Contro la Lettera di Parmeniano

Indice

Libro III

3.17 - Vengono spiegati altri testi addotti da Parmeniano

Ma è ormai ora di esaminare gli altri testi citati da Parmeniano.

Di tutti quelli che evidenziano il loro sacrilego tumore, nessuno lo mostra meglio, come il testo che egli ha osato citare perfino dal profeta Geremia, per convincere i ciechi, che la comunione dei Donatisti non solo è la vera Chiesa, ma che già da adesso è uguale a quella che sarà, dopo l'ultima vagliatura, la Chiesa santa.

Che cosa si può aggiungere a questa sacrilega presunzione ed empia superbia io non lo so.

È vero che in molti passi dei loro discorsi si vede che non pretendono altro, ma qualche volta arrossiscono, visto che la verità li incalza, quando li si interroga se non hanno o se non siano, essi stessi, dei peccatori.

Comunque, con questo testo del Profeta, hanno scoperto, molto chiaramente, la loro empia vanità e la grande perversità.

Infatti, san Geremia, volendo mostrare ai buoni e ai malvagi che, sebbene temporaneamente riuniti in un'unica società, il valore della loro condotta e il fine dei loro meriti sono però molto diversi, disse: Che hanno in comune la paglia e il grano? ( Ger 23,28 )

Parmeniano, invece, volendo ribattere la tesi di Ticonio, secondo la quale, i cattivi presenti nell'unità, ora, devono essere tollerati dai buoni per amore della pace e, alla fine dell'ultimo giudizio divino, essere separati, ha citato questo testo di Geremia per incitare, lui perverso ed errante, altri perversi ed erranti, alle più turbolenti e criminali sommosse.

Così che, tutti quelli che nella superba mente della carne pensano di essere qualcosa, mentre sono niente, ( Gal 6,3 ) e giudicano se stessi e i loro simili come frumento purissimo, non credano più di essere obbligati ad entrare nell'assemblea della Chiesa, nella quale è necessario che quanti appartengono alla vita eterna tollerino sino alla fine quanti appartengono al fuoco eterno, come il grano tollera la sua paglia.

Nessun altro vento ha scosso la paglia leggerissima dall'aia di Cristo prima del tempo della vagliatura! Nessun'altra presunzione sacrilega ha creato gli scismi, ovunque sorgono!

3.18 - Le tre punte del ventilabro donatista

" Il santissimo Geremia - dice Parmeniano - ci invita a separare le folle infruttuose e sterili dei peccatori dalla venerata messe dei giusti, dicendo: Che ha in comune la paglia col grano? ". ( Ger 23,28 )

O tromba del furore! O parola di esecrabile malizia!

Possibile che l'umanità sbagli a tal punto da non riconoscere in Parmeniano, il vagliatore?

Oppure egli cede il passo a Donato e si vanta di essere venuto alla massa che questi aveva purificata?

Veramente io non so se Parmeniano si degna ammettere che Maggiorino è prima di lui.

Oppure questi tre sono stati, nelle mani del Signore, come tre punte di un ventilabro, per mezzo dei quali fosse purgata la messe del mondo, e l'Africa è stata scelta come luogo per concentrarvi la massa purificata, mentre tutto il resto ricoprirebbe, come paglia separata, tutta la terra?

Ma allora, da dove vengono tante bande di circoncellioni?

Da dove tante folle di commensali ubriachi e tutti questi stupri di donne, nubili ma non incorrotte?

Da dove tutti i ladri, gli avari e gli usurai?

Da dove sono sorti tutti quelli che, nelle rispettive regioni, desideravano essere altrettanto molto noti, ma non altrettanto validi Ottati?

Che cosa rispondono? Che questo non esiste? O che anche questo è grano?

Ah, che spudorata negazione sarebbe rispondere che da loro questo non esiste!

Ah, che nefanda perversità rispondere che è tutto grano!

Infine, perché una massa di grano purificata da un tridente sì autorevole, formato da Maggiorino, Donato e Parmeniano, anche Primiano ha osato vagliarla di nuovo per separare i Massimianisti dalla sua comunione?

O forse egli ha gettato via il frumento? Che cosa sono, dunque, lui e i suoi, che hanno gettato via questo frumento?

O questo frumento è stato talmente purificato, che gli uni e gli altri non si riconoscono e cercano di vagliarsi condannandosi a vicenda?

Avrebbe potuto, la paglia, battezzare il frumento? Se sì, perché allora dicono: Che ha in comune la paglia con il grano?

Se poi non avrebbe potuto, perché Feliciano, dopo essere volato fuori nella paglia dei Massimianisti, è ritornato, lui e tutti quelli che aveva battezzato, in questa massa ben mondata, e ora i Donatisti li hanno tutti dentro, senza chiedersi: Che ha in comune la paglia col grano?

3.19 - Il senso di Ger 23,28

Via, si sveglino finalmente e capiscano in che senso il profeta ha detto: Che ha in comune la paglia col grano? ( Ger 23,28 )

Ma prima considerino in quale luogo questo si può dire, se hanno un po' di buon senso.

Si può dire sul terreno: Che ha in comune la paglia col grano, quando ancora li sostiene entrambi la stessa radice?

Si può dire sull'aia, dove vengono triturati insieme? Non v'è dubbio è nel granaio che si può dire: Che ha in comune la paglia col grano?

