La grazia di Cristo e il peccato originale

Indice

Il peccato originale

29.34 - Tutti gli uomini hanno bisogno di Gesù

Chiunque pertanto sostiene che la natura umana in qualsiasi epoca non ha bisogno del secondo Adamo come medico, perché non è stata viziata nel primo Adamo, risulta con evidenza di prove nemico della grazia di Dio, non in una qualche questione nella quale si può dubitare o errare, pur rimanendo salva la fede, ma nella stessa regola della fede che ci fa cristiani.

Ora, perché mai la natura umana dei tempi antichi si loda da costoro come meno viziata in quell'epoca dai cattivi costumi?

Non tengono conto che gli uomini erano allora sommersi da così grandi e quasi intollerabili peccati che, ad eccezione di un solo uomo di Dio, della sua moglie, di tre suoi figli e di altrettante nuore, per giusto giudizio di Dio fu distrutto dal diluvio tutto il mondo, come dopo dal fuoco la piccola regione di Sodoma? ( Gen 7; Gen 19 )

Da quando dunque a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) con certezza l'intera massa di perdizione divenne possesso del perditore.

Nessuno pertanto, nessuno assolutamente, è stato liberato o è liberato o sarà liberato dalle mani del perditore se non in forza della grazia del Redentore.

30.35 - Il precetto della circoncisione

E veramente la Scrittura non dice con esplicitezza se prima di Abramo i giusti o i loro bambini ricevessero il segno d'un qualche sacramento corporale e visibile.

Lo stesso Abramo tuttavia ricevé il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede. ( Rm 4,11 )

E lo ricevé così da essergli comandato di circoncidere nel futuro anche tutti bambini della propria casa ancora freschissimi dal parto materno nell'ottavo giorno della loro nascita.

Così anche questi bambini, che non potevano credere ancora con il loro cuore per ottenere la giustizia,37 dovevano tuttavia prendere il sigillo della giustizia derivante dalla fede.

Ciò fu ordinato con tanto rigore che Dio voleva cancellata dal suo popolo l'anima del bambino che non fosse stato circonciso nell'ottavo giorno. ( Gen 17,11-14 )

Se si cerca la giustizia di questa pena tanto orribile, non salterà, frantumata dal contraccolpo, ogni argomentazione di costoro, per quanto si voglia argomentosa, sul libero arbitrio e sulla lodevole sanità e purità della natura?

Infatti che male, vi prego di dirmi, ha commesso di propria volontà un bambino, perché a causa d'un altro che si comporta negligentemente e non lo circoncide, debba essere condannato lui personalmente con una condanna tanto severa che sia radiata la sua anima dal suo popolo?

E il rigore minacciato non si limita alla morte temporale, poiché allora si diceva a proposito dei giusti quando morivano: Si è riunito al suo popolo, ( Gen 25,17 ) o: Si è ricongiunto ai suoi padri, ( 1 Mac 2,69 ) con la certezza che nessuna prova ormai fa più temere a nessuno d'esser separato dal suo popolo, se il suo popolo è lo stesso popolo di Dio.

31.36 - La pena per l'omissione della circoncisione

Come si spiega dunque una condanna così grave senza nessuna colpa di volontà propria?

Non è vero infatti ciò che opinano alcuni seguendo i platonici: all'anima di ciascun bambino si retribuisce quello che ha fatto di sua volontà anteriormente alla vita terrena, perché prima di questo corpo aveva il libero arbitrio per vivere o bene o male.

Al contrario l'apostolo Paolo dice con molta chiarezza che quelli che non sono ancora nati non hanno compiuto nulla di bene o di male. ( Rm 9,11 )

Da dove viene dunque la giustizia di quella pena di perdizione per un bambino se non dal fatto che egli appartiene alla massa di perdizione e dal fatto che ogni uomo nato da Adamo s'intende giustamente condannato a causa dell'obbligazione dell'antico debito, se non è stato liberato da quell'obbligazione, non in forza di un debito da parte di Dio, ma in forza di una sua grazia?

E in forza di quale grazia se non della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore? ( Rm 7,25 )

E certamente Gesù è stato profetato, tra gli altri antichi sacramenti, anche dalla stessa circoncisione carnale. Infatti il giorno ottavo nel succedersi delle settimane è il giorno del Signore, quello in cui il Signore è risorto; e la pietra era il Cristo: ( 1 Cor 10,4 ) di qui il coltello della circoncisione è di pietra ( Gs 5,2-3 ) e la carne del prepuzio è il corpo del peccato.

