Contro le due lettere dei Pelagiani

Indice

Libro I

11.23 - Ragioni della diversa esegesi

Anche dove l'Apostolo esclama: Chi mi libererà dal corpo votato alla morte? ( Rm 7,24 ) come negare che quando lo diceva fosse ancora in questo corpo mortale?

E certo non ne vengono liberati gli empi, ai quali si restituiscono gli stessi corpi per gli eterni tormenti.

Essere liberati dal corpo di questa morte significa dunque ricevere di nuovo il corpo non per la pena, ma per la gloria, guarito che sia ogni languore della concupiscenza della carne.

Con questo testo si accorda bene l'altro: Anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23 )

Con questo gemito gemiamo appunto come quando diciamo: Sono uno sventurato!

Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?

E anche quando dice: Io non riesco a capire neppure ciò che faccio, che valore hanno queste sue parole all'infuori di questo: "Non voglio, non approvo, non acconsento, non faccio"?

Altrimenti sarebbe in contrasto con quanto ha detto sopra: Per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato; ( Rm 7,15 ) e: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge; ( Rm 3,20 ) e: Il peccato per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene. ( Rm 7,7.13 )

In che modo infatti avrebbe conosciuto per mezzo della legge il peccato che ignora?

In che modo si rivelerebbe il peccato che s'ignora?

La sua dichiarazione dunque: Io non riesco a capire vale: "Non faccio", perché non metto nessun consenso in ciò che commetto io stesso, nel medesimo modo in cui dirà agli empi: Non vi ho mai conosciuti ( Mt 7,23 ) il Signore al quale senza dubbio nulla può rimanere nascosto, e nel medesimo modo in cui è detto: Colui che non aveva conosciuto peccato, ( 2 Cor 5,21 ) ossia non l'aveva mai fatto, perché certamente non ignorava ciò di cui convinceva il mondo.

11.24 - Anche gli Apostoli soffrirono per la concupiscenza, che però dominarono

Fatte diligentemente queste e simili considerazioni sul complesso dei testi di cotesta Scrittura apostolica, si ha ragione d'intendere che l'Apostolo certamente non ha indicato nella propria persona soltanto se stesso, ma anche gli altri viventi sotto la grazia e con lui non ancora viventi in quella pace perfetta dove la morte sarà ingoiata per la vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

Della quale pace scrive dopo: E se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione.

E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato il Cristo Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 )

Dopo dunque che i nostri corpi mortali saranno stati fatti rivivere, non solo verrà meno al peccato qualsiasi consenso, ma non rimarrà neppure la stessa concupiscenza della carne a cui non consentire.

La qual concupiscenza che resiste allo spirito non averla nella carne mortale l'ha potuto solo quell'Uomo che venne tra gli uomini indipendentemente da essa.

E perciò riguardo agli Apostoli, poiché erano uomini e portavano in questa vita mortale un corpo che si corrompe e appesantisce l'anima, sia ben lungi da noi il dire, come costui ci calunnia, che essi ebbero sempre la macchia della libidine disordinata, ma diciamo che essi, liberati dal consentire alle depravate passioni, gemevano con tanta umiltà e pietà a causa della concupiscenza della carne, che frenavano tenendola nei giusti confini, da desiderare di non averla affatto piuttosto che domarla.

12.25 - Accusa sulla santità di Cristo

Perciò quanto all'ulteriore addebito che costui fa a noi di dire che "il Cristo non fu senza peccati, ma per necessità della carne mentì e si macchiò di altre colpe", veda costui da chi l'abbia sentito o in quali scritti l'abbia letto: certamente si tratta di affermazioni che forse non ha capite e con malizia ingannatrice ha pervertite a sensi calunniosi.

13.26 - Accusa sulla purificazione battesimale

Scrive: Dicono pure che il battesimo non indulge completamente i peccati e non toglie i crimini, ma li rade, cosicché nella carne cattiva rimangono le radici di tutti i peccati.

Chi all'infuori di un infedele lo potrebbe affermare contro i pelagiani?