Verrà infatti il padre di famiglia, portando nelle sue mani il ventilabro, monderà la sua aia, riporrà il grano nel granaio, la paglia, invece, la brucerà, nel fuoco inestinguibile. ( Mt 3,12 )

Sappiamo che in un'altra similitudine tutto il grano viene significato col nome di gregge e tutta la paglia col nome di capri, cioè, con due tipi di armenti che, per ora pascolano, mescolati, sotto un solo pastore.

Ma verrà il Figlio dell'uomo con i suoi angeli e si raduneranno davanti a lui tutte le nazioni.

Ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri.

E porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

E dirà a quelli che sono alla destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dall'inizio del mondo.

A quelli invece che sono alla sinistra dirà: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. ( Mt 25,31-34 )

È allora, quindi, che si compirà la profezia: Che ha in comune la paglia con il grano? cioè, quando capri e pecore non potranno avere più un pascolo comune.

Se i pesci buoni possono dire ai pesci cattivi che sono nella rete, che il Signore ha assimilata al regno dei cieli: ( Mt 13,47 ) " Allontanatevi da noi o ce ne andiamo noi, mentre sono in attesa di essere tutti condotti alla spiaggia e che gli angeli mettano i buoni nei vasi e i cattivi li gettino via ", è possibile realizzare, nel tempo presente, il detto: Che ha in comune la paglia col grano?

Ora, quanti ritengono la propria assemblea frumento già mondato, sono volati via da questa mescolanza di grano e paglia come paglia leggera; quanti non si sentono di pascolare ancora insieme ai capri sotto un solo pastore, sono stati separati dal gregge del Signore dalle insidie dei lupi; e quanti, infine, credono di non essere più uniti ai pesci cattivi non solo sono pesci cattivi, ma hanno anche spezzato le reti dell'unità.

Se poi crediamo che il detto di Geremia: Che ha in comune la paglia col grano? si realizza già da ora, in nessun altro modo possiamo capirlo rettamente, se non che grano e paglia sono certamente in una sola assemblea, finché siano separati anche col corpo alla fine della vagliatura, e tuttavia il grano ha il cuore in alto, la paglia in basso.

In effetti, la paglia cerca i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, ( Fil 2,21 ) il grano, invece, accumula tesori nel cielo.

E dove è il suo tesoro, là è anche il suo cuore. ( Mt 6,20-21 )

4.20 - Il vero senso di Is 52,11

In questo modo vanno interpretate anche le parole del beato Isaia, che Parmeniano, egualmente senza comprenderle, ha tentato di distorcere per piegarle a sostegno della sua opinione errata.

Che ha detto, infatti, Isaia? Allontanatevi, allontanatevi, uscite di là, e non toccate ciò che è impuro.

Uscite da qui e separatevi, voi che portate i vasi del Signore. ( Is 52,11 )

Dobbiamo forse ripetere sempre le stesse cose sul modo di attuare la separazione del cuore dai cattivi?

Ecco: non tocca ciò che è impuro chi non approva nessun peccato.

Esce invece di là, per salvare la sua causa davanti a Dio, se, fatta salva la pace, non trascura neppure il castigo della correzione e del rimprovero.

In effetti, chi vuole abbandonare col corpo i cattivi quasi palesi, finisce per abbandonare, con lo spirito, i buoni nascosti, che egli è costretto ad accusare, senza averli frequentati e conosciuti, per cercare di giustificare la sua separazione.

4.21 - Si citano degli esempi

Rispondano, ora, i Donatisti: se Feliciano è puro, perché uscì di mezzo a loro?

Se invece è impuro, perché essi toccano un impuro?

Se poi è stato impuro quando stava fuori, sono impuri quelli che egli ha battezzato fuori, perché hanno toccato un impuro.

Oppure sono stati tutti purificati ritornando con lui?

Possono dunque, i Donatisti, purificare quelli battezzati fuori, che non hanno battezzato nella loro comunione?

Perché allora ribattezzano gli altri?

Oppure essere condannati dai trecentodieci giudici di Bagai, è per caso un privilegio, e quindi chiunque viene a loro dal mondo, lo si ribattezza, perché il mondo non ha meritato il privilegio di essere condannato dal concilio di Bagai?

E che? Tutti quelli che, una volta battezzati da Massimiano e dagli altri suoi amici, che non sono ritornati alla comunione di Primiano, vengono da voi, si ribattezzano o si perdonano?

Se si ribattezzano, si viola il privilegio di Bagai - esso infatti ha condannato anche i loro battezzatori -; se invece si condona loro, dobbiamo pregare i Donatisti di riunirsi ancora nel villaggio di Bagai e, nel caso che il numero trecentodieci fosse ormai diventato sacro, se ne riuniscano altrettanti e, in quella sede pronuncino una sentenza contro il mondo, come fecero contro i Massimianisti.

Così, quando essi vogliono ribattezzare uno che viene da una regione del mondo, questi, forte di un uguale privilegio, possa difendersi affermando che gli spetta lo stesso riguardo, che si ha verso chi è battezzato da un massimianista, dato che ormai non solo i Massimianisti, ma anche il mondo ha avuto il privilegio di essere condannato dal concilio di Bagai.

Per di più, si libereranno da un odio veramente grande; di modo che, quando cominceranno a non ribattezzare più quanti sono già stati battezzati nella Chiesa stabilita in tutte le nazioni, a chi domandasse loro, perché non fanno più ciò che facevano prima, potranno rispondere: "Quando lo facevamo, ancora non avevamo condannato, nel concilio di Bagai, il mondo; mentre ora, richiesti, abbiamo concesso, per misericordia, di condannarlo con lo stesso concilio con cui abbiamo condannato i Massimianisti, il cui battesimo non ripetiamo ".

