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Lettera 141

Scritta il 14 giugno 412.

Agostino a nome dei Padri del concilio di Zerta, denuncia le calunnie dei Donatisti, secondo i quali Marcellino, avrebbe favorito i Cattolici ( n. 1 ) e si appella ai verbali della Conferenza nei quali erano registrati i loro sforzi intesi a boicottare la Conferenza stessa in cui furono battuti ( n. 2-4 ) e il modo con cui i Cattolici ritorsero contro i Donatisti l'accusa di " traditori " mossa a Ceciliano e Felice di Aptungi ( n. 5-10 ); dimostra infine le contraddizioni degli scismatici ( n. 11-12 ) e li esorta a tornare in seno alla Chiesa cattolica ( n. 13 ).

Il primate Silvano, Valentino, Aurelio, Innocenzo, Massimino, Ottato, Agostino, Donato e gli altri Vescovi del Concilio di Zerta ai Donatisti

1 - Si confutano le calunnie dei Donatisti

È arrivata ai nostri orecchi la voce, propagata dai vostri vescovi, secondo cui il commissario imperiale sarebbe stato corrotto con denaro per pronunciare il verdetto sfavorevole contro di loro, e voi siete disposti a crederlo, per cui molti non vogliono ancora credere alla verità.

Per questo motivo, spinti dall'amore di Dio, ci è parso doveroso d'indirizzarvi questa lettera, conforme alle decisioni del nostro Concilio, per avvertirvi anzitutto che tali menzogne le vanno spargendo i vostri vescovi, confutati e condannati in giudizio.

Essi, anche a proposito del loro rescritto, steso per la conferenza e garantito dalle firme dei loro nomi, nel quale ci chiamavano " traditori e persecutori ", furono smascherati e condannati per la loro falsificazione e l'evidentissima menzogna.

Volendo vantarsi del gran numero dei loro vescovi coadiutori, giunsero al punto d'inserire tra i nomi di alcuni assenti perfino quello di un morto.

Quando fu loro chiesto dove fosse, sconcertati e sconvolti confessarono ch'era morto durante il viaggio!

Interrogati di nuovo come avesse potuto firmare quel documento a Cartagine uno che era morto in viaggio, ancor più fortemente sconcertati, risposero con un altro falso giuramento, che cioè era morto mentre tornava da Cartagine: ma non riuscirono a districarsi da tale bugia.

Ecco a quale specie d'individui voi prestate fede, quando vi parlano del nostro antico "tradimento" o della corruzione del giudice; a individui cioè che non poterono firmare, senza commettere una colpa di falsificazione, il loro rescritto, dove ci imputarono la colpa di " tradimento ".

Perciò in questa lettera abbiamo allegato i fatti più strettamente necessari, raccolti quasi in riassunto, nel timore che non vi riesca di consultare o leggere senza fatica i ponderosi volumi dei verbali ufficiali.

2 - I verbali della Conferenza, documenti inoppugnabili

Noi e i vostri vescovi andammo a Cartagine e ci radunammo tutti in assemblea, benché i vostri in un primo momento avessero rifiutato la conferenza e avessero detto che non era opportuna.

Da parte nostra e da parte loro furono eletti dei delegati, in numero di sette, a parlare a nome di tutti.

Ne vennero eletti ancora sette dall'una e dall'altra parte, con i quali consultarsi quando fosse necessario.

Inoltre vennero eletti quattro per ciascuna parte, che fossero garanti della stesura dei verbali, al fine di evitare che si dicesse che qualche particolare fosse stato falsificato da qualcuno.

Furono dati dalle due parti quattro stenografi, che si alternassero due alla volta coi cancellieri del giudice, affinché nessuna delle due parti avesse poi a lamentarsi che le parole non fossero state scritte testualmente.

A si scrupolose precauzioni si aggiunse anche quella di obbligarci a sottoscrivere il testo, tanto noi che essi, come pure il giudice in persona, con formule nostre per evitare che nessuno in seguito potesse dire che in quei verbali fosse stata alterata qualche cosa.

Dato che tali verbali sono arrivati a conoscenza del pubblico in tutti i luoghi nei quali è giusto che siano conosciuti, essendo ancora in vita coloro che li sottoscrissero, così durerà sino ai posteri la verità confermata con tali garanzie.

Non vogliate essere dunque sconoscenti verso tanta misericordia di Dio, che vi è stata procurata con questa gran diligenza.

Ormai non c'è più scusa: troppo induriti, troppo diabolici sono i cuori degli uomini che si oppongono ancora a una manifestazione così chiara della verità.