Noi dunque diciamo che il battesimo indulge tutti i peccati e toglie i crimini, non li rade; né diciamo che nella carne cattiva rimangono le radici di tutti i peccati, come sulla testa le radici dei capelli rasati, dalle quali crescano di nuovo altri peccati da dover radere di nuovo.

Ho saputo infatti che si valgono anche di questa similitudine per la loro calunnia, come se questo fosse quello che sentiamo e diciamo noi.

13.27 - La permanenza della concupiscenza nell'uomo battezzato

Ma credo che costoro s'ingannino o ingannino sul conto di questa concupiscenza della carne contro la quale anche al battezzato, che pur metta tutta la sua diligenza nel progredire e si lasci guidare dallo Spirito di Dio, ( Rm 8,14 ) è necessario combattere con animo pio. Ma la concupiscenza, sebbene sia chiamata peccato, ( Rm 6,14 ) non si chiama certamente così perché è peccato, bensì perché è stata suscitata dal peccato, come una scrittura si dice mano di chicchessia perché l'ha tracciata una mano.

Peccati sono invece le azioni che si fanno, le parole che si dicono, i pensieri che si pensano illecitamente secondo la concupiscenza della carne o secondo l'ignoranza, e questi peccati, se non sono rimessi, ci tengono in stato di reato anche dopo che sono trascorsi.

E cotesta stessa concupiscenza della carne è così rimessa nel battesimo che, sebbene l'abbiano contratta i nascenti, non nuoce per nulla ai rinascenti.

Dai quali la contraggono tuttavia di nuovo i figli che sono generati carnalmente, e nuocerà di nuovo ai nascenti finché, rinascendo nel medesimo modo, non venga rimessa.

In costoro dopo il battesimo rimane presente senza nessun danno per la vita futura, perché il suo reato contratto per generazione è stato rimesso per rigenerazione.

Ed è per questo che la concupiscenza non è più peccato, ma si chiama peccato sia perché l'ha prodotta il peccato, sia perché la mette in movimento il piacere di peccare, anche quando non le si acconsente in forza del piacere vincente della giustizia.

Né è a causa della concupiscenza, il cui reato è già stato cancellato dal lavacro della rigenerazione, che i battezzati dicono nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ( Mt 6,12 ) bensì a causa dei peccati che si fanno sia consentendo alla concupiscenza quando ciò che è libidinoso prevale su ciò che è gioioso per lo spirito, sia quando per ignoranza ci piace il male come se fosse bene.

I peccati poi si fanno e operando e parlando e pensando: pensare è il peccato più facile e più svelto.

Da tutti i quali peccati chi anche tra i fedeli si vanterà d'avere puro il cuore, o chi si vanterà d'essere mondo da peccato? ( Pr 20,9 )

A causa della concupiscenza si dice, sì, ciò che segue nell'orazione: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 )

Perché, come sta scritto, ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato. ( Gc 1,14-15 )

14.28 - Differenza tra i crimina e i peccata

Tutti questi parti della concupiscenza e lo stesso suo antico reato sono stati rimessi dall'abluzione del battesimo, e i parti d'ogni genere che partorisce adesso cotesta concupiscenza, se non sono quei parti che non si chiamano soltanto peccati, ma anche crimini, vengono mondati da quel patto dell'orazione quotidiana dove diciamo: Rimetti, come noi rimettiamo, e dalla sincerità delle elemosine.

E nessuno infatti è così stolto da dire che non si riferisce ai battezzati quel precetto del Signore: Perdonate e vi sarà perdonato, date e vi sarà dato. ( Lc 6,37-38; Mt 6,12; Lc 11,41 )

Nessuno poi nella Chiesa potrebbe essere legittimamente ordinato ministro qualora l'Apostolo avesse detto: "Se qualcuno è senza peccato", dove dice: Se qualcuno è senza crimine; ( Tt 1,6 ) o se avesse detto: "Senza nessun peccato", dove dice: Senza nessun crimine. ( 1 Tm 3,10 )

Molti battezzati infatti sono fedeli senza crimine, ma nessuno oserei dire che sia senza peccato in questa vita, per quanto i pelagiani si gonfino e scoppino di furore contro di noi perché lo diciamo: non perché rimane qualcosa del peccato che non sia rimesso nel battesimo, ma perché, rimanendo noi nella debolezza di questa vita, non smettono d'essere fatti quotidianamente certi peccati da rimettersi quotidianamente a coloro che pregano con fiducia e operano con misericordia.