Ora, è tanto arduo e tanto difficile concedere a tutte le nazioni questo grande privilegio della condanna?

O ripetere il battesimo del mondo è permesso, e ripetere la condanna del mondo non è permesso?

Ma stiano tranquilli anche su questo; non troviamo un concilio che abbia condannato tante nazioni e province.

In Africa essi hanno condannato poche persone, e da esse, a giudizio di tutto il mondo, sono stati sconfitti, e in seguito non hanno osato condannare i giudici presso i quali sono stati sconfitti.

Che cosa, infatti, sarebbe stato più impudente e più folle?

Molto meno poterono condannare coloro che si trovano anche nelle altre regioni della terra, i quali hanno preferito credere a questi giudici ecclesiastici che ai litiganti vinti.

Ciò non ostante, il battesimo dei Massimianisti, condannati dai trecentodieci donatisti nel concilio di Bagai, lo riconoscono, lo accettano e lo ammettono; il battesimo del mondo, invece, mediante il quale l'eredità di Cristo si è manifestata così come è stata promessa; eredità nella quale, fino a pochi anni fa, c'erano anch'essi; un battesimo che in nome di nessun diritto hanno potuto condannare, e che per nessuna perversità, nemmeno di un concilio, hanno di fatto condannato, si condanna, si esorcizza, si ripete.

O santa condanna, che i Massimianisti hanno meritata!

O faticosa innocenza delle nazioni, che ha perso, ai loro occhi, il nome cristiano, solo perché non ha potuto trovare il modo di subire tale condanna!

4.22 - Contraddizioni dei Donatisti

Se poi a non essere ribattezzati sono soltanto quelli che, pur venendo dai Massimianisti, tornano con i loro battezzatori, come quelli che tornarono con Pretestato e Feliciano, considerino, innanzitutto, come mai il battesimo di uno stesso scisma, dato egualmente fuori della loro comunione, in alcuni lo confermano e in altri lo esorcizzano, in un caso lo rispettano, in un altro lo violano.

In questo modo, infatti, dove essi lo violano diventano colpevoli, dove lo confermano vengono trovati testimoni del loro peccato; tanto che se, in seguito, lo confermassero e non lo violassero più, questa non sarebbe considerata incoerenza, ma conversione.

Ma dato che rimproverano in alcuni ciò che approvano in altri, nel primo caso sono condannati, nel secondo testimoniano contro se stessi.

Io chiedo, infatti: perché non ribattezzi quelli che ha battezzato Feliciano nello scisma di Massimiano?

Perché hanno ricevuto il battesimo di Cristo, o perché hanno ricevuto quello di Feliciano?

Se è perché hanno ricevuto quello di Feliciano, questi lo diede presso i Massimianisti, da condannato; lo diede fuori della vostra comunione ed è lo stesso battesimo che diedero Salvio di Membressa e altri peccatori.

Se invece, è perché esso era di Cristo, ne consegue che di fronte a te conta di più, riguardo al battesimo di Cristo, Feliciano tra i Musitani che Cristo stesso nel mondo; conta di più, riguardo al battesimo di Cristo, colui che siede al tuo fianco ed è stato condannato da te, di Colui che siede alla destra del Padre ed è stato crocifisso per te.

Ecco: ci si preoccupa del battesimo di Cristo in pochissime persone, per non offendere Feliciano, e non ci si preoccupa che Cristo stesso non sia rifiutato in moltissime nazioni.

4.23 - I Donatisti non vedono nel comportamento dei Profeti il senso delle loro parole

Ora, è incredibile la cecità degli uomini, e io non so proprio come si potrebbe credere che in essi vi sia tanta perversità, se, dalle loro parole e dalle loro azioni, non fosse evidente che hanno gli occhi del cuore così chiusi, che, quando citano i testi della sacra Scrittura, non vedono nelle azioni dei Profeti in che senso le loro parole profetiche vanno comprese.

Ha detto Geremia: Che ha in comune la paglia col grano? ( Ger 23,28 )

Ma che forse egli si separò dalla paglia del suo popolo, contro la quale predicava tante verità?

Ha detto Isaia: Allontanatevi, allontanatevi, uscite di qui: non toccate ciò che è impuro. ( Is 52,11 )

E perché egli, l'impurità che condannava nel popolo con severe parole, la toccava vivendo con essi in un'unica assemblea?

Leggano quante maledizioni, e con che veemenza e sincerità, egli pronunciò contro i malvagi del suo popolo, dai quali, tuttavia, non si separò mai con una aperta rottura.

Ha detto Davide: Non mi sono seduto nell'assemblea della menzogna, e non frequenterò i criminali.

Ho odiato l'adunanza dei malvagi e non siederò con gli empi. ( Sal 26,4-5 )

Leggano quali peccatori lui stesso sopportò, ai suoi tempi, nel popolo!

Egli che ebbe in tanto onore il segno misterioso dell'unzione, da non disprezzarlo neppure nell'empio Saul; anzi, lo venerò in modo tale che meglio non avrebbe affatto potuto.

