alle parole: Andarono a Cafarnao ed entrato proprio di sabato nella sinagoga Gesù si mise ad insegnare loro. ( Mc 1,13 )

In tutto questo racconto le affermazioni con cui inizia sono state tutte esaminate in quanto comuni con Matteo; riguardo poi alla circostanza che il Signore entrato a Cafarnao nella sinagoga dei Giudei li istruiva di sabato, il suo racconto è parallelo a quanto descritto da Luca; ( Lc 4,31 ) né esistono difficoltà in proposito.

2.3 - La liberazione di un indemoniato

Continua Marco: La gente era stupita del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.

Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: " Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! " ( Mc 1,22-24 ) ecc., fino al punto in cui dice: E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni. ( Mc 1,39 )

In questo racconto ci sono, è vero, particolari che Marco ha in comune con il solo Luca, ( Lc 4,33-37 ) ma noi li abbiamo già esposti trattando la relazione che ne fa Matteo, la quale si presenta come continuativa e questi particolari sono stati così inseriti nella struttura stessa del racconto matteano che non mi sembrava ragionevole passarci sopra.

Venendo poi a Luca, egli parlando dello spirito immondo ci informa che uscì dall'uomo senza recargli alcun nocumento, mentre Marco scrive: Lo spirito immondo se ne uscì da lui strapazzandolo ed emettendo forti grida. ( Mc 1,26 )

Sembrerebbero testi contrastanti. Come si può dire infatti che lo strapazzò o, come leggono altri codici, che infierì su di lui, se al dire di Luca non gli recò alcun nocumento?

Ma è da tener presente l'intero passo di Luca ove è detto: Avendolo scaraventato in mezzo il demonio se ne andò da lui e non gli recò alcun nocumento. ( Lc 4,35 )

Da ciò si deduce che il termine di Marco: Infierì su di lui, equivale a quello di Luca: Lo scaraventò in mezzo alla gente; dopo di che non gli recò alcun nocumento.

Si lascia quindi intendere che, sebbene il corpo di quell'uomo fu gettato a terra e malmenato, non ci fu anche quello stato di prostrazione che si verifica tutte le volte che si scacciano i demoni e, senza che questi compiano particolari gesti di accanimento, l'una o l'altra delle parti del corpo viene colpita.

3.4 - Il nome di Simone è cambiato in Pietro

Prosegue Marco e dice: Venne da lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: " Se vuoi, puoi guarirmi! " ( Mc 1,40 ) ecc., fino alle parole: E gridavano dicendo: " Tu sei il Figlio di Dio! ".

Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero. ( Mc 3,11-12 )

Affermazioni simili a queste ultime sono riportate anche da Luca, ( Lc 4,41 ) ma non creano alcuna difficoltà.

E poi ancora Marco: Salito sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui: ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni.

Costituì dunque i dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, ( Mc 3, 13.16 ) ecc. fino al punto in cui dice: Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù aveva fatto, e tutti ne erano ammirati. ( Mc 5,20 )

So di avere già parlato dei nomi degli Apostoli mentre esponevo gli avvenimenti seguendo l'ordine di Matteo.

Qui debbo solo ripetere l'ammonizione, in modo che nessuno creda che a Simone fu in quel momento cambiato il nome con quello di Pietro: cosa che si opporrebbe a quanto detto da Giovanni, il quale riferisce che un tal nome gli fu imposto molto tempo prima, cioè quando Gesù gli disse: Tu ti chiamerai Cefa, che significa Pietro . ( Gv 1,42 )

In Giovanni infatti troviamo riportata in termini precisi la descrizione del Signore che impone a Pietro il nuovo nome, mentre Marco nel suo testo si limita a dire che il Signore impose a Simone il nome di Pietro, ( Mc 3,16 ) riportando il particolare del cambiamento come uno che faccia un riepilogo di cose avvenute.

Volendo infatti elencare il nome dei dodici Apostoli e trovandosi nella necessità di menzionare anche Pietro, si sentì in dovere di accennare che egli un tempo non si chiamava così ma fu il Signore a dargli quel nome.