Questa è sanità della fede cattolica che lo Spirito Santo semina dappertutto, non vanità e vento presuntuoso di prava eresia.

15.29 - Tesi pelagiana sul libero arbitrio

È dunque già l'ora che cominciamo a vedere in qual modo egli stesso, dopo aver creduto di doverci obiettare le verità che crediamo e inventare gli errori che non crediamo, professi la fede sua propria o dei pelagiani.

Egli scrive: Contro queste dottrine noi ci battiamo quotidianamente ed è per questo che non vogliamo prestar consenso agli erranti, perché noi diciamo che il libero arbitrio esiste in tutti per natura, né ha potuto perire a causa del peccato di Adamo: il che è confermato dall'autorità di tutte le Scritture.

Se queste affermazioni fossero fatte da voi nel modo giusto e non contro la grazia di Dio, non prestereste consenso agli erranti, ma correggereste il senso delle vostre dottrine.

Su questo però abbiamo già discusso più sopra, quanto abbiamo potuto e quanto ci è sembrato sufficiente.

15.30 - Tesi pelagiana sul matrimonio

Scrive: Noi diciamo istituite da Dio le nozze che si celebrano adesso sulla terra, né sono rei i coniugi, ma sono da condannarsi i fornicatori e gli adùlteri.

Questo è un insegnamento vero e cattolico, ma la conclusione che volete trarre da qui, che dall'unione dell'uomo e della donna i figli non contraggano nulla del peccato da dover essere espiato mediante il lavacro della rigenerazione, è insegnamento falso ed eretico.

15.31 - Tesi pelagiana sulla sessualità

Scrive: Noi diciamo istituito da Dio il movimento dei genitali, ossia la stessa virilità, senza la quale è impossibile la copula.

A ciò rispondiamo che Dio ha istituito il movimento dei genitali e, per usare la sua parola, la virilità, senza la quale è impossibile la copula, ma in tal modo che non avesse nulla di vergognoso.

Non sarebbe stato decente infatti che la creatura si vergognasse dell'opera del suo Creatore; ma la disobbedienza di quelle membra fu giustamente ripagata alla disobbedienza dei primi uomini, e di quella disobbedienza delle membra arrossirono quando si coprirono con foglie di fico le parti vergognose che prima non erano vergognose.

16.32 - La vergogna della nudità sorta dopo il peccato

Né infatti si fecero tuniche per coprire tutto il corpo dopo il peccato, ma intrecciarono cinture, ( Gen 3,7 ) che alcuni nostri interpreti meno attenti hanno interpretato per "rivestimenti".

Il che è certamente vero, ma "rivestimento" è un termine generico con il quale si può intendere ogni indumento e coprimento.

Doveva perciò essere evitata ogni ambiguità, e come il testo greco usa περιζώματα che non servono a coprire se non le parti impudiche del corpo, così anche il testo latino o doveva mettere lo stesso vocabolo greco, che è già entrato nell'uso al posto del latino, o doveva mettere "succinture", come le chiamano alcuni, o meglio "campestri", come altri.

Questo nome deriva appunto dal fatto che secondo l'antico uso romano i giovani si coprivano le parti vergognose quando si esercitavano nudi nell'accampamento, e perciò anche oggi si dicono "campestrati" coloro che coprono con fasce le medesime membra.

A dire il vero, se dopo il peccato avessero dovuto coprire le membra con le quali avevano peccato, non avrebbero dovuto rivestirsi nemmeno di tuniche, ma si sarebbero dovute tappare le mani e la bocca, perché peccarono prendendo e mangiando.

Che vuol dunque significare il fatto che, preso il cibo proibito e trasgredito il divieto, lo sguardo si appunta su quelle membra?

Quale ignota novità vi si sente e vi si fa forzatamente avvertire?

Questo è il senso dell'aprirsi dei loro occhi.

