Il dono della perseveranza

Indice

19.48 - Gli antichi commentatori della Scrittura testimoniano circa la predestinazione

Allora quando nei commentatori della parola di Dio leggiamo il termine di "prescienza" a proposito della chiamata degli eletti, che cosa c'impedisce di intendere appunto la predestinazione?

Infatti forse essi vollero su tale argomento usare la parola "prescienza" perché si comprende più facilmente e non è contraria, anzi è in pieno accordo con la verità di quanto noi predichiamo sulla predestinazione della grazia.

Io questo so, che nessuno ha mai potuto discutere, se non errando, contro questa predestinazione che noi sosteniamo in base alle sante Scritture.

Ma a quelli che sull'argomento ricercano il parere di commentatori penso che debbano bastare due uomini santi, famosi e lodati per ogni dove nel campo della fede e della dottrina cristiana, Cipriano ed Ambrogio, dai quali abbiamo tratto testimonianze tanto perspicue.

Debbono bastare per tutti e due gli scopi, cioè a credere e a predicare in tutto e per tutto, come appunto bisogna credere e predicare, che la grazia di Dio è gratuita, e a respingere l'idea che questa predicazione sia di ostacolo all'altra con la quale esortiamo i pigri o rimproveriamo i malvagi.

Anche questi due dotti hanno predicato la grazia di Dio in tal modo che uno di essi ha ammonito: In nulla dobbiamo gloriarci perché nulla ci appartiene;28 e l'altro: Non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri;29 eppure non hanno mai cessato di esortare e rimproverare perché fossero adempiuti i precetti divini.

E non ebbero paura di sentirsi rispondere: Perché ci esortate, perché ci rimproverate, se non dipende da noi di possedere alcun bene e se non è in nostro potere il nostro cuore?

In nessun modo questi santi potevano temere una simile obiezione, perché comprendevano che a pochissimi fu donato di ricevere la dottrina della salvezza senza il tramite della parola umana, solo per grazia di Dio stesso e degli angeli dei cieli, mentre a molti fu donato di credere in Dio per mezzo degli uomini.

Però in qualsiasi maniera sia presentata all'uomo la parola divina, sicuramente è dono di Dio che egli l'ascolti così da obbedirla.

19.49 - Cipriano, Ambrogio, Gregorio

Per questo gli insigni trattatori delle divine Scritture nominati sopra predicarono, come bisogna predicare, la vera grazia di Dio, cioè quella che nessun merito umano precede; ed esortarono nello stesso tempo con vigore ad adempiere i divini precetti, perché quelli che avevano il dono dell'obbedienza udissero i comandamenti ai quali dovevano obbedire.

Infatti se ci fosse qualche nostro merito che precedesse la grazia, certo si tratterebbe del merito o di un'azione o di una parola o di un pensiero, e per pensiero s'intende anche la volontà buona; ma ha raccolto nella maniera più breve ogni genere di meriti colui che dice: In nulla ci dobbiamo gloriare, perché nulla ci appartiene.30

E anche l'altro, affermando: Non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri,31 non ha escluso dalla sua negazione né i fatti né le parole, dato che non c'è alcuna azione o parola dell'uomo che non proceda dal cuore e dal pensiero.

Cipriano, martire tanto glorioso e dottore tanto perspicuo, come poteva chiarire in maniera più completa questo punto se non ricordandoci nell'Orazione domenicale che bisogna pregare anche per i nemici della fede cristiana?

Con ciò chiarisce quello che pensa sull'inizio della fede, cioè che è anch'esso un dono di Dio, e ci fa vedere che la Chiesa di Cristo prega ogni giorno per la perseveranza fino alla fine perché anche questa è solo Dio che la dona a quelli che la mettono in pratica.

Anche  il beato Ambrogio, esponendo quello che dice l'evangelista Luca: È parso bene anche a me, ( Lc 1,3 ) commenta: È possibile che non sia parso bene a lui solo quello che egli dichiara gli parve bene.

Effettivamente quella decisione non parve bene unicamente in base alla volontà umana, ma fu presa come piacque a Cristo che parla in me, ( 2 Cor 13,3 ) il quale fa sì che ciò che è buono possa apparire buono anche a noi; difatti se ha misericordia di uno, gli rivolge anche la sua chiamata.

E perciò chi segue Cristo, se gli si chiede perché ha voluto essere cristiano, può rispondere: "È parso bene anche a me".

Ma dicendo così, non nega che sia parso bene anche a Dio; è Dio infatti che prepara la volontà degli uomini, ( Pr 8,35 sec. LXX ) e l'onore che il santo rende a Dio è una grazia di Dio.32 Sempre nella medesima opera, cioè nell'Esposizione del Vangelo di Luca, giunto al passo ove si narra che i Samaritani non vogliono accogliere il Signore diretto a Gerusalemme, scrive: Contemporaneamente apprendi che fu lui a non voler essere accolto da chi si era convertito non sinceramente.

Infatti se avesse voluto, da mancanti di devozione com'erano, li avrebbe resi devoti.

Ma il motivo per cui non lo ricevettero lo ricorda lo stesso Evangelista quando dice: "Perché era diretto a Gerusalemme" . ( Lc 9,53 ) I discepoli bramavano di essere ricevuti in Samaria, ma il Signore chiama quelli che gli sembra giusto chiamare e rende religioso chi vuole.33

Che cerchiamo di più evidente, che cerchiamo di più luminoso dei commentatori della parola di Dio, se ci piace di udire anche da questi ciò che è già chiaro nelle Scritture?