La cosa però non avvenne allora ma quando la ricorda Giovanni, il quale riferisce le parole precise del Signore.

Nel resto non ci sono opposizioni, e tutta la tematica è stata esposta antecedentemente.

4.5 - La prescienza del Signore in rapporto all'ordine di cui Mc 6,31

Prosegue Marco: Quando Gesù si fu recato in barca all'altra sponda del lago gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare ( Mc 5,21 ) ecc., fino alle parole: Gli Apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. ( Mc 6,30 )

Quest'ultima notizia è riportata anche da Luca, ( Lc 9,10 ) né ci sono contrasti fra i due; il resto l'abbiamo già esaminato.

Aggiunge Marco: Egli disse loro: " Venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po' ", ( Mc 6,31 ) ecc. fino alle parole: Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: " Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti! ". ( Mc 7,36-37 )

Nell'insieme di questo racconto, a quanto pare, non c'è nulla in cui Marco si trovi in disaccordo con Luca; quanto poi alle notizie riferite antecedentemente, le abbiamo vagliate tutte nel confronto fra Marco e Matteo.

Tuttavia, nei riguardi del testo di Marco che ho riferito per ultimo occorre stare attenti per non ritenerlo contrario a quanto narrato dagli altri evangelisti, i quali narrando numerosi fatti e detti del Signore mostrano come egli conosceva tutto quanto avviene nell'uomo.

Nulla cioè poteva essere a lui nascosto né dei pensieri né delle decisioni del volere umano, come con estrema chiarezza afferma Giovanni: Gesù al contrario non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro: egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo. ( Gv 2,24-25 )

Osservate bene! Cosa c'è di straordinario nel fatto che egli riusciva a leggere il volere umano nelle sue scelte già effettuate se si pensa che fu in grado di predire a Pietro anche le scelte future: quelle cioè che non aveva affatto in mente allorché presumeva di poter morire per lui e con lui? ( Mt 26,33-35 )

Ora, se le cose stanno veramente così, come si potrà affermare che con una così grande scienza e preveggenza non contrasti quanto riferito da Marco, che cioè: Egli comandò loro di non dirlo a nessuno, ma quanto più egli si raccomandava tanto più essi ne parlavano? ( Mc 7,36 )

Se infatti egli conosceva la volontà umana e quel che avrebbe fatto quella gente lì sul momento e poi anche in seguito, e cioè com'essa tanto più ne avrebbe parlato quanto più perentori erano gli ordini di non parlarne, a che pro impartire tali ordini?

A meno che non si pensi che egli ciò facendo voleva dare una lezione a chi sarebbe stato pigro nel ministero della predicazione, dicendo quasi alle persone incaricate di questo compito che debbono parlare di lui con diligenza e fervore molto grandi, dal momento che anche coloro ai quali la cosa era stata vietata non riuscivano a tacere.

5.6 - Non si deve ostacolare l'apporto costruttivo degli estranei

Marco continua così il suo racconto: In quei giorni essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare ecc., fino alle parole: Gli rispose Giovanni: " Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri ".

Ma Gesù disse: " Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlar male di me.

Chi non è contro di voi è a vostro favore ". ( Mc 8,1; Mc 9,37-39 )

Identico il testo di Luca, ( Lc 9,49-50 ) se si escluda l'omissione, fatta dal terzo evangelista, delle parole: Non c'è nessuno che operi portenti nel mio nome e subito dopo possa parlar male di me.

Tra i due quindi non c'è alcuna contrapposizione.

Occorre però vedere se tutto questo racconto non contrasti con quanto detto dal Signore quando affermava: Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me getta via. ( Lc 11,23; Mt 12,30 )

Se è vero che chi non è con lui è contro di lui, come si può dire che non era contro di lui uno che non era con lui?

Anzi di lui dice abbastanza chiaramente Giovanni che non era dei suoi seguaci.