Né infatti avevano gli occhi chiusi, o quando lui impose i nomi agli animali e agli uccelli, ( Gen 3,6-7; Gen 2,20 ) o quando lei vide l'albero bello e buono; ( Gen 3,6 ) ma si aprirono i loro occhi, ( Gen 3,7 ) ossia si fecero attenti a guardare, come di Agar, ancella di Sara, è scritto che Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo; ( Gen 21,19 ) non li aveva certamente chiusi prima di allora.

Che dunque della loro nudità, che vedevano senza dubbio quotidianamente né se ne confondevano, si siano vergognati all'improvviso e tanto da non poter più sopportare la nudità di quelle membra, ma da cercare subito di coprirle, non dipese forse dal fatto che, lui in un movimento palese e lei in un movimento occulto, sentirono disobbedienti contro l'arbitrio della loro volontà quelle membra alle quali avrebbero dovuto senza fallo comandare con un sol cenno di volontà, come a tutte le altre?

Il che fu per loro una giusta punizione, perché non avevano obbedito nemmeno essi stessi al loro Signore.

La ragione dunque per cui arrossirono fu che l'aver rifiutato il proprio servizio al loro Creatore ebbe la conseguenza così grave di far perdere meritatamente a loro il comando di quelle membra con le quali i figli avrebbero dovuto essere procreati.

16.33 - La vergogna nella presente condizione umana

Questa forma di pudore, questa necessità d'arrossire, nasce certamente con ogni uomo e in qualche modo è imposta dalle stesse leggi di natura, tanto che in questo campo si vergognano anche le stesse nozze pudiche.

E nessuno, prendendo a pretesto il fatto di sapere che Dio è il creatore della natura e l'istitutore delle nozze, si spinge a tal punto di malizia e di turpitudine che, anche quando ha da unirsi con la sua moglie, se qualcuno lo vede, non arrossisca di quei movimenti e non cerchi un luogo segreto dove possa evitare lo sguardo non soltanto degli estranei, ma anche di tutti i suoi.

Si lasci dunque alla natura umana di riconoscere il male che le è caduto addosso per sua colpa, perché non sia costretta o a non arrossire di questi suoi movimenti: il che sarebbe il comportamento più sfacciato, o ad arrossire delle opere del suo Creatore: il che sarebbe il comportamento più ingrato.

Del qual male tuttavia si servono bene le nozze pudiche per il bene della generazione dei figli.

Invece consentire alla libidine per la sola causa della voluttà carnale è peccato, sebbene ciò sia concesso per venia ai coniugati. ( 1 Cor 7,6 )

17.34 - Ipotesi sulla concupiscenza prima del peccato

Ma, ferma restando l'onestà e la fecondità delle nozze, prendete posizione, o pelagiani, su che tipo di vita vogliate pensare possibile da parte di quegli uomini nel paradiso, se nessuno avesse peccato, e scegliete una di queste quattro risposte.

Senza dubbio infatti o avrebbero praticato la copula ogni volta che fosse piaciuto alla libidine, o avrebbero represso la libidine quando la copula non fosse stata necessaria, o la libidine si sarebbe svegliata allora ad un sol cenno della volontà quando una casta prudenza avesse presentito la necessità della copula; o, non esistendo nel paradiso assolutamente nessuna libidine, come tutte le altre membra servono ai compiti propri di ciascun membro, così anche i genitali avrebbero servito senza nessuna difficoltà al loro compito stando agli ordini delle persone secondo la loro volontà.

Di queste quattro risposte scegliete quella che volete.

Ma credo che respingerete le prime due, dove la libidine o è servita o è soffocata.

Infatti quel primo comportamento non lo vuole l'onestà così splendida di allora, mentre il secondo comportamento non lo vuole la felicità così grande di allora.

Lungi da noi infatti il pensare che il decoro di quella illimitata beatitudine o praticasse un'umiliatissima servitù seguendo sempre l'iniziativa della libidine, o non avesse pace pienissima dovendo resistere alla libidine.

Lungi da noi, dico, il pensare che o alla mente di allora piacesse di saziare la concupiscenza della carne con il consenso, insorgendo essa non in modo opportuno per generare, ma per un sommovimento disordinato, o alla quiete di allora fosse necessario soffocarla con il dissenso.