Ma ai nostri due, che pure dovrebbero bastare, aggiungiamo per terzo anche il santo Gregorio, secondo la cui testimonianza è dono di Dio sia credere in lui, sia confessare quello che crediamo; infatti dice: Vi raccomando, confessate la Trinità in una divinità sola o, se volete, dite che Essa è in una sola natura; e si supplicherà Dio perché vi sia data la voce dello Spirito Santo, cioè si pregherà Dio perché permetta che vi sia data la voce per poter confessare quello che credete.

La darà infatti, ne sono certo; Colui che dette ciò che è primo darà anche ciò che è secondo.34

Chi ha concesso di credere, concederà anche di confessare la giusta fede.

19.50 - Accordo tra questi grandi dottori

Questi dottori tanto grandi dicono dunque che non c'è alcunché di cui ci possiamo gloriare come se fosse nostro e non ce l'abbia dato Dio; dicono che il nostro cuore e i nostri pensieri non sono in nostro potere; essi danno tutto a Dio e confessano che tutto riceviamo da lui: sia di rivolgerci a lui per essergli fedeli, sia di ritenere buono anche noi quello che è buono e di volerlo a nostra volta.

Noi riceviamo dal Signore anche il dono di onorarlo e di accogliere Cristo in modo che dopo aver mancato di devozione diventiamo devoti e religiosi, crediamo nella Trinità e confessiamo anche con le parole quello che crediamo; tutti questi beni li attribuiscono senza esitazione alla grazia di Dio, li riconoscono per doni di Dio, testimoniano che provengono non da noi ma da lui a noi.

O forse qualcuno vorrà dire che essi si limitano a confessare a questo modo la grazia di Dio, permettendosi contemporaneamente di negare la prescienza, quando quest'ultima è confessata non solo dai dotti, ma perfino dagli ignoranti?

Ora, se essi invece non potevano concepire che così: Dio concede questi doni avendo prescienza che li concederà e non potendo ignorare a chi li concederà, senza alcun dubbio riconoscevano la predestinazione, che è stata predicata dagli Apostoli e che noi difendiamo con dedizione e scrupolo ancora maggiori contro i nuovi eretici.

E se quei dottori predicavano l'obbedienza ed esortavano con tutto il fervore di cui erano capaci a questa virtù, non era assolutamente giusto dire loro: Se non volete che nel nostro cuore si raggeli l'obbedienza alla quale cercate di infiammarci, non predicateci la grazia di Dio in questo modo, venendoci a dichiarare che è lui a concedere quelle cose che voi ci esortate a fare.

20.51 - Come si può predicare la predestinazione?

Dunque tanto gli Apostoli quanto i Dottori della Chiesa che succedettero ad essi e li imitarono facevano entrambe le cose, cioè predicavano secondo verità la grazia di Dio, che non è data secondo i nostri meriti, e insegnavano la pia obbedienza ai precetti della salvezza.

Allora per quale motivo questi nostri fratelli, assediati dalla forza invincibile della verità, pensano di avere una giusta risposta in queste parole: Anche se è vero quello che si sostiene sulla predestinazione dei benefici divini, tuttavia non bisogna predicarlo alle folle?35

No, bisogna proprio predicarlo, perché chi ha orecchie da intendere, intenda. ( Lc 8,8 )

Ma chi è che le possiede, se non chi le ha ricevute da Colui che dice: Darò ad essi un cuore per conoscermi ed orecchie che intendano? ( Bar 2,31 )

Certamente chi non le ha ricevute, respinga la parola, purché chi la comprende la raccolga e la beva, la beva e viva.

Come infatti bisogna predicare la pietà perché colui che ha orecchie da intendere onori Dio rettamente, bisogna predicare la pudicizia perché colui che ha orecchie da intendere non usi in modo illecito ciò che è destinato alla generazione, bisogna predicare la carità perché chi ha orecchie da intendere ami Dio e il prossimo, così bisogna predicare anche la predestinazione dei benefici di Dio perché chi ha orecchie da intendere si glori non in se stesso, ma nel Signore.

20.52 - Lo stesso Ag. predicò la predestinazione prima ancora dell'eresia pelagiana

Quando poi dicono: Non era necessario turbare i cuori di tante persone meno intelligenti con i dubbi di una simile disputa, perché senza questa teoria della predestinazione la fede cattolica è stata difesa per tanti anni non meno efficacemente sia contro diversi eretici sia soprattutto contro i pelagiani,36 e citano numerosi trattati precedenti o di altri cattolici o nostri, a questo punto mi meraviglio molto che dicano così.

Essi non badano, che proprio i nostri libri, per non parlare delle opere degli altri, sono stati scritti e pubblicati anche prima che cominciassero ad apparire i pelagiani, e non vedono in quanti passi di essi colpivamo senza saperlo quella futura eresia, predicando che con la grazia Dio ci libera dai nostri errori e costumi malvagi e che Egli fa ciò secondo la gratuita misericordia sua, anche se non precedono da parte nostra meriti nel bene.

Tutto questo cominciai a dirlo con maggiore pienezza in quella trattazione che scrissi per Simpliciano di beata memoria, vescovo della Chiesa di Milano, al principio del mio episcopato, quando compresi ed affermai che anche l'inizio della fede è dono di Dio.37

20.53 - Anche nelle Confessioni

Inoltre, quale mia opera si è fatta conoscere più vastamente e con maggior diletto delle Confessioni?

