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Lettera 167

Libro sulla sentenza di Gicamono

Scritta nel 415.

Agostino chiede a Girolamo il senso del passo della lettera di Gc 2,10, importante circa la condotta da tenere per conseguire la vita eterna ( n. 1-2 ).

Confuta la teoria degli Stoici sull'uguaglianza dei peccati ( n. 3-13 ).

Soluzione del quesito: la carità, pienezza della Legge ( n. 14-17 ).

Biasima la parzialità nel conferire le cariche ecclesiastiche ( n. 18 ).

Il perdono e la misericordia, medicina per i peccati quotidiani ( n. 19-20 ).

Girolamo benemerito della cultura ecclesiastica ( n. 21 ).

Agostino a Girolamo

1.1 - Che significa: Chi sbaglia ecc.

In una mia precedente, mio caro fratello Girolamo, rispettabilissimo in Cristo, t'avevo posto il seguente quesito sull'anima umana: se per ognuno che nasce ne viene creata anche attualmente una nuova, dove mai rimangono impastoiate nei lacci del peccato che - ne siamo certi -, anche se si tratta di bambini appena nati, può venire assolto solo mediante il sacramento della grazia di Cristo?

Ma poiché l'argomento formava una lettera di mole piuttosto considerevole, non volli sovraccaricarla con alcun'altra questione.

Ma quanto più assillante e urgente è un problema, tanto meno può venir trascurato.

Ti chiedo quindi e ti scongiuro, in nome di Dio, di darmi la spiegazione d'una frase, che reputo sarà utile a molti altri, oppure di farmi avere la spiegazione che sia stata già trovata da te o da qualche altro.

Ecco la frase della lettera dell'apostolo Giacomo: Se uno osserverà tutti i comandamenti della Legge, ma ne trascurerà uno solo, si rende colpevole di tutti;  ( Gc 2,10 ) qual è il significato di essa?

È un problema di tale e tanta importanza, che sono assai rammaricato di non avertene scritto prima.

1.2 - Il quesito riguarda la condotta per salvarsi

Mi spiego: il presente problema verte sulla condotta da tenere in questa vita, la maniera di giungere alla vita eterna, non già di scrutare la vita passata, sepolta ormai completamente nell'oblio, com'è il problema concernente l'anima, su cui ho creduto opportuno proporti il quesito.

Si racconta che fu data una risposta molto calzante con quanto voglio dire.

Un tale era caduto in un pozzo ove l'acqua era tanto profonda che lo sostenne a galla evitandogli la morte più che impedirgli di parlare per il rischio di affogare.

Capitò lì un altro individuo che appena lo vide mostrò la propria sorpresa dicendo: " Come mai sei potuto cadere lì dentro? " Ma l'altro: " Ti scongiuro - gli rispose -, pensa piuttosto al modo di tirarmi fuori di qui senza cercare di sapere come ci sono cascato ".

Lo stesso vale per noi Cristiani: poiché affermiamo e, in base alla fede cattolica, siamo certi che anche l'anima d'un bambino nato dev'essere salvata dalla colpa originale - come da un pozzo - in virtù della grazia di Cristo; ad essa è sufficiente che noi sappiamo il modo con cui salvare l'anima anche se non riusciremo giammai a sapere com'è potuta cadere in quel peccato.

Ma io ho pensato bene di chiedere il tuo parere al fine di non abbracciar troppo incautamente qualcuna delle opinioni concernenti l'infusione dell'anima nel corpo le quali negano assolutamente che l'anima del bambino ha bisogno d'essere salvata in quanto affermano ch'essa non si trova in stato di peccato.

Una volta dunque che crediamo fermamente e senza il minimo dubbio che l'anima del bambino dev'esser liberata dalla colpa originale e non può esserlo se non in virtù della grazia di Dio mediante Gesù Cristo, nostro Signore, ( Rm 7,25 ) qualora potessimo conoscere anche la causa e l'origine del peccato originale, saremmo più ferrati e provveduti per resistere agli attacchi dei cialtroni, avvezzi non già a discutere ma ad attaccar brighe; se invece non vi riuscissimo, e ci rimanesse ignota l'origine di quella miseria, non per questo deve raffreddarsi il sentimento che ci spinge alla misericordia.

Nei confronti invece di coloro i quali credono di sapere ciò che non sanno, noi siamo maggiormente al riparo per il fatto che riconosciamo la nostra ignoranza.

Poiché ci sono cose che male non sapere ed altre che non è possibile o non necessario oppure indifferente sapere per quanto si riferisce alla vita che cerchiamo di ottenere.

1.3 - Il senso della frase dipende dal contesto

In qual senso, dunque, - te ne scongiuro - deve intendersi la frase: Se uno osserverà tutti i precetti della Legge, ma ne trasgredirà uno solo, si rende colpevole riguardo a tutti? ( Gc 2,10 )

Sarebbe forse questo: chi commetterà un furto, anzi perfino chi dirà a un ricco: Lei s'accomodi qui, mentre a un povero dirà: Tu stattene lì in piedi, ( Gc 2,10 ) è colpevole anche del reato d'omicidio, d'adulterio e di sacrilegio?