17.35 - Nessuna concupiscenza è soggetta alla volontà

Quanto alle altre due risposte, qualunque scegliate, non c'è da faticare contro di voi per nessuna ragione.

Sebbene infatti non vogliate scegliere la quarta dove c'è l'assoluta tranquillità di tutte le membra che obbediscono senza nessuna libidine, perché vi ha già resi nemici di tale risposta l'impeto delle vostre discussioni, vi piacerà almeno la risposta che abbiamo messa al terzo posto: la concupiscenza della carne, il cui movimento giunge fino all'estrema voluttà che vi diletta tanto, non insorgerebbe mai nel paradiso se non dietro il comando della volontà quando fosse necessaria a generare.

Se una concupiscenza siffatta vi piace collocare nel paradiso e se vi pare che per mezzo d'una tale concupiscenza della carne, che né previene né ritarda né sorpassa il comando della volontà, si sarebbero potuti generare figli in quella felicità, noi non ci opponiamo.

Per la questione infatti che stiamo trattando basta che la concupiscenza non sia adesso negli uomini tale e quale voi concedete che avrebbe potuto essere nel luogo di quella felicità.

Quale appunto essa sia adesso lo riconosce certamente, pur con vergogna, il senso di tutti i mortali, perché essa e tenta con irrequietezza disordinata e importuna le persone caste, anche quando non la vogliono e la reprimono per temperanza, e spesso si sottrae alle persone che la vogliono e si fa sentire a quelle che non la vogliono, cosicché con la sua disobbedienza attesta di non essere altro che pena della prima famosa disobbedienza.

Perciò meritamente si sentirono confusi di essa i primi uomini di allora, quando si coprirono le parti vergognose, e se ne sente confuso adesso chiunque si considera uomo, pudico e impudico che sia: e non sia mai che si sentano confusi dell'opera di Dio, ma si sentono confusi della pena del primo e antico peccato.

Voi però, non per ragione religiosa, ma per discussione litigiosa, non in difesa del pudore umano, ma in difesa del vostro furore settario, perché non si creda che sia stata viziata almeno la concupiscenza della carne e che da essa si contragga il peccato originale, con le vostre discussioni vi sforzate di far rimontare la concupiscenza al paradiso assolutamente tale e quale è adesso e di sostenere che le sarebbe potuto accadere d'esservi o sempre assecondata da un disonesto consenso o frenata talvolta da un afflitto dissenso.

Noi però non ci curiamo granché di cosa vi piaccia pensare su di essa.

Il fatto è che ogni uomo che nasce per mezzo di essa, se non rinasce, è condannato senza dubbio e rimane necessariamente sotto il diavolo, se non lo libera il Cristo.

18.36 - Tesi pelagiana sulla bontà e sulla libertà naturale dell'uomo: la grazia adiuvante

Egli scrive: Noi difendiamo che gli uomini sono opera di Dio, che il potere di Dio non costringe nessuno contro la sua volontà al bene o al male, ma ciascuno fa il bene o il male di sua volontà; nel fare il bene ciascuno è aiutato sempre dalla grazia di Dio, al male invece è incitato dalle suggestioni del diavolo.

A tutto questo noi rispondiamo: Gli uomini sono opera di Dio in quanto uomini, ma stanno sotto il diavolo in quanto peccatori, a meno che non ne siano liberati per mezzo di colui che non fu fatto mediatore tra Dio e gli uomini se non perché non poté essere peccatore tra gli uomini.

Nessuno è costretto dal potere di Dio o al male o al bene contro la sua volontà, ma, abbandonato da Dio, va a finire nel male perché se lo merita e, aiutato da Dio, si converte al bene senza che se lo meriti.

L'uomo infatti non è buono senza volerlo essere, ma la grazia di Dio lo aiuta proprio anche a volerlo essere, poiché non è stato scritto invano: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni, ( Fil 2,13 ) e ancora: Dal Signore è preparata la volontà. ( Pr 8, 35 sec. LXX )

19.37 - Ag. insiste sulla necessità della grazia preveniente

Voi però ritenete che l'uomo sia aiutato dalla grazia di Dio nell'opera buona in modo da credere che la grazia non faccia nulla per eccitare la sua volontà alla stessa opera buona.