Non è forse vero che, se opponessimo le loro parole alle loro azioni, ci risponderebbero: " Veramente con tali individui noi non abbiamo avuto, nel cuore, niente in comune, e non toccavamo alcunché di impuro, il cui contatto può contaminare; cioè, ci tenevamo lontano e ci separavamo da essi col consenso e col compiacimento interiore, poiché, non solo tali cose non le facevamo noi, ma non tacevamo di fronte a quanti le facevano ".

Per quanto riguarda i Donatisti sediziosi e folli, che cercano nelle parole dei Profeti la giustificazione alle loro divisioni, ci manca solo che, nella loro rabbiosa empietà, biasimino la condotta dei Profeti con le parole dei Profeti.

Oppure arriveranno a dire che a quei tempi non era permesso, ai giusti, di separarsi dal popolo malvagio, mentre ora è permesso?

Non sarebbe molto strano dire che a quell'epoca i buoni non si potevano separare col corpo dai cattivi, poiché erano obbligati a celebrare molti sacramenti con la presenza materiale, mentre ora la separazione del corpo è necessaria, perché ormai si celebrano con una presenza spirituale?

4.24 - I cristiani lontani dall'Africa non sono colpevoli di quanto vi fu commesso

Guai ai ciechi che guidano e ai ciechi che li seguono!

Possibile che non temono, con questi discorsi, che in tutta l'estensione della terra, dove la fede e il nome di Cristo si sono diffusi, prima che si separassero i Donatisti, alcuni giusti si siano separati in qualche zona della terra molto lontana dalle regioni africane, e i Donatisti continuavano a vivere al contatto dell'impurità, che quelli avevano fuggito?

Chi li garantisce, chi li rassicura che, se tale separazione dai cattivi è necessaria, prima ancora dei Donatisti, non sia stata mai fatta in qualche zona talmente lontana, che gli africani non ne seppero niente, come è del tutto ignoto, nelle estreme regioni della terra, il partito di Donato?

Forse diranno che ciò che ignoravano non avrebbe potuto nuocergli.

Analogamente, quindi, non può nuocere, in quelle regioni, ciò che è accaduto in Africa e che esse ignorano, anche se fossero vere le menzogne che essi dicono circa i crimini degli africani.

Se poi dicono che, qualora ci fosse stata, non sarebbe potuta restare nascosta ad essi, allora ci elenchino tutti gli scismi avvenuti in tutte le regioni della terra. È chiedere troppo?

Limitatamente all'Africa, ci dicano, i Donatisti di Cartagine o almeno quelli delle vicinanze di Cartagine, quante fazioni sono nate, nella Numidia e nella Mauritania, dal partito di Donato.

Le cause di tutte queste le dovrebbero senz'altro conoscere, per timore che alcuni giusti, nelle loro regioni, possano avere abbandonato la società e l'assemblea dei malvagi, esserne usciti per non toccare ciò che è immondo ( Is 52,11 ) e non frequentare gli scellerati; ( Sal 26,4 ) e per timore che in qualche angolo della Numidia e della Mauritania, mentre il frumento si è separato già alcuni anni prima, i Donatisti siano rimasti come paglia e non lo sanno.

Ma che cosa li rende così tranquilli, se non la certezza che quanti si separarono dall'unità della comunione di Donato, diffusa in tutta l'Africa, non poterono essere buoni?

In effetti, se essi subivano la vicinanza di alcuni malvagi, che non erano in grado di indicare agli altri, avrebbero dovuto piuttosto sopportarli che separarsi da tanti innocenti, ai quali non potevano provare i peccati degli altri, anche se li avessero conosciuti benissimo.

E allora, perché la stessa innocenza non riconoscerla al mondo diffuso in una moltitudine ed estensione tanto grande di nazioni, ovunque si estende l'eredità di Cristo, da essere certa e sicura che quanti si dichiarano buoni e si separano dall'unità del mondo, proprio per questo dimostrano che gente sono?

Essi, infatti, si credono giusti e disprezzano gli altri, e quindi non cantano il cantico nuovo, perché si innalzano sulla superbia del vecchio uomo.

Essi si separano certamente da quella comunione a cui è stato detto: Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate al Signore tutta la terra. ( Sal 96,1 )

Se veramente fossero giusti, sarebbero anche umili; ma se fossero umili, anche se sopportassero, nell'assemblea, la vicinanza dei malvagi, che non fossero in grado di cacciare dall'unità di Cristo, amerebbero sopportarli per amore di Cristo.

Ma come possono avere un giudizio giusto di quelli che, pur essendo vicini, accusano come cattivi, se, con temeraria cecità, accusano quelli molto lontani e, per di più, molto sconosciuti?

Ora, se essi abbiano conosciuto i loro cittadini o i loro vicini, che accusano di essere cattivi, il mondo non ne è certo; ma che essi si separano con temeraria cecità da quelli di cui non possono conoscere la vita, perché si trovano lontano, il mondo ne è certo.

E che sia una lodevole pazienza tollerare i cattivi noti, per non condannare i buoni ignoti, il mondo ne è certo.

Di conseguenza, il mondo giudica con piena sicurezza che non sono buoni quelli che si separano dal mondo in una qualunque parte della terra.

4.25 - Paolo e Cipriano conservarono l'unità anche stando tra i peccatori

 Infine, se i Profeti hanno invitato i posteri a separarsi corporalmente dalla paglia prima dell'ultima vagliatura, e a evitare, con questa separazione, di toccare ciò che è impuro, ( Is 52,11 ) e a non frequentare i criminali, ( Sal 26,4 ) perché l'apostolo Paolo non lo ha fatto?

