Discorsi sui tempi Liturgici

Indice

Nella domenica dell'ottava di Pasqua

1 - Adesso nella fede, poi nella visione
2 - Le varie fasi della storia della salvezza
3 - Zelo nelle opere di misericordia
4 - Tra le opere di misericordia sono il perdono delle offese e l'elemosina
5 - Fare l'elemosina in atteggiamento di servizio
6 - La vita buona non termini con le feste pasquali

1 - Adesso nella fede, poi nella visione

Il giorno di oggi ci richiama un grande mistero: quello della felicità eterna.

Difatti la vita simboleggiata dal giorno di oggi non è una vita destinata a scomparire, come invece scomparirà il giorno presente.

Vi rivolgiamo dunque, o fratelli, la nostra pressante esortazione nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, ad opera del quale ci sono stati rimessi i peccati.

Egli ha voluto che il suo sangue fosse il prezzo del nostro riscatto, e di noi, che non eravamo degni di essere chiamati suoi servi, s'è degnato fare dei fratelli.

Nel suo nome, dunque, vi scongiuriamo - essendo voi cristiani e portando sulla fronte e nel cuore il suo nome - affinché l'ardore del vostro spirito sia totalmente ed esclusivamente rivolto a quella vita che avremo in comune con gli angeli: a quella vita in cui regneranno la quiete perpetua, l'eterna gioia, la beatitudine inesauribile e nella quale non ci saranno più né turbamento, né tristezza, né morte.

Questa vita nessuno può conoscerla se non chi la vive, e nessuno può viverla all'infuori dei credenti.

Se pertanto voleste che vi dipingessimo al vero quello che Dio vi promette, dovremmo dirvi che ci è impossibile.

Comunque, avete ascoltato le parole conclusive del Vangelo di Giovanni: Beati quelli che credono senza vedere. ( Gv 20,29 )

Voi vorreste vedere, e anch'io lo vorrei.

Crediamo insieme e insieme vedremo.

Non intestardiamoci nel non credere alla parola di Dio.

Sarebbe mai conveniente infatti, o fratelli, che Cristo anche adesso scendesse di nuovo dal cielo per mostrarci le sue cicatrici?

Tutt'altro. E se si degnò di mostrarle a quel discepolo incredulo, ( Gv 20,27 ) lo fece per redarguire i dubbiosi e istruire quanti avrebbero avuto fede in lui.

2 - Le varie fasi della storia della salvezza

Il presente giorno ottavo rappresenta dunque la vita nuova che si avrà alla fine del mondo; il settimo viceversa rappresenta il periodo di tranquillità imperturbata che godranno i santi in questa terra.

Dicono infatti le Scritture che il Signore regnerà su questa terra insieme ai suoi santi e, sempre su questa terra, possederà una Chiesa nella quale non entrerà alcun cattivo, essendo segregata e purificata da ogni contagio dell'iniquità.

Questa Chiesa rappresentavano quei centocinquantatre pesci ( Gv 21,11 ) dei quali, a quanto ricordo, abbiamo già parlato tempo addietro.

La Chiesa infatti apparirà una prima volta in questo mondo in pienezza di splendore, di dignità e di giustizia.

Allora nessuno si diletterà più a tendere inganni né a dire menzogne, né succederà che sotto la pelle di pecora si nascondano lupi.

Così infatti è scritto: Verrà il Signore e illuminerà i nascondigli tenebrosi e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno riceverà da Dio la sua lode. ( 1 Cor 4,5 )

Lì dunque non ci saranno operatori di iniquità, poiché saranno stati separati, ma ci sarà solo la moltitudine dei santi, che si presenterà come un mucchio di grano purificato in quella specie di aia, prima di essere riposto nel granaio celeste dell'immortalità.

Succederà quel che succede al frumento: prima viene purificato nel luogo dove viene trebbiato, e quel luogo, dove il frumento ha subito la trebbiatura per essere liberato dalla paglia, viene reso splendido dalla bellezza della massa di frumento liberata dalle scorie.

Dopo la vagliatura ci si presentano infatti allo sguardo, su una medesima aia, da un lato il mucchio della paglia e dall'altro il mucchio del frumento, e noi sappiamo a qual sorte sia destinata la paglia, come sappiamo pure la gioia arrecata al contadino dal buon frumento.