Lo dichiarano sufficientemente le tue stesse parole.

Perché infatti non hai detto che l'uomo è eccitato dalla grazia di Dio all'opera buona, come hai detto invece che è incitato al male dalle suggestioni del diavolo, ma hai detto che nel fare il bene è aiutato sempre dalla grazia di Dio?

Come se l'uomo prenda l'iniziativa di un'opera buona per sua volontà senza nessuna grazia di Dio e sia poi aiutato divinamente quando è già in corso la stessa opera buona, evidentemente secondo i meriti della buona volontà, cosicché sia pagata una grazia debita e non donata una grazia indebita, e la grazia allora non sia più grazia, ( Rm 11,6 ) ma sia vero ciò che Pelagio condannò con cuore finto nel processo palestinese: La grazia di Dio è data secondo i meriti nostri.

Dimmi, ti prego, qual bene voleva Paolo, ancora Saulo a quel tempo, o non voleva piuttosto grandi mali, quando fremente di stragi si recava a sterminare i cristiani con furore e mostruosa cecità di mente? ( At 9,1-3 )

Per quali meriti di buona volontà Dio lo convertì da quei mali al bene con mirabile e repentina vocazione? ( At 9,15 )

Perché mai dico meriti, se egli stesso grida: Ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia? ( Tt 3,5 )

Che vuol dire l'affermazione del Signore che ho già ricordata: Nessuno può venire a me, e ciò s'intende "credere in me", se non gli è concesso dal Padre mio? ( Gv 6,66 )

Forse a chi già vuol credere si dà di credere secondo i meriti della buona volontà, o non piuttosto la volontà stessa viene eccitata dall'atto perché creda, come quella di Saulo, benché così avverso alla fede da perseguitare pure i seguaci della fede?

A che scopo infatti il Signore ci ha comandato di pregare per coloro che ci perseguitano? ( Mt 5,44 )

Preghiamo forse che la grazia di Dio sia retribuita ad essi secondo la loro buona volontà o non piuttosto che la loro stessa cattiva volontà venga mutata al bene?

Proprio come crediamo che allora non abbiano pregato invano per Saulo i santi da lui perseguitati: la sua volontà fosse convertita alla fede che sterminava. ( At 9,3ss )

E in verità l'origine dall'alto della sua conversione apparve anche con un miracolo manifesto. ( At 9,18 )

Quanto sono numerosi i nemici del Cristo che ogni giorno all'improvviso per occulta grazia di Dio sono "attirati" al Cristo!

Il qual verbo, se io non l'avessi preso dal Vangelo, quante ne avrebbe dette di me costui a causa di esso, dal momento che anche adesso protesta, non contro di me, ma contro colui che grida: Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato! ( Gv 6,44 )

Non dice infatti: "Se non lo guida", cosicché intendiamo che lì in qualche modo la prima iniziativa è della volontà.

Chi è attirato se voleva già? E tuttavia nessuno viene se non vuole.

È dunque attirato in modo misterioso a volere da colui che sa operare all'interno degli stessi cuori degli uomini, non perché gli uomini credano senza voler credere, il che è impossibile, ma perché da non volenti diventino volenti.

20.38 - Testimonianze scritturistiche sull'efficacia della grazia

Che ciò sia vero non lo sospettiamo per congettura umana, ma lo riconosciamo per evidentissima testimonianza delle divine Scritture.

Si legge nei libri dei Paralipomeni: In Giuda invece si manifestò la mano di Dio e generò in essi un cuore solo per eseguire il comando del re e degli ufficiali secondo la parola del Signore. ( 2 Cr 30,12 )

Similmente per mezzo del profeta Ezechiele dice il Signore: Darò ad essi un altro cuore, metterò dentro di essi uno spirito nuovo, toglierò dalla loro carne il loro cuore di pietra e darò ad essi un cuore di carne, perché vivano secondo i miei statuti, osservino e mettano in pratica le mie leggi. ( Ez 36,26-27 )

Che è poi quello che prega e dice la famosa regina Ester: Metti nella mia bocca una parola ben misurata e glorifica le mie parole di fronte al leone, volgi il suo cuore all'odio contro colui che ci combatte? ( Est 4,13 )

Come mai dice questo a Dio nella sua orazione, se Dio non suscita la volontà nei cuori umani?