O non erano paglia quelli che predicavano Cristo non per sincerità, ma per invidia?

O non erano impuri quelli che predicavano il Vangelo senza retta intenzione? ( Fil 1,15-17 )

Che nella Chiesa di quel tempo vi fossero di costoro, Paolo lo attesta, e la sua sublime carità, che tutto sopporta, ( 1 Cor 13,7 ) hanno poi imitata anche i posteri.

O non è un'impurità l'avarizia, che Cipriano non toccò col cuore, eppure visse con grande pace tra i colleghi avari?

Evidentemente era diventato sordo alle parole dei Salmi, tanto da sedersi nell'assemblea della menzogna, frequentare i criminali, non odiare l'adunanza dei maligni e sedere con gli empi! ( Sal 26,4-5 )

O non formavano un conciliabolo di menzogna, ( Sal 25,8 ) quelli che, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, bramavano avere argento in quantità?

O non erano criminali quelli che rapivano i poderi con astuti inganni?

O non erano depravati ed empi, quelli che, moltiplicando le usure, aumentavano il capitale?

Ciononostante Cipriano lavava le sue mani con gli innocenti e girava attorno all'altare del Signore. ( Sal 26,6 )

Egli sopportava i colpevoli, proprio per non abbandonare gli innocenti con i quali si lavava le mani: amava infatti lo splendore della casa del Signore, splendore presente nei vasi degni di onore. In una grande casa, infatti, non vi sono solo vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio.

Gli uni sono per usi nobili, gli altri per usi spregevoli. ( 2 Tm 2,20 )

Egli si conservava puro da questi ultimi, per essere anch'egli un vaso nobile, santificato, utile al Signore, e pronto per ogni opera buona, ( 2 Tm 2,21 ) e né, per colpa dei vasi destinati ad usi spregevoli, si allontanava dalla grande Casa, ma, pur rimproverandoli, tollerava, nell'unità della Casa, quelli dai quali si conservava puro non imitandoli.

5.26 - Parmeniano interpreta male il Salmo 26

Certo, Parmeniano è bravo a citare questo brano del Profeta: Non mi sono assiso nell'assemblea della menzogna e non frequenterò i criminali.

Ho in odio l'adunanza dei malvagi.

Laverò con gli innocenti le mie mani e girerò attorno all'altare del Signore, per ascoltare voci di lode e raccontare tutte le tue meraviglie.

O Signore, ho amato lo splendore della tua casa e il luogo in cui si trova il tabernacolo della tua Gloria.

Non perdere la mia anima con i peccatori e con uomini sanguinari la mia vita, nelle cui mani vi sono i delitti e la loro destra è piena di regali. ( Sal 26,4-10 )

Parmeniano è bravo a citare questo testo, ma non si preoccupa di rilevare com'è possibile obbedirvi senza cadere nel sacrilegio di una empia divisione.

Lo splendore della Casa, infatti, e il luogo del tabernacolo della Gloria di Dio, ( Sal 26,8 ) non risiede, come ho detto, in tutti i vasi, che pure sono nell'unica grande Casa, ma solo in quelli destinati ad usi nobili, santificati, utili al padrone e sempre pronti per ogni buona opera. ( 2 Tm 2,21 )

Ora, chiunque ama lo splendore della Casa di Dio e il luogo del tabernacolo della sua Gloria, ( Sal 26,8 ) sopporta i vasi destinati ad usi spregevoli e né, a causa loro, lascia la Casa, proprio per non diventare egli stesso, non dico, un vaso per usi spregevoli, che pure viene sopportato nella casa, ma addirittura sterco che si getta fuori di casa.

Ed è per questa temporanea convivenza coi malvagi in un'unica casa, che egli prega, dicendo: Non perdere la mia anima con i peccatori, e con uomini sanguinari la mia vita: nelle loro mani vi sono i delitti e la loro destra è piena di regali. ( Sal 26,9-10 )

Certamente egli prega così, per non perire insieme a quelli con i quali lo obbligava a convivere la carità; è il sacrificio di cui ha parlato prima, dicendo: Signore, ho amato lo splendore della tua casa e il luogo in cui si trova il tabernacolo della tua Gloria. ( Sal 26,8 )

Infatti, poiché ho amato lo splendore della tua casa e, per questo amore, sopporto i vasi destinati ad usi spregevoli, in quanto la carità sopporta tutto, ( 1 Cor 13,7 ) non perdere con loro la mia anima.

Non è forse vero che in queste parole risuona la voce di quelli che, secondo la profezia di Ezechiele, gemevano e piangevano le iniquità del popolo commesse in mezzo a loro e che, essendo vasi per usi nobili, ( Rm 9,21; 2 Tm 2,21 ) meritarono di ricevere un segno particolare, affinché, quando sarebbe iniziata la devastazione e distruzione di tutti gli iniqui, Dio non avesse perso la loro anima coi peccatori?

I miseri Donatisti, invece, che presumono di essere stati purificati dall'assemblea di tutti i malvagi, come il grano dalla paglia, per la loro millanteria, si sono danneggiati, tanto che, nelle popolazioni che governano, non osano rimproverare, per correggerle, le folle molto inique e turbolente, per non essere costretti ad ammettere implicitamente la presenza di malvagi e per non sentirsi dire: " È vero, voi parlate al grano purificato: ma perché con questi discorsi ammettete che vi è mescolata tanta paglia? "

Quindi, siccome non sono giusti, non correggono e non rimproverano con misericordia, ma ungono con l'olio dell'adulazione, il capo di quelli di cui essi stessi vogliono essere capi, ( Sal 141,5 ) poiché non vogliono stare sotto l'unico Capo che è in cielo, nell'unità del Corpo che è in tutta la terra.