32.37 - Gesù, l'unico uomo senza colpa, immolato per la salvezza degli altri uomini, tutti peccatori

Mutati dunque i sacramenti dopo la venuta di colui che essi indicavano venturo, ma non mutato tuttavia l'aiuto dei Mediatore - il quale anche prima di venire nella carne liberava nell'antichità le sue membra con la fede nella sua incarnazione ( Rm 6,6 ) -, anche noi, morti per i nostri peccati e per l'incirconcisione della nostra carne, siamo risorti con il Cristo, nel quale abbiamo ricevuto non una circoncisione fatta da mano d'uomo, ( Col 2,13 ) ma la circoncisione prefigurata da quella fatta da mano d'uomo.

Essa ha distrutto il corpo del peccato ( Rm 6,6 ) con il quale siamo nati da Adamo.

È il discendere da una fonte condannata ciò che ci condanna, se non veniamo mondati dalla carne somigliante alla carne del peccato, nella quale fu mandato senza il peccato colui che a partire dal peccato ( Rm 8,3 ) doveva tuttavia condannare il peccato, essendo stato trattato da peccato in nostro favore.

A questo proposito l'Apostolo dice: Vi supplichiamo in nome del Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,20-21 )

Dio dunque, con cui per lui veniamo riconciliati, ha trattato Gesù come peccato per il nostro bene, cioè come sacrificio che meritasse a noi la remissione dei nostri peccati: si chiamano peccati i sacrifici per i peccati.

E in realtà è stato immolato per i nostri peccati lui che personalmente non aveva nessun vizio, il solo tra gli uomini ad essere nelle condizioni che si ricercavano allora anche negli animali, con l'intuizione simbolica dell'arrivo futuro di lui, unico senza vizio, a sanare i vizi.

Quindi in qualunque giorno dalla sua nascita un bambino venga battezzato nel Cristo, è come se fosse circonciso nell'ottavo giorno, perché è circonciso in colui che risorse, sì, nel terzo giorno dalla crocifissione, ma nell'ottavo giorno della settimana.

Si circoncide poi il bambino per spogliarlo del corpo di carne, ( Col 2,11 ) cioè per sdebitarlo con la grazia della rigenerazione spirituale del debito contratto con il contagio della generazione carnale.

Nessuno infatti è mondo da macchia - da quale macchia, prego, se non del peccato? -, nemmeno un bambino la cui vita sia di un giorno solo sopra la terra. ( Gb 14,4 sec. LXX )

33.38 - Il peccato originale non compromette la bontà naturale né dell'uomo, né del matrimonio

Ma ecco come argomentano e che cosa domandano costoro: " Sono dunque un male le nozze e non è opera di Dio l'uomo generato dalle nozze? ".

Come se il bene delle nozze sia il morbo della concupiscenza, immersi nel quale coloro che non conoscono Dio amano le loro mogli, e l'Apostolo lo proibisce, ( 1 Ts 4,5 ) e non piuttosto la pudicizia coniugale, per cui la libidine della carne viene incanalata agli usi buoni di procreare ordinatamente dei figli; oppure come se l'uomo possa essere altra cosa che opera di Dio, tanto quando è procreato dal matrimonio, come quando è procreato dalla fornicazione o dall'adulterio.

Ma nella questione nostra attuale, dove si chiede non a che cosa sia necessario il Creatore, bensì a chi sia necessario il Salvatore, occorre guardare non a ciò che di buono c'è nella procreazione naturale, ma a ciò che di male c'è nel peccato dal quale è certo che è stata viziata la natura.

Ora, si propagano ambedue insieme: e la natura e il vizio della natura; ma buona è la natura e cattivo il vizio.

La natura si riceve dalla generosità del Creatore, il vizio si trae dalla origine della condanna: la natura ha per causa la buona volontà del sommo Dio, il vizio la cattiva volontà del primo uomo: il bene della natura addita Dio come autore della creatura, il vizio della natura addita Dio come punitore della disobbedienza, e infine lo stesso e medesimo Cristo per creare il bene della natura ha fatto l'uomo e per sanare il vizio della natura si è fatto uomo.38

34.39 - La bontà del matrimonio

Un bene sono dunque le nozze in tutti gli elementi che sono propri delle nozze.