3 - La Conferenza boicottata dai Donatisti

Ecco, i vescovi della vostra setta, eletti da tutti i loro colleghi perché parlassero a difesa di tutti si sforzarono, per quanto poterono, perché non si trattasse affatto la causa, per cui si gran numero di vescovi d'ambo le parti era venuto da tutta l'Africa e da luoghi tanto lontani.

E mentre tutti aspettavano ansiosi che cosa si dovesse trattare in un'adunanza così numerosa, essi si sforzavano accanitamente affinché non si facesse nulla.

Perché mai agivano così, se non perché sapevano d'avere torto e perché non avevano dubbi di dover essere condannati, qualora fosse stata trattata la causa?

La loro stessa disposizione d'animo, per cui temevano che la causa fosse trattata, mostrava che erano già condannati.

Anche se fossero riusciti a estorcere ciò che volevano, che cioè la conferenza non si facesse più e che dalle nostre discussioni non apparisse la verità, che cosa avrebbero potuto rispondervi, che cosa mostrarvi al ritorno da Cartagine?

Vi avrebbero mostrato i verbali, io credo, e vi avrebbero detto: " Noi facevamo pressioni perché la causa non si discutesse, ma i nostri avversari premevano in senso contrario.

Vi aspettate di vedere che cosa abbiamo concluso: ecco, leggete: li abbiamo vinti per il fatto che non si è proceduto a nessuna discussione ".

Può darsi che anche voi, se aveste avuto coraggio, li avreste rimbeccati: " Se non avevate intenzione di far nulla, perché siete andati? o piuttosto: perché siete tornati senza aver concluso nulla?"

4 - I donatisti smascherati nella Conferenza

Dopo che infine non riuscirono ad attuare il loro tentativo di boicottare la conferenza, quando questa si svolse dimostrò che cosa quelli temevano dal momento che i loro vescovi furono battuti su tutta la linea.

Confessarono infatti di non aver nulla da dire contro la Chiesa cattolica, diffusa in tutto il mondo, poiché furono schiacciati dalle testimonianze divine delle Sacre Scritture, in cui si delinea la storia della Chiesa che, cominciando da Gerusalemme, ( At 1,8 ) crebbe nei luoghi ove predicarono gli Apostoli e ne lasciarono i nomi scritti nelle loro lettere e negli Atti e di lì si diffuse per tutte le altre nazioni.

A chiara voce manifestarono di non avere nessuna obiezione contro questa Chiesa, ed in ciò risuona evidentissima la nostra vittoria nel nome di Dio.

In effetti, quando confermano la ( verità della ) Chiesa con la quale noi siamo in comunione, mentre è manifesto che non lo sono essi, dimostrano di essere stati già battuti.

Se siete avveduti, essi vi insegnano pure ciò che dovete abbandonare e ciò che dovete conservare, non con la falsità con cui non cessano ancora di mentirvi, ma con la verità che, battuti, sono costretti a confessare.

5 - Solo i conniventi si macchiano dei peccati altrui

Chiunque si sarà separato dalla Chiesa cattolica, per quanto creda di vivere virtuosamente, non avrà la vita a causa dell'unica colpa di essersi separato dall'unità di Cristo, ma l'ira di Dio rimarrà su di lui. ( Gv 3,36 )

Chi invece vivrà bene in questa Chiesa, non riceverà alcun danno a causa dei peccati altrui, poiché ciascuno - come dice l'Apostolo - porterà in essa il proprio fardello. ( Gal 6,5 )

E chiunque in essa mangia indegnamente il corpo di Cristo, mangia e beve la propria condanna, ( 1 Cor 11,29 ) come scrisse il medesimo Apostolo.

Dicendo che: mangia la propria condanna, mostra chiaramente che la mangia per sé, non per un altro.

Ecco che cosa abbiamo fatto, che cosa abbiamo dimostrato e che cosa abbiamo ottenuto, poiché la comunione dei cattivi non macchia alcuno se partecipa ai sacramenti, ma lo macchia solo quando acconsente alle azioni.

Poiché se uno non acconsente alle male azioni dei cattivi, il malvagio porta la propria colpa e la sua responsabilità personale, senza essere di pregiudizio a un altro, che non è complice della sua colpa nell'acconsentire alla sua mala azione.

6 - Il caso di Ceciliano e del donatista Massimiano

Gli stessi vescovi furono costretti ad ammettere anche tale verità a note molto chiare; non proprio allorquando si discuteva questo argomento, ma in seguito, quando si trattò un'altra questione.

Si era arrivati infatti anche alla questione di Ceciliano, che noi separavamo da quella della Chiesa, disposti a scomunicarlo se mai fosse stato trovato colpevole, non però ad abbandonare per causa sua la Chiesa di Cristo, alla quale Ceciliano non poteva recare pregiudizio col suo torto.