Nell'aia, dunque, dapprincipio comincia a vedersi il frumento separato dalla paglia e grande è la gioia che procura quel mucchio per il quale si era molto lavorato e che per essere coperto dalla paglia, non lo si vedeva nemmeno quando veniva trebbiato.

In seguito poi esso viene riposto nel granaio e conservato in luogo appartato.

Lo stesso succede per questo mondo.

Voi vedete come nella presente aia sta avvenendo una specie di trebbiatura; tuttavia la paglia è ancora mescolata al frumento e, non essendo ancora stata vagliata, è difficile distinguerla.

Alla fine però, dopo il giorno del giudizio - che sarà come una vagliatura - si renderà visibile la massa dei santi, fulgida di bellezza, onusta di meriti, e mostrerà a tutti la misericordia di colui che l'ha liberata.

Quello sarà il giorno settimo.

Nell'intero arco dei secoli prendiamo come primo giorno il tempo che va da Adamo a Noè, il secondo da Noè fino ad Abramo e, seguendo sempre la divisione del Vangelo di Matteo, il terzo da Abramo a David, il quarto da David fino all'esilio babilonese, il quinto dall'esilio in Babilonia fino alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo. ( Mt 2,17 )

A cominciare dalla venuta del Signore decorre il sesto giorno, che è quello in cui ci troviamo noi.

Se ne deduce che come l'uomo - al dire della Genesi - fu creato ad immagine di Dio nel sesto giorno, ( Gen 1,26-27 ) così al presente - quasi che si sia nel sesto giorno del mondo creato - veniamo rigenerati nel battesimo, dove recuperiamo l'immagine del nostro Creatore.

Passato poi il presente giorno sesto ed effettuatasi la vagliatura di cui sopra, verrà il riposo ed allora i santi e gli eletti di Dio celebreranno il loro sabato.

Alla fine, passato anche il settimo giorno, nel quale sull'aia sarà apparsa pubblicamente la bellezza della messe, cioè lo splendore e i meriti dei santi, procederemo verso quella vita e quel riposo di cui sta scritto che nessun occhio ha visto, nessun orecchio ha udito né è penetrato nel cuore dell'uomo ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. ( 1 Cor 2,9 )

Allora si ritorna come da capo.

È come quando adesso, passati sette giorni, si entra nell'ottavo che equivale al primo.

Allo stesso modo, quando saranno passate e terminate le sette epoche in cui si snoda il tempo presente, destinato a passare, torneremo allo stato di immortalità e beatitudine da cui decadde l'uomo.

Per questo nel giorno ottavo si dà compimento ai sacramenti conferiti agli infanti. E, riguardo al numero sette, se lo si moltiplica per sette si ha quarantanove: al quale numero se si aggiunge una unità si ottiene come un ritorno al punto di partenza e si ha cinquanta, numero che nel mistero noi celebriamo nei giorni da Pasqua a Pentecoste.

Lo stesso risultato viene fuori se, pur con computo diverso, il numero quaranta viene diviso come sopra proponevamo, aggiungendo poi il numero dieci come simbolo della ricompensa.

In questa maniera con ambedue i sistemi di computare si raggiunge sempre lo stesso numero cinquanta.

Che se questo numero si moltiplica per tre - simbolo della Trinità - si ottiene centocinquanta.

Se a questo numero si addiziona di nuovo il tre - a comprovare l'avvenuta moltiplicazione per tre e l'allusione alla Trinità - si giunge a comprendere come in quei centocinquantatre pesci sia stata prefigurata la Chiesa.

3 - Zelo nelle opere di misericordia 

Al presente, in questo tempo che trascorriamo nell'affanno in attesa di giungere al riposo del cielo, siamo nella notte perché non ci è dato vedere le cose che speriamo, e siamo come dei viandanti nel deserto, protesi verso la Gerusalemme celeste, desiderosi di arrivare - diciamo così - alla terra dove scorre latte e miele.

Al presente dunque, per quanto non cessino le prove, facciamo il bene.

Abbiamo continuamente a portata di mano la medicina con cui curare le nostre ferite, che sono roba di ogni giorno.

Ora questa medicina si trova nelle opere buone di misericordia.

Se vuoi ottenere misericordia da Dio devi essere tu stesso misericordioso.

Se tu, essendo un uomo, non sei umano col tuo simile, anche Dio ti negherà la divinità, cioè i doni dell'incorruttibilità e dell'immortalità, con i quali egli ci fa diventare dèi.