Anche quella la pubblicai prima che nascesse l'eresia pelagiana e in essa dissi ripetutamente al nostro Dio: Da' quello che ordini, e ordina quello che vuoi.38

E queste mie parole Pelagio non le poté tollerare, quando furono ricordate in sua presenza a Roma da un confratello e mio collega nell'episcopato; anzi, cercando di contraddirle con un po' troppa foga, quasi litigò con quello che le aveva ricordate.

Ma cos'è che Dio ordina in primo luogo e con maggior forza, se non di credere in lui?

E proprio lui concede di credere, se è giusto che gli si dica: Da' quello che ordini.

E sempre in quei libri ho narrato della mia conversione, quando Dio mi riportò a quella fede che io straziavo, cianciando proprio come un miserabile e un pazzo furioso.

Se vi ricordate, con il mio racconto mostrai che mi fu concesso di non perire grazie alle lacrime quotidiane e piene di fede di mia madre.39

E in quel passo ho appunto predicato che Dio con la sua grazia rivolge alla retta fede le volontà degli uomini non solo rivolte altrove, ma addirittura rivolte contro di essa.

In qual modo inoltre pregai Dio per la perseveranza che progredisce, lo sapete e potete controllarlo quando volete.

Dunque riguardo a tutti quei doni di Dio che sempre in quell'opera ho auspicato e celebrato, chi oserebbe non dico negare, ma appena dubitare che Dio aveva prescienza della loro futura concessione e che mai poteva non sapere a chi li avrebbe concessi?

Questa è la predestinazione manifesta e certa dei santi, che poi la necessità ci costrinse a difendere con dedizione e scrupolo ancora maggiori, quando ormai eravamo in polemica contro i pelagiani.

Infatti sappiamo che ciascuna delle diverse eresie ha introdotto nella Chiesa le sue divergenze, contro le quali abbiamo dovuto difendere la Scrittura divina con più accuratezza di quanto si fa se non ci costringe nessuna necessità del genere.

Che cosa è stato infatti che in questo nostro lavoro ci ha costretto a difendere con maggior completezza e chiarezza i passi della Scrittura nei quali si ribadisce la predestinazione, se non il fatto che i pelagiani dicono che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti?

E questa affermazione che altro è se non l'assoluta negazione della grazia?

21.54 - Bisogna predicare la predestinazione per difendere in maniera inoppugnabile la vera grazia di Dio

Dunque per demolire questa convinzione misconoscente verso Dio, nemica ai benefici gratuiti con i quali il Signore ci libera, sosteniamo che sia l'inizio della fede, sia la perseveranza in essa sino alla fine, secondo le Scritture, di cui abbiamo già molto parlato, sono doni di Dio.

Infatti se ammettiamo che l'inizio della fede proviene da noi e che per questo meritiamo di ricevere tutti gli altri doni di Dio, i pelagiani ne deducono che la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti.

Ma questa conclusione la fede cattolica l'aborrisce a tal punto che, temendo di essere condannato, Pelagio stesso la condannò.

Ugualmente se diciamo che la nostra perseveranza proviene da noi, non dal Signore, allora essi possono replicare che noi abbiamo da noi stessi tanto l'inizio della fede come la fine, attraverso questa argomentazione: che assai a maggior ragione noi abbiamo da noi stessi l'inizio, se da noi abbiamo il rimanere fino alla fine, dato che portare a termine è cosa maggiore che iniziare.

Così ancora una volta concludono che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti.

Ma se l'una e l'altra cosa sono doni di Dio e Dio ebbe prescienza ( e chi lo può negare? ) che avrebbe concesso questi suoi doni, bisogna predicare la predestinazione, affinché la vera grazia di Dio, cioè quella che non viene data secondo i nostri meriti, possa essere difesa con una trincea inoppugnabile.

21.55 - Quanto affermato ne L'utilità del rimprovero … già affermato precedentemente

E poi in quel libro che s'intitola L'utilità del rimprovero e la grazia, le cui copie non furono sufficienti per tutti coloro che mi portano affetto, ho ribadito che anche la perseveranza fino alla fine è un dono di Dio,40 esprimendomi, a quanto penso, in termini tanto energici ed evidenti come prima non avevo fatto in alcun altro passo, se la memoria non m'inganna, o quasi in nessun altro.

Eppure anche in quello che ho detto nell'opera appena uscita, qualcuno mi ha preceduto.

In realtà il beato Cipriano, commentando le richieste che avanziamo nella Orazione domenicale, proprio nella prima di esse, come ho già ricordato, sostiene che noi chiediamo la perseveranza; secondo la sua asserzione, quando noi diciamo: Sia santificato il nome tuo, ( Mt 6,9 ) dopo essere stati ormai santificati nel battesimo, preghiamo di perseverare in ciò che abbiamo cominciato ad essere.

D'altronde quelli che mi amano e verso i quali per questo io non devo essere ingrato, professano di abbracciare tutte le mie convinzioni, come voi scrivete, eccetto questa su cui verte il presente problema; allora io dico: prendano in esame le ultime parti del primo dei due libri che ho scritto all'inizio del mio episcopato al vescovo milanese Simpliciano, prima che apparisse l'eresia pelagiana.