Se era contro di lui, come poté dire ai discepoli il Signore: Non glielo impedite!, poiché chi non è contro di voi è a vostro favore? ( Mc 9,38 )

O che si possa in qualche modo distinguere fra le parole: Chi non è con voi è a vostro favore, ( Mc 9,39 ) le quali furono rivolte ai discepoli, mentre le altre: Chi non è con me è contro di me riguardavano lui personalmente?

Ma come si può pensare che una persona sia unita ai discepoli e non lo sia anche con Cristo, se egli è unito ai discepoli come il capo alle membra?

Se così non fosse, come sarebbero vere le parole: Chi accoglie voi accoglie me? ( Mt 10,40 )

E ancora: Tutte le volte che avrete fatto tali cose a uno dei miei, anche al più piccolo, le avete fatte a me? ( Mt 25,40 )

Parimenti, chi potrà immaginare che non sia in contrasto con lui uno che si mette in contrasto con i suoi discepoli?

In tale ipotesi dove andrebbero a finire le parole: Chi disprezza voi disprezza me? ( Lc 10,16 )

E le altre: Tutte le volte che non avrete fatto ciò a uno dei miei, anche al più piccolo, non lo avrete fatto neppure a me? ( Mt 25,45 )

E ancora le altre, rivolte a Saulo, che perseguitava non lui ma i discepoli: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ( At 9,4 )

In effetti quello che il Signore voleva farci comprendere era questo: uno non è con lui per quel tanto che è in contrasto con lui e, viceversa, non è in contrasto con lui per quel tanto che è con lui.

Ed eccone l'esempio, tratto proprio da quel tale che operava prodigi in nome di Cristo senza appartenere alla comunità dei discepoli.

In quanto operava prodigi nel nome di Cristo egli era del numero dei seguaci di Cristo e non un loro avversario; per il fatto invece che non apparteneva al loro gruppo egli non era uno di loro ma un loro avversario.

Siccome però i discepoli gli avevano impedito di fare una cosa nella quale era in comunione con loro, il Signore li rimproverò dicendo: Non glielo impedite!

Quello che avrebbero dovuto impedirgli era di trovarsi al di fuori del loro numero, inculcandogli in tal modo l'unità della Chiesa.

Non avrebbero al contrario dovuto impedirgli ciò che aveva in comune con loro e che era una cosa encomiabile: che cioè per scacciare i demoni si servisse del nome del loro Maestro e Signore.

È ciò che fa la Chiesa cattolica quando rimprovera agli eretici non il fatto di avere in comune i sacramenti nei quali convengono con noi e non sono in contrasto con noi, ma l'essere divisi e separati da noi o qualche altro punto di dottrina che si opponga alla pace e alla verità.

E fa bene a rimproverarli perché in questo essi non sono con noi ma contro di noi, non raccolgono con noi ma piuttosto gettano via.

6.7 - L'esorcista estraneo al gruppo dei discepoli

Marco proseguendo scrive: Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare.

Se la tua mano ti scandalizza, tagliala; è meglio per te entrare nella vita monco che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue ( Mc 9,40-43 ) ecc., fino alle parole: Abbiate in voi il sale e state in pace fra voi. ( Mc 9,49 )

Dice Marco che il Signore tali parole le pronunciò subito dopo aver rimproverato i discepoli che non avrebbero dovuto opporsi a colui che scacciava i demoni nel nome di Cristo senza appartenere al gruppo dei suoi seguaci.

Nel suo racconto inserisce dettagli non riferiti da nessun altro evangelista mentre altri dettagli sono riferiti dal solo Matteo ( Mt 10,12 ) e altri da Matteo e da Luca ( Mt 18,6; Lc 17,2 ) ma in circostanze diverse.

Questi due evangelisti poi seguono un altro ordine, senza agganci con l'episodio riportato da Marco a questo punto, di colui che scacciava i demoni nel nome di Cristo senz'essere del numero dei discepoli.

A mio avviso e siccome Marco merita fiducia penserei che il Signore disse anche a questo punto quel che aveva detto già in altre occasioni, e lo fece in quanto l'operato di colui che non apparteneva al gruppo dei discepoli rientrava abbastanza logicamente nel divieto generale con cui si proibiva di operare prodigi nel suo nome.