È vero infatti che Dio non ha bisogno di nulla che tu possa dargli, ma tu di lui hai bisogno.

Egli, per essere beato, non ha da chiederti nulla; tu invece non potrai essere in alcun modo beato se non lo riceverai da lui.

E cos'è che ricevi da lui? Non so se oseresti lamentarti qualora da lui, che tutto ha creato, ricevessi in dono una qualsiasi delle cose di gran pregio fra le tante che ha create.

Ebbene, egli non ti dà una delle sue creature, ma ti dà se stesso - creatore di tutto l'universo - perché tu abbia a goderne.

In effetti, ci potrà mai essere, fra tutte le creature, una più bella e più nobile di colui che le ha fatte?

Quanto poi al modo, come ti si donerà?

O ti si darà forse in considerazione dei tuoi meriti?

Se vuoi conoscere cosa meriteresti, poni mente ai tuoi peccati e ascolta la sentenza di Dio contro l'uomo che aveva peccato: Sei terra e ritornerai alla terra. ( Gen 3,19 )

Tale infatti era la pena comminata quando veniva dato il precetto: Nel giorno in cui ne toccherete, inevitabilmente morrete. ( Gen 2,17 )

Se dunque vuoi sapere cosa ci si meriti col peccato, che altro troverai se non la condanna?

Dimentica pertanto i tuoi meriti, perché non t'incutano terrore nell'animo, o meglio, non dimenticartene, affinché non ti succeda che, mosso da superbia, respinga la misericordia.

Fratelli, sono le opere di misericordia le nostre commendatizie dinanzi a Dio.

Confessate al Signore perché è buono, perché in eterno è la sua misericordia. ( Sal 118,29 )

Confessa, perché Dio è ricco di misericordia e il suo desiderio è perdonare i peccati a chi glieli avrà confessati.

In più offrigli un sacrificio.

O uomo, sii compassionevole col tuo simile e Dio avrà compassione di te.

Tu e l'altro siete ambedue uomini e ambedue miseri.

Dio invece non è misero ma misericordioso.

Che se il misero non usa compassione col misero come potrà presumere che gli venga usata misericordia da colui che è esente da ogni miseria?

Riflettete, fratelli, su quello che vi dico.

Immaginate uno che sia crudele contro una persona incorsa in un naufragio: sarà crudele finché anche lui non incorrerà nel naufragio.

Se invece vi sarà incorso, ricordando la vita vissuta antecedentemente, quando s'imbatterà in un naufrago si sentirà colpito dall'identica condizione di miseria in cui s'era trovato lui stesso in passato, e, se non si era lasciato muovere a compassione per l'appartenenza alla comune famiglia umana, lo piegherà l'esperienza della identica sventura.

Quant'è facile che provi compassione per uno schiavo uno che è vissuto in schiavitù!

Come sorge spontanea, nell'animo di un operaio che non è stato pagato, la pena per un compagno di lavoro defraudato!

Di una persona che piange la sorte del proprio figlio, come si commuove a calde lacrime uno che ha dovuto altre volte piangere per l'identico motivo!

Concludendo: il trovarsi nella stessa sventura infrange la durezza del cuore umano, per quanto grande essa sia.

E ora a te, che o sei stato in miseria o hai timore di caderci.

Finché infatti sei in questo mondo, devi temere le sventure in cui finora non ti sei trovato, come pure devi ricordare quelle che hai vissute e quelle che vivi al presente.

Ebbene, se ricordi le disavventure del passato, se temi le future, se attualmente sei nell'afflizione, non nutrirai compassione per chi è caduto in qualche disgrazia e ha bisogno del tuo soccorso aspettando così la compassione di colui che è al di sopra di ogni miseria?

Se tu non dài nemmeno un po' di quello che hai ricevuto da Dio, come fai a pretendere che Dio ti dia quel che da te non ha ricevuto?

4 - Tra le opere di misericordia sono il perdono delle offese e l'elemosina

Miei fratelli, voi fra poco ve ne andrete tutti, ciascuno nella propria casa, e d'ora in poi non avremo modo di vederci, a meno che non capiti una qualche solennità.

Vi diciamo pertanto di compiere le opere della misericordia, dal momento che non pochi sono i vostri peccati.

Al di fuori della misericordia non c'è modo per ottenere la quiete, non c'è strada per giungere a Dio, per recuperare la dignità perduta, per riconciliarci con colui che con gravissimo nostro rischio abbiamo offeso.