A ragione quindi si dice ai loro fedeli: Quanti vi chiamano felici, vi trascinano nell'errore e deviano i sentieri dei vostri passi. ( Is 3,12 )

5.27 - I giusti gemono e piangono in tutta la città, che è la Chiesa, per colpa dei peccati del popolo

Chi dunque non vuol sedere nell'assemblea della menzogna, ( Sal 26,4 ) non si abbandoni alla presunzione dell'orgoglio, né vada in cerca di assemblee di giusti, separate dall'unità del mondo.

Non ne potrà trovare. I giusti infatti si trovano in tutta la città, che non può restare nascosta, perché è posta sopra un monte ( Mt 5,14 ) - mi riferisco al monte di Daniele, dal quale una pietra si staccò senza la forza delle mani, crebbe e riempì tutta la terra ( Dn 2,34-35 ) -; ed è in tutta questa città diffusa nel mondo, che i giusti gemono e piangono per le iniquità commesse in mezzo a loro.

Egli quindi non cerchi dei giusti separati, ma piuttosto, in questa mescolanza temporanea coi malvagi, gema di comune accordo con loro.

Egli infatti non siederà nell'assemblea della menzogna, perché siederà là dove abita, e ascolterà l'Apostolo che dice: La nostra abitazione è nei cieli. ( Fil 3,20 )

Là egli non abiterà con i criminali, là non dovrà subire l'adunanza dei malfattori, là non siederà con gli empi. ( Sal 26,4-5 )

Dimori in questa speranza, per meritare di giungere un giorno alla realtà che ora spera.

Noi infatti non siamo ancora risorti come Cristo, né ora sediamo con lui nei cieli; e tuttavia, poiché egli ci ha dato questa speranza e poiché, mediante questa speranza, in certo qual modo vi abitiamo, l'Apostolo ci dice: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo, assiso alla destra di Dio.

Gustate le cose del cielo, non quelle della terra. Siete morti, infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. ( Col 3,1-3 )

Stando in questa nostra vita, che è nascosta con Cristo in Dio, noi non sediamo nell'assemblea della menzogna, poiché, come dice lo stesso Apostolo: Con lui ci ha anche resuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, ( Ef 2,6 ) ma nella speranza e non ancora nella realtà.

Ora, una speranza che si vede, non è speranza. Ciò che uno vede, infatti, come può sperarlo?

Ma se speriamo ciò che ancora non vediamo, lo attendiamo con pazienza. ( Rm 8,24-25 )

Questa pazienza i miseri Donatisti l'hanno persa e, per la fretta di separarsi anzitempo da ciò che sembra paglia, hanno dimostrato di essere essi stessi paglia leggerissima, che il vento ha portato via dall'aia.

Seguiamo ciò che dice la Sapienza: Chi mi ascolta dimorerà nella speranza e, senza timore, sarà al riparo da ogni male. ( Pr 1,32 )

Finché dunque dimoriamo nella speranza, pensiamo non a ciò che siamo, ma a ciò che saremo; noi infatti già siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato; ma quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 )

Finché, ripeto, dimoriamo nella speranza, non essendovi, in questa dimora mentale, dei malvagi, non subiamo assemblee di menzogna, né criminali, né iniqui e né empi.

E tuttavia, non è nella speranza, ma nella realtà visibile, che ora noi li tolleriamo nella comunità cattolica diffusa in tutto il mondo, finché passi l'iniquità, finché si raccolga, alla mietitura, la zizzania, finché il ventilabro finale separi la paglia dal grano; ( Mt 13,30 ) finché i pesci buoni siano selezionati sulla riva dai pesci cattivi, coi quali sono tutti riuniti nelle stesse reti; ( Mt 13,48 ) finché, nell'ultimo giorno, i capri siano separati dalle pecore, con le quali hanno a lungo pascolato negli stessi pascoli sotto un solo pastore, e posti alla sinistra. ( Mt 25,33 )

5.28 - I buoni non si possono mai separare dalla Chiesa

Non c'è, quindi, nessuna sicurezza di unità, tranne la Chiesa proclamata dalle promesse di Dio, la quale, essendo stata posta sul monte, come si è detto, non può restare nascosta, ed è quindi necessario che sia conosciuta in tutte le regioni della terra.

Teniamo come punto fermo ed incrollabile, che i buoni non possono separarsi da essa; che i buoni, cioè, anche se soffrono la presenza di malvagi ad essi noti, ovunque vivono, non possano trovare nei cattivi un pretesto per separarsi dai buoni che sono lontani e che ignorano, commettendo il temerario sacrilegio dello scisma.

Sicché, in qualunque regione della terra sono avvenuti o avvengono o avverranno gli scismi, le altre regioni della terra, che sono lontane e che non sanno se essi sono veramente avvenuti e perché sono avvenuti, e che, ciononostante, restano nel vincolo dell'unità con il mondo, hanno la stessa ferma certezza che a farlo non possono essere stati che individui pazzi per il tumore della superbia o insani per il livore dell'invidia o corrotti dalla comodità secolare o perversi per il timore carnale.