Questi elementi sono tre: l'intenzione di generare, la casta fedeltà, il carattere sacramentale del connubio.

Per l'intenzione di generare è scritto: Desidero che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa. ( 1 Tm 4,14 )

Per la casta fedeltà: La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. ( 1 Cor 7,4 )

Per il carattere sacramentale del connubio: Quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi. ( Mt 19,6 )

Sulle nozze ricordiamo d'aver detto abbastanza con l'aiuto di Dio in altri nostri libri che voi conoscete.

Per tutti questi beni il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. ( Eb 13,4 )

Nella misura in cui le nozze sono buone, nella stessa misura esse convertono in un bene grandissimo anche il male della libidine, perché della libidine non si serve bene la libidine, ma la ragione.

La libidine poi, come si rammarica l'Apostolo, sta in quella legge delle membra disobbedienti che muove guerra alla legge della mente.

La ragione invece che usa bene della libidine sta nel cuore stesso della legge delle nozze.

Perché, se non si potesse ricavare nessun bene dal male, nemmeno Dio creerebbe un uomo da una unione adulterina.

Ad esempio il male condannabile dell'adulterio, pur quando da esso nasce un uomo, non s'imputa a Dio, perché è certamente un'opera buona quella che fa Dio stesso nell'opera cattiva degli uomini.

Orbene ciò che di vergognoso c'è nella disobbedienza di quelle membra, della quale arrossirono i primi uomini che si coprirono dopo il peccato le medesime membra con foglie di fico, ( Gen 3,7 ) non è alle nozze che si addebita, in ordine alle quali l'unione coniugale non è soltanto lecita, ma anche utile e onesta.

Si addebita invece al peccato della disobbedienza che fu seguito da questa pena: l'uomo disobbediente a Dio sentisse a sua volta la disobbedienza delle sue membra contro lui stesso.

E l'uomo, vergognandosi di esse perché non si movevano più ad arbitrio della sua volontà, ma a capriccio della libidine, come se questo fosse diventato il loro proprio arbitrio, procurò di coprirsi quelle membra che giudicò vergognose.

Certamente non fu dell'opera di Dio che l'uomo ebbe da rimanere confuso e in nessun modo avrebbero procurato vergogna all'umana creatura gli organi che al Creatore parve bene di dovere mettere nella sua struttura.

Pertanto né a Dio, né all'uomo dispiaceva quella nudità semplice, quando non c'era nulla di cui arrossire perché non c'era stato ancora nulla da punire.

35.40 - Le nozze nello stato d'innocenza

Sarebbero esistite senza dubbio in seguito le nozze, anche se non ci fosse stato in precedenza il peccato, perché non fu per altro scopo che in aiuto di Adamo fu fatta una donna, invece d'un altro uomo.

E quelle parole di Dio: Crescete e moltiplicatevi ( Gen 1,28 ) non furono una predizione di peccati da condannare, ma una benedizione di fecondità concessa alle nozze.

Dio infatti con queste sue ineffabili parole, cioè con le divine " ragioni ", viventi nella verità della sua Sapienza, mediante la quale sono state fatte tutte le cose, immise nei primi uomini la forza " seminale ".

Se però il peccato non avesse fatto decadere la natura dal suo stato, lungi da noi il pensare che le nozze nel paradiso sarebbero state tali da comportare che in esse gli organi genitali per seminare la prole fossero mossi, non da un cenno della volontà, come i piedi per camminare, le mani per lavorare, la lingua per parlare, ma dal bollore della libidine.

Né l'integrità verginale era guastata, come avviene adesso, per la concezione del feto, dalla violenza di un torbido ardore, ma obbediva al comando di una carità tranquillissima.

E come non c'era il gemito della madre nel partorire, allo stesso modo non c'era né dolore, né sangue della vergine nell'unione.

La ragione per cui non si crede in queste verità è che nella condizione dell'attuale mortalità ne manca l'esperienza.

La natura appunto, cambiata in peggio dal vizio, non trova più un esempio di quella prima purezza.

Ma noi stiamo parlando a fedeli che sanno credere alla parola di Dio anche senza ricorrere ad esempi che diano l'esperienza della verità.