Se invece il senso non è questo, come mai può rendersi colpevole di trasgressione di tutti i precetti chi manca in uno solo?

O forse che quanto l'apostolo dice del ricco e del povero non ha relazione alcuna coi peccati elencati più sopra, dei quali chi commette uno solo, si rende colpevole di tutti gli altri?

Occorre tuttavia considerare da che cosa è sorta la frase da spiegare, ossia non solo i concetti precedenti che l'hanno originata ma anche il contesto dal quale dipende.

Fratelli miei, - dice l'apostolo - fate in modo che la fede nel glorioso Signor nostro Gesù Cristo non abbia preferenze personali.

Orbene, supponiamo che si presenti nella vostra adunanza un signore con un anello d'oro e in abito sgargiante e che si presenti anche un povero cencioso e che voi, facendo oggetto delle vostre premure quello vestito elegantemente, gli diciate: "Lei s'accomodi qui al posto d'onore" e al povero invece diciate: "Tu stattene lì in piedi" oppure: "Tu sta' lì seduto presso lo sgabello dei miei piedi", non siete forse parziali nel vostro apprezzamento e non usate forse un criterio ingiusto nel giudicare?

State bene a sentirmi, fratelli miei amatissimi: non ha forse Dio scelto i poveri secondo questo mondo, per farli ricchi nella fede ed eredi del regno che egli stesso ha promesso a coloro che lo amano?

Voi invece il povero lo oltraggiate, ( Gc 2,1-6 ) per il fatto che a uno di loro si dice: Tu stattene lì in piedi, mentre a chi porta un anello d'oro si dice: Lei s'accomodi qui al posto d'onore.

L'apostolo poi continua svolgendo e spiegando più ampiamente la medesima frase: Non sono forse i ricchi quelli che v'opprimono con la loro prepotenza e vi trascinano davanti ai giudici?

Non sono essi che oltraggiano il bel nome ch'è stato invocato su di voi?

Se voi, seguendo la Scrittura, mettete in pratica la legge sovrana: "Amerai il prossimo tuo come te stesso ", farete certamente bene; ma se userete parzialità verso le persone, fate peccato e siete condannati dalla Legge come trasgressori. ( Gc 2,6-9 )

Osserva ancora come l'apostolo chiama trasgressori della Legge coloro che dicono al ricco: S'accomodi qui e al povero: Stattene li in piedi.

Osserva inoltre: perché non si credesse ch'è un peccato trascurabile trasgredire la Legge in quel solo punto, egli continua dicendo: Ora, chi avrà osservato tutta la Legge ma avrà mancato sia pure contro un solo precetto, si rende colpevole di tutti.

Difatti colui che ha detto: "Non commettere adulterio", ha detto anche: "Non uccidere".

Orbene, anche se non ucciderai, ma commetterai adulterio, diventi trasgressore della Legge, ( Gc 2,10-11 ) per il motivo suaccennato e cioè: Siete condannati dalla Legge come trasgressori. Stando così le cose - salvo che mi si dimostri che il passo dev'essere inteso diversamente - sembra ne derivi la conseguenza che, se uno dice a un ricco: S'accomodi qui, e a un povero: Stattene lì in piedi, senza mostrare a questo la stessa deferenza avuta per quello, deve considerarsi anche idolatra, blasfemo, omicida e - per non elencare tutti i peccati, che sarebbe troppo lungo - colpevole di tutti i peccati possibili.

In realtà, trasgredendo un solo precetto, s'è reso colpevole riguardo a tutti.

2.4 - Tutti uguali i peccati per gli Stoici

Realmente, come asseriscono alcuni, chi possiede una virtù, le possiede tutte e chi è privo d'una virtù, non ne possiede alcuna.

Se ciò è, vero, riceve una conferma la frase in questione.

Io però vorrei solo ch'essa mi venisse spiegata e non confermata, dal momento che per noi è più certa per sé stessa che non per tutte le autorevoli asserzioni dei filosofi.

D'altra parte, se ciò può affermarsi con verità delle virtù e dei vizi, non per questo ne consegue che i peccati abbiano tutti la medesima gravità.

In realtà - può darsi pure che mi sbagli, ma se ben ricordo, anche se ricordo vagamente - la dottrina che le virtù siano inseparabili, è stata abbracciata da tutti i filosofi che hanno proclamato le medesime virtù necessarie per una, retta condotta della vita.

Gli unici filosofi, che invece hanno avuto l'ardire di sostenere che i peccati sono tutti ugualmente gravi, sono stati gli Stoici andando contro il senso comune di tutto il genere umano.

Tu hai dimostrato nella maniera più lampante l'errore di tali filosofi con argomenti tratti dalla S. Scrittura nel tuo libro contro Gioviniano,1 il quale su questo punto era stoico, mentre era epicureo nell'andare a caccia di piaceri e nel difenderli a oltranza.