Per tutte queste ragioni succede o che i buoni siano accusati di falsi crimini o che alla leggera si credano dei buoni cose false o anche, che i cattivi, che tollerati per il vincolo dell'unità non sono di nessun danno ai buoni, una volta distrutta la pace coi buoni, si fuggano commettendo una grande perversità, quando non si ha riguardo per la cernita del frumento, poiché gli uomini usurpano, prima della mietitura, ciò che spetterà agli angeli alla mietitura.

6.29 - Quando i Donatisti subiscono dei castighi, non sono certamente martiri. Il caso di Salvio

Ciononostante, i sacrileghi scismi o le empie eresie, se vengono ammoniti a correggersi da qualche flagello, osano perfino considerare martirio i castighi ricevuti per la loro follia.

Anche Parmeniano la pensa così; perciò, al termine della sua lettera esorta Ticonio a restare nel partito di Donato e a sopportare le persecuzioni, dicendogli che non deve unirsi, di sua iniziativa, a quelli ai quali i Donatisti non si unirono neppure costretti dalla persecuzione, e citandogli questo testo della Scrittura: Guai a coloro che hanno perso la pazienza e si sono sviati per sentieri malvagi!

Che faranno quando il Signore comincerà a guardarli? ( Sir 2,16-17 )

Egli cita, com'è suo costume, tutti i testi dei Libri divini che sono contro di loro.

Chi ha perso, infatti, la pazienza, se non quelli che, per la pace di Cristo, non hanno voluto sopportare i cristiani che non sono riusciti a convincere dei crimini, di cui li accusavano, e che in seguito, sia pure tardi, ritenendo che il loro partito non si doveva dividere in molte particelle, hanno sopportato, per la falsa pace di Donato, che perfino dei sacrileghi ad essi molto noti e che essi stessi avevano condannato, fossero riammessi?

Lo riconoscano, una buona volta, e si correggano; che abbiano agito con empietà lo hanno imparato almeno dalle persecuzioni subite da Massimiano.

Ma naturalmente si vergognano di correggersi per ragioni così evidenti: aver resistito agli ordini degli Imperatori, e temono che, ciò che lamentano di avere subito, una volta corretti, possano perderlo.

Come se non è meglio perderlo, che perire.

Se infatti ha una certa apparenza di coraggio e una parvenza di fortezza, sia pure falsa e fallace, non cedere ad un ordine dell'Imperatore, quale lusinga di lode, sia pure umana, può esserci nel contraddire una verità molto evidente?

Ma perché i Donatisti citano ad occhi chiusi tanti testi delle Scritture, che, una volta compresi e addotti contro di loro, rifiutano, e che, anche se compresi nel senso loro, nondimeno li convincono della loro perversità?

Non sta forse scritto: Non contraddire in nessun modo la verità? ( Sir 4,30 )

Ebbene, a chi si contraddice, se non alla verità, quando si resiste perfino al re che ordina in nome della verità?

Ora, il re è un essere umano; le sue minacce e le sue punizioni sono temporaneamente fastidiose.

Non così quel Re che si chiama anche verità e che anche ora grida loro per bocca del Profeta: Invano ho colpito i vostri figli, essi non hanno appreso la lezione. ( Ger 2,30 )

Egli li ammonisce ora con misericordia, tramite le autorità umane, appunto per non punirli alla fine in un modo che, questi superbi non possano vantarsi della loro dannazione.

In effetti, mentre sotto la punizione dei re, l'ostinazione umana può pretendere di essere lodata con il falso nome di virtù, essere invece bruciati nel fuoco eterno, non sarà e non si chiamerà fortezza.

In quel giorno, infatti, non vi saranno di coloro che possano profumare il capo con l'olio dell'adulazione o che, sedotti da una vuota fallacia, possano sognare corone per i dannati.

Né coloro che possano dire: "Bene, bene ", e giurare per i capelli bianchi di quanti non hanno avuto il capo sano e per gli stivaletti di quanti non hanno conosciuto la via della pace. ( Is 59,8 )

I Donatisti, bramosi di allontanare queste folle dall'unità di Cristo e di convertirle al loro nome, nel frattempo osano equiparare i supplizi temporali dovuti al loro scisma, alle passiones martyrum, tanto che, in loro onore celebrano gli anniversari dei loro supplizi, con grande concorso di uomini invasati, tra i quali vi sono di quelli che, anche senza essere perseguitati, si precipitano volontariamente dai precipizi, e così concludono una vita cattiva con una morte peggiore.

No, non vi saranno, in quel giorno, folle insipienti alle quali dire: " Siamo noi i giusti; noi che subiamo persecuzioni ", e così vendere ai ciechi, come gemma preziosa, una pietra falsa, cioè, la durezza della carne per la pazienza dello spirito.

No, non vi saranno quelli che i nomi dei capi della loro follia, davanti agli altari: né agli altari che hanno separato dall'unità di Cristo, né a quelli che hanno eretto, sotto il nome di Cristo, contro la Chiesa di Cristo.

Questa è la paga che i Donatisti ricevono e, per riceverla, volendo avere di che vendere, eccitano contro se stessi, con la loro perversità, la durezza delle autorità.

E quelli che essi seducono e dai quali sono ritenuti giusti, solo perché pagano la pena della loro iniquità, non rientrano in se stessi e non considerano il motivo di queste pene, che si gloriano di soffrire.