Come potrei mostrare adesso un uomo fatto dalla polvere senza concorso di genitori e una moglie fatta per lui dal suo fianco? ( Gen 2,7.22 )

E tuttavia la fede crede in quello che ormai l'occhio non vede.

36.41 - Lo stato attuale delle nozze è una conseguenza del peccato

Così dunque non sono adesso dimostrabili e la tranquillità di quelle prime nozze senza passione di libidine e il muoversi dei genitali, alla pari delle altre membra, non sotto l'eccitazione di uno sfrenato calore, ma ad arbitrio della volontà - tali sarebbero perseverate le nozze, se non fosse intervenuto l'obbrobrio del peccato -.

Però si hanno tutte le ragioni per crederle, date le testimonianze scritte con l'avallo dell'autorità divina.

Adesso infatti non trovo nessuno che pratichi l'atto coniugale senza il prurito della libidine, come non trovo nessuna donna che partorisca senza dolori e gemiti, nessuno che nasca senza la morte nel suo avvenire.

E nondimeno non ci sarebbero stati, secondo la verità delle Scritture sante, i gemiti della donna nel parto, né la morte d'ogni uomo che nasce, se prima non ci fosse stato il peccato.

Ugualmente sarebbe mancato anche ciò di cui arrossirono coloro che si coprirono quelle membra, perché nelle medesime Lettere sante anche questo è una conseguenza del peccato.

Se appunto un muoversi non dignitoso di quelle membra non le avesse fatte avvertire ai loro occhi - certo non chiusi, ma nemmeno aperti, ossia non intenti a guardare quelle parti - Adamo ed Eva non avrebbero sentito nel loro corpo, fatto senza dubbio tutto lodevole da Dio, nulla di vergognoso da dover coprire; perché, se non ci fosse stato prima l'orrore che la disobbedienza ebbe l'ardire di commettere, non sarebbe seguito il disonore che la convenienza voleva nascondere.

37.42 - Il bene delle nozze e il male della concupiscenza carnale

È chiaro dunque: non è da imputarsi alle nozze quel male senza la cui esistenza rimarrebbe ugualmente l'esistenza delle nozze.

Cotesto male non toglie il bene delle nozze, ma dalle nozze è volto ad un buon uso anche cotesto male.

Siccome però per l'attuale condizione dei mortali adesso l'unione coniugale e la libidine sono ormai unite tra loro nelle medesime funzioni, per questo avviene che, quando si biasima la libidine, credano che si biasimi anche la lecita e onesta congiunzione coniugale coloro che non vogliono o non sanno tenerle distinte.

Né avvertono che da una parte c'è il bene delle nozze, del quale si inorgogliscono le nozze, ossia la prole, la pudicizia e il sacramento, mentre dall'altra parte non c'è il male delle nozze, ma il male della concupiscenza carnale, del quale arrossiscono anche le nozze.

Ma poiché senza questo male non si può ottenere il bene delle nozze, cioè la propagazione dei figli, quando si viene a quest'operazione si cercano luoghi segreti, si escludono testimoni, si evita perfino la presenza degli stessi figli, se ce ne sono già stati, quando per la loro età cominciano già a sentire queste cose: e così si lascia compiere alle nozze ciò che è lecito in modo però che non trascurino di celare ciò che è sconveniente.

Da qui dipende che anche i bambini, benché incapaci di peccare, non nascano tuttavia senza il contagio del peccato: non dipende da ciò che è lecito, ma da ciò che è sconveniente.

Infatti da ciò che è lecito nasce la natura, da ciò che è sconveniente nasce il vizio.

Della natura che nasce è autore Dio, il quale ha creato l'uomo e ha congiunto con diritto nuziale il maschio e la femmina; del vizio è invece autore l'astuzia del diavolo seduttore e la volontà dell'uomo consenziente.

38.43 - L'uso del matrimonio lecito, se è ragionevole

E qui Dio, con l'uomo che peccò volontariamente, non fece altro che condannarlo giustamente insieme alla sua stirpe, e perciò anche quanto non era ancora nato nell'umanità fu a ragione condannato nella sua radice prevaricatrice.

E ciò che tiene l'uomo in questa stirpe condannata è la generazione carnale, e da essa lo libera soltanto la rigenerazione spirituale.

Quindi ai genitori che sono stati rigenerati, a patto tuttavia che abbiano perseverato nella medesima grazia della rigenerazione, certamente, a motivo della remissione dei peccati che è stata fatta in loro, non nuocerà la concupiscenza carnale.