In quella tua gustosissima ed eccellente confutazione è apparso in piena evidenza come i nostri scrittori sacri o meglio la Verità stessa che ha parlato per bocca di essi, non hanno accettato l'opinione che tutti i peccati siano uguali.

Ora mi sforzerò, con l'aiuto del Signore, di spiegare, nei limiti delle mie capacità, come possa essere che, anche se ciò è vero quando si tratta delle virtù, non per questo siamo obbligati ad ammettere che tutti i peccati siano uguali.

Se ci riuscirò, mi darai la tua approvazione, se invece i miei argomenti non saranno del tutto probanti, vi supplirai tu stesso.

2.5 - Le virtù sono concatenate tra loro

Il motivo per cui ci convincono che, se uno possiede una virtù, le possiede tutte e, se uno è privo d'una virtù, non ne possiede alcuna, è senza dubbio il seguente: la prudenza non può essere né infingarda né ingiusta né intemperante, poiché, se avesse uno di tali difetti, non sarebbe più prudenza.

Viceversa, se la prudenza è tale quando è forte, giusta e temperante, là dove sarà essa, ci saranno senza dubbio con essa anche tutte le altre virtù.

Allo stesso modo anche la fortezza non può essere né imprudente né intemperante né ingiusta; così pure la temperanza dev'essere naturalmente anche prudente, forte e giusta, come pure la giustizia non è tale se non è nello stesso tempo prudente, forte e temperante.

In tal modo, quando c'è una di quelle virtù, vi sono ugualmente anche le altre; quando invece queste altre mancano, quella non è autentica, anche se per qualche aspetto può sembrare tale.

2.6 - Vizi manifesti e vizi mascherati

Certi vizi, come tu sai, sono nettamente opposti e contrari alle virtù come l'imprudenza lo è alla prudenza.

Ve ne sono invece degli altri contrari alle virtù solo perché sono vizi, ma sono tuttavia simili per causa d'un'apparenza che inganna, come rispetto alla prudenza è non già l'imprudenza ma la scaltrezza.

Parlo ora della scaltrezza nel senso che si suole dare più comunemente al termine quando si tratta di persone maliziose, e non già nel senso inteso nel linguaggio abituale della S. Scrittura, la quale usa il termine " astuzia " in senso buono, per cui dice: Siate astuti come i serpenti; ( Mt 10,16 ) e ancora: Affinché dia l'astuzia anche agl'innocenti. ( Pr 1,4 )

Del resto anche uno, dei più competenti intenditori della lingua di Roma ha detto: Non gli mancava tuttavia né furbizia né scaltrezza per parare i colpi,2 usando " astuzia " in senso buono.

Così pure tra le virtù, che fanno parte della temperanza, la prodigalità è evidentemente contraria alla parsimonia; la qualità invece che siamo soliti chiamare spilorceria è senz'altro un vizio anche se rassomiglia alla parsimonia non per sua natura ma per un'apparenza capacissima d'ingannare.

Allo stesso modo l'ingiustizia è contraria alla giustizia per un'evidente dissomiglianza; ora, la passione della vendetta sembra di solito simile alla giustizia, ma è un vizio.

L'apatia è manifestamente contraria alla fortezza; la caparbietà invece è bensì lontana per sua natura dalla fortezza ma inganna perché le rassomiglia.

La fermezza di carattere è una virtù che rientra nella fortezza, ma la volubilità è in stridente contrasto con essa e le si contrappone senz'altro; ora, la caparbietà pretende d'esser chiamata fermezza di carattere, ma non lo è poiché quella è una virtù, mentre questa è un vizio.

2.7 - L'apparente forza d'animo di Catilina

Per non esser dunque costretti a ripeterci, riportiamo a mo' d'esempio un caso che ci permetta d'intendere tutti gli altri.

Catilina, a quanto ci hanno lasciato scritto coloro che hanno potuto conoscerlo, era capace di sopportare il freddo, la sete e la fame, era resistente al digiuno, al freddo più acuto e alla veglia più di quanto possa credersi; per questo, ai suoi e a se stesso, appariva dotato d'una forza di carattere eccezionale.3

Questa forza però non era prudente, poiché egli sceglieva il male invece del bene; non era temperante, poiché era macchiato delle più ignominiose turpitudini; non era giusta, poiché egli aveva congiurato ai danni della patria.

Proprio per questo la sua non era neppure forza di carattere, ma caparbia ostinazione, la quale si celava sotto il nome di fortezza al fine d'ingannare gli stolti.

In realtà, se la sua fosse stata vera forza d'animo, non sarebbe stata un vizio, ma una virtù e, se fosse stata una virtù, non sarebbe mai stata abbandonata dalle altre virtù come da altrettante compagne inseparabili.