Ma forse quella donna pregò insipientemente pregando così! Vediamo dunque se l'orante abbia premesso invano il suo affetto senza che sia seguito l'effetto da parte dell'esaudiente.

Ecco che entra al cospetto del re. Non mi voglio dilungare.

E poiché, costretta da grave necessità, non entrava secondo il suo turno, il re, è scritto, la guardò come un toro nell'impeto del suo furore.

La regina n'ebbe paura, cambiò colore e si abbandonò molle sulla testa dell'ancella che l'accompagnava.

Ma Dio trasformò lo sdegno del re e lo volse a mitezza. ( Est 5,9-11 )

Che bisogno c'è ormai di ricordare il seguito, dove la divina Scrittura attesta che Dio compì quanto aveva domandato la donna, suscitando nel cuore del re nient'altro che la volontà, con la quale comandò e fu fatto ciò che la regina gli aveva chiesto?

La quale regina, perché ciò si compisse, era già stata esaudita da Dio, che con potenza oculatissima ed efficacissima, prima che avesse ascoltato la supplica della donna, convertì il cuore del re e lo volse dalla stizza alla mitezza, cioè dalla volontà di nuocere alla volontà di giovare, conformemente alle parole dell'Apostolo: È Dio che suscita in voi anche il volere. ( Fil 2,13 )

Forse gli uomini di Dio che scrissero questo racconto, anzi lo stesso Spirito di Dio che suggerì ad essi di scriverlo ha impugnato il libero arbitrio dell'uomo?

Non sia mai, ma ha sottolineato in tutto e il giustissimo giudizio dell'Onnipotente e il suo misericordiosissimo aiuto.

All'uomo infatti basta sapere che non c'è ingiustizia da parte di Dio. ( Rm 9,14 )

Quanto poi al modo in cui Dio dispensa i suoi doni, facendo degli uni secondo il loro merito dei vasi di collera e di altri secondo la sua grazia dei vasi di misericordia, ( Rm 9,22-23 ) chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore o chi mai è stato suo consigliere? ( Rm 11,34 )

Se noi dunque abbiamo l'onore di appartenere alla nobiltà della grazia, vediamo di non essere ingrati attribuendo a noi quello che abbiamo ricevuto.

Che cosa infatti possediamo senza averlo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

21.39 - Tesi pelagiana sulla perfetta giustizia dei Patriarchi

Scrive costui: Noi diciamo che i santi dell'Antico Testamento passarono da qui alla vita eterna con perfetta giustizia, cioè si distaccarono da tutti i peccati con l'amore della virtù, perché anche di coloro di cui leggiamo qualche peccato sappiamo tuttavia che poi se ne emendarono.

Per quanto sia stata grande la virtù che predichi degli antichi giusti, non valse a salvarli se non la fede nel Mediatore, che versò il sangue per la remissione dei peccati.

Di essi infatti è la voce: Ho creduto, perciò ho parlato. ( Sal 116,10 )

Un testo di cui l'apostolo Paolo fa la seguente applicazione: Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede, di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo. ( 2 Cor 4,13 )

Che cos'é quello stesso spirito se non lo spirito che avevano anche quei giusti che dicevano così?

Dichiara pure l'apostolo Pietro: Perché volete imporre ai gentili un giogo che non siamo stati capaci di portare né noi, né i nostri padri?

Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anch'essi. ( At 15,10-11 )

Ciò non volete voi, nemici di questa grazia: che dalla medesima grazia di Gesù Cristo si credano salvati gli antichi, ma distribuite i tempi secondo Pelagio, com'è scritto nei suoi libri, e dite che prima della Legge furono salvati mediante la natura, successivamente mediante la Legge e da ultimo mediante il Cristo, quasi che agli uomini delle prime due epoche, cioè prima della Legge e nella Legge, non sia stato necessario il sangue di Cristo: e così vanificate quello che è scritto: Uno solo infatti è Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )

22.40 - Tesi pelagiana sulla universale necessità del battesimo

Dicono: Noi confessiamo che la grazia del Cristo è necessaria a tutti, e ai grandi e ai piccoli, e anatematizziamo coloro che dicono non doversi battezzare chi nasce da due battezzati.

Sappiamo come voi dite questo, non nel senso dell'apostolo Paolo, ma nel senso dell'eretico Pelagio: cioè il battesimo è necessario ai piccoli non per la remissione dei peccati, ma solamente per il regno dei cieli.

Date infatti ai bambini fuori dal regno di Dio un luogo di salvezza e di vita eterna, anche se non sono stati battezzati.

Né prestate attenzione a quello che è scritto: Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà, sarà condannato. ( Mc 16,16 )

A causa di ciò nella Chiesa del Salvatore i piccoli credono per mezzo degli adulti, come dagli adulti hanno contratto i peccati che si rimettono a loro nel battesimo.

Né riflettete ad un'altra verità: non possono avere la vita coloro che sono rimasti privi del corpo e del sangue del Cristo, dicendo egli stesso: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita. ( Gv 6,54 )

Oppure, se da voci evangeliche siete costretti a confessare che non possono avere né vita né salvezza i bambini che escono dal corpo senza essere stati battezzati, cercate quale sia la ragione per cui questi bambini non battezzati siano buttati a subire il supplizio della morte seconda per giudizio di colui che non condanna nessuno immeritamente e troverete quello che non volete: il peccato originale.

23.41 - Tesi pelagiana sulla perfetta purificazione operata dal battesimo

Anche coloro che dicono scrive costui che il battesimo non distrugge tutti i peccati noi li condanniamo, perché sappiamo che per mezzo degli stessi misteri si dona piena purgazione.

Questo lo diciamo anche noi, ma che per mezzo degli stessi misteri anche i bambini sono sciolti dai vincoli della prima natività e dell'ereditaria successione inquinata voi non lo dite.

Perciò è necessario che anche voi alla pari degli altri eretici siate segregati dalla Chiesa del Cristo, la quale ritiene questa verità fino dai tempi antichi.

24.42 - La conclusione della lettera pelagiana

Più degna però d'essere disprezzata che confutata è la conclusione della lettera dove dice: Nessuno dunque vi seduca, né neghino gli empi che questo è il loro modo di sentire.

Ma se dicono la verità, o sia concessa un'udienza, o per lo meno gli stessi vescovi che sono ora in dissidio con noi condannino quanto sopra ho detto che essi ritengono in combutta con i manichei, come noi condanniamo quanto essi vanno diffondendo sul nostro conto, e si fa piena concordia.

Se non lo vogliono, sappiate che sono manichei e tenetevi lontani dall'avere comunione con loro.

Chi dei nostri infatti esita ad anatematizzare i manichei, i quali dicono che né gli uomini, né il matrimonio sono stati creati dal Dio buono, né da lui fu data la legge somministrata al popolo ebraico per mezzo di Mosè?

Noi però non senza ragione anatematizziamo anche i pelagiani, i quali della grazia di Dio, venuta per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, ( Rm 7,25 ) sono talmente nemici da dire che essa è non data gratuitamente, ma secondo i nostri meriti, cosicché la grazia non è più grazia. ( Rm 11,6 )

E fanno tanto affidamento sul libero arbitrio, che ha sprofondato l'uomo nell'abisso, da dire che gli uomini meritano la grazia usando bene del libero arbitrio, quando nessuno può usare bene del libero arbitrio se non per mezzo della grazia, la quale non è pagata da Dio per debito, ma è donata gratuitamente da Dio per sua misericordia.

Riguardo poi ai bambini, sostengono tanto che essi sono già salvi da osar di negare che debbano essere salvati dal Salvatore.

E ritenendo e seminando questi esecrabili dogmi, reclamano ancora per giunta un'udienza, mentre i condannati devono fare penitenza.

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