Nuocerà invece se l'usano male, non solo in tutte le depravazioni illecite, ma anche nelle stesse nozze, quando non attendono a procreare figli per la volontà di propagare il genere umano, ma si asserviscono a saziare la concupiscenza per la voluttà di sfogare la lascivia.

La possibilità di saziare la concupiscenza la consente l'Apostolo ai mariti e alle mogli, perché evitino le fornicazioni e non si astengano tra loro se non di comune accordo e temporaneamente per dedicarsi alla preghiera: la consente per venia e non per comando. ( 1 Cor 7,5-6 )

È senz'altro evidente che mentre concede la venia denunzia la colpa.

Ma l'atto coniugale, che anche le tavole matrimoniali indicano destinato alla procreazione dei figli, è buono per se stesso in senso assoluto e non solo in confronto alla fornicazione.

E sebbene, per questo corpo di morte che non è stato rinnovato ancora dalla risurrezione, l'atto coniugale non si possa fare senza un certo sommovimento bestiale che fa arrossire la natura umana, tuttavia il congiungimento non è peccato in se stesso, quando la ragione usa la libidine per il bene e non si lascia superare da essa a fare il male.

39.44 - Gli effetti del battesimo in tutto il loro arco temporale ed eterno

Nuocerebbe questa concupiscenza della carne anche con il solo fatto della sua presenza in noi, se la remissione dei peccati non giovasse tanto da far sì che la concupiscenza, la quale si trova in ogni uomo, e nato e rinato, possa nel nato esistere e nuocere, nel rinato invece possa esistere, sì, ma nuocere no.

Nuoce infatti tanto ai nati la concupiscenza che ad essi se non rinascono non può giovare a nulla l'essere nati da genitori rinati.

Il vizio dell'origine resta così nella prole da renderla colpevole, anche quando il reato del medesimo vizio è già stato lavato nel genitore dalla remissione dei peccati, e resterà fino a quando tutto quel vizio, a cui si consente peccaminosamente, non sarà fatto scomparire completamente dalla rigenerazione finale, cioè dal rinnovamento della carne stessa, che è promessa nella sua futura risurrezione, dove non solo non faremo più peccati, ma non avremo più nemmeno desideri viziosi che possano diventare oggetto di consensi peccaminosi.

E a tale beata perfezione si giunge per la grazia di questo santo lavacro che si dà in questa vita.

È infatti per merito della stessa rigenerazione dello spirito, la quale ci fa rimettere ora tutti i peccati passati, che avverrà anche la rigenerazione della carne per la vita eterna: rigenerazione che guarirà i fomiti di tutti i peccati nella carne stessa, la quale risorgerà incorruttibile.

Ma tale sanità per ora è stata fatta nella speranza e non si gode nella realtà, né si possiede ora la sua presenza, ma si attende con pazienza.

40 - E perciò il medesimo lavacro del battesimo espurga da noi ogni genere di peccati: non solo tutti quelli che si rimettono adesso nel battesimo e dei quali ci rendiamo rei quando acconsentiamo a desideri viziosi e passiamo a peccare, ma anche gli stessi desideri viziosi che con la loro presenza non comportano in noi nessun reato di colpa se non consentiamo ad essi e che cesseranno assolutamente di esistere, non in questa vita, ma nell'altra.

40.45 - Anche i figli dei battezzati hanno bisogno del battesimo

Pertanto il reato di quel vizio di cui stiamo parlando rimarrà nella prole dei genitori rigenerati, fino a quando non sia lavato anche nella prole dal lavacro della rigenerazione.

Un rigenerato infatti non rigenera i figli della carne, ma li genera, e conseguentemente non trasmette in loro quello che egli è da rigenerato, bensì quello che egli è da generato.

Così dunque, sia un infedele ancora reo, sia un fedele già libero, ambedue ugualmente, non generano figli liberi, ma figli ancora rei, alla stessa maniera che non solo i semi di oleastro, ma anche i semi d'olivo non generano olivi, bensì oleastri.

È pertanto la prima nascita a tenere l'uomo nella condanna e non lo libera dalla condanna se non la seconda nascita.

Lo tiene dunque il diavolo, lo libera il Cristo. Lo tiene l'ingannatore di Eva, lo libera il Figlio di Maria.