Allorché dunque si giunse alla questione di Ceciliano, ed essi fecero leggere il resoconto del concilio di Cartagine e citarono i giudizi pronunciati da più o meno settanta vescovi contro Ceciliano assente, noi rispondemmo che quel concilio di vescovi non danneggiava Ceciliano assente, allo stesso modo che il ben più numeroso concilio di vescovi Donatisti non arrecò danno a Primiano assente, quando più o meno cento vescovi lo avevano condannato nel processo contro Massimiano.

Appena si fece menzione del processo contro Massimiano, essi rimasero sconcertati.

Sanno infatti di avere accolto nella setta e reintegrato in tutti gli onori anche coloro che furono da loro condannati e di avere confermato e non annullato il battesimo amministrato durante il sacrilego scisma di Massimiano; sapevano che nella loro sentenza di Bagai con cui li scomunicarono, avevano concesso ad alcuni scismatici una dilazione, col dire che erano stati infettati dai germogli del sacrilego pollone di Massimiano.

Appena dunque risuonò ai loro orecchi la menzione di quel processo, sbigottiti e profondamente turbati, dimenticarono il motivo per cui poc'anzi litigavano contro di noi e all'improvviso affermarono: " Una causa non ne pregiudica un'altra, né una persona ne pregiudica un'altra ".

Con le loro medesime parole confermarono ciò che prima dicevamo noi della Chiesa, che cioè la causa personale di Ceciliano, qualunque essa fosse, non poteva recare pregiudizio non solo alla Chiesa cattolica d'oltremare, contro la quale essi ammisero di non avere nulla da dire, ma neppure alla Chiesa cattolica africana, congiunta a quella d'oltremare nella comunione dell'unità, se è vero che al partito di Donato non reca pregiudizio Massimiano, che con gli altri suoi colleghi condannò Primiano, e neanche Feliciano, che insieme con lui condannò Primiano e poi nel processo contro quest'ultimo fu a sua volta condannato e scomunicato dal partito di Donato, nel quale ora viene reintegrato e accolto come vescovo, come lo era stato prima; se è vero che Massimiano non reca pregiudizio neppure ai suoi compagni, ai quali i Donatisti concessero una dilazione, affermando che non erano stati macchiati da colui col quale erano vissuti, perché " né una causa, né una persona possono recar pregiudizio a un'altra ".

7 - L'accusa di "traditori" ritorta contro i Donatisti

Che andate cercando di più? Sovraccaricarono i verbali con molte parole superflue; e poiché non, poterono impedire che la causa si trattasse, coi loro sproloqui resero difficile la lettura di quanto si era trattato.

Ma vi dovrebbero bastare queste poche parole per distogliervi dall'odiare l'unità della Chiesa cattolica per non so quali colpe di non so quali persone.

Sono parole che essi preannunciarono, rilessero e sottoscrissero: " Una causa non reca pregiudizio a un'altra, né una persona a un'altra".

Sebbene la questione di Ceciliano non riguardasse quella della Chiesa, ne assumemmo tuttavia la difesa, perché anche in essa apparissero chiare le calunnie degli avversari, che furono palesamente confutati né poterono provare alcuna delle accuse contro Ceciliano.

Inoltre per le accuse di " tradimento " presentammo i verbali vescovili, dai quali leggemmo all'assemblea che alcuni dei loro vescovi, che avevano pronunziato sentenze di condanna all'indirizzo di Ceciliano assente, erano stati proprio essi " traditori " inequivocabili.

Ma essi, che non avevano nulla da opporre alla nostra affermazione, accusarono di falso quei verbali, ma non poterono provarlo in alcun modo.

8 - L'innocenza di Ceciliano dimostrata dai documenti

Per di più ammisero, o meglio dichiararono pubblicamente, come titolo di grande gloria, che Ceciliano era stato accusato dai loro predecessori presso l'imperatore Costantino.

Aggiunsero anche questa bugia, che cioè in base alla loro accusa era stato condannato dall'imperatore.

Ma anche su questo punto subirono uno scacco, essi che sono soliti spargere intorno a voi le tenebre dell'errore, eccitando il vostro sdegno contro di noi e rendendoci a voi odiosi, perché trattiamo la causa della Chiesa presso l'imperatore.

Ecco, questi sono i loro antenati, dei cui nomi vanno tanto fieri; furono essi a trattare la causa della Chiesa dinnanzi all'Imperatore, a perseguitare con accuse Ceciliano presso il medesimo Imperatore e a dire che era stato condannato.