2.8 - Più numerosi delle virtù i vizi

Anche per i vizi si può sollevare la stessa questione, se cioè per analogia in una persona ci siano tutti gli altri vizi quando essa ne possegga uno ovvero non ce ne sia alcuno quando gliene manchi uno; questo però è difficile a dimostrarsi per il motivo che a una virtù si oppongono di solito due vizi: uno che le è contrario in modo chiaro e uno che si nasconde nell'ombra della sua apparente rassomiglianza con la virtù.

Ecco perché nel caso di Catilina era abbastanza facile capire che la sua non era forza d'animo, poiché non era accompagnata dalle altre virtù.

Che tuttavia si trattasse d'infingardaggine è difficile dimostrarlo, dal momento ch'era allenato a soffrire da Spartano e a sopportare i più gravi disagi più di quanto possa credersi.

Ma, se uno considerasse la cosa più a fondo, s'accorgerebbe che la sua caparbia non era altro che ignavia in quanto egli aveva trascurato di preoccuparsi di compiere le opere buone con le quali si acquista la vera forza d'animo.

D'altra parte ci sono degl'individui audaci che non sono timidi e viceversa degl'individui timidi privi di audacia sebbene tutt'e due queste qualità morali siano dei difetti in quanto chi è forte in virtù dell'autentica forza di carattere non è audace in modo temerario né si lascia prendere da paura sconsiderata; per questo siamo costretti ad ammettere che i vizi sono più numerosi delle virtù.

2.9 - Una sola virtù dominante può abolire i vizi?

Alle volte un vizio viene cacciato da un altro vizio: come, per esempio, la passione del danaro dalla brama della gloria; alle volte, se scompare un solo vizio, ne compare un numero maggiore, come nel caso di uno il quale, dopo essere stato un beone, impara ad essere spilorcio e ambizioso qualora si sia moderato nel bere.

I vizi pertanto possono cedere il posto non alle virtù, ma ad altri vizi, che perciò sono più numerosi.

Dove invece riesce a penetrare una sola virtù, per il fatto stesso ch'è accompagnata da tutte le altre virtù, scompaiono senz'altro tutti quanti i vizi che vi si trovavano.

Non che vi fossero tutti i vizi, ma al posto di alcuni ne subentravano a volte in numero uguale, a volte maggiore, a volte minore.

3.10 - Neppure i santi sono senza peccati

Bisogna ora esaminare con un'indagine più accurata se quanto abbiamo affermato sia proprio così.

Poiché l'asserzione da noi formulata in questi termini: "Chi possiede una virtù, le possiede tutte, e chi non ne ha una non ne ha nessuna ", non è una verità rivelata da Dio, ma è un'opinione di uomini, molto acuti certamente ed eruditi, ma pur sempre uomini.

Ora, non so neppure io come potrei affermare che non possegga la castità non solo un uomo - dal quale, vir, si dice sia derivato il nome di virtù -, ma anche una donna, la quale si conservi fedele al proprio marito nel matrimonio, qualora agisca così a motivo del precetto e della promessa di Dio e a questi sia anzitutto fedele; oppure non so come potrei affermare che la castità non sia per nulla una virtù o che sia piccola.

Lo stesso dicasi del marito che si conserva ugualmente fedele alla moglie.

Ora, di persone siffatte ce ne sono moltissime, eppure non oserei dire che ce ne sia alcuna esente da peccato.

Orbene, di qualunque specie esso sia, il peccato deriva senz'altro da un vizio.

Per conseguenza, pur essendo la castità coniugale negli uomini e nelle donne timorati di Dio senza dubbio una virtù - poiché non può essere né niente né un vizio - non è accompagnata però da tutte le virtù.

La ragione di ciò è che, se nella castità fossero comprese tutte le virtù, non ci sarebbe alcun vizio; se non ci fosse alcun vizio, non ci sarebbe nemmeno alcun peccato.

Ma chi è senza peccato? Chi dunque è senza qualche vizio, cioè senza un certo fòmite o, per così dire, una specie di radice del peccato, dal momento che colui, il quale appoggiò il capo sul petto del Signore, ( Gv 14,25; Gv 21,20 ) proclama: Se diremo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi? ( 1 Gv 1,8 )

Con te non ci sarebbe bisogno d'insistere più a lungo, ma parlo per gli altri che eventualmente leggeranno questo mio scritto.

Quanto a te, in realtà, tu, sempre in quella tua splendida opera contro Gioviniano,4 hai dato un'accurata dimostrazione anche di quest'argomento basandoti sulla S. Scrittura, dove hai citato il passo della medesima lettera in cui si trovano le parole, delle quali stiamo cercando d'intendere il significato.

Ecco il passo: Tutti, in verità, commettiamo parecchi peccati. ( Gc 3,2 )

Orbene, non dice: Commettete, ma: commettiamo; chi parla è un apostolo di Cristo e nel passo da lui discusso soggiunge: Chi osserverà tutto il resto della Legge, ma trasgredisce un solo precetto, si rende colpevole d'averli trasgrediti tutti, ( Gc 2,10 ) mentre nel passo precedente non parla di uno solo, ma di parecchi e dice che non sono alcuni a commettere peccati, ma tutti.