Così infatti scrive Marco subito appresso: Chi non è contro di voi è per voi.

Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome, poiché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. ( Mc 9,39-40 )

In questa maniera diede a divedere che nemmeno quel tale cui accennava Giovanni e che aveva dato lo spunto per l'attuale discorso del Signore era così al di fuori della comunità apostolica da aggredirla come farebbe un eretico.

Era come uno di quei tanti che non se la sentono di ricevere i sacramenti di Cristo ma nello stesso tempo sono così favorevoli al nome cristiano da accogliere in casa i cristiani e tributar loro questi tratti di benevolenza senz'altro motivo all'infuori della loro adesione al cristianesimo.

Di queste persone il Signore dice che non perderanno la loro ricompensa.

Non che costoro per la benevolenza verso i cristiani debbano ritenersi sicuri e tranquilli finché non siano lavati dal battesimo di Cristo e non siano incorporati all'unità della sua Chiesa; tuttavia quel loro lasciarsi dirigere dalla misericordia di Dio è certo un buon auspicio che arriveranno alla mèta, per partire poi con sicurezza da questo mondo.

Quanti sono di questo numero, già prima d'essere parte della comunità cristiana le sono più utili che non quegli altri che, pur portando il nome cristiano e partecipando ai sacramenti della Chiesa cristiana, diffondono dottrine tali che chi si lascia persuadere finisce con loro nella rovina eterna.

Chiamando questi scandalosi con nomi tratti dalle membra del corpo, quali mano o occhio, il Signore ordina che chi scandalizza dev'essere staccato dal corpo, cioè messo fuori dalla comunione con l'unità, ( Mc 9,42-49 ) essendo preferibile entrare nella vita senza gente siffatta anziché essere gettati nella Geenna insieme con loro.

Se poi si parla di una separazione da costoro è perché non si dà l'assenso al male che essi divulgano, cioè non si subiscono i loro scandali.

Che se della loro perversione sono al corrente tutti i buoni in mezzo ai quali essi convivono, occorre allontanarli da tutt'intera la comunità dei buoni, senza eccezione, anzi li si deve escludere dalla stessa partecipazione ai divini sacramenti.

Se al contrario essi sono conosciuti come tali solo da poche persone mentre la maggioranza è all'oscuro della loro infedeltà bisogna tollerarli, come nell'aia prima che arrivi il momento della vagliatura si tollera la pula insieme col buon grano.

Non si deve consentire che si instauri con loro una vera comunione, che sarebbe riprovevole, né a causa loro si deve abbandonare la comunione con i buoni.

Tale comportamento tengono coloro che hanno sale in testa e mantengono la pace con gli altri.

7.8 - I fatti che precedettero la Cena del Signore

Continua Marco: Partitosi di là, si recò nel territorio della Giudea oltre il Giordano.

La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava ( Mc 10,1 ) ecc., fino alle parole: Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece nella sua povertà vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere. ( Mc 12,44 )

In tutto questo succedersi di fatti le affermazioni iniziali sono state esaminate tutte nel raffronto tra Matteo e gli altri evangelisti per escluderne ogni contrapposizione.

Riguardo poi alla vedova povera che gettò nel tesoro del tempio i due spiccioli, ne parlano soltanto Marco e Luca, ( Mc 12,41-44; Lc 21,1-4 ) e il loro racconto, sostanzialmente concorde, non pone alcun problema.

Da questo punto fino alla descrizione della cena del Signore, ( Mc 13,1-37 ) da dove abbiamo iniziato il nostro esame ampliato a tutti e quattro gli evangelisti, Marco non ha nulla che ci obblighi a istituire confronti con gli altri narratori per illustrare elementi di contrasto eventualmente esistenti nei loro racconti.

8.9 - Il prologo di Luca e l'inizio degli Atti

Iniziamo qui l'esposizione ordinata del Vangelo di Luca escludendo quei racconti che ha in comune con Matteo e con Marco, dei quali già abbiamo trattato.