Lo tiene colui che agganciò il marito attraverso la moglie, lo libera colui che nacque da una moglie che non fu violata dal marito.

Lo tiene colui che provocò nella donna l'insorgenza della libidine, lo libera colui che fu concepito da una donna senza il concorso della libidine.

Tutti gli uomini in blocco poté tenere il diavolo a causa di uno solo, né ci libera dalla sua tirannia se non quel solo che non poté tenere.

Infine gli stessi sacramenti della Chiesa, che essa celebra con l'autorità d'una tradizione tanto antica che costoro, sebbene stimino che siano amministrati ai bambini più simulatamente che sinceramente, tuttavia non ardiscono respingerli con aperta disapprovazione, gli stessi sacramenti della santa Chiesa, dicevo, indicano sufficientemente che i bambini, anche di recentissimo parto, sono liberati dalla schiavitù del diavolo per mezzo della grazia del Cristo.

A parte infatti che si battezzano in remissione dei peccati non con un sacramento falso, ma sincero, anche all'inizio del rito vengono esorcizzati e si soffia via il potere dell'avversario, al quale essi pure con le parole di coloro che li portano rispondono di rinunziare.

Con tutti questi riti, che sono segni sacri ed evidenti di realtà occulte, si mostra che i bambini passano dalla pessima schiavitù del diavolo all'ottima libertà del Redentore il quale, assunta per noi la nostra debolezza, ha legato il forte per portargli via i vasi preziosi, ( Mt 12,29 ) perché la debolezza di Dio ha più forza non solo degli uomini, ( 1 Cor 1,25 ) ma anche degli angeli. Dio pertanto, liberando i piccoli e i grandi, offre visibilmente negli uni e negli altri il compimento di quello che la Verità ha detto per mezzo dell'Apostolo.

Dio infatti non ha liberato dal potere delle tenebre e trasferito nel regno del suo Figlio diletto ( Col 1,13 ) soltanto coloro che sono maggiori di età, ma anche i piccoli.

40.46 - La natura umana viene assoggettata al diavolo per società di peccato

Nessuno si meravigli e chieda: Perché mai la bontà di Dio crea gli uomini dei quali s'impossessa la malvagità del diavolo?

La risposta è che quanto Dio elargisce ai semi delle sue creature proviene da quella stessa bontà con la quale fa pure sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa scendere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. ( Mt 5,45 )

Con questa bontà benedisse appunto anche gli stessi semi o benedicendoli li creò, e tale benedizione non l'ha fatta perdere alla natura lodevole la colpa biasimevole.

La quale, sebbene per l'intervento della giustizia punitiva di Dio sia valsa a far nascere gli uomini con il vizio del peccato originale, non è valsa tuttavia ad impedire agli uomini di nascere.

Così come negli stessi uomini maggiori di età i vizi dei peccati di qualsiasi genere non strappano l'uomo all'uomo, ma in tutte le opere cattive degli empi, per quanto siano gravi, rimane sempre l'opera buona di Dio.

Infatti, benché l'uomo che si comporta da stolto e non rispetta la propria dignità venga paragonato alle bestie e divenga simile ad esse, ( Sal 49,13 ) non diviene tuttavia simile alle bestie a tal punto da essere una bestia.

È paragonato alla bestia per il vizio e non per la natura, ed è paragonato non al vizio della bestia ma alla natura della bestia.

È infatti di tanta eccellenza l'uomo a confronto con la bestia che ciò che è vizio nell'uomo è natura nella bestia, senza tuttavia che per questo la natura dell'uomo si converta nella natura della bestia.

Perciò Dio condanna l'uomo per il vizio che offende la dignità della sua natura, non per la natura che non si estingue mai nel vizio.

Ma quanto alle bestie, lungi da noi il pensare che esse siano soggette alla pena della condanna: è giusto che sia risparmiata ad esse l'infelicità, non essendo capaci nemmeno di partecipare alla felicità.

Che c'è dunque d'assurdo o d'ingiusto nel fatto che l'uomo sia assoggettato allo spirito immondo, non a causa della sua natura, ma a causa della sua immondezza, la quale, venendo non dall'opera di Dio, ma dalla volontà umana, è stata contratta dall'uomo nella macchia d'origine, dal momento che lo stesso spirito immondo è buono perché spirito e cattivo perché immondo?

È appunto spirito per l'opera di Dio, è immondo per la propria volontà.