3.11 - Chi ha più carità, ha più virtù

Non sia mai però che alcun fedele pensi che migliaia e migliaia di servi di Cristo non abbiano alcuna virtù per il solo fatto che ammettono sinceramente d'essere peccatori al fine di non ingannare se stessi e non possedere perciò in se stessi la verità, dal momento che la sapienza è una grande virtù.

È stata proprio la Sapienza a dire all'uomo: Ecco, il timor di Dio è la sapienza. ( Gb 28,28 sec. LXX )

Non ci venga mai in mente, dunque, di affermare che un sì gran numero di fedeli qualificati e di uomini timorati di Dio non abbiano il timor di Dio, che i Greci chiamano " venerazione " o, più chiaramente ed esattamente " venerazione di Dio ".

Del resto, che cos'è la pietà religiosa se non il culto di Dio?

E in qual modo Iddio può essere onorato se non con la carità?

In effetti, la carità, che nasce dal cuore puro, dalla coscienza retta e dalla fede sincera, ( 1 Tm 1,5 ) è una grande e autentica virtù, poiché è proprio essa il compimento della Legge.

Essa è giustamente forte come la morte: ( Ct 8,6 ) non solo perché non la vince nessuno come nessuno vince la morte, ma anche perché in questa vita la misura della carità è quella di amare fino alla morte, come ha detto il Signore: Nessuno ha carità più grande di chi dà la propria vita per gli amici; ( Gv 15,13 ) e infine - forse soprattutto - perché allo stesso modo che la morte strappa l'anima alla sensibilità carnale, la carità la strappa alle passioni carnali.

Al suo servizio è la scienza quando è utile, poiché senza di essa la scienza serve solo a gonfiare. ( 1 Cor 8,1 ) Quando invece la carità, che edifica, ha riempito una cosa, la scienza non vi trova alcun vuoto da gonfiare.

L'apostolo ha mostrato quale sia la scienza utile là dove, dopo aver detto: Ecco, la sapienza è il timor di Dio, subito soggiunge: La scienza invece consiste nell'astenersi dal male. ( Gb 28,28 sec. LXX )

Perché mai, dunque, non diciamo che, se uno ha questa virtù, ha pure tutte le altre, dal momento che la carità è il compimento della Legge? ( Rm 13,10 )

Oppure che quanto più essa è radicata in una persona, tanto più questa è fornita di virtù e al contrario quanto meno lo è, tanto meno è ricco di virtù, poiché è proprio essa la virtù?

Non è forse vero che quanto minore è la virtù che uno possiede, tanto più grande è il vizio?

Ove dunque la virtù si trova nella sua pienezza e perfezione, non si trova più alcuna traccia di vizio.

3.12 - Sapiente per gli Stoici solo il perfetto

Ecco perché - a mio avviso - gli Stoici si sbagliano quando pretendono che una persona, pur facendo progressi nella virtù, non la possiede affatto, ma che arriverà a possederla sol quando ne avrà raggiunta la perfezione; e ciò non perché neghino il progresso, ma perché sostengono che uno non può essere per nulla sapiente salvo che rimontando, per così dire, da un abisso, non si levi bruscamente a volo nella libera atmosfera della sapienza.

In realtà per far affogare una persona non importa se l'acqua che lo sovrasta sia profonda molti stadi o un palmo o solo un dito; allo stesso modo - affermano gli Stoici - coloro che tendono alla sapienza, avanzano bensì come se da un profondo abisso s'innalzassero verso l'aria, ma se non riescono a uscire completamente fuori dalla stoltezza come dall'acqua che li opprime con l'avanzare e col venire a galla, non posseggono la virtù e non sono sapienti; appena invece ne escono fuori, la possiedono interamente senza che in essi rimanga nemmeno un'ombra di stoltezza e perciò non può essere in loro peccato di alcuna sorta.

3.13 - Più consono alla S. Scrittura il progresso nella sapienza

Non mi pare che calzi del tutto con l'insegnamento autorevole delle nostre sacre Scritture detto paragone in cui la stoltezza è presentata come l'acqua e la sapienza invece come l'aria per farci capire che l'anima dovrebbe, per così dire, rimontare dalla stoltezza, che la farebbe affogare, verso la sapienza che le darebbe immediatamente il respiro.

Sarebbe più conforme alla Scrittura paragonare il vizio o la stoltezza con le tenebre, e la, virtù o la sapienza con la luce in quanto queste immagini tratte dalla fisica possono essere usate per far comprendere concetti astratti.

L'anima pertanto non è simile a una persona la quale, uscendo fuor dell'acqua verso l'aria, appena ne ha sorpassata la superficie, d'improvviso riprende a respirare quanto le basta, ma a una persona, che avanzando dalle tenebre verso la luce, quanto più gradatamente le si avvicina, tanto più ne viene illuminata.