Non lasciatevi dunque più sedurre dalle loro affermazioni, che non sono altro che errori e menzogne; tornate in voi stessi, ( Is 46,8 ) abbiate timore di Dio, meditate sulla verità, abbandonate la falsità.

Rispetto a tutto ciò che avete sofferto per causa delle leggi imperiali, e non certo per la vostra giustizia ma per l'iniquità, non potete chiamarci ingiusti, poiché non ci saremmo dovuti comportare con voi in guisa che l'Imperatore v'impedisse di continuare a violare la legge di Dio.

I vostri vescovi ammisero che i loro predecessori s'erano comportati con Ceciliano proprio come non vorreste si agisse con voi.

Eppure che Ceciliano fosse perseguitato da loro presso l'imperatore, è cosa ben nota, per ammissione e dichiarazione esplicita di essi medesimi, ma che Ceciliano fosse condannato dall'imperatore, non risultò nel modo più assoluto.

Risultò anzi chiaro che, dietro accuse e persecuzioni degli antenati donatisti, egli fu assolto prima in due concili dai vescovi, e in seguito dall'imperatore in persona.

Lo confermarono anch'essi allorché citarono più tardi questi fatti, quasi fossero a loro favore, che in tal modo risultarono sfavorevoli ad essi, e così anche le prove da loro addotte furono lette a favore di Ceciliano.

Per tale motivo non poterono provare con testimonianze inoppugnabili le accuse da loro mosse contro chiunque: tutto ciò invece che noi diciamo in favore della Chiesa e di Ceciliano lo confermarono essi stessi con le proprie parole e con i testi da loro presentati.

9 - I Donatisti smaccati e derisi

Presentarono dapprima un libro di Ottato, quasi a dimostrare che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore.

Orbene, mentre quel libro veniva letto, risultò sfavorevole a loro in quanto dimostrava piuttosto che Ceciliano era stato discolpato, sicché furono derisi da tutti.

Siccome però la risata non poté essere registrata dagli stenografi, attestarono nei verbali che furono derisi per le loro affermazioni.

Presentarono e lessero come seconda prova la denuncia inviata dai loro predecessori all'imperatore Costantino, nella quale si lamentavano d'essere fieramente perseguitati dal predetto imperatore, e così proprio con questa denuncia mostrarono ch'erano stati battuti da Ceciliano presso l'imperatore e che l'affermazione della condanna di Ceciliano era falsa.

In terzo luogo presentarono una lettera dello stesso Costantino, diretta al vicario Verino, nella quale egli li detesta aspramente e ordina di liberarli dall'esilio e di lasciarli in preda al loro furore, poiché Dio aveva già cominciato a punirli.

Così anche questa lettera confermò che essi avevano asserito il falso col dire che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore, mentre invece l'imperatore dimostrò piuttosto che proprio essi erano stati vinti da Ceciliano, quando, dopo averli esecrati con tutto il suo disprezzo, aveva dato ordine che venissero richiamati dall'esilio, per essere puniti dalla giustizia di Dio, come già avevano cominciato ad esserlo.

10 - Felice di Aptungi dichiarato innocente dal tribunale civile

Misero poi in discussione il caso di Felice di Aptungi, che aveva ordinato vescovo Ceciliano, dicendo che lo stesso Felice era stato " traditore " perché aveva consacrato Ceciliano; presentarono inoltre una lettera dello stesso Costantino a favore di Ceciliano e quindi sfavorevole a loro, nella quale dava ordine al proconsole d'inviare Ingenzio al proprio tribunale imperiale.

Questo Ingenzio, durante l'inchiesta del proconsole Eliano, aveva confessato d'aver detto il falso a danno di Felice, il quale aveva ordinato Ceciliano.

Orbene, i Donatisti affermavano che non senza un motivo l'imperatore aveva mandato a chiamare Ingenzio: lo aveva fatto perché era ancora pendente la causa di Ceciliano e tentavano con ciò d'insinuare il sospetto, quanto mai infondato, che cioè solo dopo che Ingenzio fu inviato al tribunale imperiale l'imperatore avrebbe potuto pronunciare il giudizio contro Ceciliano e, con una sentenza posteriore, annullare la sentenza da noi letta, in base alla quale l'imperatore aveva giudicato tra le due parti e discolpato Ceciliano.

S'insisteva da parte nostra perché leggessero piuttosto quest'ultima sentenza, ma non avevano assolutamente nulla da mostrare.

Al contrario, il contenuto della lettera con cui l'imperatore aveva ordinato che gli s'inviasse Ingenzio1 e che essi lessero a loro danno mentre era in favore di Ceciliano, era che il proconsole Eliano, nel processo di Felice, giudicò nel modo del tutto opposto e risultò che Felice era innocente riguardo alla colpa di " tradimento ".