Vi rimane forse qualcosa che possa mettere in dubbio la nostra tesi: la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti?

Non ho dimostrato a sufficienza in quei passi che l'inizio della fede è un dono di Dio?

Da tutto ciò che vi si dimostra non consegue con chiarezza, benché non sia detto espressamente, che anche la perseveranza fino alla fine non è altro che un dono di Dio che ci ha predestinati al suo regno e alla sua gloria?

E poi anche la lettera, ormai contro i pelagiani, che scrissi al santo vescovo di Nola, Paolino, lettera alla quale hanno cominciato a controbattere ora, non l'ho pubblicata forse parecchi anni fa?

E prendano in esame anche quella che inviai a Sisto, prete della Chiesa di Roma, quando affrontammo la fase più aspra del nostro conflitto contro i pelagiani, e vi troveranno lo stesso contenuto di quella di Paolino.

Da tutto ciò rileviamo che questi concetti erano stati pronunciati e scritti contro l'eresia pelagiana già da diversi anni, questi concetti che adesso, cosa strana, sono loro sgraditi.

A parte il fatto che nessuno secondo me dovrebbe abbracciare totalmente le mie tesi, ma decidere di seguirmi solo in quelle in cui gli sia ben chiaro che io non ho errato.

Infatti ora vengo componendo dei libri nei quali ho intrapreso a ritrattare le mie opere proprio per dimostrare che io non sono stato coerente in tutte neppure con me stesso; al contrario, penso, con la misericordia di Dio ho composto i miei scritti sempre progredendo, perché non ho certo cominciato dalla perfezione.

Anche alla mia età attuale parlerei fondandomi più sulla presunzione che sulla verità, se dicessi di essere ormai arrivato alla perfezione e di non commettere più nessun errore in ciò che scrivo.

Ma quello che importa è quanto gravemente uno sbaglia e su quali argomenti, con quanta facilità è disposto a correggere il suo errore o invece con quanta ostinazione cerca di difenderlo.

Bisogna nutrire buona speranza in un uomo, se l'ultimo giorno della vita terrena lo coglie a tal punto nel suo progredire che si possa completare quello che è mancato al suo progresso e lo si giudichi degno di perfezionamento piuttosto che di castigo.

21.56 - È dunque eccessivo continuare a negare la predestinazione

Per queste ragioni se io non voglio riuscire ingrato verso quegli uomini che hanno preso a volermi bene perché, prima ancora di volermi bene, trassero un qualche profitto dalla mia fatica, quanto maggiormente vorrò non essere ingrato verso Dio, che noi non ameremmo se lui per primo non ci avesse amato e non avesse provocato il nostro amore per lui?

Perché la carità deriva da lui, ( 1 Gv 4,7 ) come affermarono coloro che Egli rese grandi non solo nell'amarlo, ma anche nel predicarlo.

Che c'è di più ingrato che negare appunto la grazia di Dio, dicendo che essa è data secondo i nostri meriti?

Questo è l'argomento che la fede cattolica aborrisce nei pelagiani, che ha imputato a Pelagio come delitto capitale, che lo stesso Pelagio ha condannato non certo per amore della divina verità, ma per timore della propria condanna.

Ma chiunque ha ripugnanza a sostenere, come avviene in ogni fedele cattolico, che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti, badi di non sottrarre neppure la fede alla grazia di Dio: infatti è per questa grazia che ha ottenuto la misericordia di essere fedele, ( 1 Cor 7,25 ) quindi attribuisca alla grazia anche la perseveranza fino alla fine.

Questa perseveranza gli ottiene ciò che chiede ogni giorno: la misericordia di non essere abbandonato alla tentazione.

Tra l'inizio della fede e la perfezione della perseveranza ci sono in mezzo quei beni che ci consentono di vivere rettamente, e anche i nostri fratelli convengono che questi ci sono concessi da Dio e che è la fede a farceli ottenere.

Ma tutti questi doni, cioè l'inizio della fede e tutti gli altri fino alla fine, Dio ebbe prescienza che li avrebbe elargiti a quelli che ha chiamato.

Dunque è davvero un accanimento eccessivo contraddire la predestinazione o dubitare di essa.

22.57 - Occorre certo discernimento nel predicarla

Eppure essa dev'essere predicata non senza prudenza alla gente, altrimenti la folla inesperta o di più lenta intelligenza può credere che la predestinazione sia messa sotto accusa proprio nel momento in cui la predichiamo; a questa maniera può sembrare oggetto di critica anche la prescienza di Dio ( che certo non possono negare ), se la si presenta così alla gente: "Sia che corriate, sia che dormiate, sarete solo quello che di voi ha conosciuto nella sua prescienza Colui che non si può ingannare".

Sarebbe un comportamento da medico indegno di fiducia o di scarsa esperienza applicare un medicamento anche utile, ma in maniera che non giova o nuoce.

Così invece bisogna dire: Correte in modo da riportare il premio ( 1 Cor 9,24 ) e da comprendere per mezzo della vostra stessa corsa che voi siete stati conosciuti fin dal principio come quelli che avrebbero corso lealmente; ( 2 Tm 2,5 ) e in altre maniere ancora si può predicare la prescienza di Dio per ottenere il risultato di contrastare l'indolenza dell'uomo.