Per quanto non sia inondata ancora completamente dalla luce, diciamo tuttavia che una persona, uscendo per così dire dalle viscere d'una profonda caverna, viene colpita tanto più da vicino dalla luce, quanto più si appressa all'uscita, in modo che quel che in essa risplende è effetto della luce verso la quale essa avanza, mentre quel che ancora è nell'ombra è effetto delle tenebre, dalle quali sta uscendo.

E così, se da una parte nessun vivente trova giustificazione al cospetto di Dio, ( Sal 143,2 ) dall'altra il giusto vive di fede. ( Ab 2,4; Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38 )

Anche i santi si sono rivestiti di giustizia, chi più, chi meno, ma nessuno vive quaggiù senza peccato, ugualmente chi più, chi meno; il migliore è chi ha meno peccati. ( Gb 29,14 )5

4.14 - La carità proporzionata al numero e grado delle virtù

Ma perché mai, come se mi fossi dimenticato della persona a cui rivolgo la parola, ho assunto un tono da maestro su una questione che t'avevo proposta per averne la spiegazione?

Ma ciò è dipeso dal fatto che intendevo manifestare qual era il mio pensiero riguardo all'uguaglianza dei peccati, perché tu lo esaminassi, e poi il discorso era scivolato di lì sopra un'altra questione sulla quale mi sono fermato incidentalmente ed è ora di concluderla una buona volta.

Infatti, ammesso e non concesso che, se uno possiede una virtù, le possiede tutte, e chi non ne possiede una, non ne possiede nessuna, neppure così può affermarsi che i peccati sono tutti uguali tra loro, poiché, anche ammesso che dove non c'è alcuna virtù, non c'è alcuna rettitudine, non segue da ciò che non esista una persona peggiore di una cattiva e una persona più sbilenca d'un'altra pure sbilenca.

Ora si può supporre - come reputo più esatto e più conforme alla S. Scrittura - che le tendenze dell'anima siano come le membra del corpo - non in quanto si possano scorgere attraverso lo spazio fisico, ma in quanto si percepiscono attraverso i sentimenti e le passioni - e una parte sia più illuminata, un'altra meno, e un'altra sia completamente priva di luce a causa d'un qualche corpo opaco che s'interponga a farle ombra: e come senza dubbio, a seconda che ciascuno partecipa della luce, della pietà e della carità, la riflette nelle azioni quando più, quando meno e quando per nulla, così può dirsi che ha una virtù ma gliene manca un'altra o ne possiede una in grado maggiore, un'altra in grado minore.

Per esempio, non solo possiamo dire giustamente: " Caio ha una carità più grande di Tizio ", e: " Caio ha un po' di carità, ma Tizio non l'ha per nulla "; ciò per quanto riguarda la carità ch'è vincolo religioso con Dio.

Ma possiamo anche dire - a proposito d'una medesima persona - ch'essa possiede più castità che non pazienza, che ne ha più oggi che non ieri se fa dei progressi, oppure che non possiede ancora la continenza ma possiede non poca misericordia.

4.15 - La virtù è la carità nel senso più ampio

Per condensare in poche parole quello ch'è complessivamente il mio concetto della virtù per quanto riguarda la retta condotta della vita, la virtù è la carità mediante la quale si ama ciò che dev'essere amato.

Essa è più grande in alcuni che in altri, mentre in alcuni non c'è per nulla.

La carità perfetta invece, quella cioè che non può ormai più aumentare finché viviamo quaggiù, non la possiede nessuno; ma fino a quando essa può aumentare, il fatto che sia minore di quel che dovrebbe essere, dipende senz'altro da qualche vizio.

È questo vizio la causa per cui non c'è sulla terra alcun giusto che faccia solo il bene senza mai peccare; ( Qo 7,20; 1 Re 8,46 ) è per causa di questo vizio che nessuno sarà giustificato agli occhi di Dio; ( Sal 143,2 ) proprio per questo vizio se noi diremo di non aver alcun peccato, c'illudiamo e la verità non abita in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Sempre a causa di questo vizio, per quanti progressi potremmo aver fatti, ci troviamo nella necessità di dire: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) anche se già nel battesimo ci sono stati rimessi tutti i peccati commessi in parole, opere e pensieri.

Chi pertanto vede le cose dal lato giusto, vede bene da chi, quando e dove dobbiamo aspettare quella perfezione che non è suscettibile d'alcun altro aumento.

Ora, se non ci fossero i comandamenti, mancherebbe all'uomo il modo di specchiarsi con una certa sicurezza al fin di vedere da che cosa deve allontanarsi, verso quale meta tendere con ogni sforzo, per quali motivi rallegrarsi e quali grazie chiedere nella preghiera.

Grande è dunque l'utilità dei comandamenti, purché il libero arbitrio se ne serva solo per rendere onore sempre più ampio alla grazia di Dio.