Pertanto la natura più forte, cioè la natura angelica, tiene soggetta, per complicità nel vizio, la natura più debole, cioè la natura umana.

Ed è per questo che il Mediatore, più forte degli angeli, si è fatto debole per salvare gli uomini: così la superbia dell'oppressore è distrutta dall'umiltà del Redentore, perché colui che vanta la sua fortezza angelica sui figli dell'uomo sia vinto dal Figlio di Dio con la debolezza umana che ha fatta sua.

41.47 - Testi di S. Ambrogio sul peccato originale

Ma, arrivati ormai a concludere anche questo libro, crediamo opportuno far parlare il vescovo di Dio Ambrogio, del quale soprattutto, tra gli scrittori ecclesiastici di lingua latina, Pelagio esalta l'integerrima fede.

Come l'abbiamo fatto nei riguardi della grazia, così facciamolo rispondere alla calunniosa loquacità di costoro anche sul peccato originale, la cui distruzione è per la grazia stessa il vanto più glorioso.

Nel suo libro La Risurrezione sant'Ambrogio dice: " In Adamo sono caduto, in Adamo sono stato cacciato via dal paradiso, in Adamo sono morto.

Dio non mi richiama, se non mi ritrova in Adamo: come nel primo uomo ho dovuto soggiacere alla colpa e subire la morte, così è nel Cristo che sono stato giustificato".

Similmente scrivendo contro i novaziani dice: " Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, perché la stessa nostra origine è nel vizio, come dice Davide: Ecco, nella colpa sono stato generato e nel peccato mi ha concepito mia madre. ( Sal 51,7 )

Perciò la carne di Paolo era corpo di morte, come lo chiama egli stesso: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 )

Ma la carne del Cristo condannò il peccato, che non conobbe nel nascere e crocifisse nel morire, perché nella nostra carne dove prima c'era l'immondizia a causa della colpa, ci fosse la giustizia a causa della grazia ".39

Lo stesso dice nel suo Commento al profeta Isaia parlando del Cristo: " Egli, come uomo, fu tentato in tutto e a somiglianza degli uomini ebbe da sopportare ogni specie di sofferenze, ma, in quanto nato dallo Spirito, si tenne lontano dal peccato. ( Eb 4,15 )

Ogni uomo infatti è mendace ( Sal 116,2; Mc 10,18; Lc 18,19 ) e nessuno è senza peccato all'infuori dell'unico Dio.

È legge dunque che nessuno apparisca immune dal peccato, se nasce dall'uomo e dalla donna, ossia dall'unione dei loro corpi.

Colui che poi è immune dal peccato, è pure esente da tale concezione ".

Ugualmente nel suo Commento al Vangelo di Luca dice: " Non una fecondazione da parte dell'uomo violò l'intimità della vulva della Vergine, ma un seme immacolato immise lo Spirito Santo in quel seno inviolabile.

L'unico infatti tra i nati di donna ad essere totalmente santo fu il Signore Gesù.

Per la novità d'un parto immacolato egli non sentì il contagio della corruzione terrena e lo escluse con la sua maestà Celeste ".40

41.48 - La dottrina di Pelagio è contraria a quella di S. Ambrogio

Tuttavia Pelagio contraddice a questi testi dell'uomo di Dio, che pur ha lodato con tanto entusiasmo, e scrive: " Noi nasciamo senza vizio, come nasciamo senza virtù ".

Che resta allora? O condanni Pelagio cotesto suo errore o si penta d'aver lodato Ambrogio in questa maniera.

Ma poiché il beato Ambrogio fa queste affermazioni secondo la fede cattolica, da vescovo cattolico, segue che Pelagio, sviato dalla via di questa fede, rimane giustamente condannato con il suo discepolo Celestio dall'autorità della Chiesa cattolica, a meno che non si penta, non d'aver lodato Ambrogio, ma d'aver sentito contro la fede di Ambrogio.

So che voi leggete con avidità insaziabile tutti i libri che si scrivono per edificare o per confermare la fede, ma questo libro, per quanto sia utile a tale scopo, deve pur avere fine ormai una buona volta.

Indice

37 Aug., De nupt. e concup. 2, 11, 24
38 Aug., Ep. 177, 11 ss.
39 Ambr., De paenit. 1, 2-3
40 Ambr., In Lc. 2, 2, 56