D'altronde ordinava che Ingenzio fosse inviato al suo tribunale, affinché a coloro che erano presenti e non cessavano di reclamare presso di lui ogni giorno, si potesse dimostrare e far capire che invano cercavano di procurare odiosità a Ceciliano e che avevano tentato di levarsi contro di lui con la violenza.

11 - Dichiarazioni controproducenti dei Donatisti

Chi mai avrebbe pensato che i vostri vescovi avrebbero potuto leggere nell'adunanza documenti sfavorevoli ad essi e favorevoli a noi, se per volontà di Dio onnipotente non fosse accaduto che nei verbali ufficiali non solo venissero affidate le loro parole, ma vi si potessero leggere anche le firme di coloro che li sottoscrissero?

Se infatti adesso uno osserva attentamente la successione dei consoli e dei giorni, registrata nei verbali, troverà in primo luogo che Ceciliano fu assolto da un tribunale composto di vescovi.

Non molto tempo dopo, dal proconsole Eliano venne istruito il processo contro Felice di Aptungi, che risultò chiaramente innocente; durante questo processo Ingenzio ricevette l'ordine di recarsi al tribunale imperiale.

Molto più tardi l'imperatore stesso esaminò la causa tra le due parti e la definì; in questo processo giudicò innocente Ceciliano e ignobili calunniatori gli avversari.

Seguendo la successione dei consoli e dei giorni appare ben chiara la menzogna e la calunnia con cui i Donatisti affermarono che l'imperatore mutò il suo verdetto dopo l'arrivo di Ingenzio al tribunale imperiale e condannò in un secondo momento Ceciliano, da lui prima assolto.

A conferma di questa accusa non poterono allegare nessun documento scritto, ma solo documenti a loro sfavore; essi tuttavia in base alla successione degli anni vengono convinti con la massima evidenza che il processo di Felice, nel quale Ingenzio ricevette l'ordine di recarsi presso il tribunale imperiale, era già terminato, e che poco dopo, ma a grande distanza di tempo, Ceciliano fu assolto dalla sentenza summenzionata dell'imperatore, dopo aver giudicato le due parti in causa.

12 - Ridicole scappatoie dei Donatisti

Non vengano dunque a dirvi che noi corrompemmo il giudice con danaro.

Che cos'altro sogliono dire coloro che sono sconfitti?

Se noi demmo al giudice del denaro perché pronunciasse contro di loro la sentenza favorevole a noi, che cosa demmo ai Donatisti, perché non solo dicessero, ma leggessero anche tante cose a vantaggio nostro e a proprio danno?

Vogliono forse che li ringraziamo presso di voi perché, mentre dicono che il giudice fu da noi corrotto con denaro, essi stessi offrirono gratuitamente tante prove che dissero e lessero per noi, contro di loro?

Oppure se affermano di averci vinto, per aver trattato la causa di Ceciliano meglio di noi, allora potete dare senz'altro loro credito.

Noi infatti avevamo pensato che a scagionare Ceciliano bastasse leggere due documenti: essi invece ne presentarono quattro.

13 - Esorta i Donatisti a tornare nell'unità cattolica

Ma perché allungare la lettera e renderla più noiosa?

Credete a noi se vi diciamo che vogliamo mantenere tutti insieme l'unità comandata ed amata da Dio.

Se invece non volete credere a noi, leggete voi stessi i processi verbali o permettete che vi siano letti e assicuratevi se è vero ciò che vi abbiamo scritto.

Se poi non volete far nulla di ciò e desiderate seguire ancora la falsità della setta di Donato comprovata dalla verità luminosissima, noi non siamo responsabili della vostra condanna, quando un giorno vi pentirete, ma sarà troppo tardi.

Se al contrario non trascurerete l'occasione che Dio vi ha offerta e, dopo una causa dibattuta con tanta cura ed esaminata con tanto scrupolo, lasciando la vostra perversa abitudine, consentirete nella pace e nell'unità di Cristo, noi esulteremo del vostro ravvedimento e i Sacramenti di Cristo, di cui usate nel sacrilegio dello scisma a vostra condanna, vi riusciranno utili e salutari, quando avrete a vostro capo Cristo, nella pace cattolica, nella quale la carità copre la moltitudine dei peccati. ( 1 Pt 4,8 )

Vi abbiamo scritto questa lettera il 18 prima delle calende di luglio, nel nono consolato del piissimo Onorio Augusto, perché giungesse a ciascuno appena possibile.

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1 Ep. 88,4