5.16 - Soluzione del quesito: offende tutta la Legge chi offende la carità

Stando così le cose, come può avvenire che, se uno osserverà tutti gli altri comandamenti della Legge, qualora ne trasgredisca uno solo, si rende colpevole di tutti?

Forse perché la pienezza della Legge è la carità, ( Rm 13,10 ) con cui amiamo Dio e il prossimo?

È forse perché da questi precetti della carità dipende tutta la Legge e i Profeti ( Mt 22,40 ) e perciò giustamente si rende colpevole di tutti i comandamenti chi agisce contro tale virtù, dalla quale dipendono tutti gli altri?

Nessuno, d'altronde, pecca senza che la sua azione sia contraria alla carità, poiché i comandamenti che ci proibiscono di commettere adulterio, di commettere omicidio, di rubare, di non desiderare ( Es 20,13-17; Dt 6,17-21 ) e qualunque altro, tutti si riassumono in questo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. ( Lv 19,18; Mt 22,40 )

L'amore non permette di far alcun male al prossimo, e quindi: La pienezza della Legge è la carità. ( Rm 13,10 )

Ora, nessuno ama il prossimo se non ama Dio e se non si preoccupa - nei limiti delle sue possibilità - del bene del prossimo, che ama come se stesso, affinché anch'esso ami quel Dio, non amando il quale, egli non ama né se stesso né il prossimo.

Ecco perché, se uno osserva tutti gli altri comandamenti della Legge, ma ne trasgredisce uno solo, si rende colpevole di tutti, poiché agisce contro la carità, da cui dipende tutta la Legge: si rende insomma colpevole di tutti i comandamenti in quanto agisce contro il precetto dell'amore dal quale dipendono tutti gli altri.

5.17 - Ov'è meno carità, è più iniquità

E perché mai i peccati non possono dirsi uguali?

Forse perché, se uno pecca più gravemente, compie azioni più contrastanti con la carità e se un altro pecca meno gravemente, questi ne compie di meno contrarie?

Così, proprio per questo, uno commette una colpa più o meno grave per cui diviene - sì - colpevole contro tutti i comandamenti, ma più colpevole se pecca più gravemente e con azioni più numerose, meno colpevole invece se commette un peccato più leggero o un minor numero d'azioni peccaminose: la sua colpevolezza sarebbe tanto più grave, quanto più gravemente peccasse e tuttavia, anche se trasgredisse un solo precetto, si renderebbe colpevole verso tutti in quanto agirebbe contro la virtù, dalla quale dipendono tutti gli altri.

È forse così? Se ciò fosse vero, sarebbe già risolta la difficoltà insita in ciò che dice uno il quale ebbe anche la grazia d'essere apostolo: In verità manchiamo tutti in molte cose. ( Gc 3,2 )

È proprio così: manchiamo tutti, ma chi più gravemente, chi più leggermente, quanto più o meno si pecca, cioè tanto più quanto meno si ama Dio e il prossimo e, viceversa, quanto meno si pecca, tanto più si ama Dio e il prossimo.

Insomma, si è tanto più pieni d'iniquità, quanto più si è privi di carità e siamo perfetti nella carità solo quando non resta alcuna traccia d'infermità.

5.18 - Inoltre non è affatto da considerare, a mio avviso, peccato leggero il professare la fede nel Signor nostro Gesù Cristo e intanto usare parzialità e discriminazioni tra le persone, se il diverso trattamento di far accomodare uno e di fare star in piedi un altro lo riferiamo alle cariche ecclesiastiche.

Chi infatti non si ribellerebbe a che un ricco venisse scelto a prender possesso d'una carica ecclesiastica, mentre un povero anche più istruito e santo non venisse messo sul candelabro?

Se invece lo riferiamo alle assemblee quotidiane, chi mai non pecca in questo caso - ammesso che sia un peccato - quando si formula nel proprio intimo il giudizio secondo il quale una persona ci sembra tanto migliore, quanto più è ricca?

Orbene, è questo che, a mio parere, l'apostolo, vuol farci capire quando dice: Non fate forse apprezzamenti personali?

Non è forse ingiusto il criterio col quale giudicate? ( Gc 2,4 )

6.19 - La parzialità nel conferire le cariche ecclesiastiche

La legge della libertà non è perciò altro che la legge della carità, di cui l'apostolo dice: Se tuttavia mettete in pratica la legge sovrana secondo il precetto della Scrittura: Amerai il tuo prossimo come te stesso, fate bene.