Giungeremo dinanzi a lui: lì debbono parlare a nostro favore le opere buone che abbiamo compiuto, e parlare con tale eloquenza da superare la voce delle nostre colpe.

Infatti prevarrà ciò che pesa di più: si andrà al castigo se i peccati lo avranno meritato, si andrà alla beatitudine se questa meriteranno le nostre opere buone.

Quanto poi alla misericordia, nella Chiesa ne esistono due specie: una nella quale non si esige da alcuno di erogare denaro o spenderci fatica, una seconda che richiede da noi o la prestazione di un'opera o l'elargizione di denaro.

Quella che non esige da noi né erogazione né fatica è situata nell'anima e consiste nel perdonare a chi ti ha offeso.

Per erogare questo genere di elemosina hai una borsa nel tuo cuore: lì sbrighi la faccenda alla presenza di Dio.

Non ti si dice: Tira fuori la borsa, apri la cassaforte, vuota il magazzino.

E nemmeno quel che segue ti si dice: Vieni, cammina, corri, fa' presto, supplica, parla, va' da quello o quell'altro, datti da fare!

Restando fermo al tuo posto, tiri fuori dal tuo cuore quel malumore che nutrivi contro il tuo fratello ed ecco hai compiuto la tua misericordia: senza spese, senza fatica, con la sola bontà, con il solo pensiero di voler essere compassionevole.

Se infatti dicessimo: Date ai poveri i beni che possedete, potremmo essere tacciati di severità.

Ci si riconosca almeno che siamo miti e condiscendenti adesso che diciamo: Fate elargizioni con quei beni che non diminuiscono in alcun modo; perdonate perché anche a voi sia perdonato.

Lasciateci però dire anche quest'altra parola: Date e vi sarà dato.

Il Signore, infatti, dandoci il suo precetto ha abbinato le due cose e ha sottolineato tutt'e due questi tipi di misericordia: Rimettete e vi sarà rimesso ( e questa è la misericordia di colui che perdona ), date e vi sarà dato ( Lc 6,37-38 ) ( e questa è la misericordia di colui che elargisce i suoi beni ).

E nota se Dio non sia più largo nel dare a noi.

Tu perdoni a un uomo quel danno che lui, uomo, ha fatto a te, uomo; Dio perdona a te un'offesa che tu, uomo, avevi fatto a Dio stesso.

O che forse è lo stesso, danneggiare un uomo e offendere Dio?

Quindi ti dà di più: tu rimetti una colpa con la quale è stato danneggiato un uomo; egli rimette un'offesa diretta contro uno che è Dio.

E ponete mente anche all'altra maniera di usare misericordia.

Tu doni un pane, egli ti dona la salvezza; tu dài all'assetato un bicchiere con qualsivoglia liquido dissetante, egli ti porge il calice della sua sapienza.

Ti pare che si possa fare un paragone fra ciò che dài e ciò che ricevi?

Ecco come si deve giocare alla borsa: se uno vuol mettere a frutto il proprio denaro, non glielo proibiamo, però deve depositarlo presso colui che non impoverisce anche quando paga interessi più elevati e abbondanti; presso colui che dà anche quest'altra garanzia: qualunque sia la somma che gli dài, la riprendi sempre maggiorata e migliore.

5 - Fare l'elemosina in atteggiamento di servizio

Voglio dare un ulteriore avvertimento alla vostra Santità.

Questo: sappiate che un doppio atto di misericordia compie colui che, nel dare ai poveri, lo fa in modo che appaia esser lui uno che distribuisce e nient'altro.

Non deve dimostrare solo la benevolenza di un ricco ma anche l'umiltà di chi serve.

Miei fratelli, non saprei dirvi come possa succedere, ma è vero che l'animo di colui che stende la mano al povero mostra in certo qual modo di adeguarsi alla condizione umana, e quindi misera, che è comune, quando la mano di chi dà si cala a toccare la mano del bisognoso.

Sebbene uno dia e l'altro riceva, si trovano uniti e chi compie il beneficio e chi lo riceve; poiché chi crea unione fra noi non è la sventura ma l'umiltà.

Può darsi che, così piacendo al Signore, vi troviate nell'abbondanza e voi e i vostri figli, ma qui non entra in questione un'abbondanza di questo tipo, abbondanza che, come vi capita spesso di vedere, è soggetta alle più disparate vicissitudini.