Quanto ci voleva a fare un po' di attenzione, per capire che, sulla tolleranza delle persecuzioni e la gloria della tolleranza, Parmeniano diceva a Ticonio le stesse cose che dicono tutti gli eretici, per reprimere e punire i quali i re emanano analoghi editti?

E le stesse cose che ora dice certamente ai suoi seguaci di Membressa anche Salvio, al quale gli Abitinesi arrecarono tante torture e oltraggi?

Quegli Abitinesi, tramite i quali i Donatisti ottennero di cacciare Salvio dalla chiesa, appendergli al collo persino delle carogne di cani morti, e danzare con loro al ritmo di parole e di canti osceni?

E dopo tutte queste sofferenze, quale discorso pensiamo che egli abbia fatto ai suoi, questi poveretti che egli sedusse al punto da farsi costruire un'altra basilica?

Chissà quante ne disse sulla sua giustizia, che gli aveva meritate tali sofferenze, per convincerli che egli era santo, perché aveva molto sofferto, e che essi erano molto malvagi, perché lo avevano fatto soffrire!

Si cita l'antica crudeltà dei tiranni Tusci, che univano i corpi morti a uomini vivi; sempre però corpi umani a corpi umani; ma che i cadaveri di cani siano stati congiunti a corpi umani, e per giunta di vescovi, io non so se qualcuno ricorda di averlo mai inteso o letto.

È risaputo che i vescovi sono soliti condannare le danze frivole e oscene; chi ricorda che uomini, chiamati dai vescovi in aiuto, abbiano danzato coi vescovi?

O forse Salvio allora non era più un vescovo, perché la sua condanna si legge in una sentenza del Concilio di Bagai?

Ma se anche lui in seguito si fosse riconciliato con Primiano, come si riconciliò Feliciano, condannato " dalla bocca veritiera del concilio plenario ", per citare le loro stesse parole, sarebbe vescovo ora?

O non verrebbe accettato, perché chi è contaminato dal sacrilegio dello scisma può essere purificato, come Feliciano, mentre chi è contaminato dai cani morti, appesi al suo collo, non può essere purificato?

Vorrei sapere che cosa rispondono a questi crimini tanto chiari, pubblici e recenti, quanti ci rinfacciano le loro antiche calunnie come fossero nostri delitti.

Chi di loro crede che io diffondo falsità, quale difficoltà ed ostacolo incontra, se vuole curare la sua anima, a recarsi a Membressa per vedere se tutto ciò è accaduto e per giustificarlo se è capace?

Se egli dice che è giusto trattare così gli scismatici, condannati da trecentodieci vescovi donatisti, non brontolino quando subiscono dei castighi, anche se non ne hanno mai subiti di simili, quelli che hanno fatto lo scisma dall'unità di Cristo, come dimostriamo, non con l'autorità di trecentodieci vescovi, ma di tutto il mondo.

Se invece dice che le pene subite da Salvio sono lievi, io chiedo: se l'Imperatore costringesse un vescovo donatista a danzare, e se, qualora egli si rifiutasse, minacciasse di gettarlo alle belve e al rogo, costui non preferirebbe subire questa pena, che fare quello?

E per questa sofferenza, i Donatisti non lo nominerebbero tra i loro santi martiri?

Furono dunque più dure le sofferenze che Salvio, col quale si danzò, ebbe a subire, che se lo avessero bruciato vivo.

In effetti, se a uno di loro si facessero due proposte: se preferisce danzare, non lui però, ma far danzare un altro stretto a lui, o essere bruciato vivo, non v'è dubbio quale sarebbe la sua risposta sulla scelta.

Se invece dice che i Primianisti ottennero dal proconsole solo il permesso di cacciare Salvio dalla basilica con l'aiuto degli Abitinesi, ma che poi essi, di propria iniziativa, lo sottoposero a tutte le crudeltà e turpitudini che sappiamo, perché non dice che anche i Cattolici possono chiedere agli Imperatori niente altro che cacciare i Donatisti dalle basiliche che conservano in nome di un sacrilegio, ma che essi, di propria iniziativa e nel rispetto dell'autorità e della dignità regia, puniscono i sacrileghi con molta più moderazione di quella con cui gli Abitinesi, senza nessuna legge imperiale e senza nessuna ordinanza giudiziaria, punirono Salvio di Membressa?

Alla luce di queste considerazioni, vedano prima ciò che fanno e poi ciò che soffrono, onde non avvenga che, a forza di chiudere gli occhi sulle loro azioni e di aprirli sulle punizioni, quaggiù siano puniti invano coi castighi temporali e, nell'ultimo giudizio di Dio, proprio perché sono state vane le ammonizioni che il Signore ha fatto loro con queste pene correttive, siano puniti con un supplizio eterno.

Non sto a ripetere cose vecchie, con cui ingannano quanti possono.

Sarò breve: porterò fatti attuali, li mostrerò a dito. Ecco: si riammettono i Massimianisti già condannati, si condannano nazioni sconosciute; si accetta il battesimo dei Massimianisti, si esorcizza il battesimo del mondo.

Ecco gli abitanti di Assuri, ecco quelli di Musti; ecco Pretestato, morto di recente, ecco Feliciano, ancora vivo; ecco i loro nomi, che gli Atti proconsolari citano tra i condannati al concilio di Bagai.

Questi fatti, recenti e attuali, indicano chiaramente che razza di uomini i Donatisti sono stati fin dall'origine.

E se per tali scelleratezze e iniquità subiscono dei castighi, se non vogliono emendarsi, almeno non osino gloriarsi.

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