Se invece fate delle parzialità tra le persone, commettete peccato e siete condannati dalla Legge come trasgressori. ( Gc 2,8 )

Dopo l'affermazione assai difficile a comprendersi e della quale ho detto finora quanto m'è parso sufficiente doversi dire, l'apostolo, ricordando la medesima legge della libertà, soggiunge: Parlate e agite, dunque, come persone che devono essere giudicate in base alla legge della libertà. ( Gc 2,12 )

E poiché sa che cosa ha detto poco prima, che cioè tutti manchiamo in molte cose, ci somministra, per così dire, una medicina, concessa dal Signore, da prendere ogni giorno per le ferite quotidiane anche non troppo gravi, dicendo: Spietato sarà il giudizio per chi avrà agito senza pietà. ( Gc 2,13 )

Ecco perché anche il Signore dice: Perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato. ( Lc 6,37-38 )

La misericordia poi si vanta d'essere superiore al giudizio. ( Gc 2,13 )

Non è detto: La misericordia vince il giudizio, in quanto non è in contrapposizione col giudizio, ma si vanta d'esser superiore in quanto sono parecchi quelli che vengono salvati con la misericordia, ma solo quelli tuttavia che hanno usato misericordia.

Beati, infatti, i misericordiosi, perché di essi avrà misericordia Iddio. ( Mt 5,7 )

6.20 - La misericordia, medicina per i peccati quotidiani

È anche giusto, senza dubbio, che siano perdonati dal momento che hanno perdonato, e che ricevano dal momento che hanno dato.

E per qual ragione? Eccola: Dio nell'atto di giudicare è misericordioso e nell'atto d'usar misericordia è anche giusto.

Ecco perché il Salmista si rivolge a Lui dicendo: Canterò, Signore, la tua misericordia e la tua giustizia. ( Sal 101,1 )

Chiunque infatti s'aspetta con una certa sicurezza un giudizio senza misericordia considerandosi del tutto giusto, attira su di sé uno sdegno giustissimo, quello stesso temuto dal Salmista quando dice: Non venire in giudizio col tuo servo. ( Sal 143,2 )

Ecco perché al popolo ostinato viene detto: Perché volete contestare con me in giudizio? ( Ger 2,29 ) poiché quando il re giusto sarà assiso in trono, chi potrà vantarsi d'avere il cuore casto? o chi potrà vantarsi d'essere immune da colpa? ( Pr 20,8-9 )

Quale speranza ci potrà essere allora, se la misericordia non sarà superiore al giudizio?

Ma sarà usata misericordia verso coloro i quali l'hanno usata in modo da dire di vero cuore: Perdonaci, come perdoniamo anche noi; ( Mt 6,12 ) e hanno dato senza brontolare.

Dio infatti ama colui che dà con gioia. ( 2 Cor 9,7 )

Finalmente S. Giacomo fin da questo passo parla delle opere di misericordia per infondere coraggio in coloro che egli aveva fortemente spaventati con quella sua affermazione e lo fa ricordando loro in qual modo vengono espiati con quotidiane riparazioni anche i peccati quotidiani, senza i quali è impossibile vivere sulla terra; e questo per evitare che l'uomo il quale, se trasgredisce un solo comandamento, si rende colpevole di tutti, col trasgredirne molti ( dal momento che manchiamo tutti in molte cose ) non porti al tribunale d'un giudice così giusto un carico di peccati accumulati un po' alla volta e non trovi la misericordia ch'egli non usò verso il prossimo; ma piuttosto, perdonando e dando, meriti che gli vengano perdonati i peccati e gli siano date le ricompense promesse. ( Gc 5,16; Gc 3,2 )

6.21 - Dio perdona chi perdona agli altri

Di cose ne ho dette molte e forse t'ho annoiato, poiché queste cose, che tu peraltro approvi, non stai aspettando d'impararle da me dal momento che sei abituato a insegnarle.

Orbene, se trovi qualche punto che riguarda la sostanza delle cose dette - poiché non mi preoccupo della forma letteraria con cui le ho spiegate - se dunque vi trovi qualche punto che urti con la tua dottrina, ti prego d'avvisarmene in una tua lettera di risposta e d'usarmi la cortesia di correggermi.

Sarebbe un povero diavolo chi non apprezzasse come si meritano le fatiche tanto preziose e sante dei tuoi studi e non ne ringraziasse Iddio nostro Signore, per grazia del quale sei tanto dotto.

Orbene, poiché io provo maggior piacere nel dover imparare da chicchessia ciò che ignoro con mio danno, anziché insegnare con un certo trasporto ad altri quel che so, quanto è più giusto ch'io solleciti questo debito di carità da te il quale - in nome e con l'aiuto del Signore - hai dato alla letteratura ecclesiastica latina un impulso tale, quale non ha mai avuto per l'addietro.

In modo speciale, comunque, supplico nel nome del Signore la tua Carità d'essere tanto cortese di farmi sapere se si può spiegare meglio, in maniera diversa dalla mia, l'affermazione dell'Apostolo: Se uno osserva tutti gli altri comandamenti della Legge, ma ne trasgredisce uno solo, si rende colpevole di tutti. ( Gc 2,10 )

Indice

1 Hieron., Adv. Iovin. 2, 21-34
2 Sallust., Catil. 26, 2
3 Sallust., Catil. 5, 3
4 Hieron., Adv. Iovin. 2, 2
5 Horat., Sat. 1, 3, 68 s