Luca inizia il suo Vangelo con queste parole: Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra noi come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di far ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un racconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della verità degli insegnamenti che hai ricevuto. ( Lc 1,1-4 )

Questo prologo non rientra nella narrazione di fatti evangelici; vuol essere solo un avvertimento affinché riteniamo che lo stesso Luca, autore del Vangelo, è anche autore del libro chiamato Atti degli Apostoli.

Lo si desume dal fatto che in apertura di questo secondo libro troviamo il nome Teofilo.

La cosa di per sé sola non è certo una prova apodittica, poiché potrebbe trattarsi d'un Teofilo diverso dall'altro o, supposto che si tratti dello stesso Teofilo, il libro a lui dedicato potrebbe essere stato composto da un autore diverso da Luca, il quale nell'ipotesi sarebbe autore del solo Vangelo.

Ciò che rende sicura la prova è il modo come Luca inizia questo suo secondo libro.

Egli scrive: In un primo mio intervento ho parlato, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui scelse gli Apostoli, dopo aver per lo Spirito Santo dato ordine di predicare il Vangelo. ( At 1,12 )

Con tali affermazioni fa comprendere chiaramente che in antecedenza aveva scritto un altro libro, ed esattamente uno dei quattro Vangeli, la cui autorità è preminente nella Chiesa.

In questo Vangelo, secondo l'attestazione dell'autore, sarebbe narrato tutto ciò che Gesù cominciò a fare e insegnare fino al giorno in cui diede l'incarico ufficiale agli Apostoli.

Questa sua affermazione non la si deve intendere nel senso che egli nel Vangelo abbia raccontato tutte le cose che Gesù fece e disse nel tempo che rimase in terra e visse con gli Apostoli.

Ciò sarebbe in contrasto con quel che afferma Giovanni, e cioè che Gesù fece molte altre cose, le quali, se fossero poste in iscritto, il mondo intero non basterebbe per contenere il numero dei libri che ne verrebbero fuori. ( Gv 21,25 )

Del resto, anche facendo il confronto fra Luca e gli altri evangelisti si trovano parecchie cose che, omesse da Luca, vengono riferite dagli altri.

Se pertanto dice che ha raccontato tutte le cose concernenti Gesù, lo dice in riferimento alle cose che riteneva sufficienti, per l'affinità e la pertinenza, al compito che si era assunto; e quindi, fra tutte le gesta del Signore, ne scelse alcune per comporre il suo racconto.

Se poi parla di molti che tentarono di stendere una narrazione ordinata delle cose successe nella nostra comunità, sembra accennare a quei tali che non riuscirono a portare a termine il compito cui avevano posto mano.

Mentre sottolinea che costoro non erano riusciti a completare l'opera intrapresa, di se stesso dice che, a differenza dei molti, che avevano fatto tentativi, aveva composto uno scritto a suo parere ordinato e diligente.

Per il fatto stesso che precisa la loro non riuscita nell'intento propostosi ci lascia ragionevolmente concludere trattarsi di scrittori la cui autorità non è stata mai accettata nella Chiesa.

Quanto a Luca invece, noi sappiamo che il suo racconto si estende fino alla risurrezione e ascensione del Signore e occupa un posto di prestigio tra i quattro compositori delle scritture evangeliche, così come merita una simile opera.

Non solo ma egli vi aggiunse il racconto di ciò che era successo in seguito ed egli riteneva sufficientemente utile per dare una struttura solida alla fede di coloro che l'avrebbero letto o ascoltato.

Egli lo pose in iscritto nel suo libro: Gli Atti degli Apostoli; che, fra quanti ne furono composti per tramandarci le gesta degli Apostoli, è l'unico a meritare la fede della Chiesa.

Tutti gli altri che osarono comporre opere contenenti i fatti e i detti degli Apostoli furono esclusi [ dal canone ] come scritti non meritevoli della necessaria fiducia e attendibilità.

Ne è prova anche il fatto che Marco e Luca scrissero in un tempo in cui i loro libri potevano essere riconosciuti non solo dalla Chiesa di Cristo ma anche dagli stessi Apostoli, che quando essi pubblicavano i loro scritti erano ancora in vita.

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