22.58 - Esempi

Dunque la sentenza decretata della divina volontà sulla predestinazione sta così: alcuni, ricevuta la volontà di obbedire, dalla mancanza di fede si convertono alla fede o vi perseverano; gli altri invece, che indugiano nel godimento di peccati meritevoli di condanna, se sono anch'essi predestinati, non se ne rialzano fino al momento in cui li solleva l'aiuto della grazia misericordiosa; se ve ne sono alcuni che non sono stati ancora chiamati, ma che Egli nella sua grazia ha predestinati all'elezione, riceveranno questa grazia per la quale essi vorranno essere eletti e lo saranno.

Se invece alcuni altri obbediscono, ma non sono stati predestinati al suo regno e alla sua gloria, il loro stato è temporaneo e non rimarranno fino alla fine in questa obbedienza.

Dunque benché queste affermazioni rispondano a verità, tuttavia non devono essere espresse di fronte a molti ascoltatori in modo da rivolgere il discorso proprio alle loro persone e da riferire ad essi quelle parole dei nostri confratelli che avete introdotto nelle vostre lettere e che io ho riportato più sopra: Così sta la sentenza decretata dalla divina volontà sulla predestinazione: alcuni di voi, dalla mancanza di fede sono venuti ad essa per aver ricevuto la volontà di obbedire.

Che bisogno c'è di dire: Alcuni di voi? Se parliamo alla Chiesa di Dio, se parliamo a credenti, per qual motivo, dicendo che alcuni di essi sono venuti alla fede, dobbiamo dare l'impressione che facciamo ingiuria agli altri, quando possiamo dire in maniera più corrispondente: Così dispone la volontà di Dio sulla predestinazione: che dalla mancanza di fede veniate ad essa per aver ricevuta la volontà di obbedire, e nella fede rimaniate per aver ricevuto la perseveranza?

22.59 - Esempi

E non bisogna assolutamente esprimersi nemmeno in questo modo: "Ma voi altri tutti che indugiate nei godimenti del peccato, non ve ne siete ancora rialzati perché l'aiuto della grazia misericordiosa non vi ha fino a questo momento sollevati"; bene e convenientemente si può e si deve dire: Se però voi ancora indugiate nel godimento di peccati meritevoli di condanna, afferrate la disciplina che dà la salvezza. ( Sal 2,2 )

E quando avrete realizzato ciò, non inorgoglitevi come se lo aveste ottenuto in seguito ad azioni vostre, e non gloriatevene come se non l'aveste ricevuto: è Dio infatti che opera in voi il volere e l'operare, secondo le sue intenzioni; ( Fil 2,13 ) dal Signore sono diretti i vostri passi ( Sal 37,23 ) affinché voi vogliate camminare nella sua via, e dalla vostra stessa corsa, se è buona e retta, imparate che voi fate parte dei predestinati alla grazia divina.

22.60 - Esempi

E se il concetto che segue lo esprimiamo così: "D'altronde, se voi siete di quelli che non sono stati ancora chiamati, ma che Egli nella sua grazia ha predestinato all'elezione, riceverete questa grazia per la quale vorrete essere eletti e lo sarete", la formulazione sarebbe più cruda del dovuto; infatti dobbiamo pensare che non parliamo a uomini qualsiasi, ma alla Chiesa di Cristo.

Perché infatti non dire piuttosto: E se alcuni non sono stati ancora chiamati, preghiamo per loro affinché vengano chiamati?

Può darsi che essi siano predestinati in questo modo: che la loro salvezza sia stata rimessa alle nostre preghiere e che essi attraverso le preghiere ricevano la grazia per la quale vorranno essere eletti e lo saranno.

Dio infatti, che dà compimento a tutti i disegni che ha predestinato, ha voluto anche che noi pregassimo per i nemici della fede, per farci comprendere da qui che è proprio lui a concedere di credere anche agli infedeli e a farli volere anche se non vogliono.

22.61 - Esempi

Per quello che si connette a tali parole, mi meraviglierei se nel popolo dei cristiani uno ancora debole nella fede potesse ascoltare con sottomissione una frase come questa: "E se siete di quelli che obbediscono, ma predestinati ad essere respinti vi saranno sottratte le forze per obbedire, perché cessiate di obbedire".

Dire così infatti che altro può sembrare se non maledire o in un certo senso profetare sciagure?

Al contrario, se si presenta il desiderio oppure la necessità di dire qualcosa su quelli che non perseverano, perché piuttosto non si dice almeno così, come ho detto io poco sopra?41

In primo luogo non si parli proprio di coloro che ascoltano tra il popolo, ma si presenti loro l'esempio di altri; cioè non si dica: "Se siete di quelli che obbediscono, ma predestinati ad essere respinti", ma: Se ci sono di quelli che obbediscono, e così via, usando la terza persona del verbo, non la seconda.

Infatti si presenta non un'eventualità desiderabile, ma abominevole, e con estrema durezza e odiosità quasi lo si sbatte in faccia agli ascoltatori chiamandoli in causa direttamente, quando chi parla dice loro: "E se siete di quelli che obbediscono, ma predestinati ad essere respinti, vi saranno sottratte le forze per obbedire, perché cessiate di obbedire".

Che si perde d'esattezza, se si dice così: Se ci sono alcuni che obbediscono, ma non sono predestinati al regno e alla gloria di Dio, il loro stato è temporaneo e non rimarranno nella medesima obbedienza fino alla fine?

Non si dice forse la stessa cosa anche con maggior verità e convenienza, e senza sembrare che noi quasi desideriamo proprio contro di loro un male tanto grande?