Il tesoro sistemato in casa se ne sta quieto ma non permette al suo possessore la stessa tranquillità: temi il ladro, lo scassinatore, il servo infedele, il vicino cattivo e più potente.

Più beni possiedi e più hai da temere.

Se al contrario decidi di donare il tesoro a Dio nella persona dei poveri, non perdi e acquisti in sicurezza, sapendo che Dio stesso te lo tiene in serbo nel cielo: quel Dio che a te somministra il necessario per la vita terrena.

O che per caso temi che Cristo perda quel che gli hai consegnato?

Non vediamo come ogni uomo si cerca nell'ambito della sua famiglia un amministratore fedele per affidargli il proprio denaro?

Eppure costui, se ha la facoltà di non appropriarsene, non ha tuttavia la possibilità di non perderlo.

Viceversa è di Cristo: può immaginarsi qualcosa più provato della sua fedeltà o più divino della sua onnipotenza?

Non ti può sottrarre nulla, dal momento che è stato lui a darti ciò che sperava tu gli avresti ridonato; né può perdere alcunché perché, essendo onnipotente, ha in mano tutte le cose.

Voi ristorate il corpo tutte le volte che organizzate banchetti sacri.

Lo stesso vale per noi: sembra che siamo noi a servire in quanto diamo del nostro e lo distribuiamo noi stessi; eppure diamo cose a noi date da Dio.

È un'opera buona, fratelli, che le vostre stesse mani esercitino questo ministero; è un'opera molto gradita a Dio.

Egli riceve ed egli ti restituirà, come è vero che, senza essertene in alcun modo debitore, egli ti aveva somministrato in antecedenza ciò che tu hai dato.

Al dovere dell'elemosina poi si aggiunga il dovere del servizio.

Avendo la possibilità di percepire una doppia ricompensa, perché vuoi privarti di una?

Che se qualcuno non è in grado di aiutare tutti i poveri, aiuti quelli che può, in base alle sue disponibilità, ma dia di buon cuore, poiché Dio ama chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7 )

Come compenso ci si offre il Regno dei cieli e questo lo si deve conquistare, costi quel che costi.

Nemmeno colui che possedesse due soli quattrini deve reputarsi inabile a conquistarselo, poiché con simile offerta se l'acquistò quella vedova di cui il Vangelo. ( Lc 21,2 )

6 - La vita buona non termini con le feste pasquali

Sono ormai terminati i giorni festivi, e stanno per cominciare quelli delle comparizioni, delle riscossioni, delle cause.

Miei fratelli, state bene attenti a come vivrete.

Dalla cessazione del lavoro effettuata in questi giorni dovete ricavare una crescita nella mansuetudine, non trarne occasione per nutrire pensieri di discordia.

Lo dico per coloro che in questi giorni si sono astenuti dalle faccende per pensare alle opere malvagie che avrebbero compiute al termine di questi giorni.

Vi preghiamo di vivere come persone consapevoli di dover render conto a Dio di tutta la vita, non soltanto di questi quindici giorni.

Per quanto poi concerne i problemi della Scrittura che ieri vi accennai ma non riuscii a trattare per mancanza di tempo, riconosco d'essere in debito con voi.

In realtà è vero che i prossimi giorni, a tenore del diritto pubblico e forense, consentono anche le riscossioni del denaro, tuttavia se voi venite da me, veniteci per riscuotere tali debiti in conformità della legislazione cristiana.

Al presente infatti tutti vengono a motivo della solennità; terminati questi giorni, sia l'amore per la legge a indirizzarvi a me per esigere quello che vi ho promesso.

A dare a voi infatti per mio mezzo è il Donatore, è colui che dà a tutti noi.

Ricordo le parole dell'Apostolo quando diceva: Date a ciascuno quel che gli spetta: a chi è dovuto il tributo date il tributo, a chi la gabella date la gabella, a chi l'onore date l'onore, a chi il timore date il timore.

Non abbiate con alcuno nessun altro debito che non sia l'amore vicendevole. ( Rm 13,7-8 )

Soltanto l'amore è un debito da pagarsi sempre, né c'è alcuno che possa ritenersi esente da tale debito.

Quanto a me, fratelli, il debito che ho con voi ve lo pagherò, nel nome del Signore.

Voglio però dirvi francamente che lo pagherò come obbligo verso chi è esigente e non verso i trascurati.

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