Anzi se noi diciamo di altri quello che suscita la loro abominazione, non penseranno che riguardi loro stessi, perché essi pregando sperano una sorte migliore.

Ma se essi pensano che ci si debba esprimere in quella loro maniera, allora lo stesso concetto della prescienza di Dio, che certamente non possono negare, si può enunciare, più o meno con le stesse parole, così: "E se pure obbedite, ma già nella prescienza divina si sa che sarete respinti, cesserete di obbedire".

Certo, questo è verissimo, proprio così, eppure è estremamente improbo, importuno, sconveniente; è un discorso non falso, ma applicato in maniera non salutare alla debolezza della costituzione umana.

22.62 - Esempi

E anche quel modo di esprimersi che secondo me dev'essere usato nel predicare la predestinazione, pure penso che non deve bastare a chi parla di fronte al popolo, se non si aggiunge anche questo avvertimento o altro del genere, e cioè: Voi dunque anche la perseveranza nell'obbedire dovete sperarla dal Padre della luce, dal quale ogni concessione ottima e ogni dono perfetto ( Gc 1,17 ) discende.

Dovete chiederla nelle preghiere quotidiane, e facendo ciò confidare che voi non siete estranei al popolo dei suoi predestinati, perché è lui che vi largisce anche di fare ciò.

Allora guardatevi dal perdere la speranza a vostro riguardo perché vi si ordina di riporla in lui e non in voi.

Maledetto chiunque ha speranza nell'uomo; ( Ger 17,5 ) è bene confidare nel Signore piuttosto che confidare nell'uomo, ( Sal 118,8 ) perché sono beati tutti quelli che confidano in lui. ( Sal 2,12 )

Stringendovi a questa speranza, servite il Signore nel timore ed esultate di fronte a lui con tremore; ( Sal 2,11 ) nessuno, è vero, può essere sicuro della vita eterna, che Dio che non mente promise ai figli della promessa prima dei tempi eterni, a meno che non sia stata portata a termine questa vita che sulla terra è una prova. ( Gb 7,1 )

Ma ci farà perseverare in lui fino alla fine di questa vita, colui a cui diciamo ogni giorno: Non abbandonarci alla tentazione. ( Mt 6,13 )

Quando si esprimono questi o simili concetti sia a pochi cristiani sia alla moltitudine della Chiesa, perché dobbiamo aver timore di predicare la predestinazione dei santi e la vera grazia di Dio, cioè quella che non è data secondo i nostri meriti, così come la predica la santa Scrittura?

O forse bisogna temere che l'uomo disperi di se stesso, quando gli si dimostra che deve riporre la sua speranza in Dio, mentre non si dispererebbe se unendo l'estrema superbia all'estrema abiezione la ponesse in se stesso?

23.63 - Chi non può comprendere faccia maggiore attenzione alle preghiere della Chiesa

E quelli che sono tardi e deboli di spirito, che non riescono o non riescono ancora a comprendere le Scritture o la loro spiegazione, possono prestare o no ascolto alle nostre discussioni su questo problema; però volesse il cielo che badassero di più a ripetere quelle preghiere che la Chiesa ha sempre custodito dai suoi inizi e sempre custodirà finché abbia fine ogni vita temporale!

Infatti su questa verità, che ora contro i nuovi eretici siamo costretti non solo a ricordare ma anche a custodire e difendere con vigore, la Chiesa non ha mai taciuto nelle sue preghiere, anche se in alcuni periodi, quando nessun avversario ve la costringeva, non ritenne opportuno esporla in discorsi.

Quando infatti non si è pregato nella Chiesa per gli infedeli e i suoi nemici, perché credessero?

Quando un credente ebbe un amico, un parente, una moglie non credente, e non chiese a Dio per essi che il loro intelletto si piegasse obbediente alla fede cristiana?

E chi non ha mai pregato per se stesso di rimanere nel Signore?

O se il sacerdote invocando il Signore sopra i fedeli dice: "Concedi loro, o Signore, di perseverare in te fino alla fine", chi ha osato mai criticarlo, non dico a voce, ma semplicemente nel pensiero?

Al contrario ognuno, su tale benedizione, con la fede del cuore e con la confessione del labbro, risponde: Amen. Perché?

Che altro pregano i fedeli nella stessa orazione domenicale, soprattutto quando dicono la frase: Non abbandonarci alla tentazione, se non di perseverare nella santa obbedienza?

Queste sono le preghiere, questa è la fede con cui è nata, cresce e crebbe la Chiesa, la fede per cui si crede che la grazia di Dio non viene data secondo i meriti di chi la riceve.

In verità la Chiesa non pregherebbe perché sia data la fede ai non credenti, se non credesse che Dio rivolge a sé le volontà degli uomini dirette altrove o addirittura contro.

Non pregherebbe di perseverare nella fede di Cristo, mai sedotta o vinta dalle tentazioni del mondo, se non credesse che è il Signore ad avere in suo potere il nostro cuore, e che perciò il bene che noi non osserviamo se non con la nostra propria volontà, non lo osserveremmo se proprio lui non operasse in noi anche il volere.

Infatti se la Chiesa chiede a lui queste cose, sì, ma poi pensa di potersele dare da se stessa, allora ha delle preghiere non autentiche, ma per modo di dire; guardiamoci bene dal pensarlo!

Chi piangerebbe con sincerità per il desiderio di ricevere quello che prega dal Signore, se pensasse di trarlo da se stesso, non da lui?

23.64 - Anche pregare è un dono di Dio

Ma soprattutto noi non sappiamo che cosa dobbiamo pregare e come bisogna; ma lo stesso Spirito, dice l'Apostolo, intercede per noi con gemiti inesprimibili.

Chi infatti scruta i cuori, sa cosa intenda lo Spirito, perché lo Spirito intercede per i santi secondo Dio. ( Rm 8,26-27 )

Che significa: Lo stesso Spirito intercede per noi, se non: Fa intercedere, con gemiti inesprimibili, ma veri, perché lo Spirito è la verità?

È di lui che in un altro passo si dice: Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, il quale chiama: Abba, Padre. ( Gal 4,6 )

E qui che significa: Che chiama, se non: Fa chiamare, con quel traslato per cui diciamo lieto il giorno che ci fa lieti?

E lo rende chiaro nell'altro passo, in cui dice: Infatti non avete ricevuto uno spirito di schiavitù per essere ancora una volta nel timore; ma avete ricevuto lo Spirito di adozione a figli, nel quale chiamiamo: Abba, Padre. ( Rm 8,15 )

Nel passo precedente dice: che chiama, qui invece: nel quale chiamiamo, rivelando per l'appunto in che senso abbia detto: che chiama, cioè, come ho spiegato, che fa chiamare.

E qui comprendiamo che anche questo è un dono di Dio, il fatto che noi chiamiamo con cuore sincero e spiritualmente.

Si rendano conto dunque di come s'ingannano quelli che pensano che deriva da noi, e non che ci viene dato, l'impulso di chiedere, di cercare, di bussare; essi dicono che in questo senso la grazia è preceduta dal nostro merito, mentre essa segue quando chiedendo riceviamo, cercando troviamo, bussando ci viene aperto.

E non vogliono capire che è un dono divino anche il fatto che noi preghiamo, cioè chiediamo, cerchiamo, bussiamo.

Infatti abbiamo ricevuto lo Spirito di adozione a figli, nel quale chiamiamo: Abba, Padre.

E questo lo ha visto anche il beato Ambrogio che ha detto: Anche pregare Dio appartiene alla grazia spirituale, così come sta scritto: "Nessuno dice: Signore Gesù, se non nello Spirito Santo". ( 1 Cor 12,6 )42

23.65 - Le preghiere stesse della Chiesa dimostrano la predestinazione

Questi doni dunque che la Chiesa chiede dal Signore, e sempre ha chiesto da quando ha cominciato ad essere, Dio ha avuto prescienza che li avrebbe dati ai suoi chiamati, a tal punto che nella predestinazione li ha già dati; e l'Apostolo lo dichiara senza ambiguità.

Scrivendo a Timoteo dice: Soffri con me per il Vangelo, secondo la forza di Dio che ci fa salvi e che ci chiama con la sua santa vocazione, non secondo le nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia, che ci è stata data in Cristo Gesù prima dei tempi eterni, manifestata ora attraverso l'avvento del Salvatore nostro Gesù Cristo. ( 2 Tm 1,8-10 )

Adesso uno dica pure che la Chiesa non sempre ha avuto come oggetto di fede la verità della predestinazione e della grazia, che ora difende con maggiore sollecitudine contro i nuovi eretici; lo dica pure, ripeto, purché osi sostenere che non sempre la Chiesa ha pregato, o che non ha pregato veracemente, affinché o gli infedeli credessero o i fedeli perseverassero.

Ma se ha sempre pregato per questi beni, allora ha sempre creduto evidentemente che essi sono doni di Dio; e non si è mai permessa di negare che Dio ne ebbe prescienza.

Perciò non c'è mai stato un tempo in cui la Chiesa di Cristo non abbia avuto la fede nella predestinazione, che ora difende contro nuovi eretici con nuova premura.

24.66 - Conclusione sulla predestinazione dei santi

Ma perché insistere? Penso di aver reso chiaro abbastanza, anzi più che abbastanza, questa verità: che sono doni di Dio sia il cominciare a credere in lui, sia il permanere nel Signore fino alla fine.

D'altronde gli altri beni che consentono quella pietà di vita con cui si onora rettamente Dio, anche coloro stessi per i quali stendiamo questa trattazione ammettono che sono doni di Dio.

E per di più non possono negare che Dio conosce in precedenza tutti i doni che largirà e a chi li largirà.

Dunque come bisogna predicare tutte le altre verità, in maniera che sia ascoltato con obbedienza colui che le predica, così bisogna predicare la predestinazione, affinché chi l'ascolta in obbedienza non si glori nell'uomo e perciò neppure in se stesso, ma nel Signore, perché questo pure è un precetto di Dio.

Anche ascoltare con obbedienza questo precetto, cioè chi si gloria, si glori nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) come tutti gli altri, è un dono di Dio.

E chi non ha questo dono, non esito a dirlo, qualunque altro ne possieda, lo possiede invano.

Questo dono noi preghiamo che lo abbiano i pelagiani, e che lo abbiano più compiutamente questi nostri confratelli.

Pertanto non dobbiamo essere solerti nelle discussioni e pigri nelle preghiere.

Preghiamo, dilettissimi, preghiamo, perché il Dio della grazia conceda anche ai nostri nemici, e soprattutto ai fratelli e a quelli che ci sono affezionati, di comprendere e confessare tutto ciò; dopo l'immane e indicibile rovina per la quale tutti cademmo nella persona di uno solo, nessuno viene liberato se non dalla grazia di Dio; e la grazia non viene corrisposta come fosse dovuta secondo i meriti di chi la riceve, ma, come una vera grazia, viene data gratuitamente senza alcun merito precedente.

24.67 - Il massimo esempio della predestinazione: Gesù

Ma non c'è nessun esempio più luminoso di predestinazione che lo stesso Gesù; di questo ho già parlato nel mio libro precedente43 e voglio ribadirlo alla fine di questo: non c'è alcun esempio più luminoso di predestinazione, ripeto, che lo stesso Mediatore.

Qualsiasi fedele voglia comprenderla bene, rifletta su di lui, e in lui troverà anche se stesso: parlo di quel fedele che crede e confessa in Cristo la vera natura umana, cioè la nostra, che però è assunta in maniera singolare da Dio Verbo, sublimata nell'unico Figlio di Dio, così che colui che assume e ciò che è assunto sia un'unica persona nella Trinità.

Infatti con l'assunzione dell'uomo non si verificò una quaternità, ma rimase una Trinità, e quella assunzione produsse ineffabilmente la verità di una sola persona in Dio e nell'uomo.

Perché noi non diciamo che Cristo è solo Dio, come gli eretici manichei; e nemmeno diciamo che Cristo è solo uomo, come gli eretici fotiniani; e neppure diciamo che è uomo, ma con qualcosa in meno di ciò che con certezza appartiene alla natura umana: o l'anima, o nell'anima stessa la ragione, o la carne non ricevuta da donna, ma prodotta dalla conversione e dal cambiamento del Verbo in carne.

Tutte e tre queste convinzioni sbagliate e vane produssero le tre fazioni diverse e contrarie degli eretici apollinaristi.

Noi al contrario diciamo che Cristo è vero Dio, nato da Dio Padre senza alcun inizio temporale; e nello stesso tempo è vero uomo, nato da madre che fu creatura umana nel momento fissato dalla pienezza dei tempi; e che la sua umanità, per la quale è minore del Padre, non diminuisce in nulla la sua divinità, per la quale è uguale al Padre.

Ma in questa doppia natura Cristo è uno, e come Dio dice in assoluta verità: Io e il Padre siamo uno, ( Gv 10,30 ) e come uomo con altrettanta verità afferma: Il Padre è maggiore di me. ( Gv 14,28 )

Colui dunque che creò dalla stirpe di David quest'uomo giusto, che mai poteva essere ingiusto, senza nessun merito derivato da una sua volontà precedente.

Questi appunto crea uomini giusti da uomini che erano ingiusti, senza nessun merito derivato da una loro volontà precedente, perché egli sia il capo ed essi le sue membra.

Quell'uomo, senza alcun suo merito precedente, non trasse dalla propria origine né commise con la propria volontà nessun peccato che dovesse essergli rimesso; e questo è opera dello stesso che senza alcun loro merito precedente fa sì che gli uomini credano in lui e sia loro rimesso ogni peccato.

Colui che ha creato Cristo in modo che mai ha avuto o avrà una volontà malvagia, è lo stesso che da cattiva trasforma in buona la volontà degli uomini, sue membra.

Dunque Dio ha predestinato sia Cristo che noi; infatti Egli nella sua prescienza vide che non ci sarebbero stati meriti precedenti né in Cristo perché fosse il nostro capo, né in noi, perché fossimo il suo corpo, ma che tutto questo sarebbe avvenuto per opera sua.

24.68 - Raccomandazioni ai lettori

Coloro che leggono queste pagine, se le comprendono, rendano grazie a Dio; quelli che non le comprendono, preghino affinché ad istruirli nell'intimo dell'animo loro sia Colui dal cui volto promana la scienza e l'intelletto. ( Pr 2,6 sec. LXX )

Coloro poi che pensano che io sbagli, meditino più e più volte con diligenza ciò che è stato detto, perché forse potrebbero essere loro a sbagliare.

Io, da parte mia, quando grazie a coloro che leggono i miei lavori non solo m'istruisco ulteriormente, ma anche mi correggo, riconosco che Dio mi è benigno; e mi aspetto questo favore soprattutto dai Dottori della Chiesa, se quello che io scrivo giunge nelle loro mani e se essi si degnano di prenderne visione.

Indice

28 Cipriano, Ad Quir. 3, 4
29 Ambrogio, De fuga saec. 1, 2
30 Cipriano, Ad Quir. 3, 4
31 Ambrogio, De fuga saec. 1, 2
32 Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lc. 1, 10
33 Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lc. 7, 27
34 Gregorio Naz., Serm. 44
35 Ilario, Ep. 226, 2 [tra le agostiniane];
Prospero, Ep. 225, 3 [tra le agostiniane]
36 Ilario, Ep. 226, 8 [tra le agostiniane]
37 Agostino, De praed. sanct. 4,8
38 Agostino, Confess. 10,31,45;
Agostino, Confess. 10,37,60
39 Agostino, Confess. 3,11,19- 2,21;
Agostino, Confess. 9,8,17
40 Agostino, De corrept. et gr. 10,26
41 Agostino, De dono pers. 22,58
42 Ambrogio, Comm. su Is. [opera perduta]
43 Agostino, De praed. sanct